CORELLI, Arcangelo
Violinista e compositore. Nato a Fusignano nel 1653, morto a Roma nel 1713, quinto figlio, postumo, di Arcangelo e di Santa Raffini. Studiò a Faenza, a Lugo, a Bologna, dove fu allievo (circa 1666-1670) di Giovanni Benvenuti (allievo, a sua volta, di Ercole Gaibara) e non certo di G. B. Bassani, di lui più giovane di quattro anni. Costui fu forse, in seguito, uno dei suoi maestri ideali per la composizione: come prima, a Bologna, Leonardo Brugnoli per la tecnica d'esecuzione. Fu aggregato all'Accademia filarmonica nel 1670. Amò chiamarsi "il bolognese" (così nelle tre prime opere); più tardi rinunciò a questo nomignolo, forse in seguito alle polemiche con G. P. Colonna, compositore e organaro (a proposito d'un passo interpretato come successione di quinte nella 3ª sonata dell'op. II).
Intorno al 1671, andò a Roma e vi divenne allievo di Matteo Simonelli per la composizione. Presto famoso, il 3 giugno 1679 invia al conte Fabrizio Laderchi, nobile faentino e gentiluomo delle corti di Toscana, la prima composizione della quale ci sia rimasta notizia: una sonata per violino e liuto da sonarsi anche per violino e violone. Nel 1675 e '76 figura nell'orchestra di S. Luigi dei Francesi. Nel 1677 viaggia forse in Germania. Nel 1678 è di nuovo a S. Luigi dei Francesi e il 6 gennaio 1679 lo troviamo primo violino (direttore d'orchestra) all'inaugurazione del Teatro Capranica.
Nel periodo 1679-80 sembra sia stato di nuovo in Germania (Monaco? Heidelberg? Hannover, Ansbach, Düsseldorf?). Sul principio del 1681 ritorna a Roma e non se ne allontana più, almeno sino al 1684. Di una pretesa dimora a Parigi, interrotta dalla gelosia di G. B. Lulli, non si è ritrovata alcuna traccia. Non sembra sia stato a Modena (dove T. Vitali era direttore dei concerti) negli anni 1689 e 1690. Il cardinale Benedetto Pamphilj l'accoglie in casa sua il 9 luglio 1687, stipendiandolo quale maestro della musica, e il C. vi resta sino al 1690. Dal 1700 (almeno) passato al servizio del cardinale Pietro Ottoboni, pronipote di Alessandro VIII e vice-cancelliere della Chiesa, diviene primo violino e direttore stabile dei famosi concerti del Palazzo della Cancelleria Raccolto nel 1706, insieme con A. Scarlatti e con B. Pasquini, tra gli Arcadi. Il suo incontro con Alessandro Scarlatti a Napoli (1701?) raccontato dal Burney su la fede del Geminiani, e l'altro con G. F. Händel a Roma nel 1708, riprodotto dal Chrysander, che vorrebbero essere una documentazione delle gravi insufficienze del C., riconfermano, tutt'al più, la sua morbosa timidezza, che non gli consentiva di adattarsi prontamente a stili di esecuzione o di composizione diversi dal suo. Ma si deve notare che quei due episodî appartengono alla rigogliosa letteratura calunniosa che fiorì contro gl'Italiani soprattutto nel settecento, talvolta alimentata da imprudenze o malefatte di singoli Italiani. La sua timidezza si mutò in profonda malinconia, negli ultimi anni della sua vita, ed egli morì senza avere ancora pubblicata l'opera sesta che, secondo l'Adami, stava "perfezionando" e che uscì, postuma (1714), ad Amsterdam, presso il Roger. Fu sepolto nel Pantheon.
Il titolo di marchese di Ladenburg, sollecitato dall'Ottoboni alla fine del 1713, fu concesso al C - postumo, dunque, - da (Giovanni Guglielmo principe palatino del Reno (Düsseldorf), lo stesso al quale è dedicata l'opera sesta. Il titolo fu riconfermato (10 agosto 1715) ai fratelli Ippolito, Domenico e Giacinto.
Opere. - Le sei opere a stampa del C. comprendono sonate a tre, da chiesa (12) e da camera (12), sonate a violino e basso (12), concerti grossi (12). L'opera 1ª, del 1681, dedicata alla regina Cristina di Svezia, è costituita da Sonate (da chiesa) a tre, doi viohni e violone, o arcileuto, col basso per l'organo, e pubblicata a Roma da Gio. Angelo Mutij. L'opera 2ª, del 1685, dedicata al card. Benedetto Pamphilj, è costituita da sonate (da camera) a tre (presso lo stesso editore). L'opera 3ª, datata Roma il 20 settembre 1689, dedicata al duca Francesco II di Modena, ritorna al genere da chiesa dell'opera 1ª ed è pubblicata, pure a Roma, da Gio. Giacomo Komarek. L'opera 4ª, del 1694, dedicata al card. Pietro Ottoboni, fa seguito all'opera 2ª (Sonata da camera) ed è pubblicata pure dal Komarek. L'opera 5ª, la più famosa di tutte, appare nel 1700, pure a Roma presso Gasparo Pietrasanta, ed è costituita da sonate a violino e basso.
Quantunque le prime quattro opere siano a torto trascurate, rispetto alla quinta, è certo che noi possediamo, in questa, una delle più alte espressioni della musica non solo del Seicento, ma di tutti i tempi. Essa, più che creare un nuovo stile, potenzia la musicalità del Seicento racchiudendola nella serenità di un'opera perfetta. Con essa il C. diviene un maestro universale di stile, ammirato per tutto il Settecento, e il Dall'Olio (1794) ci dice che "il padre Martini stimava più delle altre (sonate) quella che è nominata terza, e inculcava ai suoi scolari che non cessassero di studiarla e meditarla". Quest'opera ebbe almeno quindici edizioni nel Settecento e sui primi dell'ottocento ed è fama che famiglie di copisti vivessero, in Inghilterra, trascrivendone le stampe - costose e inesatte - per i dilettanti.
L'opera sesta, di concerti grossi, ci richiama alla questione, oggi ancora aperta, delle origini del concerto grosso (v. concerto). La prima edizione è quella del Roger di Amsterdam, uscita nel 1714. Di una pretesa edizione romana anteriore non esiste traccia. Essa ci riconferma che il C. è la più alta espressione di un'epoca di singolare fervore nel campo della musica strumentale, tanto della monodica quanto della polifonica. Con lui le architetture della sonata e del concerto si ampliano e si compongono in ordini di greca proporzione, mentre la sonorità dei singoli strumenti e dell'orchestra d'archi raggiunge un massimo d'intensità, favorita dai progressi realizzati, nella liuteria, dalla scuola cremonese.
Già nel 1687, nell'Accademia per musica fatta nel Real Palazzo... della regina Christina per festeggiare l'assonzione al trono di Giocomo Secondo re d'Inghilterra, su poesia di Alessandro Guidi, il C. è "capo dell'istromenti d'arco in numero di centocinquanta". In una città, quale allora era Roma, la possibilità di riunire anche soltanto la maggior parte dei 150 sonatori d'arco che presero parte al concerto dimostra l'alto grado di diffusione della musica strumentale, preferita dalle classi più intelligenti e più colte, mentre il teatro, almeno in Italia, scadeva da festa di corte a divertimento popolare. Il mecenatismo delle corti cardinalizie, dei grandi signori e della regina di Svezia la favorirono potentemente. Lo stile del C., che ora sembra di una purezza classica mirabilmente calcolata e talvolta un po' accademica, fu compreso in altro modo dai primi romantici e il Rousseau poteva esclamare: " Corelli, Buononcini, Vinci et Pergolèse sont les premiers qui aient fait de la musique" accomunando il C. ad autori i quali ci sembrano tanto diversi di animo e di espressione; e sopra tutti il Pergolesi. Ma anche oggi, sia pure con minore immediatezza, si sente che il C. è uscito da quell'impersonalità che pur si avverte nella musica strumentale del Seicento, se se ne eccettui, in parte, il Frescobaldi. In lui è un presentimento di quell'individualismo che, già chiaro nel Vivaldi, si affermerà nel lirismo dei cemfalisti veneziani, dei sinfonisti lombardi, dei quartettisti toscani e nordici. Fu ben detto che egli sta tra due epoche e, in questa sua capacità di sintesi e di ricerca, in questa sua ricchezza di sentimenti e di presentimenti, di realizzazioni e di aspirazioni, racchiuse in architetture nettamente stagliate ma non rigide, disciplinate ma elastiche, si concreta la sua importanza storica, saliente e pari a quella dei più grandi maestri: Palestrina, G. Gabrieli, Monteverdi, A. Scarlatti, Bach, vivaldi, Beet hov en.
Tecnica. - Il C. poco aggiunse alla tecnica dei suoi predecessori. L'arco che, prima di lui, col Bassani, poteva essere teso con difficoltà mediante un ferro dentato e mobile, offre già il bottone e la vite regolatrice, ma non si sa se l'innovazione si debba proprio al Corelli. L'estensione delle sue musiche non esige l'uso frequente di alte posizioni o di colpi d'arco eccezionali e il trattamento polifonico dello strumento si mantiene, anch'esso, entro limiti agevoli.
Anche quale tecnico il C. sta tra due epoche: ciò che spiega il grande numero di allievi diretti e indiietti. Suoi allievi diretti furono: G. B. Anet, G. S. Carbonelli, i fratelli Castrucci, Nicola Cosimi, F. Gasparini, F. Geminiani, P. Locatelli, M. Mascitti, G. Mossi e G. B. Somis, mentre è incerto sia stato tale il Tessarini. Dal suo stile furono influenzati G. S. Bach, Händel, G. Muffat, G. G. Walther, G. Tartini, G. Valentini e la scuola francese con G. M. Leclair.
Bibl.: G. M. Crescimbeni, Notizie istoriche degli Arcadi morti, Roma 1720, I, p. 250; C. Burney, A general History of Music, Londra 1776-89, III, pp. 550-559; J. J. Rousseau, Lettre sur la musique française, Ginevra 1782, p. 315 nota; G. B. Dall'Olio, La musica. Poemetto, Modena 1794, p. 66 nota; F. Fayolle, Notices sur Corelli, Tartini, Gaviniés, Pugnani et Viotti, Parigi 1810; P. Maroncelli, Vita di Arcangelo Corelli, in Vite e ritratti d'illustri italiani, LVII, Padova 1819; W. H. Riehl, Arcangelo Corelli im Wendepunkte zweier musikgeschichtlichen Epochen, in Sitzungsberichte der königl. bayer. Akademie der Wissenschaften, Monaco 1882; C. Piancastelli, Fusignano ad Arcangelo Corelli nel secondo centenario della morte: 1913, Bologna 1914; F. Torrefranca, I 150 strumenti ad arco diretti dal Corelli, in Rivista Musicale italiana, XXVII (1917), fasc. 4°, p. 501; F.T. Arnold, A Corelli Forgery, in Proceedings of the Mus. Association, sessione XLVII (1921); A. Moser, Corelli und Lulli, in Zeitschrift für Musikwissenschaft, 1921, fasc. 7°, p. 415; A. Cametti, A. C. à Saint-Louis des Français à Rome, in La Revue musicale, III (1922), n. 3; F. Vatielli, La musica a Bologna, Bologna 1923; A. Moser, Geschichte des Violinspiels, Berlino 1923, pp. 69-73 e 81-82; G. B. Martini, Notizia sopra l'Accademia Filarmonica, ms. 13, n. 61 della Bibl. del Liceo musicale di Bologna.