Archeologia medievale
La pubblicazione degli atti della Prima Conferenza Italiana di Archeologia Medievale, tenutasi nel 1995 e dedicata agli scavi medievali in Italia nel biennio 1994-95, consente di fotografare gli indirizzi della disciplina sempre più articolati e rivolti all'intero arco cronologico del Medioevo, in stretta relazione con la tarda antichità. Emergono anche nel decennio successivo ricerche sistematiche sull'assetto del territorio (viabilità, continuità e fine delle villae, transizione nelle curtes e nei casales, inserimento e modalità del riutilizzo spaziale delle comunità cristiane nei vici, nei pagi e nell'insediamento sparso, organizzazione dei castra, fenomeno dell'incastellamento), sulle dinamiche insediative urbane, sulla lettura archeologica degli elevati, sui complessi monastici, sull'archeologia funeraria, sull'archeologia della produzione e sulla documentazione epigrafica come indicatore archeologico.
Lo studio dell'assetto territoriale nel Medioevo è stato di recente campo di ricerca privilegiato. L'attenzione è stata rivolta, con la ricostruzione di percorsi anche di lunga distanza attraverso l'integrazione di fonti di diversa natura, al sistema viario medievale di terra e di fiume: per quest'ultimo è stato constatato che in età medievale, in relazione alle variazioni climatiche che avevano visto un aumento delle piogge, era possibile garantire una maggiore regolarità del servizio, rispetto a strade spesso impaludate, prive di manutenzione e gravate da continui balzelli. Per le antiche vie consolari sono prevalsi gli studi sulla via Francigena, nell'ottica particolare dei fenomeni di pellegrinaggio, resi attuali dalla circostanza dell'anno giubilare (La viabilità medievale in Italia. Contributo alla Carta archeologica medievale, 2002; La via Francigena e altre strade della Toscana medievale, 2004).
In particolare, la valutazione degli esiti finali del sistema delle villae ha registrato una netta inversione di tendenza, passando da un generico abbandono nel 4° sec. e anche in età precedente, sostenuto da una lunga tradizione storiografica, a un'affermata continuità di vita, anche se ridotta, almeno fino al 6° sec. (esempi in Italia nonché Torrexòn de Veranes e Semenara de Adaja in Spagna), venendo così a coincidere con la comparsa delle curtes e dei casales e nel Lazio, nello specifico, con la fondazione delle domus cultae, confluendo anche nei grandi patrimoni terrieri dei monasteri. L'indagine archeologica ha restituito anche macroscopiche espressioni del processo di cristianizzazione che ha segnato significativamente i suburbia e le campagne. Per i primi, l'analisi sistematica delle emergenze, soprattutto per Roma, ha disegnato un quadro complessivo che, pur nella disparità e nella disuguaglianza dei resti materiali, indica modelli e linee di tendenza comuni (Suburbium, 2003). Di fatto, si attribuisce al monumento cristiano la funzione di significativo indicatore archeologico per chiarire tempi e modi delle dinamiche insediative, per analizzare scelte progettuali e tecniche edilizie, per conoscere culture, gruppi etnici e società: tale indirizzo di studi, da tempo portato avanti da parte di pochi studiosi, ha trovato oggi una sua generale affermazione (Le chiese rurali tra vii e viii secolo in Italia settentrionale, 2001). Nelle campagne, la larga diffusione delle ecclesiae baptismales, molte delle quali documentate archeologicamente, con la loro funzione di cura d'anime, vengono ad attestare il persistere della popolazione rurale sparsa; analogamente le strutture materiali delle comunità cristiane consentono di documentare, almeno al momento del loro inserimento, la continuità di vita degli agglomerati secondari, vici e pagi.
A partire dalla pubblicazione dell'opera Les structures du Latium médiéval (1973) di P. Toubert - giustamente riconosciuta come 'elemento causante e trascinatore' del dibattito storiografico europeo in merito ai fenomeni che riguardano le dinamiche del popolamento rurale nei secoli centrali del Medioevo -, sempre più forte si è fatta sentire la voce degli archeologi che con interventi diretti sul terreno, ovvero con ricognizioni sistematiche di singole aree, hanno offerto alla discussione il valore oggettivo delle fonti materiali. Le ricerche promosse in Sabina dall'École Française de Rome, attraverso l'analisi dei risultati scaturiti dalle indagini archeologiche realizzate dall'École stessa e da altri ricercatori su più di dieci castelli e villaggi, hanno richiamato l'attenzione su due problemi essenziali: da un lato, l'eventuale esistenza di abitati anteriori nei siti interessati dall'incastellamento, già più volte segnalati in Toscana, dall'altro, le relazioni fra l'insediamento fortificato e la concentrazione della popolazione rurale. Sulla base di quanto sinora noto, l'eventuale presenza di strutture precedenti sembra, in Sabina, limitata ad alcuni edifici che non consentono di riconoscere l'esistenza di insediamenti veri e propri e le cui prime tracce conosciute non sono anteriori al 10° sec. o all'inizio dell'11°; si tratterebbe, quindi, di piccoli abitati fortificati aventi funzione di controllo del territorio e di centri gestionali delle grandi proprietà terriere, all'interno delle quali la popolazione rurale rimaneva dispersa. La concentrazione di quest'ultima nei castelli sarebbe pertanto avvenuta unicamente a partire dal 12° sec., se non addirittura dal 13° (Hubert 2002; esempi a Dvigrad in Istria e Puigham in Spagna).
Di particolare interesse si rivela la tipologia di alcuni insediamenti fortificati con residenze signorili, come evidenziato, per es., a Larina, nella Francia meridionale, ove su un altopiano, luogo di un insediamento tardoromano abbandonato, tra i secc. 6° e 9°, si collocò il nucleo altomedievale: alla grande casa, con lo spazio residenziale integrato da ambienti funzionali, era affiancato un complesso produttivo (per es., magazzini, frantoi per olio ecc.) e si univano le abitazioni dei dipendenti in aree distinte dai villaggi rurali, ancora presenti nella pianura ai piedi dell'altopiano stesso.
Lo studio sistematico delle emergenze archeologiche, per lo più resti di insediamenti lignei (buche di pali), sembrerebbe dunque indicare una presenza di abitati, a seguito della fine del sistema delle villae, secondo una successione che vede in un primo tempo la formazione di nuovi villaggi in cui il proprietario dispone di una residenza fortificata, quindi, con la crisi dei secc. 6° e 7°, il passaggio a nuove forme di popolamento, a partire dalla curtis che riceve un effettivo impulso dall'avvento del potere carolingio, e infine la nascita dei castelli nel corso del 10° sec. e il coevo affermarsi della parrocchia rurale (Francovich, Hodges 2003). Nell'ambito di tali indirizzi di ricerca, finalizzati a ricostruire le diverse forme di popolamento, si colloca la ripresa degli studi sugli insediamenti in grotta attestati sia in chiave religiosa (chiese rupestri), sia come spazi abitativi legati anche ad attività produttive. I recenti convegni, che hanno raccolto testimonianze dalla Sardegna alla Sicilia, dall'Abruzzo al Lazio, alla Puglia e alla Calabria, non solo hanno documentato tecniche di scavo, tipologie costruttive in negativo, riuso di grotte naturali e di ambienti ipogei di epoche precedenti, ma anche sottolineato l'apporto che il vivere in grotta può offrire nella ricostruzione delle vicende del popolamento, come presenza umana qualificante l'assetto del territorio.
Indagini sistematiche di aree territoriali hanno, inoltre, caratterizzato la ricerca più recente, segnatamente per i secoli centrali dell'Alto Medioevo, nell'ottica dell'analisi dell'impatto, prima, e poi dell'inserimento delle popolazioni germaniche nel tessuto autoctono: il Congresso internazionale del 2002 I Longobardi dei ducati di Spoleto e di Benevento, ha rappresentato un importante momento di riflessione costruttiva, prospettando lo status quaestionis sul piano istituzionale, storico, religioso e archeologico-territoriale. Infine, le ricerche sull'incastellamento e sull'archeologia del potere nei secc. 10°-12° nella Liguria, nella Valdinievole, nella Toscana, nonché lo studio dei borghi d'altura nel Caput Adriae, si pongono come altrettanti punti fermi della ricerca su uno dei temi centrali dell'archeologia medievale.
I risultati delle indagini archeologiche attuate di recente nei contesti urbani hanno consentito di superare il dibattito storiografico in chiave di continuità o discontinuità nel periodo di passaggio dalla tarda antichità all'Alto Medioevo e di leggere, nell'ottica del principio dinamico delle variazioni d'uso, i processi di destrutturazione e ristrutturazione che hanno interessato, a volte con esiti analoghi, le singole città a continuità di vita. In quest'ottica, infatti, sono state valutate, per es., le recenti acquisizioni di Savona, Milano, Pisa, Siena, Cesena, Grosseto, Ancona, Roma, Philippopolis-Plovdiv in Bulgaria, Butrinto in Albania, Arles in Francia, Belgrado in Serbia, che hanno delineato processi di trasformazione insediativa di notevole interesse sul piano storico. È stata confermata la creazione, in chiave difensiva, di spazi fortificati in ambito urbano, già a partire dall'intervento costruttivo teodericiano teso a provvedere alla sicurezza delle città aperte, ovvero con circuiti murari non più efficienti: castra urbani con una scelta preferenziale, quando possibile, delle alture, qualificati anche dalla presenza di edifici di culto, a volte anche di complessi episcopali. L'ubicazione di questi ultimi, in rapporto allo spazio urbano inizialmente delle città di età classica e poi delle medievali, rappresenta un prezioso indicatore archeologico: dapprima, nella valutazione del riutilizzo spaziale e dunque della variazione d'uso delle strutture preesistenti, in seguito, dal punto di vista urbanistico, nella funzione di polo d'attrazione come generatore di nuovi nuclei edilizi. Funzione, quest'ultima, riferibile a molte strutture religiose, oggetto di particolare attenzione nelle attuali indagini archeologiche finalizzate alla ricostruzione storica delle specifiche fasi costruttive, la cui valutazione e apporto conoscitivo sono entrati solo di recente a pieno titolo nelle ricerche volte alle ricostruzioni topografiche e urbanistiche degli insediamenti medievali, urbani e del territorio.
Nel quadro generale dell'edilizia privata le ricerche archeologiche hanno continuato a fornire una molteplicità di dati che, pur se frammentari e spesso limitati, consentono di individuare più che fenomeni comuni alcune linee di tendenza che si riconoscono, con maggiore o minore evidenza, nei singoli insediamenti. In particolare, per i secoli dell'Alto Medioevo è stata evidenziata una costante rarefazione del tessuto abitativo, con fenomeni di frazionamento e degrado rispetto all'età classica, con presenza di edifici già documentati dalle fonti testuali che possono essere letti nella loro materialità attraverso le diverse tecniche costruttive caratterizzate dal largo uso di materiale di spoglio, e con presenza di edilizia in legno sempre più documentata: case con alzati in legno, divise in ambienti mediante intelaiature, con pali centrali per l'appoggio del tetto, pavimentazioni in battuto, a volte con ciottoli e tettoie all'esterno, sono state di frequente individuate nell'Italia settentrionale.
Una metodologia sempre più raffinata sul piano teorico, anche se in qualche caso non esaurientemente applicata all'archeologia degli elevati con la lettura stratigrafica delle murature, ha comunque implementato notevolmente le conoscenze sulle tecniche murarie utilizzate, nel corso di tutto il Medioevo, nell'edilizia pubblica e privata, mettendo a disposizione degli studiosi anche corpora sistematici relativi a città e a territori regionali (oltre che in Italia, monumenti civili e religiosi di Istanbul e di Iasos in Grecia).
Per le città di fondazione altomedievale gli scavi di Leopoli-Cencelle hanno restituito, oltre a un quartiere abitativo-artigianale, la costituzione, sulla sommità della collina, dei due poli contrapposti ai lati della platea maior; il religioso con la cattedrale di San Pietro (metà del 9° sec. e ricostruzione non più episcopale nel 12° sec.) e il civile con strutture residenziali di élite (casa-torre signorile e palazzo del podestà) di piena età comunale.
L'archeologia funeraria che vanta una lunga e affermata tradizione storiografica per la tarda antichità, principalmente in chiave cristiana, ha segnato una costante affermazione per i secoli dell'Alto Medioevo. Spazi cimiteriali e tipologie sepolcrali sono stati sistematicamente indagati, corredando i dati archeologici, in particolare, di conoscenze sulle pratiche di seppellimento e di studi antropologici sulla popolazione, finalizzati a coglierne gli aspetti sociali e le condizioni di vita: gli esempi di San Michele di Trino, di San Gavino a Porto Torres, di Leopoli-Cencelle, e per le necropoli germaniche Wimm in Austria e Usedom in Germania (con riti scandinavi), costituiscono modelli di spazi funerari a lunga continuità, ovvero legati al momento della fondazione urbana, annessi a chiese plebane, a edifici di culto cimiteriali suburbani, a complessi episcopali, con diversificata tipologia di sepolture e fruizione di differenti strati sociali.
L'attenzione verso lo studio dei complessi monastici nella loro costituzione materiale ha visto aggiungere ai progetti già in atto nuove iniziative di ricerca: le indagini archeologiche ai monasteri di Nonantola, di San Michele alla Verruca, di Santa Maria di Tergu, di San Damiano ad Assisi, gli studi sul monastero di Bobbio, consentono di contestualizzare alcuni modelli insediativi attuati dalle comunità monastiche, conoscere in alcuni casi la tipologia delle preesistenze messe a disposizione (per es., la domo giudicale a Tergu o l'insediamento di età romana ad Assisi), gli eventuali committenti, l'organizzazione spaziale degli edifici, le strutture e gli impianti produttivi a esse collegati.
Alla vasta ricerca sistematica sulle produzioni artigianali, che ha caratterizzato gli studi dei primi trenta anni di attività ufficiale e universitaria dell'a. m. in Italia, e alle nuove e continue edizioni di materiali provenienti da scavi stratigrafici, s'affiancano momenti di riflessione su singoli periodi cronologici, su singole aree geografiche, su singole classi di manufatti. Per le produzioni ceramiche sono stati istituiti incontri di studio, alcuni con cadenza biennale, nel corso dei quali gli specialisti che a diverso titolo si occupano di tali manufatti possano offrire contributi d'informazione e nel contempo confrontare metodologie di approccio e di ricerca diverse. Di particolare rilevanza sono gli studi che sono stati promossi sulle ceramiche tardoantiche e altomedievali con particolare attenzione all'Italia settentrionale (1998), sulla ceramica invetriata tardomedievale dell'Italia centro-meridionale (2000), sulla ceramica altomedievale in Italia (2001), sulle ceramiche di Roma e del Lazio in età medievale e moderna (1993-2005), e infine sulle produzioni ceramiche in Israele fino al periodo mamelucco. A fronte dell'ampiezza di studi specialistici e di sintesi relativi a specifiche aree regionali e ad alcuni centri produttivi, restano tuttavia ancora in ombra larghi settori del territorio italiano, anche se alcuni scavi stratigrafici evidenziano una situazione in rapido sviluppo sul piano delle conoscenze, tese soprattutto a individuare peculiarità e reciproche influenze.
A partire dal Colloquio internazionale di Saint-Cloud (1995), edito dall'École Française de Rome nel 2000, seguito dal convegno I laterizi in età medievale (1998), l'attenzione è stata rivolta a una classe di materiali, i laterizi, per il Medioevo ancora non considerata, se non eccezionalmente: la documentazione archeologica attesta per l'Alto Medioevo, dopo la ripresa teodericiana, un'attività delle figline assolutamente sporadica e occasionale con produzioni per lo più limitate alle tegole di copertura dei tetti e legate a specifiche richieste della committenza segnatamente religiosa. Anche nei secoli successivi le tegole laterizie continuarono a essere considerate materiale di pregio e il loro impiego rimase legato a un'edilizia privilegiata anche se nella stessa Roma, per es., tra i secc. 7° e 14° si ricorda soltanto un numero esiguo di bolli papali, ai quali viene anche attribuito un significato evergetico. La ripresa dell'attività delle figline in pieno Medioevo, in momenti cronologici diversi fra regione e regione, mise sul mercato prodotti caratterizzati da una progressiva depurazione degli impasti e da una riduzione delle proporzioni e degli spessori rispetto alla produzione d'età romana.
Particolare interesse riveste la scoperta, negli ultimi anni, di fornaci, il più delle volte localizzate in aree già note per produzioni d'età classica, spesso impiantate su strutture preesistenti e legate a un breve ciclo di attività finalizzato a un cantiere in atto. Così, per es., nel Lazio i casi della fornace nella domus culta di Santa Cornelia, realizzata nel corso dell'11° sec., di forma circolare e scavata nella roccia, e della fornace in località Rossilli lungo l'antica via Latina, di forma quadrangolare, preceduta da un praefurnium a pozzetto e in attività nel basso Medioevo, sembrano limitati alla produzione di fittili da copertura; al contrario, la documentazione di Montecassino e di San Vincenzo al Volturno attesta una produzione di materiali fittili di ottima qualità con destinazione diversificata, dalla copertura dei tetti alle murature degli edifici, alle pavimentazioni, agli usi funerari.
L'attività archeologica in costante aumento, con l'apertura di nuovi cantieri di scavo di complessi medievali, continua a documentare produzioni vitree diversificate, di oggetti in metallo destinati all'edilizia, ai lavori agricoli, agli arredi liturgici e domestici, ai corredi personali; non mancano scoperte di centri di produzione con manufatti anche di notevole pregio (San Vincenzo al Volturno e Santa Maria di Tergu per il vetro, Leopoli-Cencelle per il metallo: villaggi di minatori e centri produttivi nell'arco alpino francese).
Nel settore dell'editoria archeologica promossa dal CISAM (Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo) di Spoleto sono presenti e attivi due fondamentali corpora, il Corpus della scultura altomedievale, che prosegue nella pubblicazione articolata per territori diocesani, e il Corpus delle Inscriptiones Medii Aevi Italiae, di più recente attivazione, che, organizzato secondo una divisione amministrativa moderna, raccoglie i materiali epigrafici dall'anno 500 (arrivo di Teoderico a Roma) al 12° sec.: due strumenti di lavoro che, anche nell'edizione di manufatti spesso decontestualizzati, offrono di fatto documenti a volte unici nella storia di singoli complessi, che rappresentano sempre significative tessere nella ricostruzione della società medievale.
bibliografia
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Per ulteriore bibliografia edita nel 2004 e 2006 si rimanda alla rassegna presente in Temporis Signa. Archeologia della tarda antichità e del medioevo, 2006, 1.
Per tematiche generali e alcuni toponimi citati: Enciclopedia archeologica, Istituto della Enciclopedia Italiana: Il mondo dell'archeologia, 2 voll., Roma 2002; Europa, Roma 2004; Africa, Roma 2005; Asia, Roma 2005.