AREZZO (A. T., 24-25-26)
Città della Toscana, capoluogo di una delle 9 provincie nelle quali la regione è ripartita, posta nella valle superiore dell'Arno, a km. 4 ½ a SE. del punto d'imbocco del canale della Chiana, alla posizione geografica, riferita al Duomo, di 43° 27′ 58″ lat. N. e di 11° 53′ 10″ long. E., sul margine orientale del fertile piano formato dalle alluvioni dell'Arno casentinese, prima che questo cessasse dall'essere, con la Chiana, dell'Alpe di Poti, all'altitudine media di 260 m. sul mare (stazione, 256 m.; Duomo, 297 m.). Arezzo è, nel suo complesso, una città di aspetto moderno, con vie e piazze sufficientemente ampie e ben lastricate, fiancheggiate da edifici decorosi, taluni dei quali di origine cinquecentesca, ricca di chiese monumentali che testimoniano della sua grandezza nell'età medievale, mentre nulla, o quasi, eccettuate le tracce di un teatro romano o qualche frammento di mura, ricorda il suo più vetusto passato; bene illuminata e largamente provvista di acqua potabile.
La sua pianta, che entro i limiti delle vecchie mura cittadine, di costruzione medicea, abbraccia un'area di circa 1 kmq., presenta la forma di un settore circolare al cui centro, nel punto più elevato, sta la fortezza di costruzione medicea ormai smantellata e ridotta a pubblico passeggio, ai piedi della quale sorge il grandioso monumento al Petrarca, eretto nel 1928. Dal Duomo sottostante si dipartono a porte cittadine, ove fan capo le vie che adducono rispettivamente al Casentino, al Valdarno, alla Val di Chiana, alla Val Tiberina e che fanno di Arezzo un centro stradale di grande importanza. Queste strade cittadine più o meno rettilinee, sono tagliate normalmente da altre arterie ad arco di cerchio, ciò che dà alla struttura della città un aspetto di gradevole irregolarità.
Lo sviluppo economico e demografico che Arezzo, dopo la decadenza degli ultimi secoli, ha avuto in seguito all'unificazione del regno, ha determinato un certo risveglio edilizio, che si nota specialmente nei quartieri prossimi alla stazione, ove si apre dal 1870 la bella piazza circolare intitolata a Guido Monaco, di cui la statua eretta nel 1881 occupa il mezzo. Il centro principale della cittadina è peraltro rappresentato dalla piazza Umberto I, sulla quale fronteggia la chiesa di S. Francesco, ampliata nei lavori di riordinamento interno della città intrapresi dopo il 1870, e dal Corso Vittorio Emanuele, che con lieve pendenza sale al Duomo, dominante con la sua grande mole e il suo moderno campanile. Ma il monumento più caratteristico è l'antichissima Pieve (v. sotto), con la sua torre campanaria dalle "cento buche", che ha la fronte sul corso Vittorio e l'abside nella vasta piazza Vasari, l'antica piazza del mercato, luogo di convegno frequentatissimo per i mercanti di granaglie e di seta.
La decadenza di Arezzo, comune a quella di tutta la Toscana, sotto il principato mediceo, è indicata dal movimento della sua popolazione, discesa da 7750 ab., quanti erano nel 1551, a 6719 nel 1743. Un secolo più tardi, iniziato e condotto innanzi il grandioso e fruttifero lavoro della bonifica della Chiana, che tanto valse ad arricchire l'agro aretino, la popolazione era risalita a 9740 ab. e a 11.000 nel 1861. Da allora l'incremento è stato assai più sentito, tanto che nel 1881 la città contava 14.511 ab. e 21.642 nel 1921 come popolazione presente: di questa solamente 17.388 abitanti rappresentavano la popolazione del centro cittadino.
Assai vasto e tra i maggiori della Toscana è il territorio del comune, che si estende su kmq. 384,45 di terreni coltivati e densamente abitati, e la cui popolazione complessiva presente, nel 1921, ascendeva a 51.862 ab. (distribuiti, oltre il centro capoluogo, in ben 14 frazioni) con un aumento cioè di oltre il 40% rispetto a quella del 1861 (36.806 ab.).
Dal punto di vista economico Arezzo è soprattutto un cospicuo centro agricolo commerciale, dove converge il traffico dei prodotti dell'agricoltura (cereali, vino, olî, seta) e dell'allevamento del bestiame bovino, di cui sono prospere le valli che vi fanno capo. Frequentatissimi perciò i suoi mercati settimanali (martedì e sabato) e le sue fiere. Più limitato è invece il suo movimento industriale, che, peraltro, oltre all'artigianato per la produzione di svariati oggetti di uso comune, vanta importanti officine per la costruzione e la riparazione del materiale ferroviario, fabbriche di letti in ferro, lanifici, ecc.
Le comunicazioni, oltre che dalle vie rotabili ricordate, sono assicurate dalla ferrovia, onde Arezzo è stazione della linea Firenze-Roma e testa di linea della ferrovia ordinaria del Casentino e della ferrovia a scartamento ridotto per Fossato (ferrovia dell'Appennino Centrale). Ormai compiuta è la costruzione di una linea che, attraverso la val di Chiana, la congiungerà a Sinalunga.
Arezzo, che nell'età di mezzo fu sede di una reputata università che cessò di funzionare nel sec. XVI, è ora provveduta di varî istituti d'istruzione secondaria (liceo-ginnasio classico, liceo scientifico, istituto tecnico, istituto magistrale, scuola complementare) e di un'antica accademia con ricca biblioteca e museo.
Per la purezza dell'aria dopo il compiuto bonificamento della Chiana, Arezzo è una città salubre e di piacevole soggiorno. Il clima, nonostante la sua maggiore continentalità e altitudine, poco differisce da quello di Firenze. La temperatura media annua è di 13° 8, le medie stagionali sono di 5° 3 per l'inverno, 12° 6 per la primavera, 22° 8 per l'estate e 14° 5 per l'autunno. La quantità media di pioggia è di 909 m., con una frequenza annua di 126 giorni.
Oltre che capoluogo di provincia, Arezzo è sede di una delle più antiche ed estese diocesi vescovili della Toscana, della quale fu secondo vescovo S. Donato, martirizzato nel 362 e assunto a protettore della città.
Storia. - Nell'antichità Arretium ('Αρρήτιον), situata sul tratto della via Cassia tra Cortona e Firenze (tratto di via romana che si suole indicare come via Clodia a partire da Chiusi, sempre in prosecuzione della più antica via Cassia), aveva fatto parte della Dodecapoli etrusca, com'è stato sufficientemente dimostrato da storici moderni, per quanto non sia attestato da fonti antiche. Tale pertinenza è prova dell'importanza di Arezzo sin dal principio dell'età storica. Sulla fine del sec. IV Arezzo, insieme con le città vicine dell'Etruria centrale, Cortona, Chiusi, Perugia, vede il declinare della propria fortuna in seguito all'espansione della potenza romana. Nel 294 a. C., dopo una tregua di trent'anni stipulata nel 321, Arezzo, insieme con le città sorelle, concluse con Roma un trattato di pace e di alleanza. Sempre nel 294 un esercito romano, mandato a liberare Arezzo dall'assedio dei Galli Senoni, fu da questi annientato sotto le mura della città. In seguito, e con la sua provata fedeltà al governo di Roma, specialmente con l'efficace aiuto fornito a Roma durante la guerra annibalica, Arezzo aumenta la sua importanza come città di confine tra il territorio degl'Italici ancora indipendenti e quello della repubblica. Trasformata in municipio al tempo della guerra sociale, parteggiò nella successiva guerra civile per Mario e fu punita da Silla tra l'altro con la privazione della cittadinanza. Silla introdusse ad Arezzo dei coloni (Arretini fidentiores, distinti dagli Arretini veteres), e Cesare ne imitò l'esempio (Arretini Iulienses), sebbene gli Aretini fossero stati, nel frattempo, reintegrati nei loro diritti di cittadinanza. Nel dicembre del 49, dopo il passaggio del Rubicone. Cesare occupò Arezzo per mezzo del tribuno Marco Antonio. Sotto l'Impero Arezzo rimase colonia annessa alla tribù Pomptina. Dalla nobile gens aretina dei Cilnii discendeva Caio Mecenate, l'amico di Augusto e protettore di Orazio. Tra i magistrati cittadini sono ricordati nelle iscrizioni: duoviri, aediles, quaestores.
Arezzo fu presto guadagnata alla fede cristiana, e i primi martiri furono i fratelli giovinetti Lorentino e Pergentino, decapitati sotto l'imperatore Decio. S. Donato (secondo vescovo dopo S. Satiro), martirizzato durante la persecuzione di Giuliano, il 7 agosto 362, è il protettore della chiesa aretina, vastissima per territorio, arricchita in ogni tempo, specialmente sotto il dominio dei Longobardi e dei Marchesi di Toscana, di privilegi e donazioni, e i cui vescovi ebbero in seguito anche titolo e dignità di conti. Essa subì le vicende delle lotte comunali contro il feudalesimo, con conseguenti devastazioni e distruzioni: non furono risparmiati neanche i due potenti monasteri, che sorgevano nel suo territorio, benedettino l'uno, delle Ss. Flora e Lucilla, a 2 km. dalla città, di Camaldoli l'altro, nel vicino Casentino, ricchissimi di castelli e di ville. Controversa era già allora, e tale essa è rimasta, la questione della chiesa primitiva episcopale. Si contendevano questo onore il Duomo e la Pieve e la contesa ebbe colore e carattere politico.
Il comune aretino, che elesse nel 1098 i suoi primi consoli, fiancheggiati da quaranta boni homines, dieci per ogni quartiere, aveva nel sec. XIII un vasto dominio: dai confini di Città di Castello alla Massa Trabaria, dall'alta valle del Tevere al Casentino, dalla Val d'Ambra e dalla Val di Chiana alla città di Cortona e suo territorio, conquistato nel 1258, e a Monterchi. Guidato dai suoi vescovi, che portavano talvolta più volentieri la spada che il pastorale, il comune poté sostenere a lungo l'urto delle città limitrofe, di Firenze specialmente, che da una parte tendeva ad estendere il suo territorio fino a Pisa e al mare, dall'altra sino ad Arezzo centro di strade verso la montagna e verso l'Umbria e Roma. Vinta più volte, Arezzo fu fiaccata a Campaldino, nel 1289, dove perirono il battagliero suo vescovo Guglielmino Ubertini e un gran numero di nobili aretini. Esplosero violente, dopo d'allora, le rivalità e gli odî tra le più potenti famiglie, immigrate molte dal contado, che si divisero, l'anno 1307, nelle due fazioni dei Verdi e dei Secchi: furono sopraffatti i Verdi, condotti dai signori della Faggiola; prevalsero i Secchi, cioè i Tarlati, capeggiati dal vescovo Guido della stessa famiglia. Arezzo ebbe per merito dello stesso vescovo Guido nuovo splendore, cingendosi di più ampie mura. Ma le rivalità si inasprirono nuovamente; e la città, venduta una prima volta a Firenze, nel 1337, fu preda delle compagnie di ventura: di Fra Moriale nel 1314, di Giovanni Acuto nel 1368, di Alberico da Barbiano nel 1381. In ultimo, malgrado l'intervento e il soccorso di Carlo IV prima e di Carlo di Durazzo poi, Arezzo, venduta al Fiorentini per 40 mila fiorini d'oro da Enguerrand de Coucy, perdette definitivamente la sua autonomia, ma non si rassegnò. Insorse nel 1408 la prima volta, quindi nel 1431, guidata da Niccolò Piccinino, infine nel 1502 e nel 1529-30, ma sempre invano.
La vita di Arezzo nei secoli seguenti ha importanza unicamente locale. Fatto storico di vasta rinomanza fu tuttavia la sollevazione sua contro i Francesi, scacciati dalla città, dal contado e da Cortona, al grido di Viva Maria, l'imagine della quale, miracolosamente scoperta nel 1796, sotto il titolo di Madonna del Conforto, veniva portata sul cappello e sulle bandiere. Gli Aretini andarono quindi a Siena, a Città di Castello, a Firenze e in altre terre, abbandonandosi a molti eccessi contro i giacobini. Ma il 18 ottobre 1800 i Francesi domarono nel sangue la reazione popolare.
Arezzo ha avuto in ogni secolo uomini illustri, alcuni dei quali di grande fama, quali: Guido Monaco, Fra Guittone, Margaritone, Leonardo Bruni, Pietro Aretino, Giorgio Vasari, Andrea Cesalpino, Francesco Redi, Vittorio Fossombroni, G. F. Gamurrini. Entro le sue mura nacque Francesco Petrarca, a cui nel 1928 gli Aretini hanno dedicato un monumento, opera dello scultore Lazzerini. Ebbe anche, fra le prime città italiane, lo Studio generale, di breve ma fiorente vita, nel sec. XIII.
I monumenti. - La città antica si stendeva, come la città moderna, parte in pianura, parte in collina, ed era difesa da una conveniente cinta di mura. Sembra che la città etrusca fosse più piccola della città romana, allargatasi intorno al nucleo primitivo. Vitruvio (II, 8, 9) ricorda come una curiosità locale il muro di cinta della città, eseguito non in pietra, ma in opera laterizia. Scavi sistematici effettuati nel 1918, hanno permesso di riscontrare l'esattezza dell'asserto vitruviano, essendo ritornato alla luce un avanzo di grosso muro di cinta, di m. 4,50 di spessore, costruito appunto in mattoni crudi di rozza fattura. La tecnica particolare del muro di cinta è già una prima dimostrazione della familiarità degli Aretini con l'arte figulina; tale familiarità si manifesta in modo specialmente brillante nei numerosi avanzi di vasi e matrici di vasi, a rilievi spesso figurati, in terra locale rosso corallina. L'abbondantissimo materiale fittile, ricco di marche, ci attesta la fioritura di fabbriche numerose di cotesti vasi, imitazioni a buon mercato di vasi metallici sbalzati in voga anche in Italia negli ultimi due secoli della repubblica. Fama non minore dovettero avere gli Aretini nella metallotecnica, se si vogliano riconoscere di fabbricazione locale la statua della Minerva (v. figura a pag. 174) e la Chimera, due capolavori della toreutica etrusca, oggi conservati, insieme con altri antichi cimelî aretini, nel R. Museo archeologico di Firenze. Tali sculture, rinvenute nel sec. XVI nella parte più alta della città, dove oggi sono il Duomo e i giardini pubblici, fanno ritenere che sorgesse ivi stesso, nei tempi etrusco-romani, un Capitolium o tempio dedicato alle divinità capitoline.
Durante il primo Medioevo, salvo qualche raro e povero esempio di suppellettile barbarica, nulla o quasi nulla attesta della vitalità artistica di Arezzo, che invece sul finire del sec. X e agl'inizî dell'XI mostra un precoce risveglio per impulso dei suoi vescovi, quando fu riedificato il Duomo vecchio (consacr. nel 1033), fuor delle mura cittadine, sul colle di Pionta, architetto Maginardo che era stato a Ravenna per studiarvi il San Vitale e giovarsene nel comporre il nuovo tempio. Questo fu distrutto nel 1561 e la Pieve di Santa Maria (seconda metà del sec. XII, primi del XIII) è il monumento più cospicuo del tempo romanico che possegga la città, allora stretta entro le vecchie mura, limitata quasi alla sommità dell'altura della Arezzo odierna. All'esterno la Pieve ripete il motivo delle logge sovrapposte, prima attuato a Pisa e a Lucca; all'interno ha struttura lombarda nella cripta rialzata sul presbiterio con gravi arcate a pieno centro su colonne innestate a pilastri, e altre arcate a sesto acuto che creano una pittoresca scenografia a vivaci contrasti di linee, un complesso cioè assolutamente unico nel quale s'insinua qualche elemento gotico. La facciata (lunetta della porta maggiore datata 1216 e firmata da Marchionne; porta laterale destra datata 1221) termina con un coronamento gotico alla moda francese ed è vigilata dal tipico campanile (1330) a bifore abbinate e sovrapposte.
Nella nuova cattedrale - eretta sul culmine della collina essendo il Duomo vecchio lontano dalla città - trionfa lo stile gotico. Maestosi vi ascendono i pilastri a fascio con ritmo continuo sino alle vòlte; ma all'esterno le chiare e semplici masse dominano, con essenzialità toscana, la contenuta decorazione, emergendo alte dalla scalinata aggiunta nel Cinquecento. Il Duomo, creato da un architetto ancora sconosciuto (a Margaritone, al quale fu attribuito dal Vasari, non è possibile assegnarlo, mancandoci ogni sicura notizia sull'attività architettonica di costui che serva da termine di confronto), sorse lentamente a tre riprese e fu compiuto con mirabile unità stilistica nel 1510, eccettuata la fronte iniziata ai primi del sec. XV, ma subito interrotta, e sostituita anche nei suoi avanzi dall'attuale, su disegno dell'arch. Viviani (1914). Altri edifici religiosi ad una nave, di carattere monastico, lo precedettero (la Badia, S. Domenico) e lo seguirono (S. Francesco); mentre durante il Due e il Trecento la città si andò rinnovando e ampliando anche nell'architettura civile.
Case-torri come nelle vie delle Torri e Borgunto con alti archi a sesto acuto e belle fabbriche in pietra serena con archi a pieno centro o, preferibilmente, a sesto ribassato (casa Camaiani, palazzo Cofaniora Brizzolari), raramente ingentiliti da qualche decorazione (palazzo Altucci), diedero severo aspetto alla città, divisa in quartieri; e in primo luogo, il palazzo del comune (1232) e quello del Popolo (1278), poi distrutto, con la torre rossa scomparsa nel 1539.
Il palazzetto della Fraternita dei Laici, iniziato da Baldino di Cino e Niccolò di Francesco (1375-77) con più raffinate forme gotiche, fu abilmente proseguito secondo una composizione che ha già molti elementi della Rinascenza, da Bernardo Rossellino, che anche lo adornò di sculture (1434-35); e fu inghirlandato da una loggia donatelliana per opera di Giuliano e Algozzo da Settignano (finita nel 1460), finché nel sec. XVI non ebbe la vela vasariana per l'orologio di Felice di Salvatore da Fossato (1552). La curiosa facciata, nell'innesto di motivi stilistici così disparati, diede luogo a un insieme tipico ed anche armonico, ove si eccettui il finale. Frattanto la città raccolta, sembra, nei secoli avanti il mille, sul cocuzzolo dove era sorta una cittadella etrusca, si era ampliata nel sec. XII, riprendendo la cinta romana, verso settentrione; e nel sec. XIV, cresciuta sotto la signoria del vescovo Guido Tarlati da Pietramala, si era sviluppata specie verso mezzogiorno e occidente e cinta di nuove mura (1317-21) che, per un perimetro in qualche punto più esteso di quello attuale, scesero dal colle, ripido talora, verso il piano, includendo chiese e monasteri dell'immediato suburbio.
Mentre Domenico del Fattore continua, in pieno Quattrocento, a operare con sobrie forme gotiche, fra l'altro, in S. Maria delle Grazie presso la città (iniz. nel 1449), il Rinascimento è proclamato nell'aerea loggia di questa chiesa attribuita a Benedetto da Maiano e nel tempio dell'Annunziata a tre navi e cupola, cui diede principio (dopo il 1490) don Pietro Dei (detto Bartolomeo della Gatta), e compimento, con un nartece interno di respiro cinquecentesco, Antonio da Sangallo il Vecchio.
Giorgio Vasari nel complicato rifacimento della Badia che fu eseguito circa la metà del secolo XVI seguì la struttura delle chiese venete, ma vi elevò cupole e vòlte con raccolta grazia toscana; Bartolomeo Ammannati nella semplice navata spaziosa di S. Maria in Gradi (iniz. nel 1592) attuò uno schema diffuso nella regione durante il Seicento, nel qual secolo e nel secolo successivo Arezzo appena venne sfiorata dal barocco e dal rococò, rispettivamente con S. Ignazio dei gesuiti, costruito dal p. Ciriaco Pichi, e con S. Pier Piccolo dei serviti.
Nel Quattrocento Giuliano da Maiano aveva composto l'ampio chiostro di Badia; e il Rinascimento passava poi anche all'architettura civile (palazzo Bruni, palazzo Camaiani ora della Cassa di risparmio e altri minori spesso incompiuti), esprimendosi con accento fiorentino, salvo qualche particolare locale, e modificava gli edifici precedenti come il Palazzo del podestà. Monumento d'architettura militare, sgradito certo agli Aretini insofferenti del giogo di Firenze, sorgeva sul punto più alto di Arezzo, dopo la ribellione del 1502, la fortezza ideata da Giuliano da Sangallo. Cosimo I muniva quindi Arezzo di sette baluardi (1538-48) e restringeva la cerchia delle mura verso Santo Spirito all'attuale perimetro, lasciandole solo quattro porte (una quinta fu aperta nel 1816) delle dieci che aveva avuto sotto la signoria dei Tarlati. La Fortezza, in parte smantellata dai Francesi (1800), conserva sempre le solide mura dagli angoli arrotondati, le quali contribuiscono con i folti alberi secolari del prato (sorto in un riempimento intorno agl'inizî del secolo scorso), e la mole del Duomo, a dare fisionomia alla città.
Il Vasari, assai meglio che nel campo dell'architettura religiosa, si espresse in quello dell'architettura civile: nella sua casa un po' paesana e, si direbbe, patriarcale, e specialmente nelle sue Logge (1573-81), grandioso edificio di calme spartizioni, e di masse ampie, le quali compiono nobilmente la piazza più caratteristica di Arezzo, che oggi dal Vasari appunto prende nome.
Arezzo giunse quasi intatta sino ai tempi moderni nelle sue vie tortuose con le vecchie case di pietra, anche se modificate e intonacate nei secoli più prossimi a noi. Nel secolo scorso qualche piazza (piazza del Popolo aperta nel 1848, piazza Guido Monaco e piazza S. Francesco, poi Umberto I, del 1870) e la nuova via Guido Monaco, ne mutarono in parte l'aspetto senza aumentarne però la bellezza.
Quel carattere un po' saltuario, senza continuità di stile che si nota nell'architettura è proprio anche della scultura. Manca ogni carattere locale alla lunetta della pieve di Marchionne (1216) che unisce schemi bizantini al plastico vigore dei lombardi, e nei rilievi con i Mesi, press'a poco coevi, della volta che la precede è palese il ricordo dell'Antelami. Durante il periodo gotico, Senesi e Fiorentini si disputano il campo e gli scarsi artefici di Arezzo tendono a Firenze (v. il monumento del vescovo Tarlati nel Duomo, di Agostino e Agnolo di Ventura da Siena, 1330, e l'altare-arca di S. Donato, pure in Duomo, in gran parte di Giovanni di Francesco d'Arezzo e Betto di Francesco da Firenze, del 7° e 8° decennio del sec. XIV). In opere di transizione (monumento Roselli in S. Francesco), prevale l'arte fiorentina e così in quelle del Rinascimento e oltre, quando da Firenze giungono Bernardo Rossellino, anonimi donatelliani, Andrea e Giovanni della Robbia, Benedetto da Maiano, Baccio da Montelupo, A. Sansovino, Simone Mosca, Pietro Francavilla, ecc., i quali concorrono, con opere di valore artistico diverso, ad abbellire la città.
Anche nella pittura Arezzo è tributaria dei centri vicini. Nel Duecento, non bastandole l'attività mediocre del suo Margaritone, accoglie dipinti seneseggianti e del Cimabue; nel Trecento dei senesi Segna di Tura e Pietro Lorenzetti; ma sembra che anche Giotto vi dipingesse e certo per Arezzo operò un seguace suo: Iacopo di Casentino. Una personalità pronta, abilissima ed eclettica sorge nella seconda metà del secolo nella stessa città: Spinello Aretino che prodiga in patria e fuori le facili creazioni del suo ingegno ferace (v. spinello). Il figlio Parri (1387-1453), rappresenta, sino oltre la metà del sec. XV, il contributo locale alla raffinata corrente del gotico fiorito; mentre poco dopo, Piero della Francesca, nato in terra aretina, a Borgo S. Sepolcro, ma educato a Firenze, maestro insigne di prospettiva e del colore, affrescando la cappella maggiore di S. Francesco con le storie della Croce, aggiunge una nuova gloriosa pagina non solo all'arte di Arezzo ma alla pittura italiana (v. piero della francesca). Un suo imitatore locale: Lorentino d'Andrea (1430 c.-1506), non sorpassa la mediocrità. Intanto continuano a fluire ad Arezzo opere fiorentine (di Fra Filippo Baldovinetti e del Pollaiuolo), mentre un artefice di Firenze, miniatore, pittore e architetto, Pier d'Antonio Dei (morto nel 1502), noto col soprannome di Bartolomeo della Gatta, crea una modesta scuola di cui fanno parte Angelo di Lorentino, il Pecori e il Soggi. Ai primi del Cinquecento, Arezzo si vale di Guglielmo de Marcillat (v.), che fu maestro grande di vetri e mediocre pittore; e quindi del suo Giorgio Vasari (v.) che va considerato decoratore di talento (specie nella sua casa), ma figurista manierato. Poi accoglie tavole e tele di artisti di varia origine stilistica (Alessandro Barocci, M. Rosselli, Vignali, P. Pozzo, Giovanni da San Giovanni, il Cortona, ecc.), e questa sovrabbondanza di opere di pittori non aretini dimostra la mediocrità di quelli locali, quali Teofilo Torri (morto nel 1623) e Salvi Castellucci (1608-1672). Ad Arezzo nacque un forte maestro del periodo neoclassico: Pietro Benvenuti (v.), il quale eseguì, per la cappella della Madonna del Conforto in Duomo, una sua tela famosa: la Giuditta (1804); tuttavia l'operosità di lui si svolse principalmente fuori della sua città che aveva ormai compiuto il proprio ciclo artistico, affidato a pochi ma stupendi monumenti.
Nel movimento culturale del secolo XIX Arezzo si arricchiva di due istituti d'arte: il Museo e la Pinacoteca. Il primo, fondato nel 1822 dalla Fraternita dei Laici, ebbe un notevole incremento per l'acquisto delle raccolte Bacci (1850) e Rossi (1851). Contiene armi e strumenti litici; vasi di bucchero e greci; matrici e frammenti di vasi aretini, una ricchissima collezione di maioliche del Rinascimento in cui sono rappresentate quasi tutte le fabbriche italiane e le ispano-moresche, bronzi, sculture classiche, del Medioevo e del Rinascimento; oreficerie, avorî, vetri e una cospicua raccolta numismatica. La Pinacoteca comunale, sorse in seguito alla soppressione delle corporazioni religiose (1810), e il primo nucleo, composto di quadri dei monasteri soppressi, fu arricchito di una collezione di dipinti, disegni e stampe, lasciata alla città natale dallo scultore Ranieri Bartolini (1856) e da una seconda serie di tele, per legato del conte sen. Enrico Falciai Fossombroni (1893). Nella Pinacoteca primeggiano opere di artisti aretini (Margaritone, i due Spinello, Lorentino d'Andrea, il Pecori, il Vasari, il Castellucci, ecc.), o che lavorarono per Arezzo (don Pietro Dei, Luca Signorelli); dipinti di varî maestri della scuola fiorentina (Bicci di Lorenzo, Neri di Bicci, Iacopo del Sellaio, il Rosso, Santi di Tito, Cigoli e Vignali) nonché di altre scuole (Raffaellino del Colle, G. B. Castiglione detto il Grechetto e G. Poussin), oltre un gruppo di tele moderne del Gérard, del Pollastrini, dell'Ussi, del Puccinelli, del Cannicci, ecc. Vanno altresì ricordati il Museo del Duomo (contenente anche opere già al Duomo vecchio) e della Pieve e infine la collezione Funghini, cospicua per una raccolta di maioliche.
Istituti di cultura. - La Biblioteca della Fraternita dei Laici, fondata nel 1603 per legato Girolamo Torini e accresciuta in seguito, conta attualmente circa 50.000 voll. e 530 mss. di cui alcuni, liturgici, assai notevoli. La R. Accademia Petrarca ha pure una biblioteca di circa 10.000 voll. e pubblica i suoi Atti e Memorie.
Arezzo è anche sede dell'Archivio Giorgio Vasari, raccolta dei manoscritti, delle opere e dei carteggi dell'artista, donati dal conte Rasponi Spinelli nel 1922. A cura dell'Archivio si pubblica, dal 1927, Il Vasari, rivista d'arte e di studî vasariani.
Provincia di Arezzo. - La provincia di Arezzo corrisponde all'antico compartimento del Granducato quale fu costituito con motu-proprio del 1° novembre 1825; solo con recente provvedimento (31 marzo 1927) furono distaccati da essa i due comuni di Monterchi e di Monte Santa Maria Tiberina, onde la sua area, già di kmq. 3302,29, si è ridotta a 3203,13 e la popolazione di fatto, che al censimento del 1921 era risultata di 298.519 ab., discese a 291.995, cui corrisponde una densità media di 93 ab. per kmq. notevolmente inferiore alla densità media della Toscana (120), il che è spiegato dal fatto della mancanza di grandi centri e della notevole estensione che vi hanno i territorî montani.
La provincia, che è la più orientale della regione, comprende l'alta valle dell'Arno (Casentino), il Valdarno di sopra sino a 2 km. oltre S. Giovanni Valdarno, la Val di Chiana, l'alta Valle Tiberina (v. alle voci relative) e alcuni territorî transappenninici della Massa Trabaria nell'alta valle della Marecchia e della Foglia (comuni di Badia Tedalda e di Sestino).
Secondo la divisione in zone altimetriche agricole, adottata dall'Ufficio di statistica agraria, un terzo della provincia (1251 kmq.) resterebbe compreso nella regione di montagna (Casentino, alta Valle Tiberina e valli transappenniniche) e il resto nella regione di collina (Valdarno, Val Tiberina, Val di Chiana). La zona collinosa, che comprende tuttavia anche aree abbastanza estese di territorî pianeggianti, specialmente nella Val di Chiana bonificata, e parte anche della zona montana sono occupate, come quasi tutta la Toscana, da coltivazioni promiscue di cereali, viti ed ulivi; la parte montana da selve di castagni nel versante casentinese del Pratomagno, da faggete e abetine o ceduo nelle pendici dell'Appennino e dell'Alpe di Catenaia. Estesi i pascoli montani, specialmente nel Pratomagno. Notevolmente diffuso l'allevamento del bestiame bovino (Val di Chiana) ed ovino, e così anche quello del baco da seta. Arezzo, Cortona, Montevarchi, Foiano sono mercati assai frequentati di questi prodotti.
Le ricchezze minerarie del suolo sono limitate all'escavazione della lignite nel bacino lignitifero di S. Giovanni Valdarno. L'industria è largamente rappresentata da importanti lanifici nel Casentino, stabilimenti meccanici ad Arezzo, ferriere a S. Giovanni e lavorazioni minori in altre località.
L'agricoltura è peraltro l'occupazione assolutamente prevalente, onde su 165.704 censiti d'ambo i sessi di età superiore ai 10 anni (escluse le donne attendenti alle cure domestiche) circa i ⅔ (105.872) erano agricoltori e meno di 1/5 (29.216) erano adibiti a lavorazioni industriali, compreso l'artigianato. Lo sviluppo agricolo è grandemente agevolato dalle comunicazioni ferroviarie di cui si è detto (pag. 170): inoltre numerosi servizî automobilistici si sviluppano lungo l'estesa rete di strade ordinarie che ricopre tutta la provincia.
Salvo il capoluogo, la provincia non conta centri abitati cospicui, e solo tre (Montevarchi, S. Giovanni Valdarno, Sansepolcro) superano i 4000 ab. Degli altri 34 capoluoghi di comune, 17 soltanto hanno una popolazione superiore ai 1000 ab.
Si noverano nella provincia 265 centri con popolazione di almeno 50 ab., che accoglievano nel 1921 una popolazione complessiva di 112.883 ab., mentre 179.104 vivevano in case sparse. Per il carattere montano della regione e per la dispersione della sua popolazione, è ancora abbastanza esteso l'analfabetismo, onde il 33% dei maschi e il 46% delle femmine di età superiore a 6 anni risultarono nel 1921 illetterati.
Bibl.: Per Arezzo antica: H. Nissen, Italische Landeskunde, Berlino 1902, II, p. 314; E. De Ruggiero, Dizion. epigr. di antichità rom., s. v. Arretium; Ch. Hülsen, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., s. v. Arretium; Corp. Inscr. Lat., XI, 1820-1962; ibidem, introduzione di E. Bormann, p. 335 segg.; G. Dennis, The Cities and Cementeries of Etruria, II, 3ª ed., Londra 1883, passim; G. De Sanctis, Storia dei Romani, Torino 1907 segg., passim; A. Solari, Topografia storica dell'Etruria, I, Pisa 1918, p. 280 segg.; L. A. Milani, Monumenti scelti del R. Museo Archeologico di Firenze, Firenze 1905 segg. Per le più recenti scoperte archeologiche, vedi E. Pernier, Le mura antiche laterizie di A., in Notizie degli Scavi, 1920, p. 167 segg. Sulle terrecotte aretine, vedi F. Ostwald e T. Davies Pryce, An introduction to the Study of Terra Sigillata, Londra 1920; M. Falciai, A. Del Vita, C. Lazzeri, Arezzo etrusca (articoli varî), in Studi etruschi, I (1927), p. 99 segg.
Per Arezzo nel Medioevo: Bastiano d'A., Storia di Arezzo da Carlomagno fino al suo tempo, ms. del sec. XVI, in Bibliot. d. Frat. di Arezzo, n. 6; M. A. Alessi, De Antiquitate urbis Aretii, trad. ital., ms. del sec. XVI, ivi n. 5; G. Rondinelli, Relazione sopra lo stato antico e moderno d. città di A. al granduca Francesco I, Arezzo 1755; E. Gamurrini, Historia dell'antichissima città di Arezzo, nei tomi IV e V degli Spogli in 18 voll. mss., nell'Arch. di Stato di Firenze, sec. XVII; F. Degli Azzi, Istorie di Arezzo, ms. del sec. XVII in 2 voll., tra i mss. Perelli nella R. Acc. Petrarca di Arezzo; S. Ammirato, Vescovi di Fiesole, Volterra e Arezzo, Firenze 1637; J. Burali, Le vite dei vescovi aretini, Arezzo 1638; P. Farulli, Notizie istoriche dell'antica città di Arezzo fino all'anno 1717, Firenze 1717; L. Guazzesi, Dell'antico dominio del Vescovo di Arezzo su Cortona, Firenze 1760; A. L. Grazini, Memorie sui vescovi della chiesa di Arezzo, ms. in Arch. Capit. d'Arezzo, sec. XVIII; B. Falconcini, Chronicon episcopale, ms. in tre volumi, nella Bibliot. Com. di Volterra, sec. XVIII; U. Pasqui, Documenti per la storia di Arezzo, pubblicati a cura della R. Deput. di Storia Patria d. Toscana, Arezzo 1899 segg. (i voll. I e II contengono il Codice Diplomatico, il IV le Croniche medievali, il III volume è tuttora ms.); L. Falciai, Storia di Arezzo dalle origini alla fine del Granducato Lorenese, Arezzo 1928.
Per i monumenti artistici, oltre gli svariati cenni e studî nelle storie generali dell'arte italiana di A. Venturi e di P. Toesca, vedi G. A. Angelucci, Stanze con documenti e note a illustrazione della città di Arezzo, Pisa 1816; Memorie istoriche per servire di guida al forestiero in Arezzo, Firenze 1819; G. B. Sézanne, Arezzo illustrata, Firenze 1859; G. Franciosi, Arezzo, Bergamo 1909; le Guide di O. Brizi (Arezzo 1838); G. B. Ristori (Firenze 1871); U. Pasqui (Arezzo 1882); M. Falciai (Firenze 1910; 2ª ed., Arezzo 1926); A. Del Vita (Arezzo 1923); U. Pasqui e U. Viviani (Arezzo 1925); U. Tavanti (Arezzo 1928); M. Salmi, Catalogo della pinacoteca comunale di Arezzo, Città di Castello 1921. Per altre indicazioni bibliografiche, v. Min. della P. I., Elenco degli edifici monumentali, XXVI, Provincia di Arezzo, Roma 1916.