Argentina
La nuova invenzione del cinema iniziò a diffondersi presto in A. grazie al flusso migratorio proveniente dall'Europa. I suoi primi pionieri furono infatti soprattutto immigrati che portarono dal vecchio continente le nuove tecnologie di riproduzione dell'immagine e crearono le basi per lo sviluppo della settima arte nel Paese. Il 18 luglio 1896 è considerata la data della prima proiezione pubblica a Buenos Aires di un film realizzato con l'apparecchio dei fratelli Lumière (anche se due anni prima c'era già stata una proiezione ‒ passata inosservata ‒ con il kinetoscopio di T.A. Edison). Macchine da presa e da proiezione furono importate dall'Europa (soprattutto dalla Francia) sin dal 1897, e la prima fase della cinematografia argentina (sino ai primi anni del Novecento) fu caratterizzata dalle sperimentazioni tecniche e dalla mancanza di un mercato stabile.
A partire dal 1898 il medico chirurgo Alejandro Posadas diede nuovo impulso al cinema scientifico filmando le proprie operazioni, e il francese Eugène (Eugenio) Py, già autore del primo film realizzato in A., La bandera argentina (1898), sperimentò sin dal 1907 forme di sincronizzazione del suono attraverso una serie di film-illustrazione di canzoni (soprattutto tanghi). Per alcuni anni la diffusione della nuova invenzione fu caratterizzata da proiezioni itineranti che giravano di paese in paese, ma ben presto Buenos Aires si riempì di sale cinematografiche (l'apertura della prima, il Salón Nacional, risale al 1900), e iniziarono le prime produzioni, a opera del belga Henry Lepage e, soprattutto, dell'austriaco Max Glücksmann, creatore di un circuito di noleggio e di distribuzione in A., Uruguay e Cile. Il primo film a soggetto è forse, ma non tutte le fonti coincidono, il corto El fusilamiento de Dorrego (1909, ma uscito l'anno successivo), una rievocazione di un fatto storico girato da due italiani, Mario Gallo e Attilio Lipizzi. Iniziarono anche le produzioni di lungometraggi: il primo fu Amalia (1914) di Enrique García Villoso, dal romanzo omonimo di J. Mármol. Quirino Cristiani realizzò inoltre quello che secondo molti (il film è andato distrutto) è il primo lungometraggio di animazione nel mondo, El apóstol (1917), opera satirica sull'allora presidente della Repubblica H. Yrigoyen. Il film era prodotto da Fernando Valle, un altro dei pionieri del cinema argentino, autore di una serie di notiziari con periodicità settimanale (Film revista Valle), usciti senza interruzione dal 1916 al 1931.
Durante il periodo del muto furono girati circa duecento film, anche se la produzione e il consumo attraversarono fasi diverse. Mancava infatti una solida industria, e per quanto riguarda la distribuzione furono le società hollywoodiane a garantire un circuito in tutto il continente latinoamericano (fin dal 1920 aprirono filiali a Buenos Aires). Se si prescinde dai notiziari, la produzione locale rimase discontinua, legata spesso a esperienze artigianali. Non mancarono tuttavia registi di grande personalità che diedero inizio alle tendenze caratterizzanti il cinema argentino classico, come il melodramma popolare urbano, di cui uno dei massimi rappresentanti fu José Agustín Ferreyra. Sin dal suo lungometraggio d'esordio, El tango de la muerte (1917), ma anche nei film realizzati dopo l'avvento del sonoro, come Calles de Buenos Aires (1934) e Ayúdame a vivir (1936), Ferreyra mostrò una forte inclinazione verso una drammaturgia popolare, fatta di storie d'amore e di morte. Con il passare degli anni il cinema divenne in A. un fenomeno sociale sempre più importante; le sale aumentarono, e il pubblico, costituito per lo più dalla media e alta borghesia cittadina, iniziò ad affluire copioso. Nacquero anche le prime riviste, come "Imparcial Film" (1918), "Cine Universal" (1919), "La Novela del cine" (1922), "Bobby Film" (1924), "Astros y Estrellas" (1928).
L'industria cinematografica cominciò però a strutturarsi solo dopo l'avvento del sonoro. È significativo, infatti, che i due primi film sonori (realizzati con un sistema ottico, vale a dire con la colonna sonora stampata nella copia positiva che viene proiettata in sala), usciti a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro, furono anche i primi prodotti da due case di produzione destinate ad avere un ruolo fondamentale nella storia del cinema argentino. La Argentina Sono Film, fondata da Angel Mentasti, realizzò ¡Tango! (1933, uscito il 27 aprile) di Luis Moglia Barth; la Lumiton esordì con Los tres berretines (1933, uscito il 10 maggio) di Enrique Telémaco Susini (ma in realtà girato come opera collettiva da tutta l'équipe della Lumiton, di cui Susini era uno dei fondatori).
Negli anni Trenta la produzione annuale si attestò su circa trenta film, molti dei quali esportati in tutto il continente latinoamericano, in modo particolare i melodrammi musicali interpretati da Libertad Lamarque e Tita Morello e i film comici con protagonista Luis Sandrini, attori che sarebbero poi divenuti i primi divi del cinema argentino. La produzione si concentrò su alcuni generi di successo, come il melodramma, il poliziesco e la commedia, nonché film musicali, il cui protagonista assoluto era il tango. Si trattava di opere destinate alla media borghesia, per lo più a carattere d'intrattenimento. Si distaccavano da questa tendenza i film di Mario Soffici, rigoroso realizzatore di drammi sociali come Prisioneros de la tierra (1939), di Leopoldo Torres Ríos (padre di un altro dei protagonisti del cinema argentino, Leopoldo Torre Nilsson) e, più tardi, di Hugo del Carril. Torres Ríos, che può essere considerato l'allievo di Ferreyra, sviluppò un cinema ‒ in film come La vuelta al nido (1938), Pelota de trapo (1948) e Aquello que amamos (1959) ‒ attento alle tematiche popolari e urbane, e caratterizzato da un gusto particolare per la costruzione degli ambienti e delle atmosfere. Del Carril, attore e cantante prima ancora che regista, sviluppò, prima con Historia del '900 (1949) e poi soprattutto con Las aguas bajan turbias (1952; I desperados della giungla verde), uno stile personale in cui il dramma sociale risulta immerso in un'atmosfera romantica.
Con il passare degli anni la cinematografia argentina si sviluppò quindi variando temi e stili, ed elaborando una divisione in generi che si presentava in fondo come una versione nazionale di quella hollywoodiana.Fino alle soglie degli anni Quaranta l'A. fu al primo posto come Paese produttore di film in lingua spagnola per l'America Latina. Ma la solidità della sua industria subì un forte ridimensionamento quando, in seguito alla scelta della neutralità durante la Seconda guerra mondiale, nel 1942 gran parte dei finanziamenti al cinema provenienti dagli Stati Uniti cessò. In breve tempo la posizione di predominio passò al Messico (al quale andò la maggior parte dei fondi statunitensi). Tale situazione, unita al fatto che l'A. non aveva ancora una solida rete produttiva e distributiva (soprattutto se paragonata a quella del Messico), innescò una crisi che si prolungò anche nei decenni seguenti.Con il governo di J.D. Perón la situazione cambiò leggermente: furono approvate leggi protezionistiche al fine di sviluppare maggiormente la produzione cinematografica interna e limitare le importazioni. Dal 1944 l'intervento dello Stato si fece sempre più visibile, fino a trasformarsi da politica di incentivazione in forma di controllo e di censura. Dopo la caduta di Perón nel 1955, i nuovi governi democratici (in particolare quello di A. Frondizi, dal 1958 al 1962) ebbero un atteggiamento di apertura nei confronti del cinema e della sperimentazione di nuovi linguaggi espressivi. Nel 1957, per es., fu emanata una legge che garantiva finanziamenti per la produzione di film indipendenti; nel 1959 fu inaugurata la prima edizione del Festival di Mar del Plata. Questa situazione favorì una nuova generazione di registi che esordì tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio degli anni Sessanta. Autonomi rispetto al sistema delle case di produzione, essi erano accomunati dalla ricerca di nuovi linguaggi per un cinema in grado di mettere in scena le contraddizioni e i conflitti della società argentina.
Emerge fra tutti L. Torre Nilsson, figura di cineasta visionario, influenzato dal cinema statunitense ed europeo (e forse anche per questo tra i primi a essere conosciuto oltreoceano); egli creò immagini claustrofobiche ed evocative come in La casa del ángel (1957), Fin de fiesta (1960) e La mano en la trampa (1961), sulla decadenza della classe borghese. Fernando Ayala realizzò invece film politici come El jefe (1958) ed El candidato (1959), in cui risulta evidente la padronanza di uno stile in grado di ricontestualizzare le forme espressive del cinema moderno europeo. Nel 1956 aveva inoltre fondato, con il produttore Héctor Olivera, la Aries Cinematográfica Argentina, casa di produzione destinata a una lunga vita.
Anche il pubblico in quegli anni iniziò a rinnovarsi: si sviluppò una generazione di spettatori formatisi nei cineclub e sulle riviste, alla ricerca di nuove proposte e di nuove forme espressive. La quantità di film prodotti, inoltre, aumentò sensibilmente (il doppio circa rispetto al numero di film realizzati negli anni Trenta). Si andava diffondendo con grande rapidità un generale atteggiamento di studio e applicazione di modelli espressivi provenienti dal cinema colto europeo (o statunitense) a modelli narrativi ‒ soprattutto letterari ‒ latinoamericani; una forma di mimetismo culturale che influenzò parte del cinema di quegli anni e coinvolse, in misura diversa, registi come Manuel Antín con La cifra impar (1961), Simón Feldman con El negoción (1959), David José Kohon con Prisioneros de una noche (1960), José Martínez Suárez con El crack (1960) e Rodolfo Kuhn con Los jóvenes viejos (1961). Si tratta di film di denuncia sociale, in cui emerge la particolare situazione di un Paese colonizzato culturalmente e politicamente dagli Stati Uniti e alla ricerca del riscatto e dell'autonomia. La cifra stilistica dominante è quella di una rappresentazione ambigua del reale, di un continuo rovesciamento di ciò che è familiare e quotidiano; il cinema diviene così il luogo dove mettere in scena le contraddizioni di una nazione alla ricerca della propria identità.
Parallelamente a questa tendenza, si sviluppò anche un cinema lirico-politico, attento alla complessità della società argentina (la differenza tra città e campagna, l'influenza europea, il problema dei conflitti sociali della modernità), e, allo stesso tempo, sensibile alle difficoltà dell'esistenza di chi vive ai margini. Rappresentanti di questa linea furono registi come Lautaro Murúa ‒ già attore nei film di Torre Nilsson ‒ con Shunko (1960), affascinante esplorazione dei miti e dei riti delle comunità rurali e Leonardo Favio, con Crónica de un niño solo (1965), sulla difficile esistenza di un bambino fuggito dal riformatorio. Fernando Birri, regista formatosi al Centro sperimentale di cinematografia a Roma, realizzò, insieme agli allievi del suo Instituto de Cinematografía di Santa Fe, il corto documentario Tiré dié (1956-1958; Tirami un dieci) e il lungometraggio Los inundados (1961), in cui la tematizzazione dei problemi sociali dell'A. si coniuga con l'utilizzo di uno stile mediato in particolare dal Neorealismo italiano.
Gli anni Sessanta, dunque, si aprirono con una decisa inversione di rotta: la consapevolezza che il cinema sarebbe dovuto diventare uno strumento di lotta politica, per la costruzione di un'identità nazionale, e di denuncia. Era quindi necessario trovare nuove modalità espressive e di costruzione dell'immagine, svincolate dai modelli statunitensi. In questi anni registi e sceneggiatori come Fernando Ezequiel (detto Pino) Solanas, Octavio Getino e Gerardo Vallejo fondarono un collettivo di cinema militante, il gruppo Cine Liberación, una sorta di laboratorio di produzione in cui il cinema era visto come strumento di documentazione sociale e di interpretazione storico-politica dell'A. contemporanea. Alla fine degli anni Sessanta, Solanas e Getino realizzarono La hora de los hornos (1966-1968; L'ora dei forni), dalla lunga lavorazione e della durata di oltre quattro ore: era un grande affresco della situazione del Paese, un esempio radicale di cinema militante, una presa di posizione politica contro la classe dirigente nazionale, colpevole della sudditanza rispetto al neocolonialismo occidentale. I due registi proponevano un cinema del conflitto, della contraddizione ‒ il cosiddetto tercer cine, terzo cinema ‒ punto di partenza irrinunciabile verso la costruzione di un'identità latinoamericana. Il film circolò clandestinamente fino al 1973, anno in cui terminò la dittatura militare del generale J.C. Onganía. Il gruppo Cine Liberación realizzò tra l'altro, per la regia di Vallejo, El camino hacia la muerte del viejo Reales (1971); sceneggiato da Solanas e Getino, il film narrava, a metà tra fiction e documentario, la storia di una famiglia nelle campagne argentine, tra sfruttamento e duro lavoro nelle piantagioni di canna da zucchero, tra modernità e tradizione. Oltre al cinema documentario di Solanas, Getino e Vallejo, si sviluppò in quegli anni anche un cinema d'impegno (sulla scorta di quello europeo), attento però alla ricerca di modelli non necessariamente ricalcati su quelli del cinema occidentale.
Con il ritorno del peronismo (dal maggio 1973 al luglio 1974), nella speranza di un cambiamento sociale, Solanas, Getino e altri cineasti collaborarono attivamente con il governo (La hora de los hornos uscì dalla clandestinità e fu fatto circolare pubblicamente con un nuovo montaggio; Getino divenne capo dell'ufficio censura). Torre Nilsson si orientò verso un cinema raffinato di trasposizioni letterarie o di ricostruzione storica, Murúa e Favio svilupparono il loro cinema poetico attento alla marginalità sociale: il primo con La Raulito (1974), il secondo con Juan Moreira (1973). Anche altri registi attivi fin dagli anni Sessanta si inserirono in questo nuovo clima di apertura, pur con qualche significativa differenza. Olivera e Ayala, per esempio, mostrarono una doppia tendenza: da una parte, l'interesse per opere dal contenuto politico, che non presentavano però particolari novità nel campo della forma, come La Patagonia rebelde (1974) di Olivera; dall'altra, un cinema di drammi borghesi, come Triangulo de cuatro (1974) di Ayala, o di puro intrattenimento e di recupero della cultura popolare, come Argentinísima (1972) e Argentinísima 2 (1973), entrambi codiretti da Ayala e Olivera.La situazione cambiò radicalmente con l'avvento della dittatura militare di J.R. Videla nel 1976; molti registi furono costretti a rifugiarsi all'estero per sfuggire alle persecuzioni, altri furono torturati e uccisi ‒ come Raymundo Gleyzer, autore di film politici come México, la revolución congelada (1970) e Los traidores (1974), ucciso nel 1976 ‒ seguendo la sorte delle migliaia di desaparecidos che costituisce una delle pagine più nere e drammatiche della storia argentina. Solanas si rifugiò a Parigi, Vallejo, Murúa e Kuhn a Madrid, Getino in Messico.
La produzione calò drasticamente: nel 1976 e nel 1981 uscirono poco più di dieci film, e le sale furono invase da opere di provenienza soprattutto statunitense. I pochi film girati furono per lo più d'intrattenimento, totalmente avulsi dalla realtà del Paese, tranne qualche caso, come La isla (1979) di Alejandro Doria, allusivo alla situazione d'isolamento dell'A., e gli esordi del figlio di Torre Nilsson, Javier Torre, con Fiebre amarilla (1982), e del figlio dello scrittore E. Sábato, Mario, con El poder de las tinieblas (1979): film dalla forte carica simbolica che, pur nella diversità di temi e di stili, erano accomunati dalla presenza di un'atmosfera carica di morte e di decadenza.Con il ritorno della democrazia nel 1983, e l'elezione del presidente R. Alfonsín, nel Paese si diffuse un clima di entusiasmo e la cinematografia nazionale tornò (dal punto di vista produttivo) ai livelli di un tempo. Nel 1984 Antín fu nominato presidente dell'INC (Instituto Nacional de Cinematografía) e animò un nuovo collettivo di registi, Cine Argentino en Libertad y Democracia. Da questo gruppo emersero María Luisa Bemberg, cineasta autrice di melodrammi incentrati sulle problematiche femminili, con Camila (1984; Camilla ‒ Un amore proibito) e Miss Mary (1986), e Luis Puenzo, con La historia oficial (1985; La storia ufficiale), incentrato sulle adozioni dei figli dei desaparecidos, che ottenne la nomination al premio Oscar nel 1986.
Gli eventi drammatici appena trascorsi furono al centro degli interessi dei registi vecchi e nuovi, ansiosi di mostrare ciò che per molto tempo era rimasto invisibile: Hombre mirando al sudeste (1986) di Eliseo Subiela, Tangos ‒ El exilio de Gardel (1985; Tangos, l'esilio di Gardel), realizzato da Solanas a Parigi, furono i modelli di un cinema di impegno civile, simbolico e politico, dove però l'urgenza di mostrare a volte portava a sottovalutare il problema di come mostrare, di come poter fare ancora cinema politico; si pensi a La noche de los lápices (1988; La notte delle matite spezzate) di Olivera.Fino alla fine degli anni Ottanta, il cinema argentino ottenne numerosi riconoscimenti internazionali e circolò in molti Paesi. Dal 1989 la situazione cambiò: l'inflazione sempre crescente impedì molte nuove produzioni (spesso legate ai finanziamenti statali e alle coproduzioni internazionali).
Dopo la legge del 1995, però, che ha obbligato le televisioni a finanziare il cinema nazionale, si è affermata una nuova generazione di registi: Alejandro Agresti, Jorge Rocca, Pablo Trapero, Esteban Sapir, Bruno Stagnaro, Israél Adrián Caetano, Lucho Bender, Marco Bechis, che lavorava anche in Italia, Lucrecia Martel, Lisandro Alonso, Martín Schwarzapel sono solo alcuni dei rappresentanti del cosiddetto nuevo cine argentino. Registi diversi tra loro, ma accomunati dall'esigenza di trovare nuovi linguaggi e nuove modalità produttive, per un cinema che esplori l'inquietudine profonda di un Paese contraddittorio. Nuove case di produzione indipendenti sono nate in questi anni, e nuove istituzioni, come la Universidad del cine, fondata a Buenos Aires nel 1996 da Antín, hanno garantito un effettivo ricambio generazionale (che dopo l'ultima dittatura militare era avvenuto solo in parte) e lo sviluppo di tendenze innovative. Da Pizza, birra y faso (1997) di Caetano e Stagnaro a Picado fino (1996) di Sapir, passando per Mundo Grúa (1999; Mondo gru) di Trapero e il film rivelazione La cienaga (2000) della Martel, il cinema moderno continua a essere riletto e interpretato dai registi argentini al fine di costruire nuovi percorsi e nuovi modelli.
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