ARGENTINA, Repubblica (A. T., 159-160-161)
Grande stato dell'America Meridionale, il secondo per estensione territoriale e per popolazione, già denominato Provincie Unite del Río de la Plata. Il nome Argentina, oggi di uso comune, è una forma latinizzata derivata dal nome de la Plata, ossia dell'argento.
Sommario. - Geografia: Esplorazioni (p. 185); Geologia (p. 186); Morfologia (p. 189); Idrografia (p. 191); Clima (p. 193); Flora (p. 194); Fauna (p. 198); Dati sulla popolazione (pag. 200); Le popolazioni indigene (p. 203); Condizioni economiche (p. 206); Comunicazioni (p. 209); Distribuzione e densità della popolazione (p. 212); Emigrazione (p. 214). - Gl'Italiani in Argentina (p. 216). - Ordinamento dello Stato: Costituzione e amministrazione (p. 221); Organizzazione ecclesiastica (p. 222); Forze armate (p. 223); Finanze (p. 223). - Cultura: La tipografia (p. 225); Stampa periodica (p. 225); Istruzione (p. 226); Archivî (p. 228); Biblioteche (p. 228). - Storia (p. 229). - Religione (p. 239). - Lingua (p. 240). - Letteratura (p. 241). - teatro (p. 245). - Arti figurative: Architettura (p. 246); Pittura (p. 251); Scultura (p. 251). - Musica (p. 252).
Geografia.
Occupa la parte maggiore della zona temperata dell'America del Sud, ma, estendendosi da 55° a 22° circa di lat. sud, comprende anche una piccola parte inclusa nella zona torrida. La differenza di latitudine, di oltre trenta gradi, ha notevole influenza su parecchi fenomeni geografici. Il territorio della Repubblica Argentina ha press'a poco la forma di un triangolo con la massima larghezza a N. Verso E., l'Argentina è limitata dall'Oceano Atlantico; il resto del perimetro è costituito dalla lunghissima frontiera che mette a contatto il paese con cinque stati sud-ameriiani: all'E. l'Uruguay; al NE. il Brasile; a N. il Paraguay e la Bolivia; all'O. il Chile. Tale frontiera, parte naturale parte convenzionale, è stata stabilita dopo laboriose discussioni, per fortuna ora finite, mancando l'accordo definitivo solo in particolari secondarî.
Dalla Repubblica dell'Uruguay l'Argentina è divisa dal Plata e dal fiume Uruguay: da una frontiera quindi completamente fluviale. Appartiene all'Argentina l'isolotto fortificato di Martín García, alla foce dell'Uruguay, sebbene vicinissimo alla costa della Repubblica Orientale. Quasi tutta fluviale è anche la frontiera col Brasile; infatti essa risale l'Uruguay fino alla confluenza col Peprí-Guazú; questo serve di limite fino alle sue origini, dalle quali in poi la frontiera segue la parte più elevata del terreno, fino alla confluenza con l'Iguazú, e continua lungo questo fino alla sua foce nel Paraná.
Alla definizione della frontiera brasiliana-argentina, lunga questione incominciata già fra Spagna e Portogallo, e proseguita dagli stati succesori, si addivenne il 5 febbraio 1895, mediante un lodo arbitrale del presidente degli Stati Uniti Cleveland, in seguito al quale, col trattato di Rio Janeiro del 6 ottobre 1898, l'Argentina rinunciò a favore del Brasile alla sovranità su parecchie migliaia di chilometri quadrati di terreno.
La frontiera con la repubblica del Paraguay è interamente fluviale. Segue il corso del Paraná dalla foce dell'Iguazú a quella del Paraguay, indi il corso di questo fiume fino al Pilcomayo, e risale quest'ultimo fino a incontrare la frontiera boliviana. Questo confine stabilito, dopo un arbitrato, col trattato del 3 febbraio 1876, lasciava però insoluta la questione dei confini fra il Chaco Paraguayo e l'Argentino, terminata da un lodo di Hayes, presidente degli Stati Uniti, il 12 novembre 1878. La frontiera fu stabilita al Pilcomayo, ma siccome questo per un buon tratto ha corsi vaganti (esteros), finora non si è potuta fissare la linea di confine che dovrebbe coincidere col braccio principale del fiume.
Secondo il trattato del 10 maggio 1899 la frontiera con la Bolivia segue il parallelo 22° S. dal Pilcomayo al fiume Itau, e scende lungo questo, ed il Rio Grande de Tarija, in cui si getta, fino al Bermejo, di cui risale indi il corso superiore, per abbandonarlo ad un certo punto e seguire, attraverso terreno accidentato, una linea sinuosa a N. del parallelo 22° fino alla frontiera chileno-argentina. La Puna de Atacama, occupata fin dalla guerra del Pacifico (1881) dal Chile, venne col detto trattato, in seguito ad un lodo del 1899 del Buchanan, ministro degli Stati Uniti a Buenos Aires, consegnato all'Argentina, che lo costituì in territorio nacional. Nel segnare però sul terreno i limiti stabiliti dal trattato, nella parte inesplorata sorsero contestazioni, risolte da un nuovo trattato del 9 luglio 1925, firmato a La Paz, ma non ancora ratificato, che integra quello del 1899 e riconosce alla Bolivia il paese di Yacuiba, a S. del 22° parallelo, ed un piccolo territorio circostante.
Merita particolare attenzione la lunga contesa, rimasta per fortuna solo diplomatica, per la definizione del confine chileno-argentino. Si credette dapprima risolverla col trattato del 23 luglio 1881, fonte invece di ben più aspri conflitti d'interpretazione, che minacciarono di diventare cruenti. L'art. 1° del trattato stabilisce: "Il confine fra la repubblica Argentina ed il Chile, da N. a S. fino al parallelo 52° di latitudine, è segnato dalla cordigliera delle Ande. La linea di frontiera passerà in quell'estensione per le vette (cumbres) più elevate della citata cordigliera, che segnino lo spartiacque, e passerà tra i versanti che determinano dall'una all'altra parte".
La conoscenza delle Ande, ancora incompleta nel 1881, massime nella parte patagonica, ancora del tutto inesplorata a S. del parallelo 41°30′, riservava poco dopo l'inaspettata scoperta di grandiosi fenomeni di cattura idrografica, in grazia dei quali taluni fiumi della costa del Pacifico hanno le sorgenti e talora buona parte del bacino, nell'altipiano ad oriente della grande catena. Fra la linea di fastigio, che congiunge le vette più elevate, e lo spartiacque idrografico si stende quindi una vasta zona fertile di pascoli, di cui è povero il Chile, che accese perciò la controversia, favorita dal testo ambiguo dell'articolo sopra citato. L'Argentina sosteneva dovere il confine passare sulla linea di fastigio (de alta cumbre), mentre il Chile era fermo su quella spartiacque. La questione fu composta da un lodo del re d'Inghilterra il 20 novembre 1902, soluzione di compromesso, in quanto che a seconda dei casi si tenne conto ora dell'uno ora dell'altro criterio, orografico ed idrografico. Le zone in discussione erano: Passo di San Francisco; Lago Lacar; dal Lago Nahuel Huapí al Viedma, e il territorio adiacente al Seno dell'ultima Esperanza.
L'art. 2° del trattato del 1881 stabilisce: "Nella parte australe del continente e a nord dello Stretto di Magellano, il limite tra i due paesi sarà una linea che, partendo da Punta Dungeness si prolunghi per terra fino a Monte Dinero; di qui continuerà verso l'ovest seguendo le maggiori alture della catena di colline che esistono sino a toccare Monte Aymond. Da questo punto si prolungherà la linea fino all'intersezione del meridiano 70° col parallelo 52° di latitudine e poi seguirà verso l'ovest coincidendo con quest'ultimo parallelo fino al divortium aquarum delle Ande". L'art. 3° riguarda la frontiera al sud dello stretto: "Nella Terra del Fuoco si traccerà una linea che, partendo dal punto chiamato Capo del Espíritu Santo, alla latitudine di 52°40′, si prolungherà verso il sud, coincidendo col meridiano occidentale di Greenwich 68°34′, fino a toccare il canale Beagle. La Terra del Fuoco divisa in questa maniera, sarà chilena nella parte occidentale, e argentina nella parte orientale. Per ciò che riguarda le isole, apparterranno alla repubblica Argentina: l'Isola degli Stati, gl'isolotti prossimi ad essa, e le altre isole che si trovino nell'Atlantico ad oriente della Terra del Fuoco e delle coste orientali della Patagonia, e apparterranno al Chile tutte le isole al sud del canale Beagle, fino al Cabo de Hornos e quelle che si trovino all'occidente della Terra del Fuoco". La soluzione del problema col Chile può dirsi completa; all'estremità meridionale manca soltanto di stabilire la sovranità sulle isole Lennox, Nueva e Picton. L'art. 5° è importante: "Lo Stretto di Magellano è neutrale a perpetuità e vi si assicura la libera navigazione per le bandiere di tutte le nazioni. Nell'interesse di assicurare questa libertà e neutralità, sulle coste non si costruiranno fortificazioni né difese militari che possano essere contrarie a quel proposito".
L'Inghilterra occupò, nel 1833, le isole Malvine o Falkland, e d'allora le conserva nonostante la protesta dell'Argentina.
Riguardo al perimetro dell'Argentina, Gaspar Soria lo ha calcolato così: marittimo: 4195 km.; fluviale: Plata 336 km.; Uruguay 855; fiumi di Misiones 482; Paraná 608; Paraguay 315; Pilcomayo 1090 km.; terrestre: con la Bolivia 770 km.; col Chile 5315. In totale 13.965 km.
Non tutte le pubblicazioni che riguardano l'Argentina dànno la stessa cifra per la superficie del paese. L'incertezza si deve alla mancanza finora della necessaria base geodetica; la vastità del paese rende le misure lente e costosissime; inoltre, fino a una data recente, le insolute questioni di confine lasciavano indeterminato il problema.
Il censimento del 1914 dà la cifra di 2.797.113 kmq., calcolo planimetrico dovuto a Carlo Chapeaurouge. Essa, però, è provvisoria, perché risponde soltanto a conteggi approssimativi. La Dirección General de Estadística accetta invece la cifra: 2.987.542 kmq., sensibilmente diversa. Gaspar Soria, sulla base di un calcolo planimetrico molto accurato, arriva alla conclusione che la superficie dell'Argentina è di 2.789.461,9 kmq. Astraendo da queste differenze, risulta che l'Argentina è uno degli stati più estesi del mondo, poiché tra gli stati indipendenti è superata solo dalla Russia, dalla Cina, dagli Stati Uniti e dal Brasile.
Esplorazioni. - Il desiderio di raggiungere attraverso l'Atlantico le terre più orientali dell'Asia che aveva spinto C. Colombo alla sua gloriosa impresa e provocato le celebri navigazioni del Vespucci lungo così gran tratto della costa dell'America meridionale, divenne più ardente dopo che il Balboa ebbe rivelato l'esistenza del Mare del Sud (1513); anzi, il problema del passaggio dall'Atlantico al mare nuovamente scoperto dominò tutte le esplorazioni della prima metà del sec. XVI. Così andava alla ricerca del famoso passaggio Juan Díaz de Solís che, succeduto al Vespucci nella carica di piloto mayor di Castiglia, per primo (a quanto sappiamo) accostava le sponde attuali dell'Argentina penetrando nell'estuario platense, da lui denominato Mar Dulce; ma i suoi compagni lo battezzarono col nome di Río de Solís dopo la tragica fine di lui, perito quivi sulla costa uruguayana per opera dei feroci Charrúas (1516). Con il medesimo intendimento di trovare un passaggio al Mare del Sud, nel 1520 F. Magellano esplorava sia l'estuario del Río de Solís, sia la costa argentina e patagonica, anzi a Porto S. Giuliano, nella Patagonia, il Magellano svernò prima d'inoltrarsi nello stretto che porta il suo nome. E sempre alla soluzione del famoso problema venne diretta la spedizione guidata da Sebastiano Caboto, nominato piloto mayor nel 1518 al posto del Solís. Partito da Sanlucar il 5 aprile 1526, il Caboto entrò nel grande estuario scoperto dal Solís nel febbraio 1527; quivi ebbe notizia di un impero interno ricco d'oro e d'argento e decise quindi di inoltrarsi nel fiume. Dal maggio 1527 alla fine del 1529 egli risalì per un tratto l'Uruguay, indi il Paraná e il Paraguay fino alla confluenza del Pilcomayo (chiamato dal Caboto Río de la Trajicion), cercando invano le ricchezze minerarie di cui aveva dato l'annuncio al re di Spagna e che avevano guadagnato all'estuario il nome di Río de la Plata. Il viaggio del Caboto, se fu quasi un disastro dal punto di vista commerciale, valse a precisare nelle sue grandi linee il sistema fluviale platense, come appare dalle carte dell'epoca.
Sulla strada aperta dal Caboto si misero arditamente alcuni Spagnoli attratti dal miraggio delle ricchezze minerarie e anzitutto Pedro de Mendoza, che organizzò a proprie spese una grande spedizione diretta a colonizzare le rive del Plata. Nominato nel 1534 adelantado (governatore) dei territorî che avrebbe occupato, sbarcò nel gennaio del 1535 sulla riva destra del Plata dove il 2 febbraio pose le fondamenta della città di Santa María de Buenos Aires; la colonia non poté per allora prosperare, anzi fu abbandonata a causa dell'ostilità degli indigeni. Intanto il luogotenente del Mendoza, Juan de Ayolas, risalì nuovamente il Paraná-Paraguay e nel 1536 fondò Asunción che doveva divenire ben presto il centro della colonizzazione spagnola nelle provincie meridionali dell'America. L'Ayolas, continuando la navigazione sul Paraguay fino alla latitudine di 20° S., tentò di raggiungere il Perù attraverso il Chaco boliviano (1537), ma durante il ritorno fu ucciso dagli Indiani; il suo compagno e sostituto Domingo Martínez Irala ripeté più tardi (1548) la traversata dal Paraguay al Perù, mentre nel frattempo Pedro de Valdivia (1540-54) dal Chile raggiungeva i distretti posti ai piedi orientali delle Ande e precisamente le attuali provincie di Tucumán e di Jujuy.
Nella seconda metà del sec. XVI le conoscenze geografiche procedono di pari passo con la colonizzazione e le varie città allora fondate segnano le tappe della conquista. Così Santiago del Estero fu fondata dall'Aguirre nel 1553; Mendoza da Hurtado de Mendoza nel 1560, Tucumán dal Villaroel nel 1565; Córdoba dal Cabrera nel 1573; Salta dal de Lerma nel 1582; Corrientes nel 1588 da Alonso de Vera, mentre Buenos Aires veniva riedificata da Juan de Garay nel 1580. Le missioni gesuitiche stabilitesi prima a Tucumán e poi al Paraguay, organizzarono completamente sotto la direzione della Compagnia di Gesù il territorio settentrionale esplorato in gran parte dal P. Manuel de Ortega (1587).
Nel periodo coloniale dal 1560 al 1800 il progresso delle esplorazioni e della colonizzazione rimase assai scarso anche perché i territorî del Plata dipendevano dal viceré del Perù, il quale riuscì per lungo tempo ad impedire il commercio diretto tra Buenos Aires e la metropoli: le merci dovevano seguire la strada di Lima percorrendo la grande via coloniale che per Tucumán e Salta portava sull'altipiano boliviano.
Meritano di essere ricordate le prime esplorazioni nella Patagonia compiute dagli spagnoli Basilio Villarino, che risalì il Río Negro per ricercare un passaggio verso il Chile (1782), e Viedma che attraversò la pianura meridionale dal golfo di S. Giuliano al lago Viedma (1782); i rilievi idrografici eseguiti nell'estuario del Plata da Alessandro Malaspina di Mulazzo, che nella sua famosa spedizione esplorò anche la costa patagonica dal Río Negro al Puerto Deseado (1789); e l'opera importantissima di Felice de Azara che, in qualità di commissario per la determinazione dei confini ispano-portoghesi stabiliti dal trattato di Sant'Idelfonso (1778), visse per un ventennio (1781-1801) nei possedimenti spagnoli meridionali percorrendo le varie regioni dell'interno, studiandone la geografia e la storia naturale: il de Azara raccolse in tal modo un ricchissimo materiale, pubblicato a Parigi nel 1809.
Le provincie platensi erano state da poco erette in vicereame (1776) quando le fortunose vicende europee durante la Rivoluzione francese e l'lmpero napoleonico provocarono la ribellione delle colonie spagnole, ma la guerra dell'indipendenza prima e poi le discordie civili, che nell'Argentina funestarono il primo periodo di libertà, limitarono assai l'opera degli esploratori, cosicché basterà accennare all'esplorazione (1827-30) delle coste meridionali e specialmente della Terra del Fuoco per cura di Filippo Parker King e Roberto Fitz Roy che erano accompagnati dal giovine Carlo Darwin (vedi Viaggio di naturalista intorno al mondo), e a quelle dell'italiano Nicola de' Scalzi, che nel 1821 rilevava il corso del Río Benuejo e nel 1833 quello del Río Negro ai confini patagonici. La conoscenza scientifica dell'interno si amplia invece con rapido ritmo nella seconda metà del sec. XIX, quando la nuova repubblica, ottenuta la pacificazione interna, favorisce l'esplorazione e la messa in valore dell'amplissimo territorio. Tra i moltissimi studiosi ci limiteremo a segnalare i più importanti, e ricorderemo primieramente Ermanno Burmeister che può essere considerato il padre degli esploratori naturalisti e geografi dell'Argentina. Giunto nel 1856 negli stati del Plata dopo aver visitato il Brasile meridionale, questo illustre scienziato cominciò a percorrere la pianura tra i due fiumi e quindi valicò la cordigliera Andina in direzione di Copiapó (1859). Stabilitosi nel 1861 a Buenos Aires come direttore del Museo di Storia Naturale, fondò più tardi la facoltà di scienze naturali di Córdoba e morì a Buenos Aires nel 1892. Le osservazioni personali e la profonda conoscenza del paese acquistata in tanti anni di lavoro rendono fondamentale per lo studio dell'Argentina del Nord l'opera sua intitolata Physikalische Beschreibung der Argentinischen Republik, Buenos Aires 1875 segg.
Notevole interesse ebbero anche le ricognizioni dei fiumi Paraná e Paraguay compiute dal 1853 al 1859 dal capitano Tommaso Page della Marina degli S. U., e le esplorazioni di Martino de Moussy che visitò per incarico del governo le pampas fino al Río Negro e pubblicò a Parigi negli anni 1860-64 una Déscription géographique et statistique de la Confédération Argentine. Discepoli del Burmeister furono A. Stelzner e L. Brackebusch, professori all'università di Córdoba, che studiarono particolarmente la geografia e la geologia, il primo delle Ande e della pampa a nord e a sud di Córdoba (1872-74), il secondo di tutto il territorio tra il Chile e il Plata, da Juiuy al Río Atuel nella provincia di Mendoza. Opera del Brackebuxh è anche la grande carta della Repubblica Argentina alla scala di 1 : 1.000.000 in 13 fogli. S'iniziarono frattanto i lavori di rilevamento topografico a cura o con la collaborazione del governo argentino, e numerosi scienziati studiarono la costituzione e gli aspetti geografici, morfologici e geologici delle pampas e della Cordigliera Andina. Le opere di F. P. Moreno, di Edoardo Aguirre, di Pietro N. Arata, di Carlo Berg, di Angelo Gallardo, di G. B. Ambrosetti, di Carlo Spegazzini, di Gaetano Rovereto e di tanti altri portarono alla conoscenza quasi completa del territorio argentino.
Rimase invece lungamente chiusa alle esplorazioni e alla colonizzazione la Patagonia dove i feroci indigeni con crudele energia si opposero ai tentativi dei viaggiamri e alla penetrazione dei missionarî gesuiti, Mascardi, Laguna, Guililermos, Elguea, martiri della fede. Soltanto dopo che il governo argentino procedette alla occupazione del territorio con una regolare campagna durata due anni (1879-80), anche la Patagonia poté essere completamente conosciuta e in gran parte civilizzata per opera specialmente dei missionarî salesiani inviativi da S. Giovanni Bosco (1880). Prima del 1879 l'inglese Giorgio Musters (1869-70) aveva attraversato tutta la regione da Punta Arenas, sullo stretto di Magellano, a Carmen de Patagones, sul Río Negro inferiore; la sua relazione pubblicata a Londra nel 1871 (At home with the Patagonians) diede notizia di regioni affatto sconosciute e importanti informazioni sui Patagoni. Quindi il Berg e il Moreno nel 1874-75 esplorarono i bacini del Río Negro e del Río Santa Cruz; il Moreno risalendo quest'ultimo fiume giunse al Lago Argentino e ne rilevò le comunicazioni col Lago Viedma e col Lago San Martín; nel 1877 J. Rogers ed E. Ibar percorsero la parte meridionale dallo stretto di Magellano al lago Argentino fornendo importanti osservazionì sulla Laguna bianca, sul Río Gallegos, e sulla statura dei Patagoni. Dopo l'occupazione militare, le esplorazioni e i viaggi si moltiplicarono; particolare rilievo merita l'opera del colonnello L. Fontana che fece parte della spedizione di conquista e rimase quindi a capo di uno dei territorî.
Dopo il 1890 fu oggetto di studio minuzioso ed esauriente la cordigliera meridionale a sud del 40° parallelo in occasione del conflitto sorto tra il Chile e l'Argentina per la delimitazione del confine politico. I lavori di H. Steffen e dei suoi collaboratori P. Stange e P. Krüger sul versante chileno (1892-1900) e di F. P. Moreno sul versante orientale portarono chiara luce sulla complicata morfologia di quella tormentatissima regione. Le relazioni, i piani e le carte presentate dai due governi al Tribunale arbitrale in appoggio delle rispettive pretese (1900) costituiscono una preziosa fonte per lo studio della Patagonia del Sud.
Nel chiudere questa rassegna dobbiamo parlare anche delle esplorazioni nella Terra del Fuoco: basti accennare a quella di M. Pertuiset (1873); alla spedizione argentino-italiana (1882) diretta dal tenente Giacomo Bove con la partecipazione di Roniagli, Spegazzini, Lovisato e Vinciguerra; alla spedizione argentina comandata da Ramón Lista (1887) e alla notevolissima opera recente del salesiano Alberto De Agostini.
Geologia. - La conoscenza geologica dell'Argentina, che s'inizia con i lavori di D'Orbigny (1842), di Darwin e di Burmeister, per merito così dell'interessamento del governo della repubblica come delle iniziative di privati esploratori e studiosi, ha fatto ormai tali progressi da poter abbozzare, sia pure a grandi tratti, un quadro generale abbastanza completo della costituzione e struttura del paese, e del progresso dalle remote ere geologiche all'assetto attuale.
La serie stratigrafica argentina è completa, essendovi più o meno largamente rappresentati tutti i sistemi conosciuti. Però, mentre per la maggior parte del Paleozoico la loro fisionomia rimane generica e senza profonde differenze con quelle di altri paesi e continenti, va invece, a partire dal Carbonico, acquistando lineamenti proprî, che col progredire del tempo diventano sempre più decisi e caratteristici. La prima manifestazione grandiosa si ha nel Permo-Trias, dove appare la particolare facies dei due sistemi specifica dell'emisfero australe odierno, con le flore a Gangamopteris e Glossopteris, e gl'indiscutibili depositi glaciali, quali furono ritrovati nell'Africa (Karroo) meridionale, nell'Australia e nell'India, formazioni continentali e litoranee del grande continente antichissimo del Gondwana o brasilo-etiopico. Il carattere regionale si accentua nel Mesozoico, ma è soprattutto nel Terziario che assume tale impronta e molteplicità di aspetti, in ispecie per la ricchezza e la singolarità delle forme fossili, da avere acquistato notorietà universale.
Il più antico nucleo continentale dell'Argentina è il residuo conservato nella parte est dell'America Meridionale, del continente brasilo-etiopico del Gondwana, già prima menzionato, nucleo importantissimo, designato col nome di "Brasilia", costituito da una platea molto antica, rimasta rigida, sopra la quale trasgressioni successive hanno lasciato sedimenti paleozoici una prima volta fino al Devonico, e successivamente quelle del Permo-Trias o serie del Gondwana. Largamente affiorante a E. e a N. del continente Sud-Americano, rimane, per quanto si mostra alla superficie, per la massima parte fuori dei confini politici della Repubblica, non penetrandovi che nel territorio di Misiones, e all'isolotto cristallino di Martín García alla foce dell'Uruguay. Ma la "Brasilia" si estende largamente oltre il suo limite visibile verso occidente e verso sud formando il substrato ora più ora meno vicino alla superficie, delle formazioni recenti e recentissime della parte orientale e mediana dell'Argentina, il Chaco e la Pampa. Lo dimostrano alcuni affioramenti sporadici nella provincia di Corrientes, e le trivellazioni, che verso S. l'hanno incontrata a 300 e 400 m. di profondità, rispettivamente a Buenos Aires e a La Plata.
Le due vaste regioni testé nominate, il Chaco e la Pampa, circondano completamente a O. e a S. la parte affiorante della "Brasilia" e corrispondono ad una zona ribassata, coperta da formazioni recenti e recentissime. La conca così formata, relativamente poco profonda a S., come si è veduto con le trivellazioni di Buenos Aires e La Plata, lo è assai più verso N. Una trivellazione di 2000 m, ad Alhuampa (Santiago del Estero) a 27° circa di latitudine S dopo 800 m. di alluvioni, ha attraversato per i rimanenti 1200 m. un'arenaria rossa di età incerta, senza raggiungere il fondo roccioso della "Brasilia".
Al di là di questa enorme area depressa, verso S. è stato segnalato, in particolare dagli studî di Keidel, un secondo nucleo molto antico, che si stende dal Río Colorado fino al Golfo di San Matías, costituito da scisti, psammiti e graniti, al quale lo stesso Keidel ha dato il nome di "Patagonia", in senso paleogeografico, e perciò con estensione differente dall'attuale omonimo paese. Di questo antico continente, frammento forse dell'antico primitivo Gondwana, già staccatosi in tempo remoto, che il Keidel dimostra essere rimasto indipendente dalla "Brasilia" fino al tardo Mesozoico, avrebbero fatto parte anche le isole Falkland o Malvine, dove è conosciuto il Devonico. Le assise più antiche della "Patagonia" hanno però affioramenti molto limitati, perché nella maggior parte di quegli altipiani, ad oriente delle Ande, si stende un velo più o meno fitto, ma dotato di molta continuità, di formazioni giovani, che occultano il substrato primordiale.
Come è accaduto per tutto il continente americano (v. america), l'Argentina si è formata, a partire dai due elementi positivi sopradescritti, con successivi ingrandimentì verso ovest, cioè dall'Atlantico verso il Pacifico, in grazia dei sedimenti che si depositavano lungo i contorni, sia in mari epicontinentali, che in grazia dei movimenti epeirogenetici invasero le aree prima emerse più o meno parzialmente, sia in geosinclinali profonde, che movimenti orogenetici hanno a più riprese sollevate in catene di montagne.
Salvo eccezioni, di cui si dirà in seguito, la maggior parte dei ripiegamenti orogenici avvenuti a lunghi intervalli, dal Prepaleozoico al Cenozoico, ha direzione pressoché meridiana, prossima cioè a quella del sistema andino, e si manifesta a ponente della grande fossa ad area negativa Chaco-Pampa, in modo da rendere molto laboriosa la distinzione fra i successivi ripiegamenti.
Il più antico di tutti, forse prepaleozoico, si trova nell'estremo lembo NO. dell'Argentina, a ponente del Chaco e a levante degli elevatissimi altipiani della Puna, nelle Sierre subandine delle provincie di Salta e Jujuy, fino a Tucumán. I sedimenti cambrosilurici sono in chiara discordanza sopra una piattaforma proterozoica e arcaica, ripiegata ed abrasa, unico indizio di un ripiegamento precambrico, in terreni però che, a differenza di quelli coevi della Brasilia, non sono rimasti immuni dalle ripercussioni dei ripiegamenti posteriori, e di quello terziario delle Ande in ispecie, che vi ha causato dislocazioni e strutture embricate.
A ripiegamenti più recenti, ma sempre paleozoici, sono dovute le così dette Sierre Pampeane, lungo il margine occidentale della Pampa, e le Precordigliere, nelle provincie della Rioja, San Juan e Mendoza, formate anche queste da terreni esclusivamente paleozoici. Nelle Precordigliere in ispecie sono interessati da ripiegamenti anche i terreni del Permico (Gondwana inferiore), il che ha indotto a chiamare i monti dovuti a tale diastrofismo Gondwanidi; movimento più tardo dell'ercinico, avvenuto invece nel Carbonico medio, e del quale potrebbe essere un postumo. Ai medesimi ripiegamenti sono attribuite, sebbene non da tutti gli esploratori, le sierre della provincia di Buenos Aires, che emergono isolate da terreni assai più recenti della Pampa, in due gruppi: uno settentrionale, la Sierra del Tandil, meridionale l'altro, le sierre di Pillahuincó e della Ventana. La prima, dove predominano rocce precambriche, quali gneiss e micascisti con graniti, coperte da strati paleozoici, è stata diversamente interpretata, ora come un semplice ricomparire del substrato formato dalla Brasilia, ora invece collegata con le Sierre Pampeane predette (Tandilia). Nelle meridionali, invece, la presenza di implicazioni di terreno permico con facies glaciale, ha indotto il Keidel ad assegnarle alle Gondwanidi. Per queste sierre di Buenos Aires è da notarsi l'andamento ONO.-ESE., ben diverso da quello meridiano delle Sierre Pampeane e delle Precordigliere, che accenna secondo il Keidel a relazioni con analoghi rilievi dell'Africa australe. Il che ha fatto sì che lo Steinmann riguardasse queste strutture come avanzi di un'antica catena di ripiegamento che venendo dalle Sierre Pampeane dell'ovest argentino, girasse intorno alla Brasilia all'altezza delle sierre Tandil-Ventana, e attraverso l'Atlantico proseguisse verso l'Africa meridionale.
Nella Patagonia vi sono segni di un'orogenesi mesozoica superiore (mesocretacica), forse movimento precursore di quello cenozoico andino, a religione del quale la Patagonia fino allora rimasta indipendente sarebbe stata congiunta alla Brasilia. La catena risultante è stata detta dal Imidel delle Patagonidi; in essa, sopra pieghe formate dal Cretacico medio, stanno indisturbati in discordanza gli strati a Dinosaurus del Cretacico superiore.
Il grande sollevamento cenozoico delle Ande è in ordine di tempo l'ultimo acquisto del territorio argentino verso ponente. Ne furono interessati i terreni del Mesozoico proprio, dal Trias. Lias e Giura fino al Cretacico, con le espansioni eruttive intercalate nella serie stessa, in una prima fase che cade nel Terziario antico, forse continuazione del precedente sollevamento delle Patagonidi. Dopo questa, che fu la fase principale, se ne riconobbero altre due, recentissime perché plioceniche, manifestatesi meglio ancora che con ripiegamenti, con carreggiamenti analoghi a quelli alpini, precedute, accompagnate e seguite da manifestazioni eruttive con estesissimi tufi, attività che sono tuttora in efficienza nei numerosi vulcani delle Ande.
La catena principale è formata, nel suo tronco più settentrionale, dal confine boliviano fino quasi al Neuquén (39° lat. S.), da tre zone longitudinali ben caratterizzate, di cui due eruttive ai lati, e una sedimentaria intermedia. La zona orientale, di porfido quarzifero, giunge a S. fino al Río Atuel; la sedimentaria, mesozoica, si perde più a S. ancora negli altipiani della Patagonia. La occidentale, infine, si prolunga molto al di là delle precedenti con le sue porfiriti, in modo da formare l'orlo orientale della cordigliera patagonica. Quest'ultima cordigliera è formata da un fascio di pieghe, il cui prolungamento settentrionale s'immerge nel Pacifico, parallelo bensì ma affiancato a occidente a quello delle Ande Chileno-argentine. Continuando verso S., la Cordigliera Patagonica abbandona però la direzione meridiana conservata dal sistema per così lunga tratta in due emisferi, e s'incurva verso E., fino a disporsi sui margini dello stretto di Magellano nella direzione dei paralleli. Anche nella sua costituzione la Cordigliera Patagonica differisce dalla principale; sebbene consti anch'essa di strati mesozoici, questi sono fortemente metamorfosati, e perciò ben diversi dal Mesozoico andino propriamente detto.
Il grandioso movimento andino non si è compiuto senza ripercuotersi sopra le strutture preesistenti a levante, ed ha determinato. in esse le dislocazioni, fratture e soprascorrimenti, già accennati, analoghi a quelli che si sono verificati nelle Alpi. Inoltre si sarebbero prodotti inarcamenti nelle masse più lontane.
Però nel Cenozoico la grande bassura Chaco-Pampa rimase una regione di movimenti negativi e per ciò di accumulazione di sedimenti, in prevalenza di natura schiettamente continentale. Nella Patagonia invece movimenti epeirogenetici varî hanno avuto per risultato finale un sollevamento in blocco. Nei due territorî però, e specialmente nel secondo, dove sono meglio visibili, si sono depositati nel Cenozoico poderosi ed estesi sedimenti terziarî, a cominciare dall'Eocene superiore, nei quali ci sono stati conservati i resti fossili di quei singolari mammiferi la cui scoperta e il cui studio hanno costituito la gloria di Florencio Ameghino. Questa serie terziaria, che comprende tanto il Paleogenico quanto il Neogenico, in grazia delle alternanze di facies marina e terrestre, fu potuta suddividere in numerosi piani e sottopiani (Patagonico, Notostylopense, Santacrucense, Entreriano, Rionegrense, Araucanense, Calchaquense) e trapassa gradatamente al Quaternario. Meno ricco di sviluppi è il Terziario del piede delle Ande (Subandino), più influenzato dalle condizioni locali.
Nella Patagonia, sul Terziario indiscusso è ampiamente distesa una formazione particolare detta dei rodados (ciottoli) patagonici, argomento di interpretazioni divergenti, che si volle anche riferire al Glaciale quaternario, sebbene vada molto oltre i limiti delle espansioni glaciali veramente accertate. L'opinione che raccoglie più suffragi è quella che si tratti del prodotto di rimaneggiamento quaternario di una precedente formazione pliocenica similare.
Al Quaternario spettano i due terzi circa della superficie dell'Argentina. Vi compare principalmente nelle due forme di deposito glaciale ed eolico. Nelle zone elevate delle Ande, si ritrovano morene dovute a glaciazioni multiple, che scendendo verso S. vanno man mano diventando più imponenti, finché nella Patagonia invadono anche gli altipiani orientali, dal Neuquén in giù. Si tratta tuttavia sempre di ghiacciai montani con sbocco in pianura; di una vera ghiaccia continentale quaternaria può parlarsi solo nell'estremo lembo meridionale, nella Terra del Fuoco e nelle vicinanze dello stretto di Magellano.
Un'area incomparabilmente più vasta è coperta dall'altra formazione pleistocenica, la Pampeana, formazione argentina per eccellenza, che nel suo insieme è considerata come un loess, di origine eolica. Stende il suo manto uniforme sopra una superficie di assai più di un milione e mezzo di kmq. Il complesso, trattandosi di un deposito, meglio ancora che continentale, terrestre in senso proprio, è formato oltre che dai tipi eolici predominanti, subordinatamente da tipi alluvionali di ogni specie, a seconda delle diverse condizioni geografiche climatiche dell'ampia superficie coperta, che va dal clima arido delle sue parti più meridionali ed occidentali, fino alle zone di piogge tropicali. La fauna fossile caratteristica ivi racchiusa, diventata celebre specialmente a cagione dei grandi sdentati come i Megatherium, i Glyptodon, ecc., discendenti dalle faune terziarie patagoniche già prima nominate, era diffusa dalle regioni più meridionali fino ai confini della Bolivia, dove a Tarija si trova commista con forme proprie dell'America Settentrionale (Mastodon, ecc.), evidentemente emigrate dopo la riunione dei due continenti e che andavano propagandosi verso il sud. Tutte queste forme gigantesche, sia degli Sdentati indigeni, sia dei Proboscidati emigrati, si spensero però nel Pleistocene, salvo una che deve essersi conservata fino a tempi relativamente vicini, lo jemiš (Glossotherium) della tradizione patagonica, che pare fosse tenuto in domesticità dall'uomo.
Durante questo periodo, e in grazia delle variazioni climatiche che lo distinguono, si vennero determinando i sistemi idrografici, e il suolo assunse l'aspetto sotto il quale lo vediamo. Hanno molta diffusione, specie lungo il lítorale marino e fluviale e nelle parti aride e desertiche così dei bassopiani come dei pianori della Puna, le dune (medanos), altra formazione continentale eolica.
La formazione carbonica (Antracolitico) propriamente detta è conosciuta in parecchie località della Precordigliera, nelle provincie di San Juan e Rioja con banchi di carbone, che hanno dato luogo a tentativi industriali. Si trovano pure banchi di carbone nella parte superiore della formazione di Gondwana, corrispondente al nostro Retico (Trias superiore) ed anche in terreni più recenti. La produzione carbonifera è però finora assai esigua.
Una florida industria in pieno e promettente sviluppo si fonda invece sopra i terreni petroliferi. I giacimenti di petrolio scoperti nell'Argentina in terreni diversi, a causa della migrazione del liquido, sono però sempre legati alla presenza di formazioni del Mesozoico medio e superiore (Lias, Giurassico, Cretacico) che hanno per questo ricevuto l'epiteto di petrolifere. Esse sono state rinvenute sotto le coperture di terreni più recenti, a Comodoro Rivadavia, a Plaza Huincal nel Neuquén, a Mendoza, e a Salta presso il confine della Bolivia. Sebbene gl'indizî petroliferi fossero noti da lungo tempo in varie località, l'industria odierna nacque nel 1907 da un felice rinvenimento casuale a Comodoro Rivadavia, sulle rive del golfo di S. Giorgio nel Chubut, dove nun esisteva indizio alcuno, dovuto a trivellazioni per ricerca di acqua potabile. Da quel punto cominciò lo sviluppo dell'estrazione del prezioso liquido, la cui produzione ha nel 1928 superato 1.400.000 mc.
Morfologia. - La morfologia dell'Argentina rispecchia con grande evidenza la genesi del paese, come appare dalle due cartine sulle individualità geotettoniche, e sulle linee strutturali, dovute a Keidel; è facile dedurre da esse le grandi provincie morfologiche che entrano a comporre la Repubblica. La maggiore è l'immenso bassopiano che dal confine settentrionale (22° lat. S.) scende al 39° parallelo S. circa, limitato a ponente dalle sierre più orientali e dalle Precordigliere, e a levante, prima dal margine occidentale del pianoro della Brasilia, penepiano antico sopraelevato, indi dall'estuario del Plata e dall'Oceano Atlantico, verso cui si allarga. Questo grande complesso tettonico (area di sprofondamento o elemento negativo) relativamente omogeneo anche sotto il punto di vista litologico, perché composto esclusivamente da terreni recenti di trasporto eolico e fluviale, si suddivide per cause climatiche ed idrografiche in più sezioni, distinte specialmente per il carattere dell'ammanto vegetale:
a) Chaco, continuazione dell'Amazzonia, fitto bosco subtropicale, solcato da fiumi a corso lento e vagante fra numerosi acquitrini (esteros, bañados, ecc.).
b) La Mesopotamia Argentina (provincia di Corrientes ed Entre Ríos) fra il Paraná e l'Uruguay, scendenti ricchi di acque dal pianoro brasiliano; bosco subtropicale, ma interrotto da vaste e frequenti radure erbose.
c) La Pampa a S. del Chaco, pianura sconfinata senza alberi né pietre, il "mar di terra", con vegetazione di erbe, di graminacee e di bassi cespugli, che a sua volta si suddivide in: orientale o litoranea (a cagione della libera navigazione dei fiumi del sistema platense si dicono litoranee le provincie lambite da questi) più ricca di precipitazioni, e occidentale o centrale, povera di piogge, più arida, nella quale si perdono in stagni temporanei (lagunas), oppure in saline, i fiumi scendenti dalle alte terre occidentali.
Questa massima fra le unità morfologiche di prim'ordine dell'Argentina, ha anche, all'infuori del Chaco difficilmente penetrabile, altissimo valore economico e per ciò antropogeografico. Limitata a ponente dall'Oceano e dai grandi fiumi navigabili, è la parte più accessibile del paese, la prima dove la conquista si è stabilmente affermata, e dove l'incivilimento ha compiuto i maggiori e più rapidi progressi. Ivi è sorta la nazione e trovato il suo nucleo fondamentale lo stato.
Il valore antropogeografico della grande pianura argentina è stato rivelato in un modo così singolare che merita di essere ricordato. Nel 1535 l'adelantado D. Pedro de Mendoza fondò sulla destra del Plata il porto di Santa María de los Buenos Aires, dove sorge la città attuale, ma la colonia non poté sostenersi per l'ostilità degli indigeni, i Querandíes, e per la grande povertà del paese. Dopo sei anni (1541) i coloni si ritrassero dall'inospite contrada, rifugiandosi all'Asunción del Paraguay, e nella fretta dell'imbarco abbandonarono alcuni capi del bestiame importato dall'Europa, specialmente cavalli. In quella pianura erbosa, dove, se pullulava la piccola selvaggina, mancavano affatto gli erbivori di alta statura, dove i nomadi indigeni stessi vivevano piuttosto di pesca nelle acque del fiume che di caccia, dove in un passato geologico recentissimo si era spenta, per cause ancora oscure, una fauna rigogliosa di animali di forme imponenti, quei pochi cavalli abbandonati a sé stessi si moltiplicarono prodigiosamente, formando branchi sterminati tanto da richiamare i coloni nel luogo disertato, e da indurre Don Juan de Garay a tornarvi, per fondare per la seconda volta nel 1580 quella che doveva diventare la metropoli dell'America Meridionale, e la città più popolosa dell'emisfero australe.
Lungo il margine occidentale del bassopiano si eleva la parte montuosa della repubblica, divisa in Ande proprie, e sierre anteposte, le quali a seconda della varia origine, posizione ed aspetto hanno ricevuto da N. a S. i nomi di Subandine, di Pampeane (Pampinee) e di Precordigliere. Nel passaggio dalla pianura alla montagna, con il mutare della natura litologica del suolo e delle condizioni climatiche, cambia il carattere della vegetazione: sul terreno più accidentato spesseggiano alberi ed alti cespugli, ora più ora meno fitti, con predominio delle specie xerofile. Al Chaco e alla Pampa succede verso ovest, in generale, tale rivestimento boscoso, che porta il nome di monte.
Le Sierre Subandine limitano verso ponente il Chaco, dal confine boliviano fino alla provincia di Tucumán. Sebbene abbiano origine e costituzione diversa dalle Ande, non se ne staccano però in modo distinto e netto, formano per così dire il primo spalto che verso il Chaco circonda l'elevatissimo e frastagliatissimo bastione orientale dell'altipiano della Puna. Con questa parola, che significa nella lingua incasica (quechúa) il mal di montagna, si designa il prolungamento dentro i confini dell'Argentina dell'altipiano della Bolivia, acrocoro di circa 4000 metri d'altezza, compreso fra i due rami orientale e occmentale della Cordigliera delle Ande. Nell'Argentina comprende la Puna de Atacama (governatorato di los Andes), la Puna di Jujuy, e in piccola parte anche di Salta. Fra le due catene principali che la contornano, con cime superiori ai 6000 m. (Nevado de Chañi, 6100 m.) corrono parecchie catene intermedie parallele, separate da pianure sabbiose, di carattere per lo più desertico, formanti bacini chiusi, nei quali durante le stagioni piovose le acque si raccolgono in vaste lagune salmastre, che evaporando poi nel resto dell'anno, dànno origine a pantani salati estesissimi e a saline (salinas), spesso contenenti borati (caliche), dovuti senza dubbio questi ultimi al dilavamento delle vaste distese di roccie vulcaniche recenti e dei loro tufi (andesiti, rioliti, ecc.) frequenti su quegli altipiani. Nella Puna però le precipitazioni sono scarsissime (da 200 mm. a 0) e anche sui picchi più elevati rari e poco estesi i nevati. Il limite delle nevi perpetue passa in quei luoghi poco sotto i 6000 metri.
A S. di Tucumán, lungo il margine occidentale della Pampa, emergono dalla pianura lunghe groppe rocciose, prima basse e rade, ma che vanno diventando, con l'avvicinarsi delle Ande, sempre più frequenti ed elevate. Sono le Sierre Pampeane, gruppi o fasci di cordoni paralleli o subparalleli, separati da pianure intermedie, spesso senza sfogo idrografico (bolsones) e racchiudenti perciò acquitrini salmastri e saline; gruppi che sebbene abbiano comuni la composizione e la struttura geologica, per essere staccati gli uni dagli altri, mancano di legame orografico apparente, quasi alte isole montuose sorgenti dal piano generale. Vi appartengono il ricco fascio di sierre di Catamarca e della Rioja, nelle quali ultime spicca la Sierra di Famatina con cime di 6200 m., la grande Sierra di Córdoba, la Sierra di San Luis, e le più occidentali della provincia di San Juan.
Per quanto, a causa del loro isolamento, facciano parte a sé, le sierre della provincia di Buenos Aires, rientrano nel tipo morfologico delle pampeane.
Al poderoso complesso pampeano, dal passo di S. Francisco a S. della Puna, fino alla Cordigliera Patagonica, succede, verso O., il versante argentino dell'imponente catena delle Ande, con le supreme vette del sistema, il Mercedario (6670 m.), l'Aconcagua (6960?) e il Tupungato (6550), suddivisa, unicamente per ragioni di struttura geologica, in Cordigliera propria, di rocce mesozoiche, sulla quale corre il confine politico verso il Chile, e Precordigliera, di rocce paleozoiche e cristalline, separata dalle Sierre Pampeane mediante un largo solco (v. ande).
A S. del Colorado, limite meridionale della Pampa, succede a questa la regione degli altipiani patagonici, con carattere di steppa in quanto a vegetazione. All'opposto del bassopiano argentino. la patagonia è un territorio di sollevamento, nel quale prevale il tipo di altipiano (meseta) elevato qualche volta fino a 1000 m. sul mare. I fiumi, scendenti dalle Ande Patagoniche al mare, lo attraversano incidendovi ampie e profonde vallate, fiancheggiate da ripide terrazze di erosione, che vanno a collegarsi con quelle della costa atlantica (barrancas). Tutte le formazioni geologiche, piuttosto eterogenee, che costituiscono la Patagonia, sono state ridotte al comune tipo di altipiano, sia perché le più antiche erano già ridotte a penepiani dall'abrasione, sia perché le più recenti (terziarie) sono ancora rimaste indisturbate dal tempo dalla loro deposizione.
Fra il margine O. degli altipiani e le Ande Patagoniche si stende la regione dei laghi a tipo di fiord o lago alpino, la maggior parte dei quali di origine glaciale. Molti, come uno dei maggiori, il Nahuel Huapí mandano le acque all'Atlantico; ma un certo numero invece, come il Buenos Aires, hanno un emissario verso il Pacifico in grazia di captazioni a favore del piovosissimo versante cileno, talune delle quali avvenute anche in tempo recentissimo.
Notevole singolarità degli altipiani della Patagonia sono taluni bacini lacustri scavati in essi, del tutto indipendenti dall'attuale idrografia, e nonostante la rilevante profondità completamente prosciugati dall'aridissimo e ventoso clima. Tali sono, nel territorio del Neuquén, la Cuenca de Vidal utilizzata dall'ingegnere Cipolletti come diversivo per accogliere le impetuose e subitanee piene del Neuquén a beneficio dell'irrigazione della valle del Río Negro, e più a N., sempre nel Neuquén, la molto maggiore Cuenca de Añelo, il cui fondo è 140 m. più basso della vicina valle del Neuquén. Sono da ricordarsi ancora il Bajo (basso) de Gualichú a S. del Río Negro, e il Bajo de San Julián, molto più meridionale.
Le Ande Patagoniche, che sono il secondo elemento morfologico della Patagonia, differiscono dalle Argentine per composizione e struttura geologica non solo, ma anche dal punto di vista della configurazione del suolo, perché più rotte e smembrate da valli profonde, a cagione della intensità incomparabilmente maggiore così delle pioggie, come del fenomeno glaciale quaternario. Partecipa alla struttura delle Ande Patagoniche anche un altro elemento che più a N. non si trova, e cioè una vasta piattaforma basaltica (v. ande meridionali). Qui il rivestimento vegetale è favorito dall'abbondanza delle precipitazioni, e si ha la foresta montana a base di faggi (Nothofagus).
Il piccolo territorio di Misiones, morfologicamente non distinto dalla Mesopotamia argentina, ne differisce per la costituzione geologica, essendo l'unico lembo di Brasilia che faccia parte del territorio argentino. Consta di arenarie rosse triasiche, nelle quali è intercalata un'imponente colata basaltica il cui margine precipitoso dà luogo alla grandiosa e bellissima cascata dell'Iguazú.
Sebbene la costa oceanica dall'estuario del Plata alla Terra del Fuoco presenti non pochi golfi e frastagliature, non ha in generale alcun rapporto con la struttura geologica del paese. Lo stesso Capo Corrientes, dove la Sierra del Tandil si avvicina alla costa, non è un aggetto costiero pronunciato, ma corrisponde appena ad un risvolto molto ottuso della linea litoranea. Nella provincia di Buenos Aires, fino alla foce del Colorado, la Pampa giunge al mare, terminandovi con una scarpata di 30-40 m. di altezza massima, di solito separata dalle acque oceaniche da una frangia di spiaggia sabbiosa, più o meno larga, corsa dalle onde dì marea. Una sola insenatura importante si presenta: Bahía Blanca, sede di un porto commerciale molto attivo di cereali e lane, congiunto a un porto militare, costruito dall'italiano ing. Luiggi.
Oltre la foce del Colorado e del Río Negro incomincia la costa patagonica, orlo alto e scosceso degli altipiani interni, rotto qua e là dagli sbocchi dei fiumi, e, sebbene ricco di golfi e di sporgenze, quali la penisola di Valdez, in sommo grado inospitale ed importuoso. Questo suo carattere impervio ha lasciato per lungo tempo incognito l'interno della Patagonia, rivelato soltanto dal 1880 in poi dalle numerose spedizioni di scoperta per via terrestre.
Idrografia. - In dipendenza dell'ora descritta morfologia, dal punto di vista idrografico, l'Argentina non ha che due versanti: il principale atlantico, e uno molto minore, pacifico, creatosi per buona parte mediante catture in un tempo abbastanza recente. A cagione però della grande irregolarità nella distribuzione superficiale delle piogge, più ancora che per ragioni strettamente morfologiche, non tutte le acque che si raccolgono sul versante atlantico giungono al mare, la maggior parte anzi del versante consta di bacini senza efflusso, nei quali le acque si perdono o evaporano prima di giungere a un corso fluviale sboccante nell'Oceano. Massimo sistema fluviale dell'Argentina è quello del Rio de la Plata, che mediante il Paraná, l'Uruguay e il Paraguay raccoglie i deflussi dell'altipiano brasiliano-uruguayano, della regione brasiliana a tipo amazzonico, del Matto Grosso, i fiumi del tratto più settentrionale delle Ande Argentine, che attraversano il Chaco e la pampa, dei quali uno solo scende dalle Sierre Pampeane, nonché qualche raro ruscello scorrente sul margine più vicino al basso Parana della Pampa stessa. I tre fiumi maestri Paraná, Uruguay e Paraguay ricevono il loro principale alimento dalle copiose piogge tropicali estive dell'Altipiano del Brasile. Nel loro corso inferiore tanto il Paraná quanto l'Uruguay sono larghe, maestose correnti a corso lento, ricche di acque e profonde, ciascuno con portata di magra intorno ai 6000 mc. per secondo, e che nelle piene salgono rispettivamente a 30.000 e 22.000 mc. al secondo. Le morbide (crecientes) del Paraná, sono estive, dal gennaio all'aprile, col massimo in marzo; l'Uruguay, che raccoglie le acque in una zona più temperata, ha le morbide dal maggio all'ottobre, con le magre (bajantes) in gennaio. La maggior linea navigabile è formata dal sistema Paraná-Paraguay di oltre 2000 km. di lunghezza, che risale dall'Atlantico fino all'Asunción, e al Matto Grosso nel Brasile, grande linea di penetrazione fluviale nel cuore del continente. Tanto il Paraná a monte della sua confluenza col Paraguay, quanto l'Uruguay, in vicinanza del gradino di passaggio dal suolo roccioso della Brasilia a quello più tenero della pianura centrale argentina, attraversano alcune rapide (saltos), ostacoli che hanno ritardato molto la conoscenza dei paesi attraversati dai corsi superiori dei due fiumi, e dei loro alti bacini.
I due maggiori fiumi del Chaco, il Pilcomayo e il Bermejo, portano al Paraguay le acque raccolte nelle valli scendenti dall'Altipiano Boliviano, dalla Puna di Jujuy, e dalle numerose valli subandine. Ciò però solo nei periodi di morbida, perché allora soltanto i loro corsi che si perdono in innumerevoli canali fra gli acquitrini del Chaco, arrivano al collettore. Questi fiumi, per quanto di portata cospicua nelle morbide, sono poco adatti alla navigazione, e hanno finora deluse le molte speranze in essi riposte, di farne le vie di accesso ai paesi subandini e di avvicinamento alla Bolivia. Finora solo sul corso inferiore del Bermejo, a costo di molti sforzi, si è potuto stabilire una modesta linea di vapori che lo risale per un tratto relativamente breve.
Direttamente tributario del Paraná è un altro fiume, il Salado, scendente dalle Sierre Subandine delle provincie di Catamarca, Salta e Tucumán, immediatamente a S. dei due precedenti, ma che evita il Chaco volgendo bruscamente in direzione meridiana al suo entrare nella pianura. Dopo varî impaludamenti (esteros) il Salado continua il suo corso, molto ridotto, nel piano della Pampa per raggiungere il Paraná presso Santa Fe. Dalle Sierre Pampeane un solo fiume scende al Paraná, il Carcaraña, sboccante fra Rosario e Santa Fe, il quale raccoglie quanto avauza di acqua dei due maggiori fiumi Tercero e Cuarto, che nascono nella Sierra di Córdoba.
Il Paraná, a valle di Rosario, si divide e suddivide in molti rami dando origine a ciò che si suol chiamare il delta del Paraná o anche las Islas. Dopo la confluenza con l'Uruguay, a Martín García, succede al delta l'estuario amplissimo del Plata, "mare di acqua dolce" costituito per lo più di bassi fondi, solcati da canali più profondi utilizzati per la navigazione, e dotati di segnalazioni (balizas) per facilitarla. Le maree dell'Atlantico, poco forti a causa del mare largo, hanno scarsa influenza sopra l'apporto del fiume, cosicchè l'acqua si mantiene costantemente dolce, fin quasi all'altezza di Montevideo. Le maree, ma soprattutto i venti, dànno luogo a quotidiane variazioni di livello del vasto specchio dell'estuario, sopra le quali è fondata la manutenzione delle vie di accesso dei due importantissimi porti fluviali di Buenos Aires e della Plata, in modo analogo a quanto avviene per opera della sola marea nel porto lagunare di Venezia.
Il secondo grande sistema fluviale, per estensione se non per ricchezza di acque, è quello del Desaguadero, il più espressivo fra i varî nomi che prende il collettore comune delle acque scendenti dalle innumerevoli valli del versante orientale delle Ande e dall'occidentale delle Sierre Pampeane, scorrente con direzione meridiana nel lunghissimo interposto solco. Questo collettore di oltre 1000 km. di lunghezza porta successivamente i nomi di Bermejo, di Desaguadero, di Bañados del Atuel, di Salado, di Chadi Leufú e di Curacó; a cagione della povertà delle pioggie e della secchezza del clima non giunge però al mare, e versa il modesto e saltuario avanzo delle acque perdute per via, nel primo dei fiumi patagonici, il Colorado. Ciò, nonostante i cospicui affluenti provenienti dai nevai delle Ande, quali il Río de San Juan, Río Mendoza, Río Tunayán, Río Diamante, Río Atuel. La valle di tale collettore del tutto sproporzionata come ampiezza rispetto alle acque che scorrono ora nel suo tratto inferiore, si è formata evidentemente durante un ciclo climatico a precipitazioni abbondanti, differenti dall'attuale.
Si sogliono considerare come formanti un sistema a sé il Río Colorado ed il Río Negro nel Governo di Neuquén, territorio di transizione fra Pampa e Patagonia, fiumi i cui bacini sorgentiferi si trovano nella catena delle Ande nel tratto di 700 km. circa, fra il 35° lat. S. ed il lago di Nahuel Huapí. La presenza di ghiacciai più numerosi e di laghi assicura una maggior perennità alle acque dei due fiumi, i quali però, usciti dalle Ande, assumono il carattere dei patagonici ed attraversano in valli a largo fondo alluvionale gli altipiani, senza ricevere da questi alcun contributo, formando essi bacini chiusi. Il Colorado, il più settentrionale dei due, ha nel suo corso inferiore delle portate di magra assai esigue, che gli dànno carattere torrentizio. È da ricordarsi la catastrofe avvenuta nel 1914 nella sua valle superiore, dove il lago Carri Lauquén (lago Verde) formatosi a monte di una frana preistorica, che sbarrò il corso del Río Barrancas, si svuotò in una notte, per il crollo subitaneo dell'argine naturale, perdendo un volume di circa 2 miliardi di metri cubi d'acqua, e 95 metri di livello. Il Río Negro risulta dal congiungimento del Río Neuquén a N. e del Río Limay a S., emissario quest'ultimo del gran lago Nahuel Huapí. Il Río Negro ha quindi non solo una portata assai maggiore ma più costante che non abbia il Colorado; la sua valle attraverso gli altipiani ha potuto quindi essere dotata di opere di irrigazione, mediante acqua derivata da una diga presso il congiungimento dei due fiumi superiori, secondo i progetti del Cipolletti.
Più a S., sul versante atlantico della Patagonia v'ha una serie di corsi d'acqua che incidono gli elevati altipiani del paese, aridi o addirittura desertici, e convogliano le acque di fusione dei ghiacciai delle Ande, o quelle degli acquazzoni della regione andina, con caratteri di fiumare, salvo quelli che ricevono contributi dei grandi laghi della Patagonia meridionale (lago Argentino e lago Viedma).
Il versante pacifico si divide in due parti: la meridionale, risultante dalle catture idrografiche, con le sorgenti sul margine occidentale dell'altipiano patagonico, e che dopo aver attraversato laghi più o meno grandi quali il Buenos Aires, il Puyrredón e il San Martín, tagliano con profonde gole le Ande patagoniche; la settentrionale che, comprende i rari corsi d'acqua del versante occidentale della Puna. L'insieme delle aree senza deflusso abbraccia più di metà della Repubblica, ed anche quando costituiscono un tutto continuo, come quella formata dalla Puna, dalle Sierre Pampeane, e dalla Pampa centrale, si suddividono in realtà in innumerevoli singoli bacini indipendenti gli uni dagli altri.
Taluni finiscono in specchi d'acqua permanenti, per quanto di estensione variabile, come la laguna de los Porongos, e la Mar Chiquita ad oriente delle Sierre Pampeane; altre invece in saline, come le Salinas Grandes nel NO. della Sierra di Córdoba, e altre numerose delle stesse Sierre Pampeane o degli altipiani della Puna. Lo stesso accade negli altipiani patagonici, salvo la minor frequenza ed estensione delle saline.
La vasta pianura argentina alberga numerosissime acque stagnanti, note col nome generale di lagunas, con superficie variabili a seconda delle stagioni, ora dolci ora salmastre, e distinte con una ricca terminologia, oltreché in lagunas vere e proprie, in esteros (ristagni) lungo i fiumi; cienagas (pozze fangose), bañados (acquitrini), cañadas (letti di torrenti), ecc., trapassanti spesso in saline. Laghi propriamente detti sono conosciuti soltanto nella regione andina, e come è noto i maggiori dell'Argentina si trovano al piede delle Ande della Patagonia, quali il più volte citato lago Nahuel Huapí, il lago Fontana, il Buenos Aires, il Puyrredón, il San Martín, il Viedma, l'Argentino, nei quali ultimi due scendono i ghiacciai delle Ande Patagoniche, allo stesso modo col quale nel quaternario i ghiacciai alpini in ritirata avevano le loro fronti nelle acque dei nostri laghi lombardi. Ha carattere speciale qualche lago chiuso negli altipiani patagonici, come i due laghi Colhué Huapí e Musters.
Clima. - L'Argentina estesa per 38 gradi nel senso meridiano, a partire dal 22° lat. S., e con catene di montagne elevate sino a 7000 m., racchiude necessariamente dentro ai suoi confini provincie climatiche molto diverse. Tuttavia i caratteri di queste si inquadrano entro certe linee generali derivanti dalla posizione del territorio fra due oceani, dalla sua forma e da quella del continente che si va restringendo da N. a S., e dalla presenza di un altissimo sistema di montagne lungo il margine occidentale. Ne risulta in primo luogo, rispetto alla ripartizione della pressione atmosferica ed ai venti, una divisione abbastanza netta in due grandi sezioni: una settentrionale, dal 22° al 42° parallelo circa, con venti periodicamente variabili in conseguenza del mutare delle stagioni, sotto l'influenza della Brasilia umida e coperta di folta vegetazione tropicale e subtropicale; ed un'altra meridionale, comprendente essenzialmente la Patagonia, spazzata in permanenza da forti venti di provenienza soprattutto occidentale. Nella sezione settentrionale i venti spirano in estate dal levante, per invertirsi nell'inverno. Fra le due sezioni, nella zona intermedia di trapasso, si determinano naturalmente squilibrî, con richiamo d'aria da S. a N., che dànno origine a venti caratteristici, come il noto pampero, vento fresco di SO., che talora moderato mitiga le estati sui margini dell'estuario del Plata, ma tal altra si abbatte violento sulla Pampa, sollevandovi nere nubi di polvere che oscurano il cielo (tormentas, hurracanes, torbellinos). Oppure come il vento del "Norte" che spira caldissimo appunto da N., e che nelle provincie più interne, situate nella parte più arida, come San Juan e Mendoza, soffia sfibrante ed ha ricevuto il nome di zonda. Sul vasto piano della Pampa, il vento più o meno forte spira perennemente, ed anzi a ciò è stata attribuita la mancanza di vegetazione arborea che la caratterizza. Più a S. nella Patagonia la violenza dei venti è tale da creare persino un serio ostacolo alla navigazione sopra quei laghi, che ne hanno le acque perpetuamente agitate.
Il regime delle precipitazioni è collegato con la direzione e la provenienza dei venti, ed oscilla in conseguenza fra quello delle piogge tropicali estive a data quasi fissa, dominanti nel NE., e quello delle piogge variabili, con massimi invernali. Ma più della distribuzione stagionale ha importanza la quantità delle precipitazioni oscillanti sopra la vastissima superficie fra limiti molto lontani, da 2000 mm. fino quasi a zero. Caratteristico è l'andamento delle isoiete (linee che congiungono i punti di uguale altezza di precipitazione media annuale), che hanno direzione per lo più molto vicina a quella meridiana, per modo che le zone comprese fra due isoiete, corrono sensibilmente parallele alla maggiore dimensione del paese, quasi da N. a S.
In generale le linee di massima precipitazione, superiori ai 1000 mm. annui, sono vicine ai due lati maggiori del paese; l'area più importante di forti precipitazioni si trova lungo il contorno della Brasilia, a ponente della linea fluviale costituita dal Plata-Paraná-Paraguay. Per trovarne un'altra, incomparabilmente più piccola, di piovosità uguale o superiore, bisogna scendere al disotto del 37° lat. S., lungo l'opposto confine occidentale chileno, passante sulla Cordigliera, dove, fino allo stretto di Magellano, penetrano saltuariamente nel territorio argentino, in lunghe e strette strisce, le aree di forte piovosità, che caratterizzano il versante pacifico della grande catena sud-americana. L'area di scarsa precipitazione (fra 250 mm. e 0) incomincia a N. della Puna, dove si hanno talora periodi di più anni senza pioggia alcuna, e scende parallelamente alle Ande, verso S., abbracciando le Precordigliere ed il versante occidentale delle Sierre Pampeane (valle del Desaguadero), allargandosi sempre più fino a raggiungere il mare alla foce del Colorado e coprire più a S. tutti gli altipiani patagonici fino al piede settentrionale delle alture che accompagnano lo stretto di Magellano. Ai due lati di questa zona arida meridiana la piovosità va aumentando, rapidamente ma in sottili strisce, verso O., dove sono le Ande; sopra larghissime aree, che comprendono la parte più abitata e fertile della repubblica, verso oriente.
Unica eccezione a questo andamento generale nella distribuzione superficiale delle precipitazioni, è un'area isolata di forte piovosità che va da Tucumán a Jujuy, con forma molto allungata, e dove in alcuni luoghi si superano i 1000 mm. di caduta. Quest'area dà luogo, in mezzo al territorio di clima asciutto, ad una specie di oasi verdeggiante, quella della provincia di Tucumán: l'unica che nell'Argentina coltivi la canna da zucchero in grande, e nella quale la vegetazione assuma sopra brevi distanze i più diversi caratteri, dal tropicale schietto fino al temperato; in modo da aver fatto paragonare quella felice plaga a un magnifico parco o giardino botanico naturale. Indubbiamente a creare tali condizioni ha fortemente contribuito la presenza della Sierra de Aconquija, che, immediatamente a ponente di Tucumán, si eleva con picchi superiori ai 5000 m., quasi senza transizione, sul piano centrale argentino. Un altro carattere notevole delle precipitazioni, nella parte piana dell'Argentina, è la loro estrema variabilità da un anno all'altro. Così nella stessa Buenos Aires, vicina al limite fra la Brasilia e la Pampa, con una precipitazione media annuale di 930 mm., si sono avute annate secche con 547 mm. (1893), e umide con oltre 2000 mm. (1900).
L'irregolarità delle precipitazioni, e la loro scarsità in certe parti del paese, fin dal periodo coloniale, ha dato origine ad una saggia economia delle acque a scopo agricolo, ed a sistemi di irrigazione ingegnosi per rendere possibili certe colture, che altrimenti non lo sarebbero state. Per esempio a San Juan ed a Mendoza, due provincie vinicole, la vite è una coltura irrigua. In tempi moderni si sono creati a tale scopo impianti grandiosi, quali il prima menzionato sbarramento di Neuquén, per irrigare la valle del Río Negro, e il noto serbatoio di San Roque, nella valle del Río Primero nella Sierra Chica di Córdoba, con 400 milioni di mc. di capacità.
Per la temperatura valgono considerazioni analoghe a quelle degli altri fattori climatici, estendendosi l'Argentina dalla zona torrida alle squallide solitudini della Terra del Fuoco, dove i ghiacciai finiscono in mare. Per quanto latitudine ed altitudine influiscano visibilmente sopra l'andamento delle isoterme annuali, che nella parte bassa e piana seguono più o meno prossimamente i paralleli, ed assumono invece un andamento quasi meridiano lungo la Cordigliera, non meno evidente è l'aderenza del valore estremo delle medie estive ed invernali, all'andamento della zona longitudinale intermedia di minima precipitazione, che dalla Puna per la valle del Desaguadero si estende alla maggior parte della Patagonia. In questa zona di pioggia scarsa o nulla si trovano le massime e le minime temperature, e soprattutto i massimi delle escursioni termometriche così annuali come diurne. Infatti l'area delle massime temperature estive corrisponde ad un'area circondata da una curva chiusa, compresa nella parte più bassa delle provincie di Catamarca, La Rioja, e San Juan, dove la media del gennaio è di 30°, così alta da costituire, secondo i meteorologi, l'area più calda dell'America Meridionale, sebbene, per essere di qualche grado a S. del tropico, stia completamente fuori della zona torrida. Intorno a questa zona le temperature vanno diminuendo tanto verso N. quanto verso S., ma in quest'ultima direzione le isoterme corrispondenti al gennaio presentano tutte una caratteristica cuspide verso S. quando attraversano la fascia arida settentrionale. E appunto in questa fascia si verificano pure le maggiori escursioni stagionali di temperatura che vanno oltre i 15° fra la media estiva e la invernale, mentre nella parte orientale della Repubblica sia per influenza della maggiore umidità della Brasilia, sia, più a sud, del mare, il clima, pur obbedendo alle esigenze della latitudine, è sensibilmente più temperato e minore l'ampiezza dell'escursione termometrica regionale, sempre inferiore a 15° e talora come nella Mesopotamia Argentina inferiore ai 10°.
Per le medesime ragioni, nella zona secca dianzi nominata, la differenza fra la temperatura massima e minima in una stessa giornata, specialmente l'inverno a causa della costante serenità, è talora enorme e giunge nelle parti meno elevate, sul mare, a 19-20°. A maggiori altezze si superano queste cifre e chi scrive ha osservato nella Puna di Jujuy, a 4000 m. di altezza e a N. del tropico, nel mese di maggio, una temperatura di −8° all'alba e di +38° all'ombra nel pomeriggio. Ciò naturalmente in una regione di carattere desertico.
Secondo il Kühn l'Argentina si può dividere in quattro regioni climatiche: la subtropicale schietta, la subtropicale temperata, la temperata, e la regione andina; taluna delle quali si può suddividere in provincie: cosicché si avrebbero in totale nove provincie climatiche.
Flora. - La flora argentina non è ancora completamente conosciuta. Non esiste finora alcuna opera d'insieme che dia un aspetto un po' completo della fisionomia fitogeografica del paese; solo la Patagonia è stata oggetto di numerosi ed accurati lavori compiuti da botanici eminenti come Spegazzini e Haumann, tra quelli che hanno risieduto nel paese, e come Hooker, Skottsberg, Dusen ed altri tra gli stranieri che esplorarono e studiarono materiali raccolti nell'ampio altopiano patagonico. Su altre regioni del paese non si hanno nemmeno cataloghi sommarî e vi sono provincie e grandi estensioni di indiscutibile interesse economico sulle quali non esiste un solo lavoro botanico.
Grisebach nel 1872 nella sua opera sulla vegetazione del mondo, abbozzò la fisionomia botanica della repubblica Argentina. Pochi anni dopo il dottor P. G. Lorenz pubblicò il suo Cuadro de la vegetación argentina, adottando le divisioni di Grisebach. Nel 1881 il dottor E. L. Holmberg, collaborando al censimento della provincia di Buenos Aires, scrisse un saggio sulla flora di quella provincia che ripeté nel capitolo sulla flora Argentina, apparso nel libro del censimento generale della repubblica Argentina (1895).
Il dottor Carlo Spegazzini pubblicò anche al principio di questo secolo, un sistema fitogeografico dell'Argentina, che fu seguito con leggiere modificazioni da Haumann nella sua botanica (1910).
A quest'ultimo botanico, che durante 20 anni ha lavorato accuratamente sulla flora argentina, si deve lo studio più recente (1920) sull'aspetto della vegetazione del paese. Haumann distingue le seguenti regioni e formazioni: 1) la steppa patagonica; 2) i boschi sub-antartici; 3) il bosco e la zona andina corrispondente; 4) i boschi e le zone coperte sub-tropicali; 5) la prateria pampeana; 6) la mesopotamia.
Non è possibile stabilire con precisione i limiti esatti di tutte queste formazioni, perché, come si è detto, gli studî d'insieme sono varî, ed esistono in natura zone di transizione attraverso le quali si passa insensibilmente dall'una all'altra formazione.
L'opera di maggiore importanza dal punto di vista floristico per l'Argentina erano fino a pochi anni fa, le Symbolae ad Floram Argentinam di Grisebach, pubblicate a Gottinga nel 1878 e che citano 2265 specie di piante vascolari nel centro, NE., ed E. (Entre Ríos) del paese, raccolte dai dottori P. G. Lorenz e J. Hieronymus. Secondo un calcolo approssimativo le specie vascolari che vivono spontanee nel vasto territorio argentino sono 10.000. Il Museo nazionale di storia naturale di Buenos Aires ha iniziato l'edizione di un catalogo ragionato della flora argentina, di cui finora si sono pubblicati due volumi, uno per le Gimnosperme e le Monocotiledoni, e un altro per una parte delle Dicotiledoni (Salicaceae-Droseraceae).
La media annuale di piogge raggiunge dai 100 ai 500 millimetri e il numero di precipitazioni oscilla da 20 a 50 secondo gli anni.
Le piante tipiche sono alberi o arbusti xerofili, privi spesso di foglie o con foglie molto ridotte, in alcuni casi rivestite di resina, in altri provviste di spine.
I principali elementi del bosco sono le jurillas, Zigofillacee, del genere Larrea corrispondenti a tre specie diverse: L. divaricata Cav., L. nitida Cav. e L. cuneata Cav., arbusti costanti in questa formazione, specialmente la prima specie; la seconda caratterizza meglio la parte australe della formazione insieme col salicc rosso che fiancheggia i margini del fiume Chubut (Salix Humboldtiana Willd.). C'è un'altra Larrea in Argentina che si trova però nella formazione patagonica; è un arbusto tortuoso e sdraiato sul suolo, descritto da Spegazzini col nome di Larrea Ameghinoi, in onore dei celebri paleontologi di questo cognome. Le foglie di jarillas sono rivestite di abbondante resina, cera, materia grassa, gomma; si impiegano nella medicina popolare, come diaforetici, febbrifughi, ed emmenagoghi, i rami verdi si usano per tingere la lana, alla quale comunicano lo stesso colore.
Altri elementi sono: il chañar (Gourliea decorticans Gill.) Leguminosa dei bei fiori gialli; la brea (Cerdium praecox [R. et Pav.] Harms.), anche leguminosa, distinta nettamente dagli altri alberi del bosco per il suo tronco e per i rami di colore verde abbastanza vivo, che secernono una gomma di applicazione industriale; il molle, anacardiacea polimorfa del genere Schinus (Sch. dependens O rt.), che si distingue per le galle che generalmente porta, originate da diversi insetti; il piquillín, ramnacea del genere Condalia; l'atamisque o mata negra, capparidacea monotipica del genere o sombra del toro, santalacea emiparassita del tala, densamente coperta da foglie romboidali, da cui il nome specifico di Iodina rhombifolia, ecc.
Tra le macchie si osserva il peleo, arbusto medicinale della famiglia delle Verbenacee (Lippia turbinata Gris.) ed altre specie di questa famiglia e della famiglia delle Solanacee (generi Lycium e Grabowskia). Ma, soprattutto, bisogna ricordare le LeguminoseMimosoidee dei generi Prosopis e Acacia.
L'algarrobo o meglio algarrobo blanco occupa la maggior parte delle estensioni di questa formazione; il suo nome botanico è Prosopis alba Gris. È un bell'albero che non raggiunge grande altezza; il fogliame delicato produce un'ombra molto gradevole, i suoi fiori sono riuniti in dense spighe che si fanno notare per il colore giallo degli stami. È molto benefico nelle regioni dove vive, ed è perciò che per antonomasia lo si chiama "l'albero", il frutto e il seme sono ricchi di principî zuccherini, e costituiscono un alimento molto apprezzato, tanto per l'uomo quanto per gli animali: ridotti in farina s'impiegano per fare torte (patayes), e fermentati producono la bibita alcoolica detta aloja. Il bestiame mangia volentieri i legumi che cadono dagli alberi, risorsa importante per la pastorizia, specialmente nell'epoca di maggiore siccità, quando la mancanza di foraggio naturale è quasi assoluta. L'algarrobo negro (Prosopis nigra Gris.) è molto simile al precedente, sebbene il suo portamento sia meno svelto; il suo frutto quando matura è nero; è meno frequente del bianco.
Nel territorio della Pampa Centrale che comprende questa formazione e in parte nella provincia di San Luis esistono grandi estensioni coperte da caldenes, alberi di bell'aspetto, con grosso tronco scabroso, di grande altezza, molto ramosi e che sono attivamente sfruttati per la legna e per pavimentare le vie di Buenos Aires. La tassonomia di questi caldenes è alquanto discussa; la si attribuisce a una varietà del Prosopis algarrobilla Gris.
L'albero che si mischia con i precedenti è il quebracho blanco, apocinacea del genere Aspidosperma, la cui corteccia è ricca di alcaloidi, in rapporto alla costituzione chimica del suolo. Nella Sierra di Córdoba esiste anche un albero di foglie simili all'avellana, la Ruprechtia corylifolia delle Poligonacee, insieme con un altro che si chiama coco, che è la Fagara coco, la cui corteccia è coperta da grossi aculei e le foglie sono ricche di ghiandole contenenti un olio essenziale.
Nel bosco abbondano le Cactacee, piante curiosissime che danno al paesaggio un aspetto speciale che richiama l'attenzione del viaggiatore. Queste specie di tunas, quiscos, pencas, o cardones sono state bene studiate dal dottor Spegazzini in parecchi lavori, riassunti recentemente nella monografia della famiglia per opera dei botanici nord-americani Britton e Rose.
Fra le numerose piante di questa famiglia due specie sono particolarmente interessanti: Trichocereus pasacana (Web.) Britt. e Rose e Trichocereus Terschecki (Parm.) Britt. e Rose. La prima è comune in tutti gli altipiani e pendii di montagne delle provincie di Catamarca, Salta, Jujuy e Tucumán in luoghi ombrosi e pietrosi; è una pianta esclusivamente alpina poiché non vive mai ad un'altezza minore dei 1000 metri e giunge sino ai 3500; la statura degl'individui varia con l'altezza sul livello del mare, raggiunge i 5 metri nei luoghi meno elevati, dove anche si presenta ramificata; gl'indigeni utilizzano il suo scheletro legnoso tutto reticolato e perforato per la costruzione di case. L'altra specie è quella che chiamano cardón del valle, che non supera mai mille metri sul livello del mare; di portamento più svelto del precedente giunge quasi ai 12 metri d'altezza dando fiori bellissimi di grandi dimensioni; nelle valli di Calchaquí le donne utilizzano le spine per tessere calze. Le Graminacee del bosco si caratterizzano, data la natura del suolo dell'ambiente, per le foglie dure e strette e arrotolate. Esse appartengono ai generi Stipa, Aristida, Boutelona, Pappophorum, Chloris, Trichloris, Poa ecc.
Abbondano anche le Composite di consistenza quasi sempre legnosa, soprattutto dei generi Baccharis, Senecio, Eupatorium, Vernonia, Tessaria, Flourensia, ecc. Del primo genere ci sono specie tossiche come il romerillo (Baccharis coridifolia D.C.) che deve i suoi effetti mortali a una sostanza resinosa.
Faremo notare infine l'esistenza in questa formazione di una palma, la Trithrinax campestris (Burm.) Drude e Gìris., che si trova in determinati luoghi delle sierre di San Luis e di Córdoba, nelle provincie di Santiago del Estero, Tucumán e Salta. È la stessa specie di Entre Ríos.
La regione andina corrispondente al bosco è caratterizzata da un clima aspro e rude e, così forte è la siccità che regna in quelle contrade desolate, che una piccola pioggia costituisce un avvenimento straordinario. Raggiunge un'altezza che oscilla sui 4000 metri; l'acqua è molto scarsa e la vegetazione si riduce a piante rachitiche, dure, con profonde radici legnose, senza foglie o con foglie piccole, coriacee o intricate; caratteristica la presenza della yareta o llareta (Azorella yareta Haum., delle Umbellifere) vegetale a cuscino che costituisce un vero albero sotterraneo nel quale tra ramo e ramo si forma una massa di resina, terra e foglie, la qual cosa comunica alla pianta un aspetto molto singolare. Altre piante che si trovano in questa regione sono quelle dette tola, che appartengano a varie specie dei generi Lepidophyllum, Baccharis ecc.; ci sono anche Leguminose dei generi Astragalus e Adesmia, Violacee del genere Viola, Rosacee del genere Acaenia, Crucifere dei generi Draba e Hexaptera, Portulacacee del genere Calandrinia, Graminacee dure dei generi Poa, Stipa, Melica, Elymus ecc. È la vegetazione che precede le nevi perpetue.
Oltre l'Azorella citata, ci sono altre specie dello stesso genere e del genere Bolax che s'impiegano come combustibile nelle locali fornaci del borace.
L'uomo, nella sua ansia di popolare e d'incivilire, ha introdotto inconsciamente in questa formazione piante esotiche che rendono grandi benefici alla pastorizia; come la specie cosmopolita Erodium cicutarium L'Herit., nota volgarmente come alfirelillo, e le leguminose del genere Medicago, dette trébol de carretilla, le quali costituiscono ottimi foraggi in primavera e in inverno.
L'immensa regione fitogeografica dei boschi e delle savane sub-tropicali comprende tutto il nord del paese, dalla Sierra del Aconquija, le montagne più orientali che si staccano dalla Cordigliera delle Ande, fino ad una linea che lega il sud di Tucumán con il centro della provincia di Corrientes, linea che è alquanto difficile precisare per la sua eccessiva tortuosità.
Si osservano in questa formazione tutte le transizioni tra i boschi con caratteri di selva, nettamente igrofili, come quelli che ci sono in Misiones, e i boschi secchi del Gran Chaco, che comprendono il nord della provincia di Santa Fe, parte della provincia di Santiago del Estero, la parte est della provincia di Salta e i territorî di Formosa e Chaco. E alternate con i boschi abbiamo savane, cioè luoghi che assomigliano a praterie, ma con piante alte e dure, sparse di arbusti e di palme.
Le caratteristiche climatiche sono le seguenti:
La quantità di precipitazione pluviale giunge fino a mm. 1500; la quantità minima è di 600 mm. e il numero delle precipitazioni è di circa 100, secondo i luoghi.
La parte di questa formazione dove esistono vere selve di carattere tropicale è relativamente ridotta; ciò avviene in parte del territorio di Misiones e nelle provincie di Tucumán, Salta e Jujuy, dove il calore e l'umidità si uniscono in maniera da originare questa vegetazione esuberante, ricca di alberi che raggiungono grandi altezze e sotto i quali vive gran quantità di arbusti erbacei, felci, muschi ed epifite come le Orchidee e le Bromeliacee. È stata segnalata nelle selve di Misiones la presenza di Triuridacee e di Burmanniacee, famiglie le cui specie hanno vita saprofitica.
Le specie di alberi dei boschi argentini raggiungono la cifra di 400 e molte di esse sono attivamente sfruttate. Sono state specialmente studiate dai botanici Lillo e Spegazzini.
Ricorderemo per Misiones le seguenti specie d'importanza economica: Ilex paraguariensis St. Hil. delle Aquifoliacee, albero alto di larga chioma, comune in certi paraggi detti yerbales. Abbastanza sfruttato e semidistrutto allo stato spontaneo, viene ora coltivato per il valore delle sue foglie la cui infusione, il mate, costituisce il surrogato del tè e del caffè; Cordia aliodora (R. et Pav.) Cham., delle Borraginacee, detta loro negro; Auracaria brasiliana A. Rich, delle Pinacee, che è il pino del Brasile; Piptadenia rigida Benth., delle Leguminose, il cui legno duro è molto apprezzato, si chiama curupayrá; Pterogyne nitens Tul., anche delle Leguminose, nota col nome di ybyraró vive anche in Salta, dove la chiamano tipa colorada o palo mortero; Cabralea oblongifoliolata C. DC., delle Meliacee, è la cancherana; Cedrela fissilis Vell. var. macrocarpa C. DC. della stessa famiglia della precedente, l'albero più prezioso di Misiones, il noto cedro, il cui legno è quello che maggiormente si esporta; Balfourodendron Riedelianum Engl., delle Rutacee, detta guatambú-morotí che fornisce un legno molto elastico; Aspidosperma olivaceum Müll., delle Apocinacee, nota col nome di guatambú amarillo; Tecoma ipe Mart., delle Bignoniacee, il lapacho negro, il legno di maggior valore dopo il cedro, ecc. Nei boschi di Tucumán, Salta e Jujuy, si trovano con molte altre le seguenti essenze importanti: Iuglans australis Gris., il noto nogal di Tucumán, legno molto apprezzato per la fabbricazione dei mobili; Piptadenia macrocarpa Benth., delle Leguminose, detta correntemente cebil colorado, utilizzata per lavori di falegname e la cui corteccia è un eccellente conciante; Miroxylon toluiferum L. f., delle Leguminose, detta comunemente quinaquina, molto apprezzata per i lavori di ebanisteria, oltre che come pianta medicinale per il balsamo che essa produce; Astronium urundeuva Fr., delle Anacardiacee, nota comunemente come urunde; Cedrela Lilloi C. DC., specie molto simile al cedro di Misiones, acquista grande sviluppo e il suo legno è un poco più molle e stopposo.
Dove meno piove, i boschi sono radi e si sviluppa una vegetazione erbacea vigorosa, praterie o savane con isole di alberi e non è raro il caso di boschi in galleria disposti lungo il corso dei fiumi e dei torrenti. Questa è la vegetazione caratteristica di immense estensioni del nord di Santa Fe, Chaco, Formosa, nord di Corrientes, e sud di Misiones. In questi boschi, meno in queste due ultime divisioni politiche, si trovano il quebracho colorado, Schinopsis Lorentzii Enhl. e Sch. Balansae Engl. (Anacardiacee); questo ultimo, di grande importanza industriale, è attivamente sfruttato per il tannino che se ne estrae. Vivono anche colà l'urunday (Astronium), il palisandro (Bulnesia), ecc., mischiati con elementi dei boschi del Brasile, Bolivia e Paraguay e con elementi di alberi da frutta: chañar, varî algarrobos, ecc.
La vegetazione erbacea dipende dalla frequenza o scarsità di piogge; nelle zone piovose le Graminacee, per esempio, acquistano uno sviluppo enorme. Queste piante raggiungono altezze rilevanti per la famiglia e, a volte, hanno lignificate le basi e le foglie sono abbastanza dure. Si trovano rappresentati i generi Andropogon, Triodia, Panicum, Chloris, Paspalum, Pappophorum ecc., i quali si mischiano spesso con Composite e con numerose altre specie di famiglie diverse.
Per approfittare del rendimento zootecnico delle Graminacee naturali gli estancieros praticano la bruciatura dei campi, procedimento sempre pericoloso, mediante il quale le piante ritornano a svilupparsi dando un pascolo più tenero.
Il quadro che abbiamo riassunto si completa in molte contrade con la presenza di palme in grande quantità: il yatay (Cocos yatay Mart.) in Corrientes, sud di Misiones ecc. e il caranday (Copernicia ailstralis Becc.) nel Chaco e Formosa.
Per dare un'idea approssimativa della ricchezza floristica di questa formazione sub-tropicale aggiungeremo che si sono riconosciute nel termine di sei anni non meno di 500 nuove specie di fanerogame e ne sono allo studio altrettante che verranno mano a mano illustrate.
La formazione fitogeografica della prateria pampeana, che non bisogna confondere con il territorio nazionale della Pampa, comprende la parte più fertile e ricca del paese, in un'estensione di circa 500.000 chilometri quadrati. È limitata all'est dal Paraná e comprende la provincia di Buenos Aires, nella sua quasi totalità, il sud della provincia di Santa Fe e Córdoba e l'estremo NE. del territorio della Pampa. Le rive dei fiumi Paraná e Plata hanno una flora speciale costituita da elementi della mesopotamia e dai boschi e savane sub-tropicali, e il gran delta del Paraná offre una lussureggiante vegetazione sub-tropiLale che, secondo l'ambiente, è marcatamente igrofila.
Il suolo della prateria Pampeana è di composizione uniforme, formato dal cosiddetto loess pampeano, terra argillo-arenosa di grana fina, senza ciottoli, e di notevole fertilità, quasi perfettamente orizzontale; fatto, questo, che facilita il pericolo delle inondazioni. Le correnti o depositi naturali di acqua sono scarsi o d'importanza ridotta, ma gli strati acquiferi sono praticamente inesauribili.
Le precipitazioni pluviali sono immense in questa formazione, e oscillano numericamente tra 50 e 100 all'anno, raggiungendo mm. 1000 di media annuale. Se queste piogge fossero meglio distribuite, e fossero più regolari, questa regione potrebbe essere prodigiosamente ricca dal punto di vista agricolo-zootecnico.
Il clima è temperato o temperato caldo, e, a volte, non esistono veri inverni. Le cifre seguenti dànno un'idea della climatologia pampeana:
L'irregolarità del regime pluviale fa sì che, malgrado si tratti di una vegetazione continua, che copre, cioè, completamente il suolo, essa sia nettamente xerofila in ragione delle estati calde con siccità molte volte prolungate.
La caratteristica botanica della prateria pampeana è costituita dalla mancanza assoluta di alberi. Lo studio delle associazioni vegetali che la coprono non è ancora compiuto; la sua vegetazione primitiva dominante è costituita dalle Graminacee del genere Stipa, dette volgarmente flechillas per i loro fiori muniti di lunghe reste con peli fini allorché maturano i frutti; ciò dà alla pianura l'aspetto di un tappeto interminabile. Altri generi di Graminacee in essa rappresentati sono: Aristida, Andropogon, Chloris, Poa, Bromus, Paspalum, Setaria, Festuca, Agrostis, Eragrostis, Melica ecc.
Nelle depressioni senza uscita dei terreni si depositano le acque fluviali e si originano lagune permanenti o temporanee. La flora in queste conche è poco variata ed è caratterizzata dalla presenza dei juncos (Scirpus riparius). In altri casi domina la totora (Typha dominguensis Pers.) o affiora i suoi pennacchi bianchi la cortadera (Cortadera dioica Spreng. Speg.), pianta questa che dà una nota singolare al complesso. Insieme con le Giraminacee sopra citate si mischiano Composite, Leguminose, Solanacee, Geraniacee, Oxalidacee, (vinagrillos, molto abbondanti), Verbenacee (la margarita punzó dai bei fiori), Umbellifere (Eryngium, dall'aspetto di Bromeliacee), Amarillidacee (Zephyranthes e Hippeastrum), Iridacee (Sisyrinchium), ecc.
Nel sud della provincia di Buenos Aires esistono due sistemi di sierre di carattere arcaico: sono quelle della Ventana e del Tandil, con una flora assai ricca specialmente dal lato NE., perché si trova protetta dai venti sempre freddi e rudi dei quadranti del sud. Le fenditure di queste masse pietrose, la cui altezza massima è di 1000 metri in determinati picchi, sono coperte da felci, muschi e licheni e si trovano altre piante come l'amor seco (Blumenboachia, Loasacea), la curiosissima Plantago Bismackkii, volgarmente detta llantén, ramificata semilegnosa con foglie a ciuffo, grigie, lineari; e molte altre specie di diverse famiglie.
Ci sono in queste montagne vegetali legnosi, come la Ramnacea spinosa detta brusquilla (Discarea longispina) le cui radici molto sviluppate contengono abbondante tannino; questa pianta non è esclusivamente serrana, ma discende anche alla pianura, in terreni duri. Ricorderemo per questa flora caratteristica la Pernettya mucronata, Ericacea patagonica e il curamamoel (Colletia cuciata) altra Ramnacea afilla, coi rami molto spinosi, opposti, alterni a forma di triangoli scaleni col cateto minore volto in su, ferocemente pungenti.
Queste sierre (de la Ventana e Curá Malal) sono state studiate botanicamente, dai dottori Holmberg e Spegazzini, i quali hanno riconosciuto nella loro flora 72 famiglie e 700 specie.
È necessario far notare l'incremento che hanno preso in questa formazione specie esotiche, nella regione più coltivata e popolata; molte di queste specie sono favorevoli alla pastorizia, come certe Graminacee (Briza minor, Bromus mollis, Poa spp., ecc.) alcune Leguminose e Geraniacee, ecc., mentre altre specie introdotte sono nocive per l'agricoltura come i cardos (Cynara, Carduus e altri generi), abrepuño (Centaurea), abrojo chico (Xanthium spiñosum), l'abrojo grande che è molto diffuso e costituisce una piaga ufficialmente riconosciuta; è una specie originaria dell'America e non dell'Europa come si credeva fino a poco tempo fa ed il suo nome scientifico è Xanthium Cavanillesii.
L'aratro e la presenza di pecore favoriscono lo sviluppo e la diffusione di questa vegetazione esotica; ma se in un campo dove queste piante abbondano si fanno pascolare animali bovini presto ritorna la vegetazione primitiva costituita dai pascoli forti.
L'ombú (Phytolacca dioica L.) che erroneamente si è considerato come una pianta indigena della prateria pampeana, è un'erba che vive spontaneamente nei piccoli boschi che crescono sulle rive del Plata e del Paraná, associato con tala (Celtis), coronillo (Scutia), sombra del toro (Iodina), e nelle provincie di Santa Fe, Entre Ríos e Corrientes; quest'ultima provincia sembra esserne il centro di dispersione. Questo vegetale fu piantato nella Pampa in vicinanza delle case e come segnale dai primi coloni per orientarsi nell'immensità di quella distesa di terra la cui monotonia era assoluta. Va considerata come un'erba, perché il suo tronco è carnoso succoso, e un ramo di tre anni, per esempio, può presentare fino a 20 cerchi; il che non si riscontra negli alberi propriamente detti.
Il sud della provincia di Corrientes e tutta la provincia di Entre Ríos costituiscono la formazione mesopotamica.
In buona parte essa è formata dall'associazione vegetale detta Selva di Montiel che giunge a poche leghe dai grandi fiumi Paraná e Uruguay. È un tipo di bosco molto omogeneo, aperto, nel quale predominano le Leguminose-Mimosoidacee: espinillo (Acacia cavenia), algarrobo (Prosopis), nandubay (Prosopis), quebracho blanco (Aspidosperma), e ha anche la caratteristica di presentare altri elementi abbastanza costanti; la palma Trithrinax campestris (Brum.) Drude et Gris., che già abbiamo nominato per la formazione del bosco, che si presenta in gruppi da 6 a 8 individui, ognuno dei quali esce per germinazione dalla base dell'altro. Un altro tipo di palma, meno abbondante e della quale esistono colonie in prossimità della città di Concordia (Entre Ríos), è il yatay (Cocos yatay Mart.).
Il terreno di Montiel è sommamente ondulato, ha torrenti, acquitrini e lagune. I fianchi delle colline sono ricchi di pascoli molto sviluppati. Le cime ampie e poco accidentate sono più sterili, la vegetazione è più bassa e il bosco si presenta spesso sotto l'aspetto quasi uniforme di arbusti. Insieme con gli elementi prima nom-nati, si trovano in queste macchie: chañar (Gourliea), coronillo (Scutia), ceibo (Erythrina), molle (Schinus), e altre specie subarbustive ed erbacee tra le quali figurano anche le Cactacee. Affioramenti pietrosi non esistono in Montiel, salvo le rocce degli abbassamenti dei fiumi, i cui letti sono formati da una terra argillosa, mischiata, a volte, con piccole pietre. Lungo il Paraná l'aspetto delle sponde cambia, con la comparsa di formazioni terziarie.
L'uniformità di Montiel è solo interrotta dai campi aperti e dai piccoli boschi igrofili di certi fiumi e torrenti. I primi si debbono in gran parte al disboscamento che si compie per lo sfruttamento del legno, col quale si fa il carbone che si consuma a Buenos Aires. Questi campi aperti sono destinati all'agricoltura. In essi si coltiva preferibilmente il grano, il granturco e l'avena. I piccoli boschi lungo le rive dei corsi d'acqua presentano una vegetazione esuberante che contrasta con quella precedente. Si nota preponderanza di Mirtacee ed Euforbiacee, oltre il vivaro (Ruprechtia).
Differente dall'uniformità di Montiel è la vegetazione della riva del Paraná che forma una fascia relativamente stretta, limitata in certi casi alle sponde del fiume. Nei luoghi favoriti la flora si mostra in tutto il suo splendore ed è differente per alcuni elementi da quella del fiume Uruguay e dai suoi affluenti. Essenze comuni ai due tipi sono: Inga, Erythrina, Eugenia, Scutia, Rapanea, ecc., ma mentre mancano piante che si trovano sui declivî dell'Uruguay, ce ne sono altre che rappresentano la flora di quella regione nel bosco di Córdoba e nel Chaco, come per esempio il mistol (Zizyphus), il guayacán (Porlieria), il timbó (Enterolobium), ecc.
Questo è, in succinto, l'aspetto della vegetazione argentina, originata dalle derivazioni di tre centri fondamentali: la flora tropicale della Cordigliera delle Ande ad O., quella del massiccio brasiliano ad E., e, nelle regioni australi, un tipo speciale di vegetazione, legato, senza dubbio, a zone del continente oggi scomparse.
Fauna. - Dal punto di vista zoogeografico, l'Argentina rappresenta attualmente una parte della regione neo-tropicale; il territorio di NE. appartiene, fino alla conca del Paraná e del Plata, alla sub-regione guayano-brasiliana e il resto del paese alla sub-regione patagonica. I limiti di questa divisione non appaiono ben netti, e variano indubbiamente attraverso il tempo, almeno per molte specie; così il giaguaro o tigre americana, che meno di un secolo fa giungeva fino al Río Negro, attualmente si trova soltanto nell'estremo nord della repubblica, mentre il guanaco si ritira sempre più verso il sud, ciò che prova come il fattore incivilimento vada annoverato fra le cause precipue di questi cambiamenti. La parte NE. del paese costituisce una zona faunistica a sé, con una fauna somigliante a quella del Brasile: a questa appartengono scimmie, tapiri, giaguari, tucani, boa e caimani; la zona sub-tropicale o dei boschi. Nel resto del territorio è facile distinguere altre tre zone: quella delle pampe, che si estende al sud della precedente, fino al Río Negro; la zona desertica, che comprende la Patagonia e la Terra del Fuoco; e la zona andina o della puna che comprende la regione montana della catena delle Ande. Sebbene queste tre zone sembrino presentare una somiglianza superficiale che le distingue marcatamente dalla regione sub-tropicale, ognuna di esse ha caratteristiche sue proprie, con forme animali particolari, che, in certo qual modo, servono a definirle; così, la viscacha, il fiandú o struzzo americano e il chajá (Chauna) dànno il carattere faunistico alle pampe; la vigogna, la chinchilla e il cóndor, sono specie proprie della zona andina, ed il guanaco, lo struzzo piccolo, e l'oca di Magellano sono tipi eminentemente patagonici.
Per quanto riguarda i Mammiferi la fauna argentina è, considerata nel suo insieme, ricca specialmente di Roditori istriciformi e di Sdentati. Fra i primi ricordiamo alcuni tipi molto caratteristici, come le chinchillas, le viscachas e i carpinchos (Hydrochoerus), il mará o lepre patagonica (Dolichotis) e le impropriamente dette nutrias (Myocastor). La quantità vivente in questa regione può essere resa evidente dal fatto che un solo genere (Ctenomys) è rappresentato nelle varie parti dell'Argentina da 33 specie diverse che gli Argentini chiamano col nome onomatopeico di tuco-tucos. Fra gli Sdentati, tranne il perezoso ed i formichieri che si trovano nei boschi dell'estremo nord, gli altri appartengono al gruppo degli armadilli o tatú, nel qual gruppo sono comprese numerose specie di dimensioni diverse e di vario aspetto, dal tatú carreta (Prionodon giganteus), di più di un metro e mezzo di lunghezza totale, fino al piccolo pichi-ciego (Chlamydophorus truncatus), non più grande di un topo.
In Argentina vivono varî marsupiali della famiglia dei Didelfidi noti col nome di comadrejas, di cui uno dei più comuni è la comadreja colorada (Lutreolina crassicaudata). A questo gruppo appartiene la più piccola specie conosciuta, la Marmosa Bruchi. I Chirotteri non sono ben rappresentati come in altri paesi d'America, ma in ogni modo vantano alcune specie, appartenenti sopra tutto alla famiglia dei Pipistrelli molossi (Eumops, Nyctinomus) e al genere Hystiotus, che si distingue per le sue enormi orecchie. Il vampiro (Desmodus rotundus), che verso il nord giunge fino al Messico, ha come limite meridionale della sua vasta area di diffusione la zona sub-tropicale dell'Argentina, dove il naturalista Azara studiò i suoi costumi, smentendo, per la prima volta, le favole assurde che su questo chirottero avevano propalato gli antichi viaggiatori. Nei boschi di questa regione vivono tre specie di scimmie, il carayá (Alouata caraya), il caí (Cebus paraguayanus) e il miriquiná (Aotus Azarae) tutte e tre scoperte dallo stesso Azara, e che contribuiscono a dare ad essa un carattere faunistico quasi tropicale.
Le grandi belve sono rappresentate dal giaguaro che si ritira sempre più verso il nord, e dal puma che vive in tutto il paese e che sebbene attacchi il bestiame, non è pericoloso per l'uomo. Il lupo rosso o aguará-guazú (Chrysocyon brachyurus) che vive nella zona sub-tropicale, di dimensioni notevoli, non attacca che i piccoli mammiferi. La fauna argentina comprende inoltre varie specie di volpi e di gatti selvaggi, così come le moffette del genere Conepatus, dette volgarmente zorrinos, e il cui odore pestilenziale è divenuto proverbiale. Nella Patagonia e nella parte sud della provincia di Buenos Aires vive una specie di piccolo furetto che rappresenta un genere caratteristico di questa fauna (Lyncodon).
Dell'ordine dei Perissodattili, a Salta, Tucumán, Misiones e il Chaco si trova il tapiro, comune in quasi tutta l'America Meridionale, mentre gli Artiodattili cheromorfi sono rappresentati da due tipi di pecari, quello del collare e quello della bocca bianca, nella stessa zona sub-tropicale. I Ruminanti, infine, hanno in Argentina specie appartenenti a due famiglie, quella dei Camelidi e quella dei Cervidi. Della prima sulle montagne delle Ande vive la graziosa vigogna, sempre più scarsa per l'attiva persecuzione cui va soggetta, e il guanaco, il maggiore dei Mammiferi terrestri argentini che pullula nella stessa zona, e, soprattutto, nella Patagonia, dove ancora è possibile vederne, quasi giornalmente, branchi di centinaia di individui. Esistono anche in alcune provincie llamas e alpache che sono però, come nel Perú e nella Bolivia, solo allo stato di domesticità. Tra i Cervidi, le specie più notevoli sono, nella zona sub-tropicale, fino al delta del Paraná, il guazú-pucú o cervo palustre, (Blastocerus dichotomos), nella zona delle pampe il daino o guazú-ti (B. bezoarticus), e nelle Ande i heumules, con una specie settentrionale (Hippocamelus antisiensis), e un'altra meridionale (H. bisulcus).
Le coste argentine, e soprattutto quelle della Patagonia, sono frequentate da numerosi Mammiferi marini. I leoni marini (Otaria flavescens), che i sud-americani chiamano lupi, vanno incontro alle navi allo sbocco del Río de la Plata, ma abbondano soprattutto nelle spiagge deserte del Chubut e di Santa Cruz. Vi si vede anche talora l'elefante marino (Mirounga leonina) e nelle acque che le bagnano si trovano con frequenza diverse specie di balene e di altri cetacei più piccoli, tra i quali predominano i delfini del genere Cephalorhynchus, con la pelle chiazzata di bianco e nero.
La fauna ornitologica argentina supera considerevolmente per numero d'individui e varietà quella dei mammiferi. Dal maestoso condor fino ai piccoli e bellissimi picaflores si può dire che in essa esistono tutti i tipi caratteristici dei volatili americani. Tra gli Uccelli, predominano i Tirannidi, dei quali il più conosciuto è il bien te veo (Pitangus bolivianus), detto così per il suo grido caratteristico, e i Furnaridi che hanno per tipo l'hornero (Furnarios rufus), il cui curioso nido di fango si vede tanto sui rami scoperti degli alberi che sui pali del telegrafo. Gli studî del Dabbene rivelano che dei 469 generi e 847 specie di volatili che esistono in Argentina, 208 generi con 419 specie, cioè quasi la metà appartengono ai Passeracei. Alcuni gruppi di volatili, che comunemente si considerano esclusivi dei tropici come i Trochilidi o picaflores ed i Psittacidi o pappagalli, giungono in realtà fino alla Patagonia; ma i rampicanti o tucani si trovano soltanto nella zona dei boschi sub-tropicali.
Oltre a numerose specie di veri Rapaci, o Accipitriformi, tra i quali il carancho (Polyborus plancus) e il chimango (Milvago chimango), esiste in Argentina l'ordine affine dei Catartoidi o Catartidiformi, proprio della regione neo-tropicale, che è rappresentato sulle Ande dal cóndor, il re degli uccelli americani e, nella maggior parte del paese, dal jote (Cathartes aura) impropriamente detto corvo dai nativi del luogo. Tra gli Strigiformi o Rapaci notturni, sono la piccola civetta comune (Tyto alba tuidara) che fa il nido sugli edifici, e la piccola civetta delle viscacheras (Speotyto cunicularia), uno degli uccelli più comuni nelle pampe.
Il cigno dal collo nero e l'oca bianca (Coscoroba coscoroba) abbondano in tutti i laghi di una certa estensione, e nella Patagonia si trova ovunque l'oca di Magellano (Chloephaga magellanica), che nel paese è chiamata impropriamente avutarda. Appartengono inoltre all'avifauna lacustre il flamenco (Phoenicopterus chilensis), la spatola rosa e varie specie di Aironi così come la cicogna (Euxenura maguari) ed il tuyuyú (Mycteria mycteria). Il chajá (Chauna Salvadorii) e la chuña (Chunga Burmeisteri), si considerano generalmente come gli uccelli più tipicamente argentini; ma la specie che più si osserva diffusa soprattutto nella zona delle pampe, è un piccolo trampoliere conosciuto col nome di teru-tero (Belonopterus chilensis). Per i loro costumi e come uccelli a cui si dà la caccia, i Tinamiformi rappresentano in questa fauna quello che sono le pernici in Europa, e infatti col nome di pernici il volgo conosce le specie dei generi Rhynchotus e Nothura mentre il Calopezus elegans, specie caratteristica dell'Argentina, riceve il nome di martineta. Nel territorio argentino si trovano due specie molto diverse dell'ordine dei Reiformi, o struzzi americani: lo ñandú o suri (Rhea americana albescens) che giunge fino al Río Negro, e lo struzzo piccolo (Pterocnenia pennata) che vive solo nella Patagonia. Le coste dell'estremo sud dell'Argentina sono popolate da uccelli marini caratteristici della regione, tra i quali predominano gli albatri e varie specie di pinguini tra cui il gigante del gruppo, il pinguino reale (Aptenodytes Pennanti).
Se si paragona con quella delle altre regioni d'America, la fauna argentina è scarsa di Rettili e di Anfibî. I primi sono rappresentati da un numero, relativamente basso, di iguane, lacerte, e tartarughe; il caimano o yacaré vive nella zona sub-tropicale, dove vive anche il serpente a sonagli. Nelle altre regioni i soli rettili pericolosi sono le víboras de la cruz (Lachesis) e i serpenti corallo (Elaps). Tra gli Anfibî, le famiglie Hylidae e Leptodactylidae sono note col nome di rane, sebbene non abbiano niente di comune con i componenti della famiglia Ranidae, che non ha rappresentanti in Argentina. Il rospo cornuto o escuerzo (Cerathophrys ornata), sebbene completamente inoffensivo, è visto con terrore dal volgo che lo crede velenoso.
Tanto lungo le coste quanto nei grandi fiumi e nei grandi laghi l'Argentina presenta un'abbondante fauna ittiologica, sebbene la pesca non sia fra le industrie locali quella di maggiore importanza per lo scarso numero delle popolazioni costiere. La fauna d'acqua dolce è interessantissima, ma altrettanto poco conosciuta e studiata. Conviene non dimenticare che, come accade anche per altri gruppi zoologici, gli argentini chiamano con lo stesso nome dato ai pesci europei le specie argentine che, al contrario, non hanno niente a che vedere con quelli; così la trota del Río Negro (Percichthys laevis), cibo assai apprezzato, appartiene alla famiglia dei Percoidi, e non a quella dei Salmonidi come la trota europea. Nel Paraná e nel Río de la Plata si pescano Siluridi di grandi dimensioni come il surubí (Pseudoplatystoma corruscans), commestibile, il manguruyú (Pseudopimelodus zungaro) e diverse specie di bagres (Pimelodus). Il salmone (Curimatus Frederichi) ed il sabalo (Prochilodus platensis) degli stessi fiumi, sono pesci caracinidi completamente diversi dai loro omonimi europei, e molto inferiori per qualità, mentre la sardina, l'aringa, l'acciuga ed il merluzzo delle acque argentine sono specie affini a quelle che si pescano nell'Atlantico settentrionale e nel Mediterraneo. I pesci di maggior consumo nel paese sono diverse specie del genere Atherinichthys, noti comunemente col nome di pejerreyes, la cui carne è molto saporita. Due di queste specie (A. argentinensis e A. bonariensis) si trovano più frequentemente nei fiumi che nel mare.
Il gruppo dei Selaci è abbondantemente rappresentato nelle acque argentine da alcune specie comuni altresì ai mari europei, come, p. es., il pesce angelo (Squatina angelus) e il pesce martello. Il Cethorinus maximus è stato trovato perfino nel Golfo Nuovo, lungo la costa del Chubut.
Tra gl'Invertebrati, gl'Insetti sono i più notevolmente rappresentati e per numero e per varietà di specie soprattutto nella zona sub-tropicale. Alcune specie sono dannosissime per la vegetazione come la cavalletta (Schistocerca paranensis) e una farfalla che per la forma della crisalide è detta bicho de cesto (Oeceticus platensis). Nei piccoli villaggi dell'interno è molto temuta la vinchuca (Triatoma infestans), enorme cimice che dà punture molto dolorose. Tra le formiche ricordiamo varie specie, come la Acromyrmex lobicornis. Nei boschi del nord vive una specie di vespa che produce un miele commestibile (Nectarinia lecheguana), ed esiste un'altra specie, nota col nome di camuati (Polybia scutellaris), che costruisce un enorme nido sospeso tra i rami degli alberi. Sono anche interessanti alcuni aracnidi, come la araña pollito (Eurypelma spinnipes), di grandi dimensioni, e i Latrodectus, la cui puntura è molto pericolosa.
In quanto ai Crostacei, è notevole il fatto che, come nell'Australia e nella Nuova Zelanda, i granchi di fiume appartengono al gruppo dei Parastacidi, e non a quello dei Potamobidi, come avviene nell'America Settentrionale.
Come nel resto dell'America, la colonizzazione ha introdotto in Argentina tutti gli animali domestici d'Europa, alcuni dei quali costituiscono oggi le principali fonti di ricchezza del paese, specialmente il bue e la pecora. Il cavallo che ebbe una parte così preponderante nella storia argentina, è ancora in alcune regioni dell'interno il principale mezzo di trasporto. Insieme con questi animali utili se ne sono introdotti altri che si potrebbero meglio chiamare indesiderabili, come il passero e la lepre, ed altri ancora come il topo e l'arvicola, decisamente nocivi.
La fauna fossile. - Il territorio argentino ci appare con caratteri faunistici proprî sin dagli ultimi tempi dell'era mesozoica; prima di quest'epoca gli strati della terra ci offrono soltanto indizî di faune marine, più o meno affini a quelle scoperte in altri paesi; le formazioni cretaciche contengono invece i resti di una fauna terrestre ricca soprattutto di rettili, tra i quali figurano dinosauri di mole gigantesca come l'Argyrosaurus, la cui lunghezza si approssimava ai 40 metri, di specie carnivore come il Genyodectes, e piccoli coccodrilli del genere Notosuchus. Allo stesso periodo geologico si attribuiscono i resti della Miolania, enorme tartaruga cornuta, affine ad altre che in strati più recenti si sono trovate in Australia. Si è parlato anche di mammiferi cretacici nella Patagonia, ma le indagini più moderne tendono a dimostrare che questo gruppo non apparve nel suolo argentino fino al Paleocene, in cui si trovano già tipi varî di Mammiferi assai evoluti, tra cui Ungulati come Colpodon e Notostylops, alcuni dei quali di grandi dimensioni come Pyrotherium; o anche numerosi Sdentati e Marsupiali simili agli attuali Dasyuriae d'Australia, insien e con probabili precursori dei Didelphidiae americani. Questa fauna non si può, sia nell'insieme, sia singolarmente nella maggior parte dei suoi componenti, paragonare a quella di alcun altro paese, e la sua repentina apparizione nella Patagonia induce a ritenere che essa sia probabilmente immigrata da qualche regione scomparsa, forse da un ponte continentale transpacifico.
I bradisismi che costituirono la formazione detta Patagonica, non furono abbastanza intensi per cancellare quella fauna terrestre, ed i suoi tipi si evolvettero attraverso i periodi terziarî, mentre l'insieme conservò il carattere proprio fino al pliocene più recente, cioè quando incominciarono a diffondersi altre forme provenienti dal nord, come i Carnivori, i Ruminanti e i grandi Proboscidati. La concorrenza vitale che si stabilì fra queste specie immigrate determinò l'estinzione di molti dei tipi che si potevano considerare come autoctoni: i primi a scomparire furono i Marsupiali carnivori del gruppo dei Dasiuroidei, e gli enormi uccelli del gruppo dei Phororhacus, che per i loro caratteri stavano fra i Trampolieri e i Rapaci e per le dimensioni superavano i più grandi struzzi. La fauna pampeana, caratteristica del pleistocene argentino era rappresentata da un miscuglio di forme da poco immigrate dal nord, come mastodonti, cervi, llamas, cavalli e felini del genere Smilodon, nonché dagli ultimi esemplari della fauna precedente, tra i quali Ungulati come la Macrauchenia o il Toxodon e numerosi Sdentati, la maggior parte veri giganti rispetto alle specie attuali, come il Megaterio, il Milodonte e i diversi generi di Gliptodonti, questi ultimi ricoperti da una enorme corazza quasi sferica simile a quella degli attuali armadilli. Gli scheletri di tutti questi animali, che oggi occupano quasi una metà delle sale del museo di La Plata, danno un'idea della ricchezza e varietà di quella fauna, alla quale si potrebbe paragonare soltanto quella che attualmente popola l'Africa centrale. Tale paragone, s'intende, si riferisce soltanto al numero e alla varietà delle specie, poiché è più che evidente che non vi è stata nessuna relazione immediata tra le faune africana e sud-americana, né alcuna migrazione diretta fra i due continenti.
Non si conosce ancora con certezza l'avvenimento, geologico o climatologico, che determinò la rapida scomparsa della fauna pampeana, ma considerando che molti di quei grandi Mammiferi (Megaterio, Mastodonte, ecc.) erano organizzati per un regime eminentemente erbivoro, possiamo soltanto affermare che l'estinzione della fauna dovette seguire a un profondo mutamento della flora. Sembra anche dimostrato che questo cambiamento sia stato posteriore all'apparizione dell'uomo in America, da ciò volendosi dedurre una grande antichità delle specie umane nell'Argentina. In realtà i fatti di cui siamo a conoscenza, non ci permettono di dedurre altro che molte specie pampeane hanno resistito fino a epoche più recenti di quello che generalmente si suppone, come è provato dal rinvenimento di resti mummificati (Grypotherium e Onoippidium) in alcune caverne della Patagonia. La fauna attuale dell'Argentina conserva ancora rappresentanti di quella fauna che consistono in tipi adattabili a tutte le condizioni, come il guanaco e lo ñandú, e diverse specie di Roditori, animali che per il loro genere di vita e per la loro piccolezza trovano un'efficace protezione contro tutti i mutamenti d'ambiente.
Dati statistici sulla popolazione. - Censimenti. - Per cause che facilmente si rivelano anche a una sommaria analisi della storia argentina nel sec. XIX, le operazioni statistiche difettano in tutta la prima metà del secolo: si tratta di censimenti parziali o, se generali, essi rivelano qualche manchevolezza che si spiega se si considera lo stato politico e sociale del paese. La necessità di un censimento nazionale, almeno per fini politici, è stata prevista dagli autori della costituzione, che nell'art. 39 stabilisce: "Per la seconda legislatura si dovrà fare il censimento generale e secondo il suo risultato determinare il numero dei deputati; ma questo censimento si potrà rinnovare soltanto ogni dieci anni".
Ciò nonostante, il primo censimento nazionale è stato fatto nell'anno 1869 e si dovette giungere al 1895 per fare il secondo, al quale soltanto diciannove anni dopo, nel 1914, seguì il terzo, che, per il momento, è l'ultimo. Di recente fu presentato, per l'approvazione, al Congresso il disegno di un quarto censimento, ma esso non arrivò a divenire legge. Malgrado il loro scarso numero, la mancanza di un ritmo regolare e qualche difetto, questi censimenti sono documenti preziosi dello sviluppo demografico argentino, che in poche decine d'anni presentò una grande trasformazione. Non mancano calcoli, statistiche parziali, censimenti urbani (Buenos Aires e Rosario ne hanno parecchi) e provinciali; negli ultimi tempi se ne fecero due (nel 1912 e nel 1920) dei Territorios nacionales, che per l'estensione che abbracciano e per l'importanza sempre crescente delle regioni, sono di grande utilità.
Incremento della popolazione. - Nonostante i periodi di guerra e di lotte civili, le crisi economiche locali o universali, le malattie, l'Argentina è venuta popolandosi sempre più; il ritmo è cambiato in parecchie circostanze, ci sono state soste e rapidi progressi, ma, attraverso differenze momentanee, si nota un progresso continuo e una vera ascensione. Due ne sono le cause notevoli: l'aumento vegetativo e l'accorrere degli immigranti; fenomeno più appariscente nella seconda metà del sec. XIX e notevole anche oggi per il crescente ordine interno e per lo straordinario sviluppo economico.
I censimenti citati sono i migliori documenti del fenomeno; aggiungendo altri dati più antichi si può formare il seguente quadro, pubblicato coi risultati del terzo censimento:
Pochi paesi possono offrire un incremento demografico così rapido, sia assoluto, sia relativo e ciò parla molto in favore della capacità dell'Argentina. La guerra ha influito moltissimo sulla demografia poiché diede un serio colpo all'immigrazione per parecchi anni, ma la popolazione del paese ha fatto altri progressi, come dimostra il calcolo al 31 dicembre 1926 della Dirección general de estadística: 10.348.189 abitanti, dei quali 9.856.617 nelle provincie e 491.572 nei Territorios nacionales.
Dal confine settentrionale sino all'estremo sud, il territorio argentino era abitato all'arrivo degli spagnoli; ma, né per numero né per cultura, gl'indigeni argentini potevano essere messi a paragone con quelli di altre parti dell'America. Le differenze di cultura fra una tribù e l'altra erano grandi e la densità della popolazione non fu nemmeno uniforme tra una regione e l'altra. L'elemento indigeno fu vinto dal bianco al quale ha ceduto quasi tutte le terre; parecchie tribù furono dominate senza troppe difficoltà; altre, invece, opposero una tenace resistenza durata fino a pochi decennî or sono, ma il loro numero fu sempre scarso e le guerre combattute contribuirono a ridurlo sempre più. Gl'indigeni puri sono poco numerosi e vivono quasi sperduti nella Patagonia, nel Chaco e nelle vallate andine del NO. Quelli che si misero in contatto coi Bianchi, quelli che furono sottomessi nel primo momento della conquista o nei secoli seguenti, s'incrociarono quasi tutti coi bianchi accettandone completamente gli usi e le idee. Le tribù che fanno ancora vita più o meno selvaggia vivono quasi intieramente nei territorî del Chaco e di Formosa, e si calcolano in 36.000 individui. Essi tendono a scomparire per le malattie che le mietono, o a fondersi con la restante popolazione, come è accaduto nel resto del paese. L'articolo 16 della costituzione dice: "La nazione argentina non ammette prerogative di sangue né di nascita, in essa non ci sono privilegi personali, né titoli di nobiltà. Tutti gli abitanti sono uguali davanti alla legge". Perciò le statistiche non classificano gli abitanti secondo la razza e soltanto calcolano i selvaggi per i quali spetta al potere legislativo (art. 67) "promuovere la loro conversione al cattolicesimo".
In riassunto, l'Argentina è paese di assoluto predominio della popolazione bianca, poiché quella indigena pura e meticcia costituisce solo una piccola minoranza.
Un altro elemento demografico non bianco è rappresentato dai Negri, che discendono dagli schiavi importati dall'Africa, durante l'epoca coloniale, che furono emancipati tutti nei primi decennî d'indipendenza. Vissero particolarmente nella zona del litorale, ma non furono mai così numerosi come in qualche altra parte del continente; in seguito, la mancanza di nuove e continue immigrazioni e l'influenza delle guerre ne fecero scemare l'importanza assoluta e molto di più quella relativa, di fronte all'aumento grandioso dell'elemento bianco. I censimenti sono muti riguardo al loro numero, poiché, come si è detto, non stabiliscono differenze di razza. Anche i Negri diedero luogo a notevoli incroci.
Negli ultimi tempi si è affacciata un'altra razza, quella mongolica; ma finora il numero dei suoi rappresentanti, che si trovano specialmente nelle grandi città, è assai limitato. Il censimento del 1914 dà: 462 Cinesi e 1.007 Giapponesi.
La popolazione argentina, praticamente tutta bianca, è d'origine europea, lontana o immediata, poiché i bianchi asiatici o africani costituiscono un'infima minoranza. Tra gli europei, predominano i latini, particolarmente gl'Italiani e gli Spagnoli.
Argentini e stranieri. - Dalla metà del sec. XIX ad oggi, l'Argentina è uno dei principali paesi d'immigrazione, perciò il numero degli stranieri in rapporto a quello dei nazionali è elevato come non accade in nessun paese europeo. Le condizioni sociali, politiche ed economiche sono le più adatte ad attirare tanti stranieri, i quali trovano nelle istituzioni lo spirito più liberale che si possa immaginare. Infatti la costituzione, nel preambolo, dice categoricamente che stabilisce i benefici "per noi, per la nostra posterità e per tutti gli uomini del mondo che vogliano abitare il suolo argentino". L'art. 14 che enumera i diritti, parla di abitanti e non di cittadini. L'art. 20 è anche più esplicito: "Gli stranieri godono nel territorio della nazione di tutti i diritti civili del cittadino; possono esercitare la loro industria, il loro commercio e la loro professione; possedere beni stabili, comperarli e alienarli; navigare i fiumi e le coste; professare liberamente il loro culto; testare e sposarsi in conformità alle leggi".
Ecco numero e proporzione degli abitanti secondo la nascita:
I tre censimenti provano l'aumento assoluto veramente grandioso e nello stesso tempo quello relativo. Adesso la proporzione degli stranieri è diminuita per la sosta della corrente immigratoria durante parecchi anni; ma il cambio non è sostanziale. Nel seguente quadro è indicato il numero delle più numerose collettività straniere, secondo i tre censimenti:
Se qualche nazionalità non ha indicazione nei primi due censimenti è perché questi non ne fecero la classificazione completa, ma soltanto indicarono le più numerose. Queste cifre sono notevoli per molti aspetti; per esempio, gl'Italiani e gli Spagnoli sommano a 1.759.564, e siccome gli stranieri sono 2.357.952, tutte le altre nazionalità arrivano soltanto a 598.388 individui. Gli Svizzeri ebbero una piccola diminuzione nell'ultimo censimento; però un cambiamento notevole, in questo senso, l'hanno dato i Francesi, che inoltre diminuirono relativamente, poiché, dal terzo posto raggiunto nei primi censimenti, scesero al quinto nel 1914. Invece, altre nazionalità hanno fatto progressi straordinarî, veri salti, come i Russi e gli Ottomani; si tenga presente, peraltro, che quelli che il censimento qualifica come Russi, sono in massima parte Polacchi ed Ebrei, che continuano ad immigrare in quantità. L'antico assetto delle frontiere, fece chiamare Ottomani i provenienti dall'Impero turco, ma in massima parte sono nati nella Siria. Malgrado i cambiamenti registrati negli ultimi decennî, la popolazione d'origine straniera continua ad essere quasi tutta latina.
Riguardo alla distribuzione geografica degli stranieri, secondo l'origine, nella carta annessa si vede subito che gli Americani (Uruguayani, Brasiliani, Paraguayani, Boliviani e Chileni), predominano vicino alla relativa frontiera, e ciò si spiega facilmente; i Chileni sono sempre stati molto numerosi nella zona andina, particolarmente nella Patagonia, dove si è parlato persino di chilenizzazione della regione, ma la popolazione argentina fa progressi e il carattere nazionale finirà per imporsi. È notevole l'espansione degli Spagnoli che predominano in estese regioni, dal nord all'estremo sud. Gl'Italiani sembrano di minore importanza, perché paiono circoscritti alla zona littorale e centrale, ma ciò è solo apparente, poiché si trovano numerosi un po' dappertutto, mentre predominano nelle regioni più fittamente abitate. Gli Austro-ungheresi sono classificati secondo le frontiere del 1914, cosicché non si sa adesso a quale stato nuovo o vecchio far corrispondere quegl'individui.
L'annessa carta, tracciata in base ai calcoli fatti sulle cifre del terzo censimento, dà una buona idea dei rapporti percentuali fra stranieri e nazionali nelle varie provincie. Gli stranieri sono numerosi nelle regioni di recente occupazione e sviluppo economico, come il Chaco e la Patagonia, dove vaste zone dànno più del 50%; però un'alta percentuale e il maggior numero assoluto di stranieri si trova nella regione più abitata, ossia nella zona pampeana, che corrisponde alla vita più intensa del paese per l'agricoltura, l'allevamento, l'industria e i commerci. Il NO. e una parte del centro sono piuttosto popolati da nazionali, gli stranieri sono pochi tanto in numero assoluto, quanto in percentuale. Fa eccezione la provincia di Mendoza, nonostante che si trovi così lontano dall'oceano questo si deve al suo grande sviluppo economico. L'unica regione senza stranieri è un piccolo dipartimento di Formosa, sull'estrema frontiera settentrionale, ma, in verità, vi è quasi nulla anche la popolazione nazionale.
La città di Buenos Aires aveva il 49% di stranieri, la provincia di Buenos Aires il 34%, quella di Santa Fe ne aveva il 35%; il dipartimento di San Sebastián era il più notevole poiché sorpassava di una frazione l'88%; in Santa Cruz, i dipartimenti di Río Gallegos e di San Julián ne avevano 68% e 71%, e a 67% ascendeva la percentuale di tutto il territorio citato.
Se si considera che gli stranieri hanno una percentuale di adulti superiore a quella degli Argentini, in certe regioni gli stranieri vengono ad essere praticamente più numerosi anche riguardo al possibile lavoro.
Il paese è un ampio campo di assimilazione; è innegabile che gli stranieri hanno fatto sentire la loro influenza, e ciò continua ad avverarsi, ma è anche vero che l'Argentina va assimilando rapidamente e intensamente la popolazione straniera; questa non impiega molti anni ad appropriarsi usi ed idee locali e sente formarsi e crescere l'affetto per il paese ospitale. La mancanza di pregiudizî e di privilegi e il carattere latino della nazione e di quasi tutti gl'immigrati, fanno sì che si vadano stringendo forti vincoli di sangue e d'interessi sia tra le diverse stirpi di stranieri, sia tra questi e i nazionali.
I figli di stranieri sono Argentini per legge e per sentimento, né mancano immigrati che nutrono per l'Argentina un affetto non meno vivo di quello dei nazionali. Alla liberalità nelle relazioni sociali si unisce quella delle leggi e così si spiega il fatto che non si siano formati forti nuclei chiusi di stranieri che conservino in Argentina il carattere quasi intatto del paese d'origine: linguaggio, usi, interessi, tutto tende ad uniformarsi.
La seconda parte dell'art. 20 della costituzione dice che "gli stranieri non sono obbligati a chiedere la cittadinanza, né a pagare contribuzioni forzate straordinarie. Ottengono la cittadinanza risiedendo due anni continui nella nazione; ma l'autorità può diminuire questo termine a favore di chi lo domandi, invocando e provando di aver reso qualche servizio alla repubblica". L'art. 21, dopo aver parlato del dovere dei cittadini di armarsi per difendere la patria, dice che "in cittadini per naturalizzazione sono liberi di prestare o no questo servizio durante dieci anni, contati dal giorno in cui ottengano la cittadinanza".
Il secondo censimento registrava soltanto 1638 stranieri che avevano ottenuta la cittadinanza argentina, ossia il 2,3 per mille maschi; il censimento del 1914 segna un progresso; infatti esistevano allora 33.219 naturalizzati, cioè 22,5 per ogni 1000 stranieri.
L'immigrazione è più maschile che femminile e questo fatto fa sì che in Argentina gli uomini siano in maggior numero delle donne. I tre censimenti citati illustrano l'andamento di questo fatto.
Il primo censimento, con una proporzione così ridotta di uomini, è un indice eloquente dell'influenza che il lungo periodo di guerre e di sommosse ebbe sulla popolazione; dal 1869 in poi le lotte sanguinose vanno man mano diminuendo, fino a scomparire totalmente, cosicché i maschi argentini aumentano in proporzione sino a raggiungere quasi il numero delle donne. Accanto a questo aumento abbiamo la corrispondente e sintomatica diminuzione dei maschi stranieri, quantunque la loro proporzione si conservi sempre molto più elevata di quella delle donne, per ragioni spiegabilissime. Perché diminuiscono i maschi stranieri, dal 1° al 3° censimento? Perché alla data del 1869, il paese non aveva ancora raggiunto un assetto politico e sociale tale da agevolare l'immigrazione femminile; era quello il primo periodo della grande immigrazione che, si sa, è in prevalenza maschile. Dal paragone delle due prime colonne sorge la spiegazione della terza.
Il quadro seguente dà la proporzione per 1000 della popolazione maschile e femminile, divisa per provincie, secondo i tre ultimi censimenti:
La zona del litorale presenta chiaramente il fenomeno della prevalenza maschile; provincie dell'interno, come Córdoba e Mendoza, che hanno numerosi stranieri, si trovano nello stesso caso, particolarmente dal momento in cui si fece notare l'influenza dell'immigrazione. Invece, La Rioja e Catamarca, che nutrono una forte emigrazione, hanno una maggior proporzione di donne.
Il terzo censimento presenta queste cifre assolute: argentini maschi 2.753.214, femmine 2.774.071; stranieri maschi 1.473.809, femmine 884,143; totale maschi 4.227.023, femmine 3.658.214. In qualche territorio nazionale, la differenza è notevolissima, particolarmente nelle zone meno sicure e dove l'assetto sociale ed economico è più favorevole alla vita dei maschi. Per esempio, La Pampa, su 58.020 maschi, conta 43.318 donne; Río Negro contro 25.244 maschi ha 16.998 donne; Chubut 14.522 maschi e 8.543 donne; Santa Cruz 7.111 maschi e 2.837 donne; Terra del Fuoco 2.130 maschi e soltanto 374 donne.
Una dimostrazione evidente dell'influenza di certe correnti straniere si ha nel caso degli Ottomani che, nel 1914, su un totale di 64.369 persone davano 52.194 uomini e solo 12.175 donne.
La maggioranza della popolazione, nazionale e straniera, è cattolica. Il preambolo della costituzione finisce invocando "la protezione di Dio, fonte di ogni ragione e giustizia". L'articolo 2° è esplicito: "Il governo federale sostiene il culto cattolico apostolico romano". Per essere eletto presidente o vicepresidente della repubblica è necessario "appartenere alla comunione cattolica apostolica romana" (art. 76), e si deve giurare nel nome di Dio e sul Vangelo (art. 80).
Per la costituzione e nella pratica, esiste la più completa libertà di culto; parecchie sette o istituzioni fanno pubblica propaganda. Già da molti anni esistono migliaia di protestanti, particolarmente tra gl'Inglesi e i loro discendenti. In tempi recenti hanno fatto la loro apparizione numerosi Ebrei, provenienti, in maggioranza, dalla Polonia e dalla Russia, i quali si sono stabiliti specialmente nella città di Buenos Aires, ne La Pampa e nelle provincie di Entre Ríos e di Buenos Aires.
La lingua ufficiale è la spagnola che è parlata bene o male anche dagli stranieri; costoro conservano quasi tutti la loro lingua o il loro dialetto, e l'italiano letterario o dialettale si sente con frequenza ed è compreso facilmente dagli abitanti della zona d'immigrazione (in un quartiere della capitale, alla Boca, il genovese è stato per lungo tempo la lingua corrente). Ma l'idioma straniero si trasmette difficilmente fino alla seconda o terza generazione
Inoltre, i resti indigeni parlano questo o quel linguaggio proprio d'imminente sparizione; però, il quechúa ha profonde radici in Santiago del Estero ed il guarani è comunissimo nella Mesopotamia settentrionale.
Le popolazioni indigene. - Antropologia. Le questioni dell'antropologia dell'Argentina sono strettamente connesse con quelle delle regioni circostanti e cioè in prima linea del Brasile, quindi dei territorî che politicamente appartengono alla Bolivia, Paraguay, Uruguay, e in terzo luogo della regione andina. I territorî australi dell'Argentina (Patagonia) hanno minore importanza, o meglio non è a loro che occorre pensare quando si ricercano le fonti e i modi del popolamento recente (antropologicamente parlando) dell'Argentina e le origini e provenienze delle stirpi che nel territorio medio e settentrionale dell'Argentina abitavano e abitano. A ogni modo la Patagonia avrà una sua trattazione particolare.
Giacchè occorre ad ogni altra cosa premettere che il territorio argentino, data la sua natura predominante, essendo cioè costituito per lo più da grandi pianure erbose, o ad arbusti, o steppose, o desertiche, e data l'assenza di sbarramenti naturali, costituiti da montagne e grossi fiumi, si dovette presentare sempre come un territorio aperto e di facile accesso a movimenti etnici, onde non costituì sede fissa di gruppi che vi abbiano avuto origine e svolgimento indisturbato. Si hanno numerosi argomenti per ritenere che la direzione prevalente dei movimenti etnici nella regione (non tenendo forse conto di movimenti antichissimi, che si possono più supporre che conoscere) sia stata dal nord verso il sud.
Per questo motivo l'antropologia della Patagonia (e soprattutto quella preistorica) ci potrebbe, al contrario, fornire utilissimi documenti sui gruppi etnici che popolarono l'Argentina, dato che colà andarono a cozzare tutte le ondate etniche successive che percorsero quel territorio immenso. E difatti l'antropologia della Patagonia fornisce non pochi schiarimenti in proposito; purtroppo la conoscenza della preistoria della regione patagonica è ancora assai lungi dall'esserci conosciuta come meriterebbe.
Nell'abbozzare un'antropologia dell'Argentina, devono esser prese perciò in considerazione le regioni contermini. Ciò che del resto è soprattutto necessario considerando la popolazione indigena attuale, giacché, come è noto, sopra una gran parte del territorio centrale, essa è praticamente scomparsa.
Le conoscenze più concrete: che abbiamo sono quelle risultanti da studî sul vivente: abbiamo in verità per detto territorio alquanti studî craniometrici ed osteometrici, ma i veri caratteri distintivi dei gruppi umani non sono costituiti da caratteri metrici, bensì da caratteri descrittivi, che si riscontrano soprattutto nella struttura della faccia, particolarmente nella sua copertura di parti molli, e solo secondariamente in altre disposizioni esterne (forma del capello, colore della cute, ecc.). Ora la maggior parte dei detti lavori non trattano dei caratteri descrittivi né forniscono sufficiente materiale illustrativo da cui questi possano desumersi; quindi ciò che di tali lavori è utilizzabile è assai poco.
Il cosiddetto indice orizzontale in questa regione conduce affatto fuori di strada. Ad es. le popolazioni andine hanno indici simili ad alcune del Brasile orientale (Caiapó) e ad altre della regione amazzonica, mentre assai probabilmente i tre gruppi devono esser tenuti distinti l'uno dall'altro (v. brasile).
La migliore conoscenza delle popolazioni attuali è dovuta a due autori: il Lehmann-Nitsche e il nostro Boggiani, la cui opera, disgraziatamente, fu interrotta da una morte violenta.
Il Lehmann-Nitsche studiò quattro gruppi etnici provenienti dalle regioni più settentrionali del territorio che c'interessa: quelli dei Chiriguano, Chorote, Mataco e Toba, prendendo numerose misure e fotografie.
I Chiriguano, che costituiscono un gruppo dei Tupi-Guaraní occidentali (abitanti nel versante orientale della Bolivia), hanno nei maschi una statura media di 163,4; il rapporto della grande apertura delle braccia alla statura è di 103,5; il rapporto della lunghezza dell'arto inferiore alla statura è di 51,5.
Bisogna tuttavia tener presente che la distanza che misura questa lunghezza è la cosiddetta altezza trocanterica, cioè la distanza verticale dal suolo della parte più prominente verso l'alto del grande trocantere del femore. Questa lunghezza è assai diversa da quella usata più comunemente per esprimere la lunghezza dell'arto inferiore, la quale è il residuo della sottrazione dell'altezza cosiddetta "seduta" dalla statura. L'altezza seduta è la distanza dal vertice del capo al piano di appoggio delle natiche, quando il soggetto è seduto. Si comprende perciò come gl'indici presi sull'altezza trocanterica non siano comparabili a quelli presi da lunghezze desunte dall'altezza seduta.
Ammettendo per limiti della categoria media (mesatischelia), del rapporto della lunghezza dell'arto inferiore alla statura, gli indici 50 e 52, si vede che i Chiriguano sono mesatischeli, ma con tendenza verso la macroschelia, cioè con tendenza a possedere arto inferiore lungo (52 in su).
L'indice cefalico orizzontale è di 80,2; quello facciale (rapporto fra l'altezza della faccia e la larghezza) di 87,3. L'indice nasale (rapporto fra la larghezza del naso e l'altezza) 79,8. Il colore della pelle sembra un po' più chiaro che negli altri tre gruppi, avendosi una certa percentuale di numeri bassi (15-18) della scala del v. Luschan.
Nei Chiriguano che portano capelli lunghi, fu constatata talvolta forma ondata del capello.
I Chorote (abitanti il corso superiore del Pilcomayo) hamo nei maschi una statura di cm. 161,6; il rapporto della grande apertura delle braccia, è di 103,5; quello della lunghezza dell'arto inferiore alla statura di 52,3; quindi macroschelia iniziale. L'indice cefalico orizzontale è di 77,6; l'indice facciale di 88; l'indice nasale di 79,8.
I Mataco (abitanti il corso superiore del Pilcomayo e del Bermejo) hanno nei maschi una statura di 163,8; un rapporto dell'apertura delle braccia alla statura di 104,5; un rapporto della lunghezza dell'arto inferiore alla statura di 53,3; vale a dire mafroschelia ben dichiarata. L'indice cefalico orizzontale è di 78,1; l'indice facciale di 87,1; l'indice nasale di 82,8. L'aspetto dei Mataco può dirsi il più primitivo e basso fra questi quattro gruppi; subito doi o ad essi viene il gruppo Chorote.
I Toba (abitanti i corsi medio ed inferiore del Pilcomayo e del Bermejo) hanno nei maschi una statura di 169,8; un rapporto fra apertura delle braccia e statura di 104,4; un rapporto della lunghezza dell'arto inferiore alla statura di 52,8. L'indice cefalico orizzontale è di 78,9; l'indice facciale di 88,5; l'indice nasale di 75,4.
I dati del Lehmann-Nitsche non contengono schiarimenti sull'altezza cefalica, che sarebbero di una grande utilità per vedere in qual misura le serie contengano forme o platicefaliche, che caratterizzano il tipo caribo-arovacco-tupi (v. sferica).
A ciò soccorrono in parte le serie di cranî forniti dai diversi autori, e che dànno come probabile l'esistenza fra i Chiriguano di cranî bassi. Una serie di Takscik, misurati dal Lehmann-Nitsche in precedenza, porrebbe in luce la presenza di un elemento basso cranio - logicamente, anche nei Toba, essendo i Takscik un gruppo di essi.
I caratteri descrittivi della faccia sono alquanto diversi fra questi gruppi. Nei Chorote e Mataco pare frequente un tipo a radice nasale depressa, ad archi sopraccigliari forti, pomelli prominenti, che certo ricorda molto il tipo Botocudo (v. america). I due gruppi sono anche distinti dagli altri due precedenti per il rapporto della lunghezza della tibia a quella del femore, rapporto assai più basso nei Mataco e nei Chorote.
Nei Chiriguano abbiamo il tipo facciale più elevato fra i quattro gruppi. È lecito supporre in ciò, anche per l'indice di mesatischelia, l'influenza di un elemento andino quechúa, ma la detta influenza non dev'essere, secondo noi, predominante. Il tipo dei Toba ci pare che possa essere designato come il prodotto di un affinamento del tipo Yamamadi (v. america e brasile).
In tutti e quattro i gruppi il mongolismo pare scarso.
Le Cose sono diverse per i gruppi etnici che sono riprodotti nelle fotografie del Boggiani. I Caduvei (del gruppo Guaycurú) manifestano l'intervento dell'elemento Bororo (v. america) in forte grado. Gli Angaité, invece, sembra dimostrino l'influenza dell'elemento Botocudo, oltre quello Bororo. Del resto i cranî del Chaco, in genere, diedero al Mochi frequenze di profatnia (aggetto del bordo alveolare) e indici nasali alti, sintomi questi, probabilmente, dell'intervento del tipo Botocudo (Sera).
I Chamacoco manifestano una moltiplicità di tipi straordinaria. Più all'est i caratteri del tipo Botocudo probabilmente tendono a prevalere, non senza mescolanze più o meno sensibili col tipo Bororo. Così i Guayaki della sponda occidentale dell'alto Paraná, coi loro tratti fisionomici, con la loro piccola statura, sono verisimilmente affini ai Botocudo. Con probabilità anche i Caingua, della stessa regione, più numerosi, hanno una antropologica parentela con questo tipo.
In tutta questa zona, come nelle provincie limitrofe del Brasile, molto probabilmente si devono essere verificate mescolanze dell'elemento Botocudo con l'elemento Bororo, giacché questo è presente nei Sambaqui, secondo il Sera; ma sopra il Botocudo si deve essere verificata un'altra stratificazione, rappresentata dalle genti Guarani, forse del tipo che abbiamo detto Caribo-arovacco-tupi. A occidente invece (bassa Bolivia, soprattutto) il tipo Bororo si mescolava al tipo Yamamadi predominante.
Buona parte delle popolazioni preistoriche, che vedremo presto, del bacino medio ed inferiore del Paraná (eccettuati i Guarani) sono da ritenersi probabilmente come forme di svolgimento di un tipo Yamamadi, con accesso minore o maggiore di sangue Bororo.
Passando al sud, la provenienza andina è certa per i cosiddetti Araucani argentini, i cui caratteri craniologici sono affini a quelli degli Araucani chileni. Essi sono stati respinti al sud del Río Negro. Non è improbabile che in questa regione vi siano anche residui della popolazione che abitava il territorio argentino prima della conquista.
A proposito di questa e delle più antiche popolazioni, i dati dei cronisti contemporanei o vissuti nei pri mi tempi della conquista, se forniscono discreti elementi per l'etnografia, ci dànno pochi schiarimenti antropologici. Del resto anche sopra gruppi etnici scomparsi recentemente non sappiamo che poco di sicuro. Così, per citare l'esempio di un gruppo etnico dell'Uruguay, scomparso nella prima metà del secolo passato, i Charrua, appena è noto che essi avevano colorito molto scuro e statura piuttosto elevata (m. 1.68).
Torres, nella sua opera qui sotto citata, ha recentemente raccolto e notevolmente ampliato (con ricerche proprie in archivî argentini) i dati raccolti dalla critica storica sui tratti fisici più salienti degl'indigeni dell'Argentina e delle regioni circumvicine. Tuttavia le indicazioni lasciate dai cronisti e viaggiatori dal tempo della conquista in poi, soprattutto per ciò che riguarda i primi tempi, sono assai vaghe e non colgono di solito caratteristiche antropologiche di buon valore discriminativo. Quello che forse più interessa è ciò che risulta dalla localizzazione geografica dei gruppi etnici Guarani e della loro statura. Questi pare fossero localizzati, al tempo della conquista, soprattutto nel Paraguay, Misiones e territorî limitrofi del Brasile. Tuttavia, sembra che i Guarani fossero anche assai numerosi nelle isole del Delta inferiore e nel territorio di Santa Fe. Le testimonianze di quasi tutti i cronisti attribuiscono loro statura piccola, in confronto delle altre popolazioni. Può darsi che essi al sud, nella provincia di Buenos Aires, siano stati solo un elemento di passaggio.
Le altre popolazioni, lungo il corso medio e basso del Paraná, e fra il Paraná e l'Uruguay, sono date in genere concordemente per alte, robuste e belle (Chaná-Timbú-Beguá, Querandí, Charrua, Minuane).
Lo stesso vale per i gruppi del bacino superiore dell'Uruguay e Paranà (Arechane, Ariyo, Guayana. ecc.), quasi tutti appartenenti alla divisione Gês.
Questa somiglianza nell'alta statura però, diciamolo subito, ha poco significato per stabilire affinità fra i primi e i secondi. Al contrario, gli indigeni di molta parte dell'Uruguay erano di statura media, e occorre ricordare che molte delle loro caratteristiche etnografiche non collimano con quelle degli indigeni del medio e basso Paraná, dianzi citati, nonostante la vicinanza.
Avanziamo l'ipotesi, del resto confortata da più di un fatto, che essi rappresentassero resti di un primitivo strato Gês sulla regione.
In tempi più prossimi a noi, il d'Orbigny dava una caratteristica fisica dei Guarani, dalla quale si ricava qualche altro carattere, che può ritenersi bene osservato e cioè: cranio più rotondeggiante, torace molto ampio, tronco in genere massiccio, mani e piedi piccoli.
Passando ora a materiale di fatto più sicuro, perché basato sopra i resti ossei lasciati dalle antiche popolazioni, l'antropologia degli antichi Calchaqui è nota grazie soprattutto alle ricerche di Ten Kate. Non vi è dubbio che la maggior parte della popolazione apparteneva al tipo andino Quechúa; i caratteri della faccia, la brachicefalia, la statura piccola pongono la cosa fuori di questione. Questo fa pensare, dato che la regione diaguita è sul versante orientale delle Ande, che il tipo andino Quechúa abbia potuto anche popolare le terre basse dell'Argentina settentrionale in qualche tempo o almeno fornire elementi alla sua popolazione.
Del resto ciò non sarebbe che la ripetizione dello stesso fatto, noto più al sud, del passaggio degli Araucani chileni in Argentina; essendo il tipo degli Araucani presso a poco il tipo Quechúa. Il passaggio degli Araucani in Argentina però è relativamente assai recente, essendo avvenuto forse poco dopo la conquista.
L'estesissimo studio del Torres sopra il materiale osteologico, proveniente da tumuli e cimiteri dei primitivi abitanti del Delta del Paranà, offre dati interessanti. Il tumulo n. 1 del Brazo Gutiérrez contiene, fra gli altri, un cranio corto ed alto, che presenta caratteri della faccia che fanno pensare al tipo Quechúa. Ma nello stesso tumulo abbiamo la presenza di un cranio di tipo Botocudo, e di altri indicanti sicuramente mescolanze.
In un altro cimitero (n. 1 Paraná Guazú) abbiamo un cranio di tipo Bororo, abbastanza buono. In quasi tutti i tumuli e cimiteri, dove almeno è possibile farne la constatazione, si può assicurare l'esistenza di un tipo a cranio basso (platicefalico).
Abbiamo perciò, anche in questi reperti, la prova dell'esistenza di più tipi umani a formare lo stesso gruppo etnico. Certamente per arrivare a condizioni antropologiche più semplici, nella regione, occorre risalire a tempi molto più antichi.
Etnografia. - Le ricerche archeologiche eseguite nel territorio della repubblica Argentina hanno dato un materiale molto copioso, utile soprattutto a stabilire il grado di cultura delle popolazioni indigene incontrate dagli europei ai tempi della scoperta e della prima colonizzazione, e in gran parte scomparse o assorbite durante lo sviluppo di quest'ultima. È, per contro, ancora dubbio il valore di alcune scoperte di resti umani e di industrie preistoriche ai quali si è creduto di poter attribuire una molto maggiore antichità. Quando i problemi stratigrafici e cronologici relativi a tali scoperte saranno risolti, la preistoria argentina recherà un contributo notevolissimo alla ricostruzione del popolamento e delle più antiche culture indigene dell'America Meridionale.
La parte di gran lunga maggiore dei rinvenimenti, sia superficiali, sia provenienti dai monticoli funerarî e dai residui di abitazioni (paraderos), riportano in sostanza alle civiltà indigene incontrate sui luoghi dai coloni bianchi, anche se essi risalgono a tempi notevolmente anteriori a quelli della scoperta. Ma è da essi soltanto, p. es., che possiamo ormai essere edotti su alcune delle forme o su taluni particolari prodotti delle culture indigene che la colonizzazione europea ha fatto scomparire anche dove ha lasciato sussistere le tribù originarie. E questo il caso dell'interessante industria litica, propria alla maggior parte delle tribù del territorio argentino e che per lo stadio generale della sua tecnica si può assimilare al neolitico della preistoria europea. Soltanto nelle provincie del NO., un gruppo di popolazioni sedentarie possedeva una civiltà di tipo più elevato, e affine per molti riguardi a quella dell'antico Perù, che comprendeva anche la lavorazione del rame e del bronzo, agricoltura abbastanza progredita, arte tessile e figulina di notevole sviluppo e la costruzione di dimore e di fortilizî con pietre sovrapposte senza calce o con mattoni cotti al sole. Nella provincia di Catamarca, che comprende anche il celebre campo fortificato di Pucará, lungo 23 km. e largo 9, il suolo ha vestigia talmente abbondanti di quell'antica civiltà, da far supporre una popolazione assai densa. Quivi, nel sec. XVI, gli Spagnoli trovarono popolazioni guerriere, come i Diaguiti (pron. Diaghiti), detti anche dai cronisti contemporanei Calchaqui, dal nome di una delle loro valli montane, che poterono essere domate, o piuttosto sterminate, soltanto nel 1664. Altre popolazioni, come i Sanaviron della provincia di Córdoba, non opposero per contro alcuna resistenza, ma furono egualmente assorbite o eliminate con grande rapidità. La civiltà d'origine incaitica di queste regioni era in decadenza, all'epoca della conquista spagnola, e già i primi esploratori descrivono il paese come pieno di rovine. Gli ultimi discendenti dei Diaguiti, europeizzati e parlanti il Quechúa, veduti ancora nella seconda metà del secolo scorso da Mantegazza e da Ambrosetti nella provincia di Salta, sono oggi rappresentati soltanto da pochi meticci (v. diaguiti).
Fra la regione montana del NO. e il corso del Paraná, le pianure boscose del Chaco albergano invece tuttora le popolazioni indigene più numerose e meno alterate nella cultura, nonostante l'introduzione del cavallo e la parziale adozione di qualche altro animale domestico, di tessuti europei, delle armi da fuoco. Dal punto di vista linguistico le tribù indigene si dividevano in vari gruppi isolati: i Mataco coi Chorote, i Lule e Vilela, e soprattutto i Guaycurú o Mbaya che avevano forse rappresentanti sino alle rive del Río della Plata. La statura vantaggiosa, le forme robuste, le attitudini belliche, la vita nomade di cacciatori e pescatori accostano queste tribù alle genti delle pianure più meridionali, e la stessa provenienza mostra di avere qualche particolare oggetto della cultura, come la notevole diffusione della tenda di pelli, come abitazione, e dei mantelli di pelle. Attualmente le tribù più importanti del Chaco argentino sono i Toba (Guaycurú) e i Mataco, fra i corsi del Río Pilcomayo e del Río Bermejo: presso il confine boliviano vive anche qualche gruppo di Chana, tribù Guarani o guaranizzata e di livello culturale più elevato (v. chaco). Scomparse sono invece le tribù Guaycurú più meridionali, i Mocovi e gli Abipon, che, appreso dai bianchi l'uso del cavallo, dominavano con le loro scorrerie la regione posta a sud del Bermejo sino a Córdoba e a Santa Fe. Queste feroci tribù di "scotennatori" furono distrutte alla fine del sec. XVIII. Si ritiene che allo stesso gruppo linguistico appartenessero i Querandi, che occupavano la regione compresa fra il Río Carcarañá, il R. Salado e la Plata: cacciatori e pescatori, erigenti vasti accampamenti di tende (toldos) nelle prossimità dei corsi d'acqua, essi ostacolarono fortemente lo stabilirsi dei coloni nella primitiva Buenos Aires, che fu anche da loro incendiata nel 1535 con frecce recanti fasci d'erba infiammata. Scomparsi rapidamente, si hanno di essi solo scarse notizie.
La stessa sorte è toccata ai gruppi indigeni stabiliti fra il Paraná e l'Uruguay. Sono così estinti i Chana o Chaneses, cacciatori e pescatori delle lagune deltizie, che ora si tende a collegare linguisticamente, ma su scarsi elementi, ai lontani Arawak, e altre tribù delle quali non è rimasto che il nome. Ma più a nord erano stanziate tribù Guarani, praticanti, come dovunque, anche l'agricoltura e in possesso di una civiltà assai interessante (v. guarani). Ne sussiste qualche resto (Caingua) nel territorio delle Misiones.
Le grandi zone steppiche che si allargano ad occidente del Río della Plata sino ai piedi delle Ande hanno avuto, nell'epoca successiva alla scoperta, una storia etnica assai movimentata. Le Pampas erano abitate dai Puelche o Pampeani, divisi in varî gruppi (Talu-het, Divi-het, Cheche-het), che, appreso l'uso del cavallo, divennero i più bellicosi e tenaci nemici della colonizzazione. Alle loro incursioni e ruberie fu posta fine soltanto nel 1881, quando la campagna sterminatrice del gen. Roca riuscì a respingerne i resti a sud del Río Negro. Erano di statura assai elevata e di costumi molto simili a quelli dei Patagoni. Nel 1910 ne esisteva ancora una cinquantina di individui nella colonia Valcheta presso il Río Negro. Ma un po' del loro sangue è certo passato nei gauchos, i pastori che li hanno sostituiti nel dominio delle vaste pianure erbose.
La graduale distruzione dei Querandi e dei Puelche venne sfruttata anche dalle tribù di Araucani, che, stabilite in origine sul versante orientale delle Ande (governatorato di Neuquén e parte SO. della provincia di Mendoza), invasero gradatamente la pianura, sebbene contrastate dagli spagnoli, sino ad occupare, alla metà del sec. XVIII, parte della provincia di Buenos Aires. Gli Araucani portavano una cultura più elevata, ma per le necessità imposte dall'ambiente avevano finito con l'adottare un modo di vita non molto dissimile da quello dei cacciatori delle steppe. L'agricoltura era ridottissima e la caccia, col cavallo e la bola, forniva il mezzo principale di sussistenza. Assorbiti o disseminati nella popolazione bianca poco è rimasto anche di essi.
L'inospitalità delle regioni meridionali ha meglio protetto le tribù dei Patagoni o Tehuelche. Anzi, nella Terra del Fuoco, viveva sino a poco tempo fa una tribù, quasi annientata poi da allevatori e cercatori di oro, gli Ona, che non conosceva l'uso del cavallo e presentava quindi intatta la cultura comune a tutti i Patagoni al tempo della scoperta. Questa tribù di alti, robusti e valenti cacciatori, trasformati in brevissimo tempo in abili cavalieri, ha avuto coi bianchi rapporti pacifici: sono circa 2000 individui (v. patagoni). A sud della catena che va dal M. Darwin allo stretto di Lemaire abitavano i pescatori Yahgan, in possesso di una delle culture più povere e primitive dell'America: i pochi superstiti vivono all'europea nella missione protestante di Ushuaia (v. fuegini).
Condizioni economiche. - Minerali. - Nonostante l'enorme estensione del paese e la varietà notevolissima dei terreni, i prodotti minerali occupano un posto secondario nell'economia argentina, poiché sono deficienti quantitativamente o qualitativamente le sostanze di maggiore utilità. Qua e là si è trovato del carbone ma finora non in quantità sufficiente da renderne vantaggiosa l'estrazione a scopo commerciale, giacché i terreni carboniferi dopo la loro formazione furono sconvolti. Un altro grave problema economico è quello del ferro, che deve importarsi.
Nella zona andina si trovano numerose miniere di rame, piombo, argento ed oro, parecchie delle quali sono sfruttate, ma senza che il prodotto estratto importi una grande ricchezza, quantunque sia possibile una maggiore utilizzazione. Le regioni montuose più o meno isolate della grande zona pampeana, producono tungsteno, marmo, granito e pietre per la calce. L'altipiano della Puna è ricco di borato, ma da anni questo non viene più estratto, perché l'estrazione non è conveniente alla società concessionaria. Invece rappresenta una grande ricchezza commerciale il cloruro di sodio di parecchie delle numerosissime ed estese salinas che si trovano dall'estremo nord sino alla Patagonia.
Se si tiene conto che il paese difetta di carbone, si spiega l'entusiasmo destato dalla scoperta del petrolio in varie regioni, perché così l'Argentina non dipenderà più completamente dal mercato straniero dei combustibili. Formazioni petrolifere si hanno sulla costa atlantica a Comodoro Rivadavia (golfo di S. Jorge), nella zona orientale andina che va dal fiume Limay a Mendoza (Plaza Huincal, Cacheuta, ecc.) e nell'estremo nord (Salta e Juiuy). Finora sono di maggior importanza i bacini di Comodoro Rivadavia e di Plaza Huinc al, e specie nella prima zona l'estrazione è in continuo aumento. In questo campo il maggior produttore è il governo, che si è riserbata un'estesa zona di sfruttamento; seguono poi varie compagnie private. La produzione argentina di petrolio di buona qualità sorpassa ora la metà del consumo nazionale, che dal 1918 cresce rapidamente: nel 1926 si dovettero importare ancora 1.066.000 tonnellate. Forse fra pochi anni si raggiungerà l'equilibrio tra la produzione e il consumo con grande profitto dell'economia nazionale, tanto più che si potrà anche ridurre l'importazione del carbone, che negli ultimi anni si è aggirata intorno ai tre milioni di tonnellate. Perché tale ricchezza contribuisca meglio al benessere del paese si cerca di stabilire se convenga di più che le miniere siano esercite dal governo o dai privati o con un sistema misto; inoltre è sorta la questione circa il diritto dei governi provinciali a dare concessioni petrolifere, diritto che una parte dell'opinione pubblica vuole sia attribuito esclusivamente al governo federale.
L'avvenire minerario argentino potrà essere migliore del presente se le miniere saranno sfruttate più attivamente e se si verificherà la speranza, non infondata, di scoprire nuove miniere: poiché non va dimenticato che lo studio geologico accurato del sottosuolo non è ancora completo e potrà dare qualche lieta sorpresa.
Agricoltura. - Se scarseggiano i prodotti minerali più utili, lo stesso non accade per quelli agricoli; anzi questi, dopo aver soddisfatto il consumo nazionale, alimentano un'esportazione che per quantità e per valore è superiore a quella di tutti gli altri prodotti riuniti. Solo nel 1878 si cominciò a esportare il frumento: il progresso agricolo argentino è dell'ultimo cinquantennio e coincide col periodo di ordine politico, dopo che guerre e rivoluzioni sparirono; esso coincide altresì con la grande immigrazione, particolarmente con quella italiana, poiché gli agricoltori della zona dei cereali furono immigranti.
Un rapido sguardo alla carta geografica mostra come il suolo argentino sia atto in varia misura alle colture e come queste dipendano nella loro varietà dalle condizioni del clima e del suolo. Infatti, se da un lato abbondano montagne e regioni collinose, le pianure, dall'altro, sono immense; il paese si estende per molti gradi di latitudine; le piogge sono irregolarmente distribuite; i fiumi appartengono a varî tipi e il terreno è di costituzione differente: tutto ciò contribuisce efficacemente a determinare un'agricoltura caratteristica delle varie zone in cui può dividersi l'Argentina.
La regione settentrionale, che va da Misiones ai piedi delle Ande e comprende il nord della Mesopotamia, il Gran Chaco e qualche parte della zona centrale, ha questi caratteri: piana e di poche altezze, molto piovosa all'est, meno all'ovest; molti fiumi e stagni, temperatura subtropicale. Cosicché i prodotti agricoli sono subtropicali, comuni a tutta la zona, o con possibilità di divenirlo in quei casi in cui la zona di coltivazione è più ristretta: tale il caso della yerba maté, la cui coltura va progredendo in Misiones, mentre se ne importa tuttora dal Brasile e dal Paraguay. Le colture più importanti sono: il tabacco, gli aranci, il cotone che si coltiva molto in questi ultimi anni nel Chaco, e qualche albero da frutta tropicale. Ma il primo posto spetta senza dubbio alla canna da zucchero, coltura estesa in quasi tutta la regione, ma più sviluppata a Jujuy, e particolarmente a Tucumán, che coltiva e produce più di tutte le altre zone riunite.
La regione dei cereali che corrisponde al sud della Mesopotamia, e alla zona pampeana (provincia di Buenos Aires, gran parte della provincia di Santa Fe e Córdoba, la zona nord-est della Pampa e l'est di San Luis), è piana, piovosa all'est e meno all'ovest, più al nord che al sud; terreno fertile, clima temperato. Qui si trovano le migliori condizioni per la coltura dei cereali, che fanno dell'Argentina uno dei paesi produttori più importanti del mondo. La produzione per ettaro è poco elevata, ma la produzione totale è considerevole, data l'estensione della coltura. Predomina il sistema estensivo, dovuto all'impiego delle macchine agricole più moderne, che, pur con scarsa popolazione agricola, dà un ingente prodotto a basso prezzo. La proprietà agricola si chiama chacra. Vicino alle grandi città ha largo sviluppo l'agricoltura intensiva, specialmente con gli ortaggi.
La regione mediterranea od occidentaie, che si estende all'ovest delle due precedenti fino al confine chileno, e dalla Bolivia alla Patagonia, è secca, con piogge scarsissime; molto montuosa all'ovest; frequenti vi sono le salinas. Nella regione non è sempre possibile un largo sviluppo dell'agricoltura, per mancanza d'acqua o perché questa è salmastra. Dove invece vi è possibilità di regolari e abbondanti opere d'irrigazione si aprono vere oasi molto dense d'abitanti e con agricoltura intensiva, come p. es. a San Juan, Mendoza e lungo il Río Negro. Ogni fiume che scende dalle Ande dà luogo a un'oasi più o meno ricca ed estesa nella vallata o arrivando in pianura. Le piante più coltivate sono la vite e gli alberi da frutta. L'uva da tavola o da vino, da parecchi anni è sufficiente al consumo nazionale. La maggior produzione è quella di Mendoza, segue poi San Juan ed ha molta importanza anche il Río Negro. Altri luoghi della stessa regione hanno una produzione agricola d'importanza locale.
La regione patagonica è la meno agricola; se si considera come confine il Río Negro, si può dire che colture non ne esistano, tranne lungo il corso inferiore del Chubut in campi irrigati; ma da un po' di tempo l'agricoltura si estende nella zona occidentale, che avrà un bell'avvenire perché umida; la povertà agricola patagonica deriva dalla scarsità delle piogge.
Ricchezza forestale. - Molto estesi e ricchi di una grande varietà di essenze sono i boschi dell'Argentina; numerose sono le piante utili. Grandi estensioni di foreste sono state diboscate per destinare quel terreno all'agricoltura o per utilizzare direttamente i prodotti forestali. Nella zona mediterranea, per ricavarne combustibile o per farne del carbone, si continuano a tagliare specialmente i boschi di carrubi e di caldén. Nonostante la ricchezza forestale, il paese continua a importare forti quantità di legname per costruzioni. Invece nella regione del Chaco abbonda il quebracho che si taglia da anni per la sua ottima qualità e per ottenere la materia conciante usata nell'industria delle pelli; il quebracho alimenta una ragguardevole esportazione.
Pesca. - Malgrado l'importazione sempre forte di prodotti della pesca, c'è una produzione nazionale che soddisfa una gran parte del consumo interno. La pesca si fa nei laghi, nei fiumi e nel mare. La zona di maggiore importazione è quella di Mar del Plata che approfitta della vicinanza del gran mercato di consumo di Buenos Aires. In qualche punto s'inizia l'ostricoltura.
Allevamento. - Accanto all'agricoltura, come grande industria, si ha l'allevamento del bestiame; quantunque l'esportazione dei suoi prodotti abbia un valore un po' inferiore a quello dei prodotti agricoli, l'allevamento è un'industria molto più antica e per molto tempo fu l'unica grande occupazione rurale. Nell'ultimo cinquantennio i progressi furono notevoli, particolarmente nella qualità dei prodotti, non si tralasciano sacrifizî per ottenere migliori animali; si cercano gli animali più scelti per gl'incroci, e i risultati compensano le fatiche poiché il bestiame argentino è molto rinomato nei mercati più esigenti, come l'Inghilterra. L'allevamento primitivo di una volta è ora sparito; esso tende a farsi sempre più scientifico; le proprietà rurali chiamate estancias sono amministrate accuratamente; gli animali sono sorvegliati, scelti, e si cerca di ottenere i migliori tipi per ogni bisogno speciale; nello stesso tempo si sono creati estesissimi campi di erba medica.
Le estancias sogliono essere assai più estese che le proprietà consimili europee; misurano migliaia di ettari, e qualche volta arrivano a parecchie decine di migliaia, cosicché la zona dove predomina l'allevamento è di poca densità di abitanti.
L'annessa carta geografica indica le regioni dove si trovano in maggior quantità le varie specie di bestiame, regioni che rispondono a condizioni climatiche, fitogeografiehe, topografiche e storiche; per esempio, la capra abbonda nella zona secca e montuosa; la pecora predomina nella Patagonia; lo llama si alleva ancora sull'altipiano della Puna e nelle valli vicine, esso contribuisce al colore locale, ma la sua importanza economica nazionale è scarsissima.
Industrie. - Da quanto si è detto si viene alla conclusione che l'Argentina ha una produzione industriale quasi esclusivamente derivata dall'agricoltura e dal bestiame, è un paese assai ricco di tali prodotti e ha possibilità quasi uniche di poter sviluppare maggiormente la produzione.
Qualche piccola industria esisteva in varie regioni, industria di carattere locale, ma la grande concorrenza straniera le ha fatte scomparire quasi totalmente, sicché il paese venne ad essere uno straordinario produttore di alimenti e di materie prime ma asservito alle fabbriche europee. Con l'aumento della popolazione, sia in quantità, sia in capacità produttiva, e con l'intervento di forti capitali stranieri o paesani, tale stato di cose, da parecchi decennî, si viene trasformando: numerose industrie fanno la loro comparsa, e qualcuna di esse è già potente e in continuo progresso.
È vero che la scarsità o la mancanza di parecchie sostanze minerali ostacola gravemente lo sviluppo industriale, ma questo e favorito dall'abbondanza di altre materie e dal protezionismo statale, che per qualche prodotto fa sentire la sua influenza favorevole, ad esempio per lo zucchero. Da principio i prodotti industriali risentivano troppo del proposito di imitare grossolanamente la produzione europea; la qualità ne soffriva e il pubblico faceva una gran differenza tra il prodotto straniero e quello nazionale; ma, col tempo, la qualità migliora e spesso è uguale a quella della merce importata.
L'industria zuccheriera che lavora la canna da zucchero è forte e da parecchi decennî basta al consumo interno. Lo stesso avviene per l'industria vinicola, che è concentrata particolarmente a Mendoza e a San Juan; essa produce varî tipi comuni e fini; l'importazione si è ridotta e si è arrivati a esportare. La zona dei cereali dà lavoro a numerosi mulini e l'industria dei tessuti progredisce da qualche tempo, grazie anche alla notevole produzione di buona lana e all'estendersi della coltura del cotone. Florida è l'industria del cuoio con numerosi e grandi calzaturifici situati nella regione del litorale.
Per la carne, ben presto sorsero numerosi saladeros che adesso hanno un'importanza secondaria, e si trovano quasi tutti nella Mesopotamia, lungo il fiume Uruguay. Molto più progredita e ricca è l'industria dei frigoriferi; questi dispongono di grandi capitali (inglesi in primo luogo, poi nordamericani) e preparano enormi quantità di carne congelata e refrigerata per l'esportazione; i frigoriferi sostituirono in gran parte i saladeros e si trovano specialmente nella provincia di Buenos Aires (lungo il Paraná e il Plata) e nella Patagonia dove lavorano la carne ovina. Si è pure sviluppata notevolmente l'industria dei latticinî, per l'abbondanza del bestiame, e i suoi prodotti tendono a migliorare sempre più.
Quantunque l'economia argentina sia di sviluppo relativamente recente, parecchi suoi prodotti (alimenti e materie prime) hanno grande importanza nel mercato mondiale di consumo e tale situazione tende a migliorare. L'aumento non potrà arrestarsi, le soste saranno soltanto transitorie, poiché si tratta di un paese di crescente popolazione attiva, d'origine quasi esclusivamente caucasica, la cui azione si svolge su un territorio immenso, non tutto fertile è vero, ma con una percentuale elevatissima atta alla produzione e con grandi prospettive di poter intensificare il rendimento della parte coltivata. Insomma non si esagera affermando che pochi sono i paesi che offrano le straordinarie possibilità di progresso economico dell'Argentina.
Commercio. - Da parecchi decennî la produzione argentina è orientata verso l'esportazione, mentre l'importazione è pure attivissima, cosicché il commercio internazionale risulta imponente e sempre in aumento. Uno sguardo generale all'economia del paese fa rilevare subito il carattere del commercio: si esportano alimenti e materie prime (frumento, carne, lino, lana, cuoio, ecc.), si importano prodotti industriali (macchine agricole, ferroviarie e industriali, automobili, tessuti, conserve, ecc.) e qualche materia prima (carbone e petrolio). Perciò l'Argentina viene a essere il complemento economico di paesi industriali quali la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Germania. Col primo paese citato gli scambî sono elevatissimi e quasi equilibrati nella compera e nella vendita; invece gli Stati Uniti esportano molto di più di quello che importano, perché al loro carattere di paese di grande industria, uniscono quello di produttore di enormi quantità di materie simili alle argentine. Notevole è lo scambio con l'Italia, dalla quale compera tessuti, automobili, marmo, conserve, ecc.; un attivo traffico commerciale esiste anche col Belgio, con la Francia, col Brasile, col Messico, con la Spagna e in varia proporzione con quasi tutti i paesi del mondo.
Comunicazioni e trasporti. - Strade. - Un'occhiata alla carta geografica della Repubblica mostra come la grande zona montuosa occidentale ostacoli grandemente le comunicazioni. Vi sono infatti poche strade di scarso rendimento, e sebbene ora, nonostante l'alto costo, se ne costruiscano alcune comode, la regione è prevalentemente mulattiera, e nell'estremo nord-ovest, confinante con la Bolivia, lo llama non ha ancor del tutto ceduto di fronte ad animali ed a macchine più atte alle necessità moderne. Altre regioni presentano estensioni troppo grandi di terreni paludosi, costanti o stagionali, con diretta influenza negativa sulla circolazione, inoltre non bisogna dimenticare che la generale scarsità di popolazione unita alla superficie stragrande del paese, crea un problema grave; abitanti e circolazione sono due termini strettamente vincolati dello stesso problema. Nella zona pampeana, piana e di notevole attività sociale ed economica, le strade possono tracciarsi facilmente; ma, data la natura del suolo, la conservazione è troppo spesso deficiente, e ciò influisce sulle spese di trasporto delle merci. L'aumento dell'attività economica e l'uso sempre più comune delle automobili faranno migliorare le strade; di ottime ne esistono già nelle provincie di Córdoba, di Mendoza e di Buenos Aires.
Nella Patagonia, dove le ferrovie si trovano all'inizio del loro sviluppo, le comunicazioni coi carri erano troppo lente; ma, negli ultimi anni, l'automobile ha determinato una grande trasformazione in materia di velocità e ciò serve di stimolo alla vita sociale ed economica di quella zona.
Nonostante le deficienze originate dalla topografia o dai mezzi di circolazione, l'Argentina è ben lontana dallo stato in cui si trovava verso la metà del secolo scorso quando i trasporti erano lenti, lentissimi - i viaggi da Buenos Aires a certe provincie duravano parecchi mesi - incomodi e non sempre sicuri, se l'itinerario era troppo vicino ai territorî degli Indiani. S'intende che il progresso non è stato uniforme in tutta la Repubblica, poiché ben numerose e decisive sono le differenze tra regione e regione.
Fiumi navigabili e porti. - Quantunque non siano uniformi nella distribuzine geografica, parecchi fiumi costituiscono per l'Argentina un vero tesoro, tale è la loro importanza naturale e quella che possono raggiungere col lavoro umano. Il Plata e un lunghissimo tratto del corso dei suoi affluenti principali formano un sistema navigabile che non trova l'uguale in moltissimi paesi. Dal primo momento della storia argentina, questi fiumi agevolarono l'esplorazione e la conquista fin dell'interno del continente poi servirono per i traffici sempre crescenti, nonostante qualche difficoltà derivata dal sistema politico od economico applicato da questo o da quel governante spagnolo, argentino o paraguayano. Tolto il sistema fluviale del Plata, gli altri fiumi argentini, nonostante il loro numero e la loro lunghezza sulla carta, sono navigabili solo eccezionalmente, nell'ultimo tratto o temporaneamente, e contano quindi poco nelle comunicazioni nazionali.
Invece l'estuario del Plata, dragato convenientemente, è un vero mare e le sue acque sono solcate dalla maggioranza delle navi che toccano i porti argentini. Sulla sponda destra o argentina si trovano i grandi porti di Buenos Aires e La Plata. Il primo si trova alla testa di tutti gli altri per comodità, estensione e movimento; più della metà del commercio estero argentino si svolge per questo porto d'importanza mondiale. In questi ultimi tempi ha avuto una bella dimostrazione della sua capacità e del progresso innegabile del paese con la destinazione alla linea del Plata di vapori, come: il Giulio Cesare, il Saturnia, il Cap Arcona, l'Augustus ed altri che onorano le varie compagnie di navigazione, tra le quali le italiane occupano un posto invidiato.
Il fiume Uruguay, nel suo corso inferiore, al sud del Salto Grande, è navigabile per navi di grandezza media, poiché fino a Concordia possono arrivare navi da 9 a 11 piedi di pescaggio. Sulle due sponde si trovano porti e città di qualche importanza, argentine ed uruguayane. Sulla sponda destra o nelle vicinanze si utilizzano i porti di Gualeguaychú, Concepción, Colania e Concordia. Al nord del Salto Grande la navigazione si fa difficile, e i porti di Monte Caseros, Paso de los Libres, Alvear, Santo Tomé e San Javier sono di poca importanza; con le piene, si trasportano numerose jangadas.
Superiore all'Uruguay è il Paraná per la lunghezza, la portata, la profondità e, quindi, per la navigabilità. Risalendo il suo corso e quello del magnifico suo affluente, il Paraguay, si può navigare dalla foce fino al Matto Grosso, vicino alla sorgente, nel cuore del continente.
Fino a Santa Fe, a circa 580 km. dal porto di Buenos Aires, può arrivare la navigazione d'oltremare, grazie ai lavori fatti in tempi recenti; perciò una gran parte dell'Argentina, popolata ed attiva, ha una magnifica via fluviale di carattere marittimo che la mette in diretta comunicazione col mondo. Porti di varia importanza locale o interprovinciale, sono situati sul corso principale o su qualche braccio laterale; vi sono stati eseguiti o sono in corso grandi lavori; oppure vi si usano imbarcatoi galleggianti per evitare gl'inconvenienti dei cambî di livello delle acque. Sulla destra si trovano: Campana, Zárate, Baradero, San Nicolás, Villa Constitución, Rosario, Santa Fe e Barranqueras.
Il principale è quello di Rosario, la seconda città della Repubblica: il suo traffico è superato soltanto da quello di Buenos Aires; può ricevere navi che pescano m. 6,40 tutto l'anno, e m. 7,52 durante otto mesi. Sulla sinistra si trovano: Ibicuy (unito a Zárate con un ferry-boat), Puerto Ruiz, Diamante, Paraná, La Paz, Esquina, Goya, Bella Vista, Empedrado e Corrientes. Dopo quest'ultimo porto, fino alla cascata della Guira, la navigazione è più difficile, particolarmente per il Salto di Apipé; ma dal 1920, si procede a far saltare la roccia del fondo nel passo di Carayá. Esiste una navigazione regolare fatta da piccole navi; il legname si suol trasportare per mezzo di Jangadas; il porto principale è quello di Posadas, unito a Villa Encarnación con un ferry-boat.
La navigazione nel Paraguay è più regolare, e possono arrivare sino ad Asunción, tutto l'anno, navi di 2,13 m. Di tutti gli affluenti di destra del Paraná e del Paraguay, l'unico navigabile è il Bermejo, che tuttavia richiede una sorveglianza continua per la differenza di portata, per gli alberi che cadono nel letto e per qualche modificazione del corso, fino al km. 250 arrivano navi di m. 2.13 per sei mesi; si naviga più in su, fino al km. 642 (Teuco), con navi di m. 0,61 tutto l'anno, e di m.1, 52 per sei mesi; l'utilità di questo servizio non compensa le spese, ma il governo lo sostiene come ottimo fattore di popolamento in quella zona quasi disabitata.
Secondo il calcolo di Soria, la Repubblica ha 4195 km. di coste marittime che, per cause geografiche e storiche, non hanno finora raggiunto l'importanza della zona fluviale in materia di traffici. La parte migliore e che fa continui progressi è la settentrionale (prov. di Buenos Aires). Qui si trova il gran porto in costruzione della città balneare di Mar del Plata; sarà adibito per navi mercantili e da guerra, che potranno essere di grande tonnellaggio, come dimostrò nel 1925 ricevendo la corazzata inglese Repulse. Alla foce del Quequén si trova il porto omonimo.
Nella parte interna del grande angolo di Bahía Blanca e a diverse distanze dalla città di questo nome, si è costruita una vera serie di porti adibiti specialmente all'esportazione dei cereali perciò alcuni hanno grandi elevatori e permettono le operazioni di grosse navi. Appartengono al governo o ad imprese private, e sono: Arroyo Pareja, Puerto Belgrano (militare), Ingeniero White, Galván e Cuatreros.
Più al sud c'è San Blas e il porto fluviale di Patagones che è ostacolato dall'indole della foce del Río Negro, per il quale fiume sono stati fatti numerosi progetti di navigazione. I porti della costa patagonica sono parecchi, ma il loro movimento è scarso, poiché il loro retroterra è povero; ma, quando la ferrovia arriverà alla Cordigliera e stimolerà la produzione di quella fertile regione, il progresso di quei porti sarà sicuro. L'ubicazione dipende da cause regionali o locali e i lavori fatti o progettati variano molto da porto a porto. Quello di Comodoro Rivadavia è recente e attivo per il trasporto del petrolio. Caratteristica della Patagonia è la forte marea; per esempio, il porto di San Antonio Ceste lascia entrare od uscire le navi soltanto col flusso, perché col riflusso rimane senz'acqua. Altri porti sono: Puerto Madryn, Puerto Deseado San Julian, Santa Cruz e Gallegos. La merce caricata consiste quasi esclusivamente nei prodotti dell'allevamento del bestiame ovino. Nella Terra del Fuoco si trovano Río Grande ed Ushuaia, il più australe di tutti i porti argentini.
Varî progetti si sono fatti per la navigazione interna, che si propongono, sia di utilizzare parecchi dei numerosi fiumi esistenti, sia di scavare canali attraverso le immense pianure, ma finora il problema non ha avuto soluzione.
Politicamente l'Argentina è stato federale, ma commercialmente è unitario e ciò si dimostra paragonando l'attività dei suoi porti. In effetto, il valore proporzionale dell'esportazione argentina attraverso i varî porti è dato dalle seguenti cifre:
Ma, se parecchi porti esportano in grande quantità i prodotti della loro zona d'influenza, pur lasciando sempre il primo posto indiscusso a quello di Buenos Aires, riguardo all'importazione la percentuale si modifica straordinariamente, facendo di Buenos Aires, praticamente, l'unico mercato di distribuzione delle merci importate. Ecco la statistica, per lo stesso periodo:
Anche per i passeggeri succede lo stesso: l'immigrazione usa quasi soltanto il porto di Buenos Aires e tutti i tentativi fatti per modificare simile stato di cose finora non hanno avuto esito.
Ferrovie. - Il 30 agosto 1857 s'inaugurò la prima ferrovia argentina, base dell'attuale compagnia dell'ovest; il primo tratto misurava poco più di 10 chilometri e partendo dalla piazza del Parque (ora Lavalle) arrivava alla Floresta (ora Vélez Sarsfield); mano a mano si andò prolungando, nonostante le difficoltà finanziarie dell'impresa che dovette cederne la proprietà al governo; a questa prima linea ne seguirono altre in differente direzione, con un crescendo poche volte interrotto, sino a costituire la fitta rete ferroviaria attuale, che pur tuttavia non ha raggiunto lo sviluppo massimo. Il progresso ferroviario è un ottimo esponente del progresso generale della nazione, del quale è causa ed effetto, e in una misura ben maggiore di quello che accade in Europa. Così si esprime E. Chanourdie, citato da Rebuelto: "Al 30 agosto 1857 - data dell'inaugurazione del Ferrocarril del Oeste - spetta nella nostra opinione il terzo posto nell'ordine cronologico dei grandi avvenimenti della storia argentina. Dopo il 25 maggio 1810 e il 9 luglio 1816, nessun altro fatto è stato, in effetto, più propizio alla costituzione definitiva del paese e al suo meraviglioso sviluppo morale e materiale. Se Caseros è stato il punto di partenza dell'organizzazione nazionale, la locomotiva è stata il fattore principale dell'unità della Repubblica".
Con l'inaugurazione del tratto fino a Moreno, avvenuto il 12 aprile 1860, la ferrovia arrivava a misurare 39 km. Nel 1860-1870 il progresso è notevole: comincia la diramazione attorno a Buenos Aires, si costruisce una piccola linea in Entre Ríos e Rosario è unito a Córdoba. Nel decennio seguente, aumenta il fenomeno nel senso indicato, parecchie linee s'internano nella provincia di Buenos Aires e Rosario viene allacciata con Tucumán e Villa Mercedes; prescindendo dalla provincia di Entre Ríos, le ferrovie argentine fanno capo a due città: Buenos Aires e Rosario senza comunicazione tra loro; questa si ottiene nel decennio 1880-1890 in cui si disegna già una rete i cui estremi sono: Bahía Blanca, Mendoza e San Juan, Catamarca, Santiago e Salta. I primi passi si fecero quando mancavano ancora estesissime regioni alla conquista definitiva del territorio nazionale, perché le tribù selvagge accampavano ancora da padrone nel Chaco, nella Patagonia e nella maggior parte della Pampa; ma verso il 1880 si compie la conquista e si aprono alla valorizzazione splendide regioni, specialmente quella pampeana; questo fatto ebbe notevole influenza anche sullo sviluppo della rete ferroviaria.
Nel decennio 1890-1900, nonostante i torbidi politici dei primi anni, le costruzioni progrediscono; si costruisce persino una piccola linea nel Chubut, e da Bahía Blanca si arriva alla confluenza del Limay col Neuquén, attraversando la Patagonia settentrionale. Nonostante la guerra mondiale che determinò una sosta, dal 1900 ad oggi le costruzioni aumentarono in più luoghi. La rete si fece fitta e più estesa e nuove linee furono costruite in zone finora quasi disabitate; adesso ogni provincia è attraversata dalle rotaie e lo stesso succede coi territori nazionali, quantunque in proporzione minore; non hanno ferrovia Los Andes e Terra del Fuoco; qualche linea è isolata (Chubut e Santa Cruz), ma si tende ad unirla alla rete generale.
Nonostante la straordinaria lunghezza della frontiera argentina, le ferrovie internazionali scarseggiano; ciò si deve a varie cause: terreno montagnoso, regioni disabitate, fiumi che permettono la navigazione e quasi sempre impediscono, inoltre, le costruzioni ferroviarie. La linea del Central Norte, dopo aver raggiunto Jujuy, per la Quebrada di Humahuaca si estese fino alla Puna (il punto più elevato, che sorpassa i 3700 m.) e il 25 maggio 1908 s'inaugurò il tratto sino a La Quiaca, sulla frontiera; negli ultimi anni si unì la linea argentina a quella boliviana e adesso da Buenos Aires si può andare direttamente fino a La Paz. Un'altra linea internazionale è in costruzione e si avrà prolungando la linea Embarcación-Yacuiba.
Per il celebre passo di Uspallata, tra Mendoza e Santiago del Chile, dal 16 aprile 1910 funziona la ferrovia chiamata Transandino. Parecchie altre linee si sono progettate attraverso la Cordigliera per unire l'Argentina col Chile (per esempio: Bariloche, Pino Hachado, San Rafael-Rancagua) e al nord si è iniziata la costruzione dell'audace linea che, dopo aver raggiunto la Puna, attraverserà la frontiera per il passo di Socompa (prima si progettava per Huaitiquina).
Dal 24 dicembre 1912 Buenos Aires è unito con una linea ferroviaria al Paraguay per mezzo del Nordoste Argentino, che attraversa due volte il Paraná con Jerry-boat: Zárate-Ibicuy e Posadas-Pacu Cua.
La rete più fitta, le linee più attive e produttive si trovano nella zona più densamente abitata, ossia nella pampeana; in minor grado segue la regione mesopotamica e in qualche altra zona si disegna di già una rete importante, come in Tucumán per l'attività economica che deriva dalla canna da zucchero, ed in Mendoza per i vigneti ed i frutteti. Le altre linee, più o meno lunghe, raramente sono ramificate, ed hanno piuttosto l'aspetto di comunicazioni a distanza, attraverso regioni di poca popolazione e di attività economica ridotta.
Dall'osservazione della carta ferroviaria argentina si deduce facilmente che le ferrovie si costruiscono in gran parte tenendo conto delle necessità del commercio d'importazione e d'esportazione. Le linee ferroviarie che nella carta si vedono diramate a ventaglio rappresentano infatti i mezzi per raggiungere i porti dai luoghi di produzione e per penetrare dai porti verso la zona di consumo. A una maggiore attività del porto corrisponde una rete ferroviaria più estesa e più fitta, e parecchie compagnie cercano di arrivare al fiume o al mare dove, qualche volta, costruiscono o amministrano importanti opere portuali. Il primo ventaglio è quello di Buenos Aires, verso cui convergono quasi tutte le ferrovie argentine; non si dimentichi, accanto all'influenza economica, quella politica. Seguono poi, con importanza più o meno grande, ma sempre con influenza estraprovinciale: Rosario, Santa Fe e Bahía Blanca.
L'azione delle imprese private si è manifestata particolarmente nella zona pampeana, e ciò si spiega con la possibilità di ricavare rapidi e importanti guadagni. Invece, una regione estesissima del paese sfuggì a quest'azione; provincie intere o quasi e la maggior parte dei territorî nazionali, per la povertà economica naturale o per la mancanza di sviluppo economico e demografico, sarebbero rimaste senza ferrovie se il governo non fosse intervenuto. Si tratta quasi sempre di ferrovie chiamate di fomento, che non hanno per fine l'utile immediato, ma piuttosto quello di agevolare e di stimolare il popolamento di regioni scarsamente abitate e la produzione; si cerca di valorizzare la regione che attraversano; e però si compie con essa una vera funzione di governo lungimirante. Così avviene per le varie linee della Patagonia che, attraverso la zona povera dell'est, cercano di raggiungere quella umida, fertile e di bell'avvenire della Cordigliera.
Le strade ferrate hanno tre scartamenti: uno scartamento largo, di 1,676 m.; uno medio, di 1,435 m., e uno ridotto di 1 metro. I seguenti dati statistici, somministrati dalla Dirección General de Ferrocarriles, dànno la lunghezza generale e particolare al 31 dicembre 1927 e il movimento di passeggeri e di carico per l'esercizio 1927:
Esistono inoltre 1986 chilometri di ferrovie che non dipendono dalla Dirección General de Ferrocarriles ma sono di giurisdizione provinciale e di carattere secondario; perciò l'estensione totale della rete ferroviaria per tutto il paese arriva a 38.281 chilometri; cifra notevole, paragonata a quella di tanti stati (occupa il primo posto nell'America meridionale), ma limitata se si paragona all'estensione del territorio nazionale.
Il capitale inglese occupa il primo posto nelle imprese private - nel 1924 si calcolava in 233.000.000 di sterline - ad esso appartengono le maggiori imprese.
Le comunicazioni aeree si cominciano a sviluppare e sono in progetto varie linee commerciali.
Distribuzione e densità della popolazione. - In Argentina la popolazione è assai irregolarmente distribuita ed ogni censimento ha messo in chiaro il fenomeno; quantunque certe regioni si vadano popolando con qualche rapidità e divengano perciò simili alle altre, le differenze sono troppo rilevanti perché possano sparire in un avvenire immediato, e forse non spariranno mai, tali e tante sono le cause da cui dipendono.
Ecco due quadri statistici che permettono di paragonare la popolazione e il suo aumento nelle provincie, aggruppate secondo la classificazione più comune:
Come si vede, l'aumento relativo è poco uniforme, anzi esistono differenze grandissime; per esempio tra Catamarca e Santa Fe. L'aumento di qualche provincia è così tenue che maggiore è stato quello assoluto e relativo del territorio di La Pampa che nel 1869 era ancora occupato dagl'Indiani.
La densità della popolazione è molto scarsa, perché non arriva ancora a quattro abitanti per chilometro quadrato. Paragonata a quella europea e particolarmente all'italiana, si nota una differenza delle più grandi; dovrà passare ancora molto tempo prima che le cifre si avvicinino.
Riguardo alla distribuzione della densità, è facile vedere che a zone molto popolate si possono contrapporre altre disabitate o quasi; ecco qualche esempio: la provincia di Buenos Aires (senza contare la capitale federale che, per la vicinanza, vi si potrebbe includere) conta 9 abitanti per kmq., e così Santa Fe; Tucumán occupa il primo posto, poichè la sua densità sorpassa 15; invece, altre provincie sono più disabitate; per esempio, Catamarca non arriva ad avere 2 e La Rioja ne ha un poco meno di 1. Queste due non sono ancora le regioni meno popolate; è facile trovare indici più bassi: nella Terra del Fuoco, ad ogni abitante corrispondono più di 8 km.; un abitante per 15 kmq. in Santa Cruz, e nel territorio de Los Andes per un abitante si hanno più di 35 kmq.
Ma se questo procedimento è quasi esatto per qualche zona; per altre, l'indice è teorico e dà un'idea non corrispondente al vero; in effetto, come s'è visto per tutta la repubblica, sono troppe le differenze esistenti tra una parte e l'altra di una provincia o di un territorio, perché si possa parlare di distribuzione uniforme. Parecchie sono le cause di tale diversità, favorevoli o contrarie: montagne altissime, suolo roccioso, terreni arenosi, salinas, regioni paludose, piogge scarse, terra fertile, facilità delle comunicazioni, mancanza di sviluppo storico, ecc. Nella provincia di Mendoza, le zone irrigate e coltivate a vigneti e frutteti sono densamente abitate ed accentrano quasi tutta la popolazione totale, mentre il resto della provincia, nonostante la sua immensità, è praticamente disabitato. Nel territorio del Río Negro, si nota l'influenza del fiume omonimo che accentra una percentuale elevata di abitanti, e qualcosa di simile accade sulla linea ferroviaria da San Antonio a Nahuel Huapí. Tra le montagne aride del nord-ovest si osserva subito che la densità maggiore (e qualche volta l'unica popolazione degna di nota) corrisponde al fondo delle valli irrigate o alle miniere. Ma dove la popolazione argentina è più numerosa, dal punto di vista assoluto e relativo (si parla di estese regioni e non di luoghi circoscritti) è nella zona pampeana, e questa è anche la regione di maggiore uniformità nella distribuzione; fatto dovuto a cause climatiche, topografiche, economiche e sociali. Ciò nonostante si possono stabilire parecchie differenze: le terre destinate all'allevamento del bestiame hanno una densità minore delle altre, perché questo tipo di sfruttamento economico esige poca mano d'opera; più densa è la popolazione delle terre agricole; ma anche in queste, se l'agricoltura è estensiva (come accade quasi sempre), l'indice si conserva assai basso. Invece, nelle terre a coltura intensiva e nelle zone industriali e commerciali, dove la vita urbana segna uno dei caratteri precipui, abbiamo una grande densità, come lungo il Plata e la sponda destra del Paraná sino al Salado. Quindi, una carta della densità per provincie e territorî non sarebbe nemmeno approssimativa; uno studio più esatto fece Delachaux; ma, siccome il suo scritto risale al 1905, adesso è antiquato ed ha un valore esclusivamente storico; non si dimentichi la rapidità dei cambiamenti che subisce la popolazione dell'Argentina.
Centri urbani. - Il fenomeno urbano è recente; nessuna città è anteriore alla conquista bianca; i primi tempi dell'epoca coloniale sono caratterizzati dalla fondazione di città che per molti anni hanno portato tal nome senza meritarlo e sono le capitali di quasi tutte le provincie. Ma il progresso maggiore per numero, per abitanti, per costituzione e per comodità, comincia nella seconda metà del secolo XIX, e coincide con l'organizzazione politica definitiva e con la valorizzazione del paese; sono fenomeni concomitanti. In una lettera del 3 agosto 1729, il missionario Carlo Gervasoni, giudicava Córdoba come la peggiore città di quante ne esistessero in Europa e in America, poiché in essa tutto era meschino; ma, d'allora in poi, grandi furono i progressi, e in materia di urbanismo, sia in Córdoba, sia in parecchie altre città, l'Argentina è ben lontana dall'essere il paese più arretrato.
Poiché la data di fondazione delle città risale tutt'al più alla metà del sec. XVI, esse hanno tutte una pianta regolare, geometrica, con vie che s'incrociano ad angolo retto; le costruzioni s'estendono quasi sempre secondo il prolungamento delle vie primitive, meno nei casi in cui si riuniscono rioni iniziati indipendentemente. Nella parte antica, tracciata in un'epoca in cui non si poteva prevedere la proporzione del traffico odierno, le vie sono strette, ma, nei quartieri nuovi o nelle città di fondazione recente, le vie sono molto più larghe. Per esempio, la zona centrale di Buenos Aires è congestionata dal traffico sempre crescente; perciò da parecchi anni si procede ad allargare parecchie vie e si sventrano isolati per tracciare corsi o diagonali. Un altro mezzo per facilitare il traffico è quello delle ferrovie sotterranee, che in Buenos Aires si è già applicato; dal 1913 ne funziona una e se ne progettano parecchie altre.
Nelle costruzioni urbane predominano le case basse, col solo pianterreno; però, nella parte centrale delle città anche piccole, cominciano ad elevarsi case a più piani, e nelle città più popolate e dove il prezzo del terreno ha raggiunto cifre straordinarie, le costruzioni moderne sono altissime; Buenos Aires dà l'esempio con numerosissimi edifici di cinque, otto, dieci e più piani; in minore proporzione seguono altre città, come Rosario, Córdoba, Tucumán e Bahía Blanca. Il carattere coloniale quasi intatto delle costruzioni si conserva a Salta, Jujuy e in qualche altra città dell'interno; per queste il fatto si spiega con la situazione geografica che le preservò dal contatto immediato del cosmopolitismo imperante nella zona di grande immigrazione del Litorale e col non aver esse fatto finora grandi progressi che portino seco la ricostruzione; invece a Buenos Aires, nella parte più antica, è ben difficile trovare qualche casa vecchia, che costituisce una vera curiosità; tutte le costruzioni si sono rinnovate negli ultimi tempi, e qualcuna si è trasformata due o più volte.
Il processo di formazione e di rinnovazione delle città argentine tende ad un solo tipo generale e ciò si vede nel Litorale.
Qual è il numero delle città e la loro importanza quanto a popolazione? I censimenti costituiscono un documento prezioso per stabilire il grado e la direzione del progresso. Le tre cartine annesse segnano i tre momenti caratteristici del fenomeno; sono tracciate d'accordo con i censimenti nazionali, prendendo per base le città che abbiano almeno 5000 abitanti. Nel 1869 il numero è scarso e la distribuzione geografica segna la sopravvivenza della vita urbana coloniale, quantunque in qualche provincia nemmeno la capitale avesse quella popolazione; ma un piccolo vantaggio già si vede per il Litorale (Buenos Aires ed Entre Ríos); il resto del paese, a questo riguardo, è deserto; il Chaco, la Patagonia e una parte molto estesa della Pampa aspettano ancora la conquista.
La cartina del 1895 segna già un passo notevole: aumenta il numero, quantunque quasi esclusivamente nel Litorale (Pampa e Mesopotamia), poiché l'interno ha progredito ben poco; il Chaco non ne ha, lo stesso accade per tutto l'immenso paese che si stende a mezzogiorno di Bahía Blanca.
La cartina del 1914 è eloquente; il progresso numerico è straordinario; ma, nonostante l'aumento di qualche provincia dell'interno, il progresso si concentra tutto nel Litorale (Mesopotamia e ancor di più nella zona pampeana); questo fenomeno è particolarmente grandioso lungo il Plata, nella zona di Buenos Aires, dove esistono 28 città a breve distanza e persino, tra qualcuna di esse, senza interruzione. La cartina allegata illustra benissimo la distribuzione degli abitanti, la situazione geografica, la circolazione e l'attività economica del paese.
Il censimento del 1869 presenta 20 città con una popolazione totale di 382.552 abitanti; la proporzione non è troppo elevata. Quello del 1895 ne ha 46 con 1.240.399 abitanti; la proporzione è aumentata; il terzo censimento la fa progredire di più: 132 città, con 3.578.480 abitanti, ossia quasi la metà della popolazione della Repubblica. Se si calcola come urbana quella agglomerata in centri di almeno 2000 abitanti (come fa il censimento), nel 1914 c'erano 332 città con 4.157.370 abitanti, ossia più del 50% della popolazione totale.
Riguardo alla popolazione agglomerata e sparsa, i censimenti non sono uniformi; il 1° e il 2° dànno i risultati anche per villaggi; invece il 3° limita l'indagine della popolazione agglomerata ai centri di almeno 2000 abitanti, che considera urbani; i censimenti dei territorî nazionali (1912 e 1920) sono più completi: adottano la base di 30 abitanti per calcolare la popolazione agglomerata, ma la denominano erroneamente urbana; perciò, la Terra del Fuoco, nel 1912, avrebbe avuto quasi il 70% di popolazione urbana.
È interessante paragonare anche il numero di abitanti delle città più importanti. Tra molte, la differenza è quasi nulla, ma non così tra le altre singole città e la prima, Buenos Aires. Per intendere meglio il fenomeno vedasi questo quadro statistico:
La proporzione è grandissima paragonata sia alla popolazione totale, sia a quella delle altre città. Nel 1925 Buenos Aires contava 2.310.000 abitanti, occupando il 20 posto fra le città latine e uno dei primi tra le più grandi del mondo, e ospitando quasi la quinta parte della popolazione totale della Repubblica.
Segue Rosario, che nel 1922 aveva 265.000 abitanti ed è la seconda città per popolazione e per attività economica; Córdoba, che nel 1918 aveva 156.000 abitanti, e La Plata, che ne aveva 151.000 nel 1922. Si calcola che attualmente anche Santa Fe e Tucumán superino i 100.000 abitanti. Bahía Blanca, Mendoza e Avellaneda hanno tra i 50.000 e i 100.000 abitanti.
Emigrazione. - Nel 1810 - anno in cui la piccola società euro-argentina, europeista per razza e per mentalità, ispirandosi ai principî della Rivoluzione francese, importati dai suoi uomini insigni come Rodriguez Peña, Belgrano, Moreno, Alberdi, si oppose allo spirito dei conquistatori spagnoli, dei quali dopo la rivoluzione dichiarò decaduto il dominio - la popolazione argentina si componeva di 720.000 abitanti così suddivisi, secondo il calcolo approssimativo di José Ingenieros: Meticci 421.000; Indî 210.000; Mulatti 60.000; Negri 20.000; Bianchi europei 6000; Bianchi nazionali 3000. Gli uomini della rivoluzione si preoccuparono immediatamente di attrarre l'emigrazione europea modificando radicalmente il regime coloniale spagnolo, contrario agli stranieri. Ma l'esigua minoranza di coloro che fecero l'indipendenza e che rappresentavano la corrente europeista, se riuscì a sottrarre il paese al dominio spagnolo, dovette a sua volta sopportare il sopravvento di quella che Sarmiento chiamò la "barbarie": cioè la società ispano-indigena o gaucha, il cui tracollo fu segnato dalla battaglia di Caseros, nel 1852, con la conseguente caduta della tirannia di Rosas. Nel 1852, la popolazione argentina si componeva di 800.000 uomini, così suddivisi: Meticci 553.000; Mulatti 110.000; Indî 100.000; Negri 15.000; Bianchi nazionali 15.000; Bianchi europei 7000. Queste ultime cifre stanno ad indicare come in quel quarantennio, nonostante gli sforzi di una gloriosa minoranza, l'emigrazione non si avviò verso il Plata.
Nel 1852 si firmava la costituzione ispirata dal famoso motto di Alberdi: "in America governare è popolare". Si fecero tutti i tentativi per attrarre emigranti e nel decennio che va dal 1857 - anno in cui comincia in Argentina la compilazione delle statistiche al 1867, entrarono nel paese 93.795 Europei, di cui soltanto 10.000 Spagnoli. Nel 1868 s'inizia la presidenza di Sarmiento e l'immigrazione aumenta sino a raggiungere una media di 30.805 persone per anno, con un totale, fino al 1874, di 215.637 immigrati. Tra questi erano i primi contingenti italiani, che occupavano il primo posto, seguiti a distanza da quelli spagnoli e francesi, e che diedero vita alle colonie agricole, fondate qualche anno prima, di Santa Fe ed Entre Ríos. Nel 1873 si effettuava la prima esportazione di grano dall'Argentina per un totale di 5 tonnellate. Dal 1875 al 1880 la media degl'immigrati diminuisce a 21.752 all'anno, con un totale, nei sei anni, di 130.513. Tale diminuzione fu dovuta in parte alla situazione interna del paese, economica e politica, poco favorevole. Nel periodo dal 1881 al 1890 l'immigrazione aumentò sensibilmente, incoraggiata dal governo che negli anni 1888, 1889 e 1890 fece l'esperimento, poi abbandonato, di anticipare il prezzo del viaggio a coloro che desideravano emigrare per l'Argentina. Le cifre per questi nove anni, che coincidono con il principio dell'emigrazione transoceanica italiana in grande scala, dànno, secondo i dati raccolti dal sociologo argentino Alejandro Bunge, un'emigrazione totale di 841.122 uomini, contro 203.455 ritornati in Europa, con un saldo a favore dell'Argentina di 637.667 persone. Le statistiche italiane dànno per questi nove anni un totale di 39.503 emigrati per l'Argentina. Si sviluppano le industrie agricole e zootecniche e comincia l'esportazione, che nel 1884 ascende a 108.499 tonnellate di grano e che, aumentando secondo una media annuale del 30%, determinò un eccesso di ottimismo causa di spese pazze e dell'aumento dei debiti.
Nel 1890 scoppiava la crisi, economica e politica, che fece discendere nel 1891 l'immigrazione a 28.666 persone contro 72.380 ritornate in Europa, con un saldo a sfavore dell'Argentina di 44.114 persone.
Gl'Italiani che maggiormente si adattano all'ambiente sono però, da veri migratori, i più sensibili alle crisi economiche del paese ove si stabiliscono, e in tali periodi li vediamo rimpatriare in gran numero, con una percentuale superiore a quelle di tutti gli altri contingenti, meno adattabili ma più pesanti e rassegnati. Nel 1895 l'immigrazione italiana in Argentina diminuisce da un anno all'altro del 75%; nelle crisi del 1890 si produce un vero esodo, e nel 1891 entrano in Argentina solo 15.511 Italiani contro 57.920 ritornati, con un saldo a favore di questi ultimi di 42.409 persone. Passato il panico, l'immigrazione va lentamente aumentando, e negli anni dal 1892 al 1903 le statistiche argentine accusano un'entrata nel paese di 843.446 persone, di cui secondo le statistiche del Regno 517.389 sono Italiani. Detratti i ritornati in Europa, in numero di 389.292, si ha un saldo medio annuale a favore dell'Argentina di 37.789 persone e complessivo di 453.477 persone per questi ultimi 12 anni, che furono quelli del riassetto della situazione interna dopo la crisi del 1890. Aumentano le ferrovie e le strade, l'agricoltura e la pastorizia prendono incremento, e comincia quel periodo straordinario per l'emigrazione al Plata che, dal 1904 al 1913, segna l'entrata media annuale nel paese di 239.197 persone per un totale di 2.391.879, e - dedotti 907.814 ritornati - con un saldo a favore dell'Argentina di 1.484.165 persone, di cui circa una metà Italiani. In questo periodo si manifestò per la prima volta, e non s'è più rinnovato dopo la guerra, il fenomeno dagli Argentini detto della emigración golondrina, cioè "emigrazione rondinella", costituita di agricoltori italiani che venivano nei mesi di ottobre, novembre e dicembre, epoca di raccolto sudamericano e di stasi agricola in Italia, approfittando del prezzo ridotto del passaggio sui vapori delle compagnie allora in concorrenza, lavoravano intensamente, e ritornavano in patria nei mesi di maggio e giugno con i risparmî accumulati.
Il censimento nazionale argentino del 1914 denunciava su 7.885.237 abitanti, 2.357.952 stranieri, grado di cosmopolitismo che preoccupò specialmente perché, essendo gl'immigrati tutti in età lavorativa, ne derivava che su 2.200.000 abitanti maschi di più di 20 anni, oltre la metà, 1.150.000, erano stranieri. Un principio di disoccupazione e la dichiarazione di guerra, che richiamò sotto le armi i riservisti d'ogni paese, fece sì che dal 1914 al 1919 il numero dei ritornati, complessivamente per questo periodo di 480.840, fosse sempre superiore al numero degli immigrati, in tutto di 266.665, con un saldo a sfavore dell'Argentina di 214.175 persone. Nei 5 anni della guerra entrarono in Argentina 6357 Italiani contro 161.151 ritornati in Italia, in parte per obblighi militari. Per quanto riguarda le cifre degl'Italiani, le statistiche del Regno non sono in accordo con quelle argentine né potrebbero esserlo del tutto dal momento che, mentre le prime contemplano il movimento fra l'Italia e l'Argentina, le seconde riguardano il movimento degl'Italiani di dovunque provenienti ed ovunque diretti, con l'Argentina. Dopo la guerra, l'immigrazione al Plata riprende con nuovo vigore e nel periodo 1920-1926 entrano nel paese 829.860 immigrati, contro 346.343 ritornati, con un saldo a favore dell'Argentina di 583.417 persone. Complessivamente quindi, dal 1857 al 1926, sono entrati in Argentina un totale di 5.741.653 immigrati, di cui gl'Italiani, in base ai citati calcoli del Bunge, rappresentano il 47,36% con 2.718.190 persone. Seguono gli Spagnoli col 32,-27%, i Francesi col 4%, i Russi col 3%, ecc. Calcoli approssimativi permettono di stabilire che nel 1928, anno in cui il governo ha chiesto alle Camere un nuovo censimento, la popolazione argentina si compone di circa 11.000.000 di abitanti, di cui almeno 10.000.000 sono Bianchi.
Gl'Italiani emigrati in Argentina.
Il fatto dell'emigrazione d'individui di una stessa nazionalità rimane un fenomeno indifferente fino al momento in cui gl'immigrati in un determinato paese o regione non diventano una forza collettiva: forza materiale, intellettuale e morale, bene inquadrata nell'evoluzione del popolo in mezzo al quale vivono, si organizzano e si distinguono.
Sotto questi due aspetti essenziali bisogna studiare il fenomeno dell'emigrazione italiana al Rio della Plata.
Periodo coloniale. - Negli equipaggi delle spedizioni organizzate da Juan Díaz de Solís, Sebastiano Caboto e Pedro de Mendoza molti furono i marinai italiani che giunsero al Rio della Plata, poiché, nei riguardi di Caboto, come documenta lo storico José Toribio Medina, non poterono essere osservati gli ordini di Carlo V, il quale voleva che, al massimo, nell'armata vi fosse fino a un terzo di stranieri, "e siccome in quell'arrolamento non si presentò il numero sufficiente di spagnoli, così fu necessario tollerare l'eccesso, altrimenti si doveva sospendere la partenza dell'armata, cosa sotto nessun concetto tollerabile". E i cronisti raccontano che le successive spedizioni trovarono nelle conseguenti esplorazioni, individui che erano restati nelle terre scoperte da quelle che le avevano precedute. Per esempio il capitano Gonzolo Fernández y Valdez, "primer cronista del Nuevo Mundo", nella Historia general y natural de los Indios (cap. XII, p. 202) dice che Irala "prendendo Asunción, trovò i Timbus che uccisero i quaranta cristiani e riprese un giovinotto, Calderoncin, a mezzo del quale fecero la pace". Nel volume di E. Zuccarini, Il lavoro degli Italiani nella Repubblica Argentina, 1516-1910, furono trascritti i nomi degl'Italiani che parteciparono alla spedizione Caboto. Con la spedizione Mendoza giunsero al Rio della Plata parecchi Italiani. Tra essi vi era Bernardo Centurione, quatralvo delle galere del principe Andrea Doria, e Leonardo Gribeo, secondo E. Madero, che nella Historia del puerto de Buenos Aires, facendo l'elenco dei fondatori di detta città, al nome di Lazzaro Gribeo appone una nota per dire che "era figlio di Leonardo Gribeo, italiano, che venne con Pedro de Mendoza".
Tre anni erano trascorsi dalla fondazione del Porto di Santa Maria di Buenos Aires, quando vi giunse la Pancalda, nave genovese che portava il nome del suo capitano, Leone Pancaldo, e con lui vennero, dice Ruiz Díaz de Guzmán nella Argentina (cap. XVII, pp. 86-88) altri nobili italiani che erano Pier Antonio de Aquino, Tommaso Rizzo e Battista Troce. Dalle ottave del poema La Argentina di Barco de Centenera, si apprende che, assieme a dette persone, giunsero al Rio della Plata Gibaldo - soldado genovés - e Grimaldo - de su nación, discretos dos varones.
Dalla nota rimessa alla relazione redatta in Cadice il 2 dicembre 1549, a bordo della nave capitana della spedizione di Álvaro Núñez Cabeza de Vaca, si sa che andarono con lui Leonardo Fragoneto di Napoli, Francesco Interidro Gambarotta di Genova, Giacomo di Corneido Gedeca italiano, Sebastiano Gianares di Genova, Scipione Grimaldo (socio di Leone Pancaldo, che andava ad accomodare i suoi negozî), Verti di Lucca, Bartolomeo Sibori di Genova, Giovanni di Napoli marinaio, Luigi di Venezia marinaio, Diego di Orve romano.
Nel 1601 un tale Francesco de Vitoria si presentò alle autorità competenti di Buenos Aires domandando gli fosse assegnata una casa per aprire una scuola che Buenos Aires non aveva, dicendo che vi si insegnerebbe la dottrina cristiana, a leggere, a scrivere e a far di conti; per la qual cosa gli abitanti pagherebbero un peso mensile per ogni alunno che volesse apprendere solo a leggere e due pesos per gli altri che volessero apprendere anche a scrivere e a far di conti (E. Trelles, Registro estadístico del estado de Buenos Aires, 1850, p. 15). Questo de Vitoria, per la ortografia del cognome, doveva essere italiano.
Nel 1714 è alcalde di un quartiere di Buenos Aires un Paolo della Quadra. Nel 1779 fu fondato il Tribunale del Protomedicato e fu chiamato a parteciparvi Francesco Bruno Rivarola, un italiano di Liguria. Nel 1782 fabbrica i mobili del viceré Juan José de Vertiz, Giovanni Cansi, ligure anche lui, il cui negozio, secondo le guide, fino al 1888 restò in via San Martín.
Una larga schiera di emigrati italiani al Rio della Plata fornì la Compagnia di Gesù. Tra i più noti vanno ricordati: Giuseppe Cataldino da Fabriano nelle Marche, il quale, con Simone Mazeta, fondò le missioni del Paraguay; Giovanni Dario, napoletano; Giovanni Battista Ferrufino; Giovanni Guglielmo di Tempio in Sardegna, il quale era uno delle sette stelle della mano di Gesù, come il Mancini chiamò i sette gesuiti sardi missionarî nelle provincie del Rio della Plata.
Nel censimento di Buenos Aires, eseguiio nel 1774, il numero degli Italiani è indicato nel modo seguente: I Quartiere: 2 Italiani - negozianti; III Quartiere: 2 italiani -1 bottegaio, 1 senza specificazione; IV Quartiere: 5 Italiani - 4 proprietari, 1 agricoltore; VIII Quartiere: 1 Italiano bottegaio.
Nel catasto eseguito in Buenos Aires nel 1768 si trovano registrate parecchie proprietà appartenenti a Italiani.
L'Azara nel 1° volume della Descripción é historia del Paraguay y del Río de la Plata (Asunción del Paraguay 1886), a pag. 140, parlando delle piante coltivate, scrive: "colà chiamano damaschi gli albicocchi, la cui origine è la seguente: Antonio el Choricero (il Salsicciaio), che era italiano, fece venire dal suo paese una cassetta con delle sementi di cavoli e di lattughe, tra le quali trovò due nocciuoli di albicocchi che non riconobbe, ma li seminò al mio tempo e da quelli derivano tutti gli alberi di albicocchi che vi sono".
Nel 1804 il viceré Sobremonte ordinò che tutti gli stranieri residenti in Buenos Aires si presentassero agli alcaldes dei rispettivi quartieri per essere registrati, e dai documenti pubblicati si ricava che gl'italiani erano 94.
Manca lo spazio per rilevare tutte le curiosità che tale registrazione offre, ma è necessario arguire che essa fosse ordinata per verificare quanti e quali stranieri avessero il permesso di residenza, indipensabile secondo le prescrizioni emanate da S.M. e dai componenti della Camera delle Indie.
Tra i condannati all'espulsione si trovano registrati parecchi Italiani, tra cui Giacomo Perfumo, naturale di Genova, e Filippo Corbero di uguale origine, registrati nel quartiere n. 2. Questi individui, secondo il decreto, erano arrivati "con taluni bastimenti, che avevano portato schiavi, e debbono ritornare precisamente con essi, con l'avvertenza che, non facendolo, saranno condotti a loro spese nella stessa forma degli altri che non appartengono agli equipaggi di detti bastimenti o di altri che siano venuti con altro destino".
Per intendere bene lo stato tlelle cose è utile trascrivere le dichiarazioni fatte da questi due Italiani al rispettivo alcalde. Giacomo Perfumo disse di essere nato a Genova, di essere cattolico, celibe e di risiedere da tredici anni nella città, esercitando l'ufficio di caffettiere. Sembra fossero individui legati da comuni interessi, posto che Filippo Corbero dichiarò di essere nato a Genova, di essere cattolico e celibe, di risiedere da due anni nella città esercitando il mestiere di lavorante di caffettiere.
Di altri non si indica neppure il motivo della espulsione ma si registrano le loro proteste. Tra gli espulsi, uno, il genovese Antonio Peneoj cuciniere, era morto; Edmondo Orgoman di Livorno era giunto per reale permesso; il professore di violino Bolonesi Andrea di Genova non si era presentato a far dichiarazione di sorta.
Durante gli anni 1805 e 1807, per misura di pubblica sicurezza, gli stranieri domiciliati nei diversi quartieri urbani furono chiamati a presentarsi ai rispettivi alcaldes per dichiarare le personali condizioni. Erano i tempi delle invasioni inglesi e della susseguente riscossa. Dei pochi Italiani espulsi, due, Giovan Battista Regis e Giacomo Espocio (Esposito) erano gia compresi nel primo bando.
Nel 1809 fu eseguito un nuovo censimento degli stranieri residenti in Buenos Aires e si procedette con grande segretezza. Vi si trovano registrati 57 Italiani; però, a giudicare da quanto comunicava l'alcalde del quartiere n. 8 al cabildo (comune), cioè che "mancano molti nomi in considerazione del segreto col quale ordina l'ecc. mo viceré si compia questa operazione", lo scarso numero di stranieri e d'Italiani in particolar modo, dev'essere attribuito a detta misura. Si ricordi che si era nell'agosto 1809 cioè a pochi mesi dalla rivoluzione del maggio 1810.
Queste supposizioni sono largamente giustificate da ciò che scrive il dott. Luis R. Gondra, nell'opera Las ideas económicas de Manuel Belgrano, a tale riguardo: "Durante il sec. XVIII numerose cedole reali ripeterono invano che fosse mantenuta in maniera rigorosa la chiusura del porto di Buenos Aires e che fossero espulsi gli stranieri che vi si fermassero; perché, contro la volontà del monarca, prevalevano gl'interessi che una tendenza storica e una necessità geografica avevano imposti. A dispetto delle proibizioni, gli stranieri ritornavano e il traffico si riannodava con i mezzi che inventavano la cupidigia dei mercanti e la corruzione delle autorità locali".
Periodo dell'Indipendenza. - Nell'agosto 1810, uno dei primi atti amministrativi del governo provvisorio sorto dalla rivoluzione, fu il censimento della città di Buenos Aires, ma di venti quartieri in cui era divisa la città, restano appena i registri di 14, essendo andati perduti gli altri.
Ecco i dati che riguardano gl'Italiani, come furono pubblicati dal Trelles nel Registro estadístico del estado de Buenos Aires anno 1859, dato che nel vol. XII dei Documentos para la historia argentina vi sono i riassunti generali senza la nazionalità degli Europei.
Il riassunto di detto censimento comprende: Italiani, 61 uomini; 3 donne. Uomini: 56 bianchi, 4 di colore, uno senza classifica. Professioni: 1 fornitore, 1 farmacista, 2 falegnami, 5 commercianti, 1 confettiere, 1 colonnello, 2 commessi di bottega, 1 impiegato, 7 proprietarî di fattorie (estancias), 3 fabbri, 1 barcaiolo, 1 marinaio, 2 bottegai (pulperos), 1 sergente, 1 tamburo maggiore, 2 sarti, 1 soldato, 31 senza classifica: totale, 64.
La popolazione di Buenos Aires nel 1810 ammontava approssimativamente a 45 mila abitanti, nei quali gli Europei erano nelle seguenti proporzioni: Spagnoli 1669, Francesi 151, Inglesi 124, Italiani 64, Portoghesi 296, non specificati 207.
Certamente il numero degl'Italiani doveva essere superiore a quello registrato, e perché mancano i dati di sei quartieri e perché nei dintorni della città l'agricoltura era nelle loro mani.
A questo proposito è bene ricordare che il colonnello ritirato Estanislao Maldones scrisse nel 1911 un opuscolo dedicato a Los Italianos en Catamarca - breve noticia sobre su acción en la provincia, ove si legge: "Il primo Italiano di cui si trova notizia nella cronaca ufficiale è un signor Antonio Tabagni, di Roma, minatore, il quale chiese permesso di assaggio nella collina di Ambato e il comune glielo accordò nella seduta settimanale del 25 agosto 1810. Non è stato possibile trovare altri indizî su questa persona, ciò che induce a credere che il suo passaggio per la provincia fosse fugace. Poco dopo giunse il signor Carlo Bracchieri, pure di Roma, il quale fondò una scuola elementare nel distretto di Santa Cruz, ora Dipartimento Valle Viejo. Esercitò pure l'arte di curare col sistema idropatico. Uomo di buone condizioni, cattolico fervente, entrò a far parte di una famiglia argentina per matrimonio sposandone una figliuola nel 1818, e l'ottavo figliuolo, nato nell'agosto 1827, vive ancora: è la signora Adeodata Bracchieri, vedova di Ulibarri, anch'esso di origine italiana, ma nato nel paese".
Tutti questi Italiani stabiliti al Rio della Plata vi contrassero varie relazioni, e taluni vi costituirono la propria famiglia, esercitandovi professione, impiego, commercio o umili mestieri. Parecchi diventarono anche proprietarî di beni urbani e rurali; però tra di essi non giunsero a creare un vincolo che potesse dare rilievo, anche idealmente, alla rispettiva nazionalità, che in Europa non aveva base e potere politico. Quindi, se in detto ambiente sociale ebbero qualche influenza, essa fu solo individuale.
Per trovare qualche dato concreto e sicuro bisogna spingersi ai tempi nei quali predominò l'influenza veramente civile di Bernardino Rivadavia, il quale, inviato in Europa per ottenere da quegli stati il riconoscimento dell'indipendenza delle Provincie Unite del Rio della Plata, per la qual cosa sottoscrisse il trattato di commercio con l'Inghilterra, conobbe a Parigi e a Londra parecchi emigrati politici italiani, uomini di scienza e di lettere, alcuni dei quali furono invitati a recarsi a Buenos Aires per svolgervi le proprie attività. I primi immigrati italiani furono il giornalista Pietro De Angelis e gli scienziati Pietro Carta Molina e Carlo Ferraris.
Il De Angelis giunse prima e fondò la Crónica, che vide la luce il 3 marzo 1827, per difendere la politica liberale del governo; ma quando Rivadavia cadde, il giornalista diventò anche segretario di Manuel Rosas. Si comprende facilmente come, per tale motivo, il nome di Pietro De Angelis non sia ricordato né con piacere né con onore; però egli si seppe guadagnare meritamente il titolo di Muratori della repubblica argentina con la Colección de obras y documentos para la historia antigua y moderna de las provincias del Rio de la Plata.
Carta Molina venne a occupare la cattedra di fisica sperimentale, alla quale fu nominato con decreto del 10 aprile 1826. Organizzò il laboratorio relativo con la cooperazione di Carlo Ferraris, che era suo coadiutore, e iniziò le lezioni il 17 giugno 1827. Caduto Rivadavia e con esso il partito liberale, il Carta, trovandosi a disagio, nel marzo 1829 diede le dimissioni, dedicandosi all'esercizio della medicina. A sostituirlo fu nominato Fabrizio Mossotti, il quale era stato chiamato nel 1828 a dirigere l'osservatorio astronomico. Insegnò fino al 1834, quando, morto il Caturegli, fu chiamato a sostituirlo nell'università di Bologna.
In questo modo, nei tempi in cui l'Italia era ancora un'espressione geografica, penetrò nell'università di Buenos Aires il pensiero scientifico italiano, e basta il ricordo che di quei primi maestri ha tramandato alle generazioni argentine uno dei migliori discepoli, Juan Maria Gutiérrez, per comprendere quanta efficacia intellettuale e morale abbia avuto su quella generazione il loro insegnamento e il loro esempio.
Dal 6 dicembre 1829 al 3 febbraio 1852 Buenos Aires e tutte le provincie argentine restarono sotto la dittatura di Juan Manuel Rosas, il quale proibì l'immigrazione e la libera navigazione dei fiume. Ciò nonostante parecchi Italiani si stabilirono in Buenos Aires, come Bartolomeo Denegri di Zoagli, Francesco Martini genovese anche lui, Giuseppe Muratori, che poi diventò ammiraglio dell'armata argentina, e molti altri che, con gravissimo rischio, aiutarono la causa dei salvajes unitarios, cooperando a farli fuggire a Montevideo, che era diventata il baluardo della libertà e dove moltissimi emigrati politici italiani, duce Garibaldi e organizzatore Anzani, formarono la legione italiana, distintasi in molti fatti d'arme e copertasi di gloria a Sant'Antonio del Salto, fornendo anche gli equipaggi che sotto gli ordini di Garibaldi fronteggiarono l'armata di Rosas comandata dal Brown, dal 1843 al 1848.
Però è anche certo che nel 1829, con decreto firmato dal Brown e da J. M. Paz, fu costituito in Buenos Aires il Battaglione degli Amici dell'ordine, al quale furono obbligati ad arruolarsi tutti gli stranieri, tranne gl'Inglesi e i Nordamericani. Vi s'inscrissero molti Italiani: in qualità di sottotenente dell'8ª compagnia vi era Carlo Ferraris, direttore del laboratorio di fisica e fondatore del Museo di storia naturale di Buenos Aires.
Il periodo della organizzazione nazionale. - Fuggito Rosas dopo la battaglia di Caseros e liberata Montevideo dall'incubo dell'assedio durato tanti anni, ritornarono a Buenos Aires tutti gli espatriati e moltissimi stranieri che con essi avevano lungamente condiviso sacrifici, pericoli e speranze. In questo modo molti Italiani, profughi politici e legionarî garibaldini, passarono in Argentina, dove s'iniziava un nuovo periodo di attività sociale e anche di lotte politiche.
Nel novembre 1852 Buenos Aires città, sentendosi menomata di fronte a San Nicolás, scelta come luogo di riunione dei convenzionali chiamati a discutere la costituzione nazionale, insorse contro il generale Urquiza; e il 1° dicembre la provincia di Buenos Aires si ribellava alla propria capitale stringendola d'assedio. Il 9 dicembre tutti gli abitanti della capitale furono chiamati sotto le armi, e prima tra tutte si organizzò la Legione italiana sotto il comando dell'abruzzese Silvino Oliveri. Terminata la contesa, il 14 agosto 1853, la legione fu sciolta.
Le statistiche ufficiali argentine cominciano a registrare il fenomeno dell'immigrazione ed emigrazione dall'anno 1857 in poi; però il numero degl'Italiani, specialmente liguri, che risiedevano in Buenos Aires, dediti al commercio e al cabotaggio, doveva essere rilevante per il fatto che il 14 settembre 1853 fu tra essi lanciata l'iniziativa della fondazione di un ospedale italiano. È certo che solo dopo vent'anni l'iniziativa diventò una civile realtà, ma è anche certo che attorno a questa idea si organizzò la collettività italiana di Buenos Aires e man mano quelle degli altri centri urbani argentini che fornirono il contributo pecuniario per l'edificazione del nosocomio. Con questo di rilevante: che l'iniziativa fu posta sotto l'alto patronato di S.M. Vittorio Emanuele re di Sardegna, col proposito che l'istituzione avesse a servire a tutti gl'Italiani proprio quando l'Italia era suddivisa in tanti staterelli. Quindi la qualifica di "italiana" e, dalla legione organizzata per difendere la libertà della repubblica, passò a designare la prima istituzione creata per soccorrere gl'Italiani emigrati al Rio della Plata.
Il 18 luglio 1858 gl'Italiani emigrati politici costituirono in Buenos Aires il primo nucleo sociale di mutuo soccorso, intitolandolo Società italiana Unione e Benevolenza. Questo fatto dimostra che vi era già una corrente di emigrazione tra l'Italia e l'Argentina più numerosa delle alte che si dirigevano al Rio della Plata; tanto è vero che le statistiche segnano dal 1857-1860 un'entrata di 12.355 Italiani contro un'uscita di 5612 emigrati, mentre il totale degl'immigrati ammontò a 20.000 e quello degli emigrati a 8900.
Sicché, via via, dal 1857 al 1925, l'Italia inviò nella repubblica Arentina 2.659.586 emigranti d'ambo i sessi, dei quali rimpatriarono 1.328.826. È da notare che nei decennî di maggiore affluenza, 1881-1890, 1891-1900 e, più particolarmente, 1901-1910, gl'Italiani crearono quel fenomeno migratorio di emigrazione temporanea che gli Argentini definirono delle golondrinas (rondinelle), profittando dell'inversione delle stagioni, e lavorando prima per il raccolto italiano e poi per quello argentino.
In tal modo, di anno in anno, dal centro geografico e urbano, per forza centrifuga, partirono i coloni per dissodare i campi di Santa Fe, di Córdoba e di Buenos Aires, avanzarono i lavoratori per distendere abbondantissime messi e si formarono e popolarono le borgate che poi diventarono importanti centri di commercio e di traffico, venendo organizzata, a dispetto delle lotte politiche e dei cattivi governi, la vita nazionale argentina e quella delle collettività straniere, tra le quali la più importante, per numero e per iniziative, fu quella italiana.
In mezzo a questo incessante e affrettato movimento sociale, dopo Buenos Aires, ebbero ospedali italiani Rosario, La Plata, Córdoba, e le città e le borgate ove risiedevano Italiani videro sorgere numerose istituzioni di mutuo soccorso e, insieme con esse, le scuole italiane. Aumentò la popolazione argentina ed essendo le famiglie italiane le più prolifiche, dopo alcuni anni, i figli d'Italiani, di diritto e di fatto Argentini, cominciarono ad occupare alte cariche nella politica, nelle università, nelle amministrazioni nazionali e provinciali.
È questo un fenomeno collettivo che abbraccia tutta la gamma delle forze sociali che si andarono distinguendo tra la moltitudine della collettività in ogni luogo ove riuscì ad organizzarsi, a fianco delle altre entità straniere: nell'ordine materiale, per il numero; in quello economico, per le ricchezze accumulate; in quello intellettuale, per gli uomini che parteciparoro all'educazione della gioventù argentina e diedero le direttive alle forze italiane organizzate; nell'ordine morale, per il credito, la fiducia, la stima che le istituzioni create dagl'Italiani seppero meritare durante l'accelerato svolgimento delle rispettive energie, per l'amore all'ordine, per la fedeltà alla nazione ospitale.
Quindi società italiane numerosissime per associati, e proprietarie degli edifici sociali, individui assurti ad esponenti della ricchezza e della prosperità argentina; mentre, naturalmente, l'influenza intellettuale non terminò col Carta Molina e col Mossotti, ma, chiuso il periodo della tirannia, il pensiero di Bernardino Rivadavia tornò ad essere il programma delle nuove generazioni e il pensiero italiano riprese la sua funzione nelle università della repubblica Argentina, tra il turbinio dell'organizzazione nazionale, certamente laboriosa. Clemente Pinoli insegnò economia politica a Buenos Aires dal 1854 al 1858, poi furono chiamati, dietro l'autorevole consiglio di Paolo Mantegazza, che svolse una grande attività scientifica nella repubblica dal 1854 al 1860, Bernardo Speluzzi, Emilio Tossetti, Pompeo Moneta, Pellegrino Strobel; poi, a sostituire questi, venne Giovanni Ramorino. Quindi vennero il Baistrocchi, Cesare Miloni, Mattia Calandrelli, il Grandis, Alessandro Tedeschi, Francesco Capello, Silvio Dessy, per l'università di Buenos Aires; Raffaele Piccinini, Federico Papi, Giuseppe Agneta, Carlo Rebellini, Alessandro Canessa e Girolamo Pistonato per l'università di Córdoba; Vittorio Mercante, Carlo Spegazzini, Porro de Somenzi, Ugo Broggi per l'università di La Plata. E quando fu fondata la facoltà di Agronomia e Veterinaria, dietro iniziativa del dottor Pietro Arata, furono chiamati nel 1904 S. Baldassarre, il Boldoni, Virginio Bossi, Gaetano Martinoli, Alfredo Cassai, Marcello Conti, Aroldo Montanari.
In San Juan, il salernitano Leopoldo Gómez de Teran fu per molti anni professore di fisica e d'idraulica nella scuola d'ingegneria applicata alle miniere. Luigi Scappatura tenne cattedra di storia e geografia nello storico collegio di Concepción del Uruguay, del quale poi fu anche vice-direttore.
Questa funzione del pensiero italiano, esercitata da autorevoli professori nelle facoltà e nelle scuole medie, fece sorgere il bisogno delle librerie italiane: il primo tentativo si deve ad Eligio Aloy, veneto, che associò il negozio dei libri a quello dei francobolli e vendeva le popolari edizioni degli scrittori italiani. Venne poi Angelo Sommaruga a introdurre sul mercato bonaerense il meglio della produzione libraria italiana; e dopo di lui altri, fino alla formazione della Libreria Dante Alighieri dell'A. L. I., diventata anche il centro della intellettualità italiana. Nella vendita occupa il primissimo posto il libro scientifico e in special modo quello che tratta del Diritto e della Medicina, poi quello per l'edilizia e per le costruzioni meccaniche.
Frattanto le forze economiche italiane cominciarono ad assumere forma collettiva e fu fondata la prima Banca italiana in Buenos Aires: il Banco d'Italia del Rio della Plata, al quale seguirono il Banco italo-francese, il Nuovo Banco Italiano, ecc.; e la stampa italiana, dopo parecchi tentativi, si affermò con La Patria degli Italiani, la quale è ora proprietà d'una società anonima e da più di mezzo secolo è il portavoce autorevole degl'Italiani ospiti della repubblica Argentina. Un altro quotidiano si è poi aggiunto col Giornale d'Italia.
L'attività degl'Italiani, dal commercio e dall'agricoltura, si estese alle industrie, e a Mendoza e a San Juan essi primeggiarono in quella vitivinicola, a Buenos Aires in quella dei fiammiferi e dei tessuti e maglierie.
Con la creazione dei diversi organi collettivi, la numerosa e laboriosa falange dei lavoratori italiani si affermò nell'evoluzione sociale della giovane nazione e ne sono dimostrazione eloquente le statue di Mazzini e di Garibaldi che sorgono, per iniziativa italiana e per volontà argentina, nelle più belle piazze di Buenos Aires e di parecchie altre città della repubblica. Sicché aveva ragione Juan B. Alberdi di scrivere, riferendosi al viaggio fatto con Juan María Gutiérrez in Italia durante il 1847: "Dalle labbra di questa gente pura e amabile apprendemmo ad ammirare la grande e bell'anima del tribuno d'Italia, la cui statua orna oggi la spiaggia, non di Genova suo paese natale, ma della repubblica Argentina, in mezzo alla repubblica italiana emigrata in un mondo che deve ad un Italiano la sua scoperta, ad un altro il suo nome, e a un altro in parte la sua libertà... Mazzini non è un esiliato sulle sponde del Plata".
Questa influenza italiana, risultato di pensiero e di opere attraverso tutte le tappe della storia argentina, dai tempi della scoperta a quelli del vicereame, dai giorni dell'indipendenza ai tempi moderni, dall'assidua opera dei genitori è passata in eredità alla numerosissima ed energica prole la quale non è seconda a quella delle altre stirpi ospitate nella generosa repubblica.
All'accresciuta funzione commerciale e industriale degl'Italiani emigrati in Argentina, corrispose gradatamente la creazione di nuovi organi collettivi, quali le diverse Camere di commercio, le sezioni della società Dante Alighieri, della Lega navale, dei Fasci di combattimento (che fecero la loro prima comparsa alla festa del 12 ottobre 1922) e lo sriluppo sempre crescente di parecchie associazioni religiose, come quella di don Bosco, che nella repubblica possiede numerose ramificazioni. Cosicché la collettività italiana, pur essendo, ovunque, parte integrante della popolazione argentina, pur godendo gli ampî benefici delle sue leggi, costituisce un corpo armonico che, rispetto alla organizzazione nazionale, rappresenta una cellula attiva per l'inesauribile elaborazione del progresso della repubblica.
Queste attività, di ogni tempo e di ogni luogo, non si circoscrissero unicamente al lavoro dei campi, al commercio e alle industrie, ma si irradiarono a tutto il campo delle umane fatiche. Così il teatro lirico italiano fu, fino a pochi anni or sono, l'unico in onore nella repubblica; tutti i cantanti italiani più famosi interpretarono nella nostra lingua tutte le opere liriche nelle celebri stagioni invernali del vecchio e del nuovo teatro Colón e dell'Opera, facendo la delizia delle generazioni argentine. Nel 1813 un modesto musicista, Giovanni Picazzari, organizzò la prima orchestra, provocando una rivoluzione nel campo teatrale ove predominava la chitarra. Poi man mano vennero Bassi, Mancinelli, Mugnone, Melani, Toscanini, Marinuzzi, e l'educazione musicale del popolo argentino, delle più popolose e importanti città della repubblica, fu opera degli artisti, dei più grandi artisti italiani.
E il teatro drammatico compì la sua azione più intensa e meno appariscente con i nostri maggiori artisti: Adelaide Ristori, Ernesto Rossi, Tommaso Salvini, Giovanni Emanuel, Giacinta Pezzana, Adelaide Tessero, Eleonora Duse e giù giù fino alla Vergani e al Ruggeri.
Giuseppe Aguiari fondò in Buenos Aires la prima scuola di disegno e di pittura; Francesco Romero fu il primo direttore della società Estímulo de Bellas Artes, e la portò a tale altezza che il governo la nazionalizzò trasformandola nell'attuale Academia de Bellas Artes. Casa Rosada - il palazzo del governo, il palazzo della facoltà di medicina e l'ospedale militare di Buenos Aires sono opere dell'ing. Tamburrini; il palazzo del Congresso si deve all'architetto Meano; la Scuola pratica di medicina con l'annesso recognitorio furono eretti dall'architetto Gino Aloisi; l'antico teatro Colón fu edificato sui piani dell'ing. Carlo E. Pellegrini; il nuovo sui piani del Meano. E la lista diventerebbe lunghissima se si elencassero le opere eseguite nelle altre città della repubblica.
Nell'esplorazione del Chaco e nella costruzione delle ferrovie ebbe larga parte e si distinse l'ing. Giovanni Pelleschi; il porto militare presso Bahía Blanca è ciclopica opera dell'ing. Luigi Luiggi; Giacomo Bove esplorò il territorio di Misiones e della Terra del Fuoco; l'ing. Alfredo Del Bono coprì cariche importanti nelle Ferrovie dello stato; l'ing. Giuseppe Pedriali, amministratore generale della Compagnia tramviaria angloargentina, unificò il servizio delle varie compagnie preesistenti e fu l'iniziatore della prima ferrovia sotterranea; l'ing. Giovanni Carosio, dopo avere fondata e organizzata la Compagnia italo-argentina di elettricità, fondò l'Italcable che riunisce, con cavi sottomarini, direttamente l'Argentina all'Italia.
Sono da ricordare ancora quali latinisti e grecisti Giovanni Chiabra, Antonio Porchietti, Francesco Capello, Giuseppe Tarnassi, Clemente Ricci, Angelo Licitra, tutti professori dell'università; Emilio Zuccarini, pubblicista noto e professore di letteratura, direttore del Dipartimento di italiano dell'Istituto del professorato secondario. Dei discendenti di Italiani, dopo i grandi precursori ed operatori della rivoluzione e della indipendenza argentina: Manuel Belgrano, Juan José Castelli, Manuel Alberti, e Luis Berutti, si possono citare Ignazio Pirovano, Pietro Arata, Emanuele Podestà, Juan B. Ambrosetti, che fondò il museo etnografico, Salvatore Debenedetti, che fu discepolo di Ambrosetti, e gli succedette nella direzione del Museo; il generale Luigi Dellepiane, ministro della guerra nel 1928, l'ing. Domenico Selva, Teofilo Isnardi, Santiago Barabino, Sebastiano Ghigliazza, Cristoforo Giagnozi, Emilio Ravignani, decano della facoltà di filosofia e lettere; Nicola Besio Moreno, Davide Spinetto, il senatore Diego Luis Molinari, Giovanni Rolleri, Pio Collivadino, Giovanni Ripamonti; e sono pure da ricordare Florentimo Ameghino, naturalista argentino di fama universale, Giuseppe Ingenieros, medico e pubblicista assai noto, Coriolano Alberini, ex decano della facoltà di filosofia e lettere.
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Ordinamento dello stato.
Costituzione e amministrazione. - La Repubblica Argentina che ha adottato per il suo governo la forma federale repubblicana, è divisa in quattordici provincie, dieci governatorati e un distretto federale.
Il distretto federale è costituito dalla citta di Buenos Aires, capitale della Repubblica, con oltre due milioni d'abitanti, nella quale risiedono le autorità del governo federale.
Le provincie sono: Buenos Aires con capitale La Plata; Entre Ríos con capitale Paraná; Santa Fe, Córdoba, Santiago del Estero, Tucumán, Salta, Jujuy, Catamarca, La Rioja, San Juan, Mendoza, San Luis e Corrientes, che prendono il nome dalle capitali.
I governatorati sono: Chaco, capitale Resistencia; Formosa, capitale Formosa; Misiones, capitale Posadas; La Pampa, capitale Santa Rosa de Toay: Neuquén, capitale Neuquén; Río Negro, capitale Viedma; Chubut, capitale Rawson; Santa Cruz, capitale Río Gallegos; Terra del Fuoco, capitale Ushuaia, e Los Andes, con capitale San Andrés de los Cobres.
Il governo della Repubblica è affidato a tre poteri: esecutivo, legislativo e giudiziario.
Il potere esecutivo è esercitato da un cittadino col titolo di Presidente della Nazione Argentina, nominato da elettori eletti dal popolo della Repubblica; dura in carica sei anni e non può essere rieletto, come il vice-presidente, se non dopo l'intervallo di un periodo. Per essere eletto presidente o vice-presidente occorre esser nati in territorio argentino o, se si è nati all'estero, esser figli di cittadini nati in Argentina.
Il principale attributo del presidente è di essere il capo supremo della nazione; egli ha l'amministrazione generale del paese, e all'uopo emana le istruzioni necessarie per l'esecuzione delle leggi nazionali, delle quali non può alterare lo spirito con eccezioni regolamentari. Questa limitazione che riassume lo spirito della legge argentina, è stabilita in maniera espressa e categorica nell'art. 19 della Costituzione, che dice: "Nessun abitante della nazione sarà obbligato a far ciò che non ordina la legge, né privato di ciò che la legge non proibisce".
Il presidente della nazione conclude i trattati di pace, di commercio, di navigazione, nomina la maggioranza degl'impiegati, riscuote le entrate e ne stabilisce l'uso, ecc.
Il potere esecutivo si fa rappresentare nelle camere legislative dai suoi ministri, che possono partecipare alla discussione delle leggi. Il presidente può pronunziare il veto contro una legge approvata dal Congresso, ma se questo insiste nella sua decisione coi due terzi dei voti, il veto viene annullato.
Il potere esecutivo non può mai sciogliere il congresso; esso ha otto ministri segretarî incaricati di attendere agli affari della nazione, che contrassegnano e rendono legali gli atti del presidente con la loro firma, senza la quale essi non sono validi.
Il potere legislativo è esercitato da un congresso composto di due camere: dei senatori e dei deputati.
Il Senato si compone di due senatori per ogni provincia, eletti dalle legislature provinciali a maggioranza di voti, e due per il distretto federale eletti direttamente dal popolo della capitale. I senatori durano in carica nove anni, ma il Senato si rinnova per un terzo ogni tre anni. Presentemente i senatori sono 30. Presiede il Senato il vice-presidente della Repubblica.
I deputati sono eletti direttamente dal popolo della capitale e delle provincie, in ragione di uno per ogni 49.000 abitanti o frazione che non sia inferiore a 16.500. Durano in carica quattro anni, ma la Camera si rinnova per una metà ogni due anni. Presentemente i deputati sono 158.
Le attribuzioni del congresso sono le stesse dei parlamenti dei paesi liberi e costituzionali: votare imposte, contrarre prestiti, fissare annualmente il preventivo di spese della nazione, approvare o respingere il conto consuntivo presentato dal potere esecutivo, interpellare i ministri (facoltà che esercita ogni camera separatamente), emettere monete e fissarne il valore, dettare i codici civile, commerciale, penale e minerario, che sono federali, anche quando la loro applicazione spetti alle giurisdizioni provinciali, legiferare sul commercio internazionale ed interprovinciale, sulle dogane, ecc.
L'iniziativa delle leggi sulle imposte e sul reclutamento delle truppe spetta esclusivamente alla Camera dei deputati. Questa ha la facoltà esclusiva di accusare al Senato i funzionarî soggetti a giudizio politico, che sono il presidente e il vice-presidente della nazione, i ministri e i membri del potere giudiziario, per prevaricazione o reati nell'esercizio delle loro funzioni. L'autorizzazione a procedere deve essere concessa da almeno due terzi dei membri presenti; della stessa maggioranza ha bisogno il Senato per dichiarare colpevole l'accusato. Il verdetto del senato non ha altro effetto che la destituzione dell'accusato, il quale rimarrà soggetto ad accusa, giudizio e pene, secondo le leggi, davanti ai tribunali ordinarî.
Il potere giudiziario della nazione, giustizia federale, è affidato ad una corte suprema e ai tribunali minori che il congresso stabilisce.
La giustizia federale in Argentina ha un'importanza considerevole per le attribuzioni che ha o per le garanzie di cui è circondata e che le permettono di meglio svolgere le sue funzioni. La più importante di esse consiste nell'inamovibilità dei magistrati, assicurata espressamente dalla costituzione, la quale, per renderla effettiva, ha persino proibito che si possano diminuire gli assegni stabiliti.
La giustizia federale deve intervenire in tutte le questioni in cui lo stato è parte e in quelle in cui uno dei litiganti è straniero; allo straniero si concede il privilegio di volgersi ad essa allorché per ragioni di territorio è sottoposto alla giurisdizione della giustizia provinciale.
Così, anche un giudizio iniziato e concluso nella giurisdizione provinciale, può essere giudicato definitivamente dalla suprema corte di giustizia nazionale, qualora nel giudizio stesso si fosse negata la validità di una clausola della costituzione, di una legge del congresso, di un'autorità esercitata in nome della nazione, di un trattato con una nazione estera, ecc. Così è garantita la supremazia dell'autorità federale.
La giustizia federale ha facoltà, quando interpreta le leggi o gli atti di governo e di amministrazione, di dichiarare se essi siano o no contrarî alla costituzione nazionale; è questa una garanzia di valore inestimabile per tutti gli abitanti della nazione, al pari che un freno d'indiscutibile efficacia per i poteri esecutivo e legislativo.
In tal maniera rimane assicurata quella disposizione della costituzione in base alla quale i principî, le garanzie e i diritti in essa consacrati, non potranno essere alterati dalle leggi che ne regolano l'esercizio.
La giustizia federale è esercitata da magistrati detti "giudici federali" distribuiti per tutta la repubblica; il loro numero è proporzionale all'importanza delle divisioni territoriali in cui disimpegnano le loro funzioni. Così, p. es., ve ne sono tre nella Capitale federale, tre nella provincia di Buenos Aires, due in quelle di Santa Fe, Entre Ríos e Córdoba, e uno nelle rimanenti. Contro le decisioni dei giudici federali è ammesso l'appello presso le camere federali esistenti in Buenos Aires, La Plata, Córdoba, Paraná e Rosario. L'appello alla corte suprema è consentito soltanto quando si tratta di questioni in cui lo stato è parte, o quando la sentenza definitiva è contraria ad una decisione o disposizione federale.
Le provincie, come la nazione, affidano il loro governo ai tre poteri esecutivo, legislativo e giudiziario. Si reggono con istituzioni locali proprie. Eleggono i loro governatori, i loro legislatori e gli altri funzionarî provinciali; il Governo federale non interviene che per garentire la forma repubblicana di governo, respingere invasioni esterne, e, se richiesto dalle autorità costituite, per sostenere le autorità stesse o ristabilirle qualora fossero state deposte con la violenza.
Nel regime costituzionale argentino le provincie sono veri e proprî stati nell'unità indistruttibile e indiscutibile dello stato nazionale. Questo concetto, che è semplice e chiaro a coloro che hanno vissuto in esse o ne conoscono le istituzioni, sfugge spesso alla comprensione immediata degli stranieri. Perciò è necessario insistere sul fatto che le provincie costituiscono stati con istituzioni proprie che hanno vigore nei limiti territoriali senza intromissioni del Governo nazionale, pur ricordando che gli stranieri possono sempre rivolgersi alla giustizia federale per la protezione dei loro diritti.
I Territorî nazionali sono governati ed amministrati dal potere esecutivo nazionale, che ne nomina direttamente i funzionarî, ad eccezione del governatore e del giudice federale, la cui nomina dev'essere approvata dal Senato.
I Territorî nazionali possono essere elevati in provincie, cioè in stati autonomi, per mezzo di una legge, quando la loro popolazione raggiunga i 60.000 abitanti.
Il regime costituzionale e amministrativo della Repubblica Argentina è basato sulla legge, il cui spirito si compendia nel già citato art. 19 della Costituzione.
E questa non è una disposizione isolata, ma domina l'insieme del sistema adottato, ed è corroborata da altre disposizioni che dimostrano come l'idea fondamentale degli autori della Costituzione sia stata quella d'evitare che la volontà di una persona possa imporsi unilateralmente alla volontà collettiva. Ciò spiega anche come, dopo aver organizzato un potere esecutivo forte, secondo la necessità del paese, se ne siano limitate le attribuzioni, stabilendo che nel fare i regolamenti per le leggi esso non possa alterarne lo spirito, e che in nessun caso il presidente della nazione possa esercitare funzioni giudiziarie, arrogandosi la conoscenza delle cause in corso o riaprendo la procedura per quelle già definite. Gli si impone così il rispetto assoluto alla legge e gli si proibisce al tempo stesso di avere ingerenze nelle questioni della giustizia, alla quale spetta risolvere le controversie circa l'interpretazione della legge o circa gli atti che pretendono esser fondati sulla legge.
La Costituzione argentina, ispirata alle costituzioni più liberali della sua epoca e alle dottrine che le originarono, ha consacrato in maniera categorica una serie di diritti e di garanzie, tendenti a promuovere il benessere generale e ad assicurare i beneficî della libertà per tutti gli uomini del mondo che vorranno abitare il suolo argentino, come proclama solennemente il suo preambolo.
Tra questi diritti va rilevato, in primo luogo, che tutti gli abitanti - non solo i cittadini come stabiliscono le altre costituzioni - sono uguali davanti alla legge, e che gli stranieri godono nel territorio della Repubblica gli stessi diritti civili del cittadino, tra cui quello di possedere beni stabili, comprarli e alienarli, esercitare la propria industria, commercio o professione, praticare liberamente il proprio culto, senza essere mai obbligati a prendere la cittadinanza né a pagare contribuzioni forzose straordinarie.
Dall'uguaglianza di fronte alla legge deriva anche che l'uguaglianza è alla base delle imposte e delle cariche pubbliche.
Dei diritti e delle garanzie stabiliti dalla Costituzione i più importanti sono i seguenti: l'inviolabilità della proprietà di cui nessun abitante può essere privato se non in forza di sentenza giudiziaria che si basi sulla legge; l'inviolabilità del domicilio, della corrispondenza epistolare e delle carte private; l'inviolabilità della difesa in giudizio della persona e dei diritti; la necessità che l'espropriazione, giustificata da ragioni di utilità pubblica, sia decretata per legge e debitamente indennizzata: il fatto che la confisca dei beni è stata cancellata per sempre dal codice penale; che ogni abitante della nazione può essere condannato soltanto in base a leggi esistenti prima del reato, né può essere giudicato da commissioni speciali, se sottratto alla competenza dei giudici indicati dalla legge prima del reato, né obbligato a deporre contro sé stesso, né arrestato senza mandato di cattura emanato dalle competenti autorità, né assoggettato a torture o percosse; inoltre le carceri devono essere sane e pulite, rispondendo ad una necessità di sicurezza pubblica e non di castigo ai detenuti; e infine, che di ogni misura che sotto il pretesto della precauzione venga a maltrattare i detenuti più di quanto la loro custodia esige, sarà responsabile il giudice che l'autorizza.
Se a ciò si aggiunge che la Costituzione dispone che le dichiarazioni, i diritti e le garanzie da essa stabiliti non devono essere intesi come negazione di altri diritti e garanzie non considerate, ma derivanti dal principio della sovranità del popolo e della forma repubblicana di governo, si deve concludere che la carta fondamentale della Repubblica Argentina assicura in maniera efficace l'esercizio di tutti i diritti ai quali possano aspirare gli abitanti di un paese libero, le cui istituzioni si sono consolidate in poco più d'un secolo di vita indipendente.
Organizzazione ecclesiastica. - Una prima e rudimentale organizzazione ebbe il paese, subito dopo la fondazione di Buenos Aires (1536) per opera di Julián Carasco. Ma solo nel 1570 papa Pio V erigeva la diocesi di Tucumán, la cui residenza veniva trasferita successivamente a San Miguel e a Santiago del Estero, quindi a Córdoba: donde il nome definitivo della diocesi. La seconda delle due diocesi che l'Argentina ebbe per tutto il periodo coloniale fu invece quella di Buenos Aires, creata nel 1617, in seguito a uno smembramento della vastissima diocesi del Rio della Plata, che, creata nel 1547, comprendeva dapprima l'intero territorio dallo stretto di Magellano fino ai confini del Perù e della Bolivia, e aveva come residenza Asunción.
Solo nel 1806 fu fondata la diocesi di Salta, che comprendeva le provincie di Salta, di Tucumán, di Jujuy, di Catamarca e di Santiago del Estero. Nel 1828, le provincie di San Juan de Cuyo, di San Luis e di Mendoza furono erette dapprima in vicariato apostolico, e poi sotto Gregorio XVI, nel 1834, in una diocesi, denominata da San Juan de Cuyo. Origine analoga ebbe pure la diocesi di Paraná, che fu il risultato naturale dell'evoluzione del vicariato apostolico fondato nel 1854 e comprendente le provincie di Entre Ríos, Corrientes e Santa Fe.
Questo progressivo accrescersi del numero delle diocesi, aggiunto alle mutate condizioni politiche, rese opportuno sottrarre l Argentina alla giurisdizione dell'arcivescovo di Lima e costituirla in provincia ecclesiastica autonoma. Essa prese nome dalla città di Buenos Aires, elevata appunto nel 1865 a dignità di metropoli. A questa provincia restò aggregata anche la diocesi del Paraguay, che aveva la sua residenza ad Asunción.
Le altre diocesi, quella di La Plata staccata da Buenos Aires, quella di Santa Fe staccata dalla diocesi di Paraná, e la diocesi di Tucumán staccata da quella di Salta, furono create da Leone XIII nel 1897; mentre a Pio X si deve, nel 1907, la erezione della diocesi di Santiago del Estero, staccata da Tucumán, e nel 1910 l'erezione di Corrientes e di Catamarca, staccando la prima da Paraná e l'altra da Tucumán.
Per tal modo l'Argentina settentrionale e centrale venne a trovarsi ripartita in 11 diocesi. Contemporaneamente però continuavano a sussistere, specialmente nei cosiddetti Territorî, varie organizzazioni ecclesiastiche con carattere missionario, per l'assistenza religiosa delle varie tribù indiane. Tra queste missioni, c'erano il vicariato apostolico della Patagonia settentrionale con residenza a Carmen di Patagonia o a Viedma e la prefettura della Patagonia meridionale, comprendente con la Terra del Fuoco anche le terre di Magellano di spettanza del Chile. Nel 1916 però, per accondiscendere al desiderio espresso dal governo argentino, le circoscrizioni missionarie furono soppresse e sostituite da 14 vicarie foranee poste sotto la diretta giurisdizione dei rispettivi vescovi, i quali per lo più, nell'impossibilità di bastare all'assistenza religiosa di quelle estese contrade col solo clero diocesano, si valgono dell'opera di religiosi, specialmente dei salesiani e dei francescani, e lasciano a questi una larga autonomia.
Forze armate. - Esercito. - L'organizzazione militare ha caratteristiche analoghe a quelle degli stati europei a coscrizione obbligatoria.
Il comandante supremo delle forze armate è il presidente della repubblica, il quale però, in tempo di pace, delega tale potere al Ministro della guerra, politicamente responsabile.
L'esercito nazionale argentino si ripartisce in tre grandi branche: esercito di linea; guardia nazionale; guardia territoriale.
L'esercito di linea, a sua volta, si suddivide in esercito permanente e riserva dell'esercito permanente.
L'esercito permanente è così organizzato: 5 divisioni di fanteria; 2 distaccamenti di cavalleria; unità varie (ferrovieri, aviazione, ecc.); scuole.
Ogni divisione di fanteria comprende: Comandante e S.M.; Comando di fanteria (3 reggimenti di fanteria, ognuno di 2 battaglioni e 1 compagnia di mitragliatrici; 1 batteria d'accompagnamento); i reggimento di cavalleria su 304 squadroni (2 divisioni hanno un solo squaorone di cavalleria); Comando d'artiglieria (2 gruppi di 2 batterie da 75; 1 batteria di obici da 105); Comando del genio (i battaglione di zappatori su 2 compagnie e 1 sezione da ponte).
I battaglioni di fanteria sono tuttì su 2 compagnie.
Due divisioni hanno, in più degli elementi sopra descritti, un reggimento di fanteria montata.
Ogni distaccamento da montagna comprende: Comando; 1 reggimento di cacciatori; 1 gruppo di artiglieria da montagna su 7 batterie da 75.
Ogni brigata di cavalleria comprende: 3 reggimenti di cavalleria su 3 o 4 squadroni ognuno; 1 squadrone di mitraglieri; 1 gruppo di 2 batterie a cavallo da 75; 1 sezione di zappatori-pontieri di cavalleria.
Unità varie: battaglione ferrovieri (2 compagnie, 1 parco); truppe di comunicazione (4 compagnie su 2 sezioni); gruppo d'aviazione (3 squadriglie: 1 da caccia, 1 da bombardamento, 1 da osservazione).
Le scuole sono: scuola superiore di guerra; collegio militare; scuola sottufficiali; scuola di tiro; scuola di cavalleria; scuola per meccanici.
Il territorio della repubblica è diviso, a scopo amministrativo, in 5 distretti militari, corrispondenti ad ogni divisione di fanteria.
Oltre alle formazioni sopraddette esistono anche forze di gendarmeria e di polizia.
Le prime sono costituite da 1 reggimento di gendarmeria, che dipende dal Ministero della guerra e che viene impiegato nei territorî di Chaco e Formosa. Inoltre, in ciascun territorio nazionale, alle dirette dipendenze del Minisiro dell'interno, c'è un corpo di gendarmeria della forza di 100 uomini.
Le forze di polizia propriamente dette sono civili e dipendono dal Ministro dell'interno e dai governatori di provincia.
La guardia nazionale e la guardia territoriale hanno un'organizzazione tecnica che si può considerare precisamente analoga a quella dell'esercito di linea. L'incarico della loro istruzione e organizzazione è affidato tuttavia ai governatori di provincia, per il rispettivo territorio, e al governo nazionale, per la capitale della repubblica e per i territorî nazionali.
Gli stabilimenti militari più importanti sono: arsenale principale di guerra, a Buenos Aires, per la fabbricazione delle munizioni per armi portatili; arsenale di Puerto-Borghi (Rosario) per la fabbricazione dei proiettili d'artiglieria; arsenale di Córdoba, per riparazioni al materiale bellico; polverificio militare di Liniers; polverificio (in costruzione) di Córdoba; officina elettrica militare di Campo de Mayo; fabbrica militare di aeroplani di Córdoba.
Il reclutamento è fondato sul sistema dell'obbligo generale dei cittadini al servizio militare per la durata di 25 anni (dai 20 ai 45 di età). Ammesso, però, anche il volontariato (l'esercito permanente comprende un minimo di 5000 volontarî).
L'obbligo al servizio militare è così ripartito:
La forza bilanciata è di 26.500 uomini. Per ragioni finanziarie soltanto il 35% circa del contingente è chiamato alle armi: i non idonei, però, sono tenuti al pagamento di una tassa militare.
Il bilancio della guerra, nel 1925, è stato di 67.585.000 pesos carta, cioè di oltre mezzo miliardo di lire (i peso-carta vale presentemente quasi 8 lire italiane). Rispetto al bilancio generale (588.641.000 di pesos) esso rappresenta circa l'11,6%.
Marina da guerra. - Il personale della marina è costituito dai Corpi militari (Corpo generale della marina, Corpo di artiglieria da costa, Corpo di marineria) e dai Corpi ausiliarî.
L'ordine gerarchico degli ufficiali della marina è uguale a quello dell'esercito. Nei corpi ausiliarî l'organico non va oltre il grado di capitano di vascello. I graduati si dividono in: a) ufficiali subalterni; b) capi; c) ufficiali superiori. I gradi vanno da guardiamarina ad ammiraglio.
Il naviglio da guerra è così composto: due corazzate (Moreno e Rivadavia) di 27.940 tonnellate e 22 miglia e mezzo di velocità; cinque incrociatori da 4780 a 6840 tonnellate; due guardiacoste, due cannoniere fluviali, quattro torpediniere, tre cacciatorpediniere e una nave scuola.
Aviazione. - L'aeronautica dell'esercito dipende dal Ministero della guerra (Direzione del servizio aeronautico dell'esercito). Le sue forze sono costituite da 3 gruppi di ricognizione, dislocati sui campi di El Palomar, di Paraná e di Mendoza. Al campo di El Palomar è anche la scuola militare di aviazione.
La forza del personale è di circa 500 uomini tra ufficiali e truppa; quella del materiale (in dotazione ai reparti d'impiego) è di circa 150 velivoli, principalmente di costruzione inglese e francese. Si prevede però un prossimo importante aumento delle forze aeree.
L'aviazione per la marina dipende dal Ministero della marina (Direzione del servizio aereo navale).
Non vi sono unità costituite, ma solo una sezione dislocata, parte a Porto Belgrano e parte a Mar del Plata. A Porto Belgrano ha sede la scuola di pilotaggio.
L'aviazione civile è formata dagli Aero Clubs e da varie società aeree; dipende ora direttamente dal Ministero della guerra. Le società di aviazione esercenti linee di navigazione aerea sono la Società aero-postale e la Società Junkers; ambedue però hanno servizî non regolari.
Marina mercantile. - Comprende circa 215 navi sopra le 100 tonnellate. Il tonnellaggio globale della flotta è di oltre 200.000 tonnellate. Il 90% di essa è costituito da piroscafi.
Finanze. - Dal 1910 al 1926 si osserva nella Repubblica Argentina, come negli altri paesi civili, un aumento continuo delle spese pubbliche, né avrebbe potuto avvenire altrimenti in una nazione nuova, a economia non completamente sviluppata, nella quale lo stato ha molte funzioni da compiere per il progresso economico, intellettuale e morale dei suoi abitanti.
Cosi il bilancio preventivo dello stato federale, che nell'anno del centenario dell'indipendenza nazionale autorizzava spese per l'impono di $ m/n 266.964.780 giunge alla somma di $ m/n 687.246.78 nel 1924. Quest'aumento si produce in maniera accentuata nel periodo 1910-1914, epoca di benessere e di progresso per la repubblica; dal 1915 al 1919, le spese preventivate diminuiscono, a causa degli squilibrî economici prodotti dalla guerra europea, per crescere nuovamente nel periodo 1920-1924:
Quasi la metà delle spese politiche comprende spese di difesa (guerra e marina). Tra le spese d'incremento, i lavori pubblici e la pubblica istruzione assorbono la maggior parte: esse raggiungono dal 1910 al 1924 un totale di $ m/n 2.579.550.530 e rappresentano il 37,70% del totale delle spese pubbliche nazionali preventivate per gli stessi anni. Le spese per la pubblica istruzione, corrispondenti allo stesso periodo, raggiungono un totale di $ m/n 2.579.054.421; all'aumento di queste stesse spese contribuisce in primo luogo l'istruzione primaria gratuita e obbligatoria. Le spese di finanza, che riguardano l'esazione, sorveglianza e investimento delle rendite, e i servizî del debito pubblico, hanno avuto, negli anni studiati, lo stesso aumento delle spese politiche e d'incremento.
Ricorderemo che le cifre precedentemente citate sono nominali, e non riflettono l'aumento effettivo dei preventivi nazionali, giacché non si considerano le oscillazioni del potere d'acquisto della moneta. Non comprendono inoltre le spese delle istituzioni autonome della nazione (Consiglio nazionale di educazione, Ferrovie dello stato: Opere sanitarie, Banco della nazione, Banco ipotecario, Cassa nazionale postale di risparmio, Commissione nazionale di case a buon mercato, ecc., salvo la parte di esse a carico della nazione), che raggiungono nel 1922 circa $ m/n 100.000.000.
Le entrate dello stato federale, provenienti dal suo demanio territoriale e altre attività, comprendono le seguenti voci, e raggiungono un totale di $ m/n 1.741.000 nel 1910 e di $ m/n 2.391.000 nel 1924.
Le entrate nazionali corrispondenti al demanio commerciale e industriale dello stato sommano a $ n/n 49.947.000 nel 1910 e $ m/n 83.010.000 nel 1924 e comprendono le voci e somme seguenti:
Le entrate nazionali provenienti da funzioni e servizî, che riguardano lo stato come tale, e che raggiungono una somma di $ 2.703.000 nel 1910 e $ 7.329.000 nel 1924, sono:
L'importanza delle imposte nazionali argentine sulla terra; sulla produzione agricola e zootecnica; sul commercio, industria e professioni; sul consumo; sugli atti civili, commerciali e giudiziarî, e sulle successioni - si può rilevare dalla seguente tabella.
L'imposta sulla terra, che si applica nella città di Buenos Aires e nei Territorî nazionali, si chiama contribuzione territoriale, e il suo ricavato si ripartisce tra il Tesoro nazionale, il Consiglio nazionale di educazione e i Municipî della capitale federale e dei Territorî nazionali. I dazî di esportazione sulla produzione agricola zootecnica e così le imposte sul commercio, l'industria e le professioni nella capitale federale e nei Territorî nazionali con patenti, si distribuiscono nella stessa maniera delle contribuzioni territoriali. Il consumo è gravato dai dazî d'importazione (dazio d'importazione addizionale 2 e 7%, sopraccarico del 25% e diritti di statistica, che costituiscono una vera imposta, poiché il loro importo è molto maggiore del costo del servizio) e dalle imposte interne sui tabacchi, sugli alcool, bibite alcooliche, profumi, specifici, medicinali, gioielli, carte da giuoco, bibite artificiali e fiammiferi. Le imposte interne si distribuiscono tra il Tesoro nazionale e il fondo dei sussidî. Le tabelle che seguono illustrano la classificazione degli articoli secondo la statistica del commercio estero; il rendimento di ogni gruppo e la proporzione di ognuno sul totale; il gettito, la proporzione sul totale e l'aumento delle imposte interne, corrispondenti agli anni 1910 e 1924.
Le tasse sugli atti civili, commerciali e giudiziarî comprendono quelle sulla carta bollata per le pratiche amministrative e giudiziarie, sui biglietti di viaggio e sulle assicurazioni. L'imposta nazionale applicabile, nella capitale federale e nei territorî nazionali, alle successioni è devoluta integralmente al Consiglio nazionale di educazione.
La Repubblica Argentina ha avuto e ha bisogno per il suo sviluppo normale di due grandi fattori di progresso, lavoro e capitale: lavoratori per popolare, sotto la protezione della sua carta fondamentale, il suo territorio di quasi tre milioni di chilometri quadrati; capitale per l'incremento delle sue incipienti industrie, e per la costruzione di porti, canali, ferrovie, strade, opere sanitarie, ecc. Da ciò l'importanza dei prestiti, soprattutto di quelli contratti all'estero, per l'economia e per le finanze argentine.
Dal 1910 al 1924, le spese del debito pubblico interno ed estero, raggiunsero la somma di $ m/n 1.532.979.117.
Su un totale di spese di finanza di $ 1.731.204.318, corrispondente agli anni 1910-1924, il debito pubblico nazionale figura per $ 1.532.979.117, cioè circa l'88%; e assorbe il 22,41% della somma complessiva delle spese preventivate nello stesso periodo, che raggiunge $ 6.834.541.039.
Il debito nazionale consolidato e il fluttuante ascendevano in complesso nel 1910 a $ 1.113.845.000, cioè a $ 191 per abitante, e nel 1922 a $ 2.187.710.000, cioè $ 243 per abitante.
Negli ultimi anni il debito fluttuante e il consolidato raggiungevano poi, separatamente, le seguenti cifre:
L'aumento considerevole del debito auttuante ha la sua origine in gran parte nei deficit di bilancio prodottisi negli ultimi tre lustri. Infatti le somme riscosse e quelle spese durante gli anni dal 1910 al 1925 produssero i saldi precedenti che aumentarono il debito fluttuante alla cifra attuale; il consolidamento e la riduzione di esso al minimo interessa il Governo nazionale.
Il sistema monetario argentino si basa su due leggi fondamentali: la legge monetaria del 5 novembre 1881 e quella, detta legge di conversione, del 4 novembre 1899. La prima, che creava come unità monetaria il peso (di 1,6129 gr. di oro di o,900 di fino, quello d'oro, e di 25 grammi di aigento pure al titolo di 0,900 di fino, quello d'argento), dichiarava illimitata la coniazione dell'oro e fissava, per ogni abitante, un massimo di quattro pesos per le monete d'argento e di venticinque per quelle di rame, ebbe breve durata, poiché la carta moneta, introdotta dapprima in piccola quantità e facente premio sull'oro, finì a poco a poco con l'eliminare dalla circolazione le monete metalliche, e nel 1886 fu dichiarato il corso forzoso. Seguì una delle più gravi crisi che abbia attraversate l'Argentina, detta crisi del progresso, durante la quale l'oro fu quotato fino al 400% al di sopra della carta moneta; e solo quando la fiducia tornò a regnare nella nazione, la legge di conversione, opera dell'eminente statista dott. Carlo Pellegrini, intervenne a stabilizzare il peso carta a un valore di 44 centavos oro, il che equivaleva a un tipo di conversione di 227,2727% per il peso oro. La moneta divisionaria d'argento fu sostituita con biglietti di piccolo taglio, sostituiti poi da monete di nichelio di uguale valore.
Il peso oro è indicato con la sigla $ o/s (oro sellado "oro col marchio"), mentre per il peso carta si usano le sigle $ m/n (moneda nacional) o $ c/l (curso legal).
Cultura.
la tipografia. - Il primo libro stampato nella regione del Rio della Plata, di cui si abbia notizia, fu un Martirologio romano edito nel 1700 dalle Missioni gesuitiche. Questo libro non si è però trovato, e il più antico che si conosca è quello di Nieremberg, De la differencia entre lo temporal y eterno, pubblicato nel 1705 presso le stesse missioni, che avevano una stamperia, per la quale si valevano dell'opera degl'Indiani: essa lavorava con caratteri di stagno e incisioni in legno. L'opera del Nieremberg contiene molte illustrazioni impeccabili per il tempo e per il luogo. Dopo aver pubblicato alcuni altri libri, fra i quali ve n'erano anche in guaranì, la stamperia fu soppressa nel 1729-30 per avere ristampato una Lettera su certi incidenti avvenuti nel Paraguay.
In seguito i gesuiti impiantarono in Córdoba un'altra stamperia (1766), che riuscì però a stampare pochi libri, giacché l'espulsione dei gesuiti allontanò le sole persone che sapevano farla funzionare. Il viceré Vértiz la trasportò a Buenos Aires, dove nel 1780 ricominciò a lavorare alla dipendenza della Casa dei Trovatelli. Oltre a servire per gli stampati occorrenti all'amministrazione, essa pubblicò dei libri per lo più di argomento religioso, alcuni discorsi, disposizioni amministrative e, nel sec. XIX, alcuni periodici, come si vedrà più oltre. José Toribio Medina ha elencato nella sua pregevole Historia y bibliografía de la imprenta en el Río de la Plata quasi tutti i libri pubblicati sino al 1810: sono 851 numeri. A partire da questa data, si comincia a stampare attivamente. Nel 1816 fu fondata la stamperia di El Sol e un poco dopo quella di Gandarillas; e prima del 1860 tutte le provincie ebbero le loro tipografie.
la stampa periodica. - Tralasciando alcune Gacetas manoscritte, che non poterono assurgere al grado di periodici, la nascita della stampa argentina è segnata dalla comparsa del Télegrafo mercantil, rural, politico-económico e historiógrafo del Río de la Plata nel 1801; era un bisettimanale, per lo più di otto paginette, grandi un po' meno della metà del formato di questa Enciclopedia. Seguirono il Semanario de Agricultura, Industria y Comercio (1802-1806), il Correo del Comercio, fondato da Manuel Belgrano nel 1810 e la Gaceta de Buenos Aires (1810-1821), organo del governo rivoluzionario, fondata da Mariano Moreno, che fu il suo primo direttore. Essa costituisce una fonte di grande valore per la storia argentina, e fu ristampata nel 1910 a cura della Junta de Historia y Numismatica Americana.
Dal 1810 in poi uscirono molti giornali, per la maggior parte effimeri: meritano una menzione per i loro scopi di cultura El Argos e La Abeja Argentina, che si pubblicarono durante il periodo di rinascimento intellettuale suscitato da Rivadavia. In questo tempo (1823) cominciò a pubblicarsi La Gaceta Mercantil, e poi l'Archivo Americano (1843-1851), che, sotto la direzione di don Pedro de Angelis, divennero i giornali ufficiali della dittatura di Rosas.
Dopo la caduta di questo dittatore, comparvero nuovamente molti giornali, quasi tutti di breve vita. I più antichi quotidiani argentini, che tuttora si pubblicano, sono: The Standart, portavoce della colonia inglese, dal 1861; La Prensa, dal 1869, e Los Debates (1857), che divenne nel 1862 La Nación Argentina e nel 1870 La Nación. Nella capitale si pubblicano inoltre El Diario, giornale della sera, che ha una certa influenza sulle classi sociali più elevate, portavoce degl'interessi bonaerensi; La Razón, giornale d'informazioni della sera, che si occupa con particolare attenzione di questioni economiche e finanziarie; Crítica, giornale della sera liberale operaio, con gran seguito nelle classi popolari; La Fronda, organo delle opposizioni di destra, del mattino. La colonia italiana ha il Giornale d'Italia e L'Italia del popolo, e anche le altre colonie straniere hanno i loro giornali.
In provincia vanno notati per la loro età e la loro importan2a: La Capital di Rosario, El Orden di Tucumán, La Voz del Interior e Los Principios di Córdoba, Los Andes di Mendoza, ecc.
Fra le riviste popolari, le più diffuse sono: El Hogar (1915), Caras y Caretas, la più antica del genere (1898), Atlantida e alcune altre, oltre alle molte, che continuamente appaiono e scompaiono.
Le più antiche tra le riviste scientifiche sono: La Revista Farmacéutica, fondata nel 1858, organo della Società di farmacia, e La Revista de Educación, fondata da Sarmiento nel 1859, organo della Direzione delle scuole della provincia di Buenos Aires.
Il censimento del 1914 registra, in tutta la repubblica, 520 pubblicazioni periodiche, tra le quali 493 in spagnuolo, 4 in italiano, 5 in inglese, 2 in francese, 5 in tedesco, 1 in danese e 3 in arabo.
La stampa periodica argentina anteriore al 1852 è stata studiata da Antonio Zinny nelle sue opere: Efemeridografía argirometropolitana, Efemeridografía argiroparquiótica, La Gaceta de Buenos Aires e La Gaceta Mercantil.
Per quella di epoca posteriore, si possono consultare l'Anuario di Navarro Viola (1895). quello di Francisco Antonio Le Rose e le notizie dei censimenti del 1895 e del 1914.
Istruzione. - Istruzione elementare. - Durante l'epoca coloniale, l'istruzione di primo grado veniva impartita in famiglia, nei collegi degli ordini religiosi, nelle scuole annesse alle chiese e in qualche scuola mantenuta dai comuni. In quel tempo quattro nomi si resero celebri per la loro opera in pro dell'istruzione: fra i laici Hermandarias, nel sec. XVII, e Vértiz, viceré nella seconda metà del sec. XVIII, e fra gli ecclesiastici il vescovo San Alberto in Córdoba e il canonico Maciel in Buenos Aires.
La rivoluzione diede un grande impulso all'insegnamento, che fece notevoli progressi al tempo di Rivadavia (1821-1827): venne allora introdotto il sistema d'insegnamento mutuo di Lancaster, non solo perché ritenuto il migliore, ma anche perché più conveniente per le poco floride finanze pubbliche. Alla stessa epoca fu fondata la Sociedad de Beneficencia, che si assunse l'insegnamento femminile. Dopo la caduta di Rivadavia, l'insegnamento cominciò a decadere in quasi tutto il paese: nel 1830 c'erano soltanto 202 scuole con 223 insegnanti. Soltanto la provincia di Entre Rios, governata dal generale Urquiza, continuò a curarlo, e fondò financo un collegio nazionale in Concepción del Uruguay, oltre a 47 scuole. Durante la dittatura di Rosas, solamente nelle città principali si mantennero alcune scuole. Caduto Rosas (1852), l'istruzione rifioriva: mentre nel 1850 le scuole erano 205, nel 1860 erano salite a 593. Nonostante le difficoltà della guerra col Paraguay, la presidenza di Mitre curò molto l'educazione, e nel 1870 le scuole erano 1082, comprese quelle aperte da Sarmiento, che, salito nel 1868 alla presidenza, affidò il Ministero dell'istruzione pubblica a Nicolás Avellaneda, che doveva poi succedergli. Il periodo di Sarmiento (1868-1874) e di Avellaneda (1874-1880) è quello di maggiore attività. Del 1884 è la legge sull'istruzione pubblica, seguita l'anno appresso dal regolamento, che la rese gratuita e obbligatoria per tutti i ragazzi tra i sei e i quattordici anni, e che stabilì le seguenti materie d'insegnamento: lettura e scrittura, aritmetica (le quattro operazioni coi numeri interi e la conoscenza del sistema metrico decimale e della legge sulle monete, pesi e misure), geografia particolare della Repubblica e nozioni di geografia universale; storia particolare della Repubblica e nozioni di storia generale; lingua nazionale; morale e galateo; nozioni d'igiene; nozioni di scienze matematiche, fisiche e naturali; elementi di disegno e musica vocale; ginnastica; conoscenza della costituzione nazionale. Per le ragazze sono inoltre obbligatorî i lavori femminili e l'economia domestica, e pei maschi gli esercizî e le evoluzioni militari più semplici; nelle scuole rurali, nozioni di agricoltura e allevamento del bestiame.
L'istruzione elementare nazionale è dal 1881 diretta dal Consejo Nacional de Educación, composto di un presidente e quattro consiglieri, nominati dal presidente della Repubblica, e assistito per la parte tecnica da quattro ispettori generali, e da un gran numero d'ispettori e visitatori. Il consiglio mantenne, nel 1926, 10.603 scuole con 1.302.317 alunni e 45.265 maestri.
L'articolo 50 della costituzione argentina prescrive che le provincie, per esser tali, debbono mantenere le scuole; ma, oltre a ciò, il governo nazionale contribuisce alle spese sostenute dalle provincie con la cosiddetta sovvenzione scolastica che è ⅓, ⅔ o ¾ della cifra stanziata nei bilanci delle provincie, secondo lo stato delle loro finanze. Inoltre, dal 1905, per la legge Láinez, il governo nazionale ha istituito nelle provincie delle scuole nazionali. Nel 1926, esse erano 3045, con 226.806 allievi e 5976 maestri, contro 4700, con 605.948 allievi e 21.122 maestri, a carico delle provincie. Il governo nazionale mantiene anche i corsi di tirocinio (scuole elementari) annessi alle scuole normali, che nel 1926 furono 84, quattordici asili d'infanzia, pure annessi alle scuole normali, e quattro annessi a istituti di sordomuti; tutte queste scuole furono frequentate nel detto anno da 32.396 bambini, guidati da 1387 insegnanti. Dal Consiglio nazionale dipendono pure le scuole dei territorî nazionali, che sono 847 con 74.434 alunni e 2605 maestri.
La spesa per l'insegnamento elementare è stata nel 1926 di $ 132.761.002,47. Per essa sono destinati, oltre le cifre stanziate nel bilancio nazionale, il 20% del ricavato dalla vendita di terreni nazionali, una percentuale su determinate imposte, la tassa d'immatricolazione, tutte le multe per contravvenzioni alle leggi sull'istruzione e a quella di pesi e misure, carta bollata ecc., e tutte quelle altre alle quali la legge non dà altre destinazioni, gl'interessi di un fondo permanente formato dal 15% di tutti i suddetti proventi, l'imposta sulle successioni, i beni delle persone morte senza eredi, il 25% di quel che il Jockey Club percepisce sulle scommesse, le donazioni, ecc.
Le scuole primarie dal 1810 al 1926 sono così aumentate:
Istruzione media. - L'istruzione media è impartita nei collegi nazionali e nei licei femminili; il corso dura 5 anni, tranne presso il collegio nazionale annesso all'università di Buenos Aires, dove il corso è di 6 anni. Vi sono al presente 47 collegi nazionali, tre dei quali femminili. Due di questi ultimi e 8 maschili sono in Buenos Aires; l'altro collegio femminile, insieme con 12 maschili, sono nella provincia omonima.
I collegi nazionali argentini si propongono di completare l'istruzione del giovane e prepararlo per l'università. Tali scopi non possono dirsi pienamente raggiunti sinora, tanto che il titolo di baccelliere ha scarso valore e non sempre basta per l'iscrizione alle facoltà universitarie; infatti, tra queste, alcune lo considerano insufficiente, e altre lo ritengono superfluo; le facoltà di diritto, medicina e ingegneria hanno istituito un esame di ammissione; la facoltà d'ingegneria ammette anche i licenziati della scuola industriale, dell'Accademia di belle arti, ecc.; quella di filosofia, i candidati che hanno il titolo di professore normale o insegnante distinto; quella di scienze economiche, i periti commerciali; la facoltà di agronomia e veterinaria richiede un esame di ammissione suppletivo. Ciò nonostante, i collegi nazionali, dalla loro istituzione sino al 1926, hanno contato 346.527 iscritti. Tuttavia, il numero degli alunni che abbandonano gli studî è grandissimo: nel 1926, sopra un totale di 14.726 allievi, 1.355 non finirono il corso.
Nel 1926 s'iscrissero 15.111 allievi, fra cui 2305 donne; il collegio nazionale Mariano Moreno, della capitale federale, ebbe il maggior numero d'iscritti (1874), mentre il minor numero l'ebbe il collegio di Trelew in Patagonia (47). Ogni alunno nel 1926 venne a costare $ 583,48.
Nei collegi nazionali non annessi alle università insegnarono 1972 professori, che furono presenti al 92% circa delle lezioni.
L'istruzione normale s'impartisce nelle scuole normali e si divide in corsi per precettori (2 anni), maestri (4 anni) e professori (7 anni). Il primo titolo abilita a insegnare nelle scuole rurali, il secondo vale per le scuole elementari di ogni genere, e il terzo dà inoltre la facoltà di diventare professore o direttore di scuola normale.
Esistono 86 scuole normali, delle quali 11 nella capitale e 22 nella provincia di Buenos Aires. Di esse 10 sono per professori, 13 per precettori, il rimanente per maestri. Alle scuole normali durante il 1926 s'iscrissero 13.402 allievi, ciascuno dei quali venne a costare $ 958.44. V'insegnarono 2115 professori.
Annesse alle scuole normali sono delle scuole elementari di tirocinio, che nel 1926 furono frequentate da 29.867 ragazzi, assistiti da 1283 maestri. Quattordici scuole normali hanno giardini d'infanzia, frequentati da 1362 bambini, assistiti da 52 insegnanti.
I diplomi rilasciati dalle scuole normali, dal 1874 al 1926, furono 50.188. Nel 1926 conseguirono il diploma di maestro 3174 persone, 114 quello di professore e 144 quello di precettore.
I principali istituti del sistema scolastico argentino che impartiscono un'istruzione speciale sono indicati nella tabella seguente, i cui dati si riferiscono all'anno 1926.
Insegnamento privato. - Una legge del 1878 concede il riconoscimento ufficiale all'insegnamento privato, purché esso venga impartito in conformità di certe disposizioni concernenti il programma degli studî, gli esami, i professori, l'igiene, il materiale didattico, ecc.
La tabella seguente dà le cifre circa gl'istituti privati pareggiati.
Università. - Le università nazionali sono 5, con 25 facoltà, 15.483 allievi e 1257 professori. Esse costarono, nel 1926, pesos 19.273,232,14, così distribuiti:
Per la legge n. 1579 del 3 luglio 1885 le università hanno acquistato grande autonomia: l'intervento governativo è limitato all'approvazione degli statuti.
L'Università di Buenos Aires fu fondata il 9 agosto 1821, e nel 1877 divenne nazionale. Ha sei facoltà: diritto e scienze sociali, scienze esatte fisiche e naturali, scienze mediche, filosofia e lettere, agronomia e veterinaria, scienze economiche. Ogni facoltà è retta da un decano e da un consiglio direttivo, composto di quindici membri, che possono essere professori universitarî o semplici laureati. Il decano è eletto da un'assemblea formata dei professori titolari e supplenti e di studenti, in numero uguale a quello dei titolari, eletti dagl'iscritti agli ultimi anni di corso. I consiglieri sono eletti dai professori titolari e supplenti, tranne quattro, chiamati consiglieri studenteschi, che sono eletti dagli studenti. L'assemblea che elegge il decano nomina pure due delegati titolari e due supplenti, che, insieme col decano, rappresentano la facoltà nel consiglio superiore dell'università. A questo consiglio presiede il rettore, che viene a sua volta eletto dai novanta consiglieri di facoltà.
Una riforma del 1918 diede il voto non solo agli studenti, ma anche ai supplenti, che prima votavano e potevano essere eletti soltanto se fossero incaricati di una cattedra. La riforma inoltre introdusse l'istituto della libera docenza, soppresse l'obbligo della frequenza e istituì seminarî, esercitazioni pratiche, ecc.
Il collegio nazionale annesso fu frequentato nello stesso anno da 1285 allievi, e la scuola di commercio da 2087.
Come si è già detto, gli studenti sono ammessi in quasi tutte le facoltà col diploma di baccelliere (licenza); tuttavia, da alcune è richiesto un esame di ammissione. Tutte le facoltà si dedicano, oltre che all'insegnamento, anche alle ricerche scientifiche, e quasi tutte pubblicano pregevoli riviste e raccolte di monografie per divulgare i risultati dei proprî studî.
Gli studenti di ogni facoltà, e spesso di ogni gruppo di corsi che mettono capo a una carriera determinata, hanno le proprie società, che pubblicano pure delle riviste. La società più importante è quella degli studenti di medicina, che ha una grandiosa sede propria e un'accreditata rivista.
L'università cominciò a pubblicare nel 1877 i suoi Annali, due volumi, che, ripresi nel 1888, furono sospesi nel 1902. Nel 1904 s'istituì la Revista de la Universidad. Nel 1924, quando s'iniziò la seconda serie con un piano differente, contava 53 volumi. Nel 1926 si fondarono gli Archivos de la Universidad per le comunicazioni amministrative, mentre nella Revista si continua a pubblicare i lavori scientifici.
Ogni facoltà aveva annessa, sino al 1923, un'accademia, dedicata alle ricerche scientifiche. Quella di medicina e l'altra di scienze fisico-naturali furono istituite nel 1822; dopo due anni si fusero, ma cessarono ben presto. Nel 1874 s'istituirono di nuovo le accademie pel governo delle facoltà; nel 1908 esse si scissero in consigli e accademie, e nel 1923 queste ultime furono rese inpendenti dall'università. Le accademie di diritto, di medicina e di filosofia e lettere hanno curato delle pubblicazioni.
Nell'anno 1897 fu fondata l'università di La Plata, dipendente dal governo provinciale, la quale si sviluppò assai lentamente, sino a quando, nel 1903, fu dichiarata nazionale. A quella data aveva la facoltà di scienze giuridiche e sociali, quella di agronomia e veterinaria, il museo, l'osservatorio astronomico, la scuola d'agricoltura di Santa Catalina, il collegio nazionale e la biblioteca pubblica. Posteriormente sono state istituite: una scuola elementare, un collegio secondario femminile, la facoltà di lettere e scienze dell'educazione, la scuola di scienze mediche, la facoltà di scienze scientifiche, la facoltà di scienze fisico-matematiche, la scuola superiore di belle arti; la facoltà di agronomia e veterinaria si sdoppiò.
L'università e le facoltà si reggono con le stesse norme di quella di Buenos Aires; e anche qui le facoltà si dedicano alle ricerche scientifiche, i risultati delle quali sono divulgati per mezzo di pubblicazioni proprie.
La facoltà di lettere funziona anche come scuola normale superiore. Tra gl'istituti universitarî meritano un cenno speciale l'osservatorio astronomico, istituito sin dal 1882, l'istituto di fisica e l'istituto di chimica. L'università ha una biblioteca con più di 100.000 numeri bibliografici, fra i quali notevoli la ricca collezione di periodici: manca però di cataloghi a stampa.
L'università di La Plata nel 1926 ebbe 1630 studenti e 224 professori, così distribuiti:
Il collegio nazionale annesso ha 908 alunni, il liceo secondario femminile 291, la scuola di belle arti 128, la scuola di agricoltura e pastorizia 54, la scuola di astronomia 2, i corsi operai della scuola di belle arti 64.
La differenza in favore dell'università di Buenos Aires si deve al fatto che quella di La Plata può contare soltanto sugli abitanti della città, mentre alla prima accorrono gli studenti dell'interno.
L'università di Córdoba fu fondata nel 1613, come collegio, dai gesuiti e più tardi elevata ad università con bolla di Gregorio XV. Nel 1854 fu dichiarata nazionale, e nel 1858 ebbe un nuovo statuto. Da allora cominciano i suoi progressi: nel 1873 s'istituisce la facoltà di scienze esatte e fisiche, annessa all'accademia di scienze, questa destinata alle ricerche, quella all'insegnamento; nel 1878 è fondata la facoltà di scienze mediche; l'anno successivo è emanato un nuovo statuto, riformato nel 1886 per conformarlo alla legge universitaria del 1885.
Sino al 1917, l'insegnamento s'informò al carattere conservatore della città. Ma in quell'anno l'elezione del rettore fece ammutinare gli studenti, che, in seguito a uno sciopero clamoroso, ottennero la riforma dello statuto, migliorie nell'insegnamento, ecc.
Nel 1926 furono iscritti a questa università 2428 studenti: 671 in diritto, 1450 in medicina, 307 per le scienze esatte. Le tre facoltà avevano 159 professori: 27 titolari e 18 supplenti nella facoltà di diritto, 35 e 23 in quella di medicina; 49 e 7 in quella di scienze; l'annesso collegio nazionale ebbe 673 allievi.
L'università del Litorale fu fondata nell'aprile del 1920, sulla base di quella provinciale di Santa Fe, istituita nel 1889, che comprendeva le facoltà di diritto e di farmacia e ostetricia, oltre ad alcuni istituti non universitarî.
Al presente essa si compone della facoltà di scienze giuridiche, con sede in Santa Fe, fondata in luogo dell'antica facoltà; della facoltà di chimica industriale e agricola, nella stessa città, trasformazione della scuola industriale preesistente; della facoltà di scienze mediche, che è l'antica facoltà di farmacia e ostetricia, ma ora risiede in Rosario; della facoltà di scienze matematiche, fisico-chimiche e naturali applicate all'industria, trasformazione della scuola industriale di Rosario, dove ha sede; della facoltà di scienze economiche, commerciali e politiche, fondata in Rosario in luogo dell'antica scuola superiore di commercio; della facoltà di scienze economiche e dell'educazione in Paraná, dove ha integrato la scuola normale; della facoltà di agricoltura, zootecnia e industrie affini, con sede nella città di Corrientes.
Sono considerate annesse all'università la scuola di commercio di Rosario, quelle industriali di Rosario e Santa Fe e la scuola normale di Paraná.
L'università del Litorale iniziò le sue lezioni con 1218 studenti, e nel 1927 ne aveva 3094, così distribuiti:
Le scuole annesse hanno 2675 allievi. Nel bilancio nazionale furono stanziati nel 1927 quasi due milioni di pesos per questa università.
Salvo piccole differenze, l'università del Litorale si regge secondo lo statuto di quella di Buenos Aires. I consigli direttivi di facoltà sono composti di 12 membri soltanto; tre dei quali rappresentano gli studenti. I consigli eleggono i rappresentanti nel consiglio superiore dell'università e i decani. Professori e studenti hanno l'obbligo di votare, e il voto è segreto.
Ultima fra tutte con una legge della provincia fu creata nel 1912 l'università di Tucuman, che avrebbe dovuto comprendere la facoltà di lettere e scienze sociali, e le sezioni di pedagogia, di studî commerciali e lingue viventi, di meccanica e chimica industriale e agricola e di belle arti. All'università venivano aggregati l'istituto di batteriologia, il museo di prodotti naturali e artificiali, il laboratorio di chimica, la stazione agricola sperimentale e l'archivio storico provinciale.
L'università cominciò a funzionare nel marzo del 1914. L'anno dopo erano in attività la facoltà di chimica e agricoltura, la facoltà di scienze fisico-matematiche (per ingegneri di ponti e strade e agrimensori), la scuola di farmacia e quella di pedagogia. Nel 1917 si fondò una scuola di disegno e pittura.
L'università, che nel 1918 aveva 558 studenti, fu dichiarata nazionale nel 1921. Nel 1926 aveva due facoltà: d'ingegneria con 33 studenti e 9 professori, che conferì 2 lauree, e di farmacia, ion 38 studenti e 8 professori, che rilasciò 12 lauree. Inoltre funzionavano i seguenti istituti annessi: la scuola di disegno e arte applicata, quella per le segretarie commerciali, quella per le visitatrici d'igiene, le scuole di economia, di pratica domestica, di elettrotecnica e meccanica, di pratica commerciale, la scuola normale e l'istituto tecnico.
Nel 1925 tutte queste scuole avevano 643 allievi.
Università popolari. - Così sono chiamate alcune istituzioni, che impartiscono insegnamenti pratici o di cultura generale, senza che i loro titoli abbiano valore ufficiale. Ve ne sono nove, sei delle quali a Buenos Aires e le altre a Rosario, Corrientes e Mendoza. Nel 1926 ebbero 8651 allievi e 191 insegnanti.
Va menzionata inoltre la biblioteca del Consiglio nazionale delle donne, che svolge un'intensa opera di educazione e d'insegnamento: essa ha ottenuto il riconoscimento ufficiale dei suoi diplomi di segretaria, traduttrice, insegnante di declamazione, di lingue, ecc.
Archivî. - Il principale archivio storico argentino è l'Archivo general de la nación, fondato nel 1821. Sia durante le agitazioni politiche, sia durante i periodi di tranquillità, l'archivio ebbe a soffrire per gravi negligenze. Don Manuel Ricardo Trelles (1852-1858) fu uno dei direttori più valenti: egli pubblicò una Revista del archivo e un indice dei documenti del 1810. In seguito iniziò la pubblicazione delle decisioni dell'antico consiglio comunale e dei documenti sui precedenti della rivoluzione e sulla guerra d'indipendenza.
Altri archivî storici importanti sono quelli del museo Mitre, dei tribunali, della curia ecclesiastica, di alcune parrocchie antiche, ecc. Ogni capitale delle provincie ha il suo archivio; la provincia di Buenos Aires si propone di concentrare il proprio nell'archivio storico provinciale di La Plata. Al presente, la riorganizzazione di tutti questi istituti progredisce rapidamente, come conseguenza delle aumentate ricerche da parte degli studiosi.
Il più importante archivio non storico è quello amministrativo.
Biblioteche. - La più antica biblioteca argentina è la Nazionale, fondata nel 1810 per iniziativa di Mariano Moreno. Essa risentì delle alterne vicende del paese; ma, appena consolidata l'organizzazione nazionale, ebbe vita regolare.
La biblioteca ha pubblicato sei volumi del catalogo degli stampati, quello dei periodici e quello dei manoscritti. Tra questi, oltre ai molti originali, si trovano numerose copie dell'archivio delle Indie. La Biblioteca Nazionale ha circa 400.000 volumi; nel 1926 la frequentarono 94.209 lettori, che consultarono 160.906 volumi.
Seconda, per importanza, è la biblioteca dell'università di La Plata, specialmente ricca di opere antiche e giornali, provenienti dalla collezione di Antonio Zinny. Non ha cataloghi a stampa.
Nell'università di Buenos Aires, van ricordate tre grandi biblioteche: quella della facoltà di diritto, con 70.000 volumi circa; quella della facoltà di medicina, che ne ha quasi 100.000, e quella della facoltà di filosofia con 55.000 opere; la prima da più di dieci anni ha sospeso la pubblicazione dei suoi cataloghi, la seconda ne ha pubblicato uno delle tesi e un altro delle riviste, la terza ha finito di recente di pubblicare il suo.
Alcuni istituti universitarî hanno importanti biblioteche specializzate: quello di geografia, quello di clinica chirurgica, quello di farmacologia, ecc., e merita di esser citata anche la biblioteca del collegio annesso all'università.
Notevole per la sua ricca collezione di libri antichi è la biblioteca del museo Mitre, formata dal generale omonimo; essa ha 46.000 volumi, e nel 1907 pubblicò un inventario.
Il Consiglio nazionale di educazione ha la biblioteca nazionale dei maestri, accanto alla quale funziona la prima biblioteca infantile della Repubblica.
In tutta la repubblica esistono 1117 biblioteche popolari e 29 scolastiche, che sono aiutate dalla Commissione protettrice delle biblioteche, la quale nel 1926 distribuì 227.386 volumi.
Musei. - I più importanti musei della capitale sono quello di storia naturale, fondato nel 1823, con ricche sezioni di zoologia, paleontologia, botanica, mineralogia e geologia, archeologia ed etnografia, numismatica e antropologia: pubblica Anales e Comunicaciones; il museo storico, fondato nel 1889, principalmente militare, nel quale si trova la più importante collezione di ricordi di uomini e fatti anteriori al 1880; il museo Mitre, nel quale si conserva tutto quello che si riferisce al generale Mitre; i musei municipale e Fernández Blanco, dipendenti dal comune; quello etnografico della facoltà di filosofia e lettere, ricchissimo di collezioni archeologiche ed etnografiche.
Nel territorio della Repubblica merita speciale menzione il museo di La Plata, fondato nel 1884, che è uno dei più importanti del mondo, con 66.000 numeri ripartiti fra le varie sezioni di antropologia, archeologia, etnografia, zoologia, botanica, geologia e geografia fisica, petrografia e mineralogia, paleontologia e biologia; pubblica a partire dal 1890 Anales e Revista. Notevoli anche il museo storico di Luján, fondato recentemente, ma già assai ricco oltre che di reliquie militari, anche di numerosi documenti per la storia della società; il museo provinciale di Córdoba, quello di storia naturale di Tucumán, quello di Mendoza, il museo Sarmento di San Juan, nella casa stessa in cui nacque quell'uomo illustre, ecc.
Altre istituzioni culturali. - Nella capitale esistono l'Istituto popolare de conferencias e l'Asociación amigos del arte. La prima organizza durante quasi tutto l'anno un ciclo di conferenze settimanali e pubblica gli Anales, la seconda organizza esposizioni d'arte, concerti, conferenze, ecc. Lo stesso scopo ha El circulo di Rosario, che pubblica una rivista. Nel resto della Repubblica, ogni centro importante ha il suo ateneo o società di cultura, con biblioteca, sale per conferenze, ecc.
Nel campo dell'insegnamento, si distinguono per la loro organizzazione il grandioso collegio del Salvador, diretto dai gesuiti, ove, a partire dal 1911, venne istituita l'Accademia della Plata, che pubblica la rivista mensile Estudios: il Seminario Conciliar, diretto dai gesuiti ed elevato al grado di Università Pontificia; l'istituzione protestante Escuelas e institutos filantrópicos argentinos, le scuole della Conservación de la Fe, del Sacro Volto, la Sociedad de educación industrial, la Casa del bambino, la società Luz, ecc.
Storia.
Nel 1516 Juan Díaz de Solís penetrava, dall'Atlantico, nella foce di un gran fiume, che egli chiamò Mar Dolce. Ucciso lo scopritore dagl'Indiani Charrúas, i superstiti ne mutarono il nome in Río de Solis. Prevalse poi il nome, usato dai Portoghesi, di Rio da Prata, e in spagnolo de la Plata (fiume dell'argento), derivato dalla persuasione che, a giudicare dagli ornamenti di argento usati dagl'indigeni, ivi dovessero trovarsi vasti giacimenti di quel minerale. Accanto alla forma spagnola sorse il latinismo Argentina, che trovasi consacrato nel titolo di un poema di Martino del Barco Centenera: La Argentina o la conquista del Río de la Plata (1602). Dopo la rivoluzione prevalse il nome Argentina, mentre ai tempi dei governatorati e del viceregno era stato in onore quello di Provincias Unidas del Río de la Plata; e Argentini si chiamarono gli abitanti del nuovo stato americano. Né fu senza ragione l'adozione della forma latina, ché giustamente fu osservato come una parte delle ex-provincie del Plata fosse passata a integrare altri stati (Paraguay, Uruguay, Bolivia), mentre col nome di nación argentina o pueblo argentino si era sempre inteso designare quella particolare agglomerazione etnica, che appunto costituì il primo nucleo dell'odierna repubblica federale. Il nome di Plata rimase bensì al fiume riconosciuto dal Solís, e quando, nel 1882, il Congresso decretò la fondazione di una nuova città, destinata a diventare il capoluogo della provincia di Buenos Aires, a essa fu dato il nome di La Plata.
1. Alla spedizione del Solís (non ci occupiamo della dibattuta questione se Vespucci scendesse fino all'estuario del Plata) tenne dietro quella del portoghese Magellano (Fernão de Magalhães), che navigava per conto di Spagna, e la cui flotta, dal 1519 al 22, compì il primo giro del mondo. La flotta di Magellano, nel viaggio di andata, penetrò nell'estuario del Plata, facendovi sondaggi e osservazioni; anzi una delle navi, la Santiago, comandata da Juan Serrano, scoperse e risalì il fiume Uruguay (gennaio-febbraio 1520) Poco più tardi un italiano, Sebastiano Caboto, al servizio del re di Spagna, interrotta la progettata navigazione alle Molucche, si fermava al Río de Solís, e, fondato prima il forte Sancti Spiritus (27 maggio 1527), si avanzava nel Paraná, da questo passando nel fiume Paraguay, mentre il suo luogotenente Michele Rifos, poi trucidato dagl'indigeni, si distaccava per esplorare i fiumi Bermejo e Pilcomayo. Ritornato alla base, Caboto entrò in conflitto con il sopraggiunto Diego García, ex compagno di Vespucci, di Solís e di Magellano, che si vantava concessionario esclusivo dell'esplorazione del Río de Solís; poi, composto il dissidio, riprese la navigazione pel fiume Paraguay. Ma gl'Indiani si ribellarono, il forte Sancti Spiritus cadde, e così l'ardito navigatore ritenne opportuno far ritorno in Spagna (1530). Nel 1534 si diffondeva la notizia della scoperta d'immense ricchezze nel Perù, conquistato da Pizarro, e su quella regione si appuntavano gli sguardi cupidi dei conquistatori. Il Rio della Plata ne guadagnò importanza per riflesso, giacché fu considerato come la strada naturale per giungere al favoloso altipiano, attuandosi così la felice intuizione di Caboto, che aveva risalito i grandi fiumi per giungere al regno del Rey Blanco, cioè all'impero dell'Inca. Altro motivo induceva la corona di Spagna a fare occupare stabilmente le terre platensi: la minaccia di una occupazione portoghese. Già più volte Portoghesi e Spagnoli si erano trovati in conflitto per non avere, ora gli uni ora gli altri, rispettati i patti del trattato di Tordesillas; e nel 1531 una nave portoghese, appartenente alla flotta di Martim Alfonso de Souza, primo donatario del Brasile, si era spinta fino all'imboccatura del Paraná, col pretesto di rilevare il punto. Perciò nel 1535 partiva dalla Spagna una spedixione comandata da Pedro de Mendoza, che Carlo V aveva nominato, "adelantado e governatore generale delle terre del Rio della Plata". Il Mendoza, soldato mediocre, aveva partecipato al sacco di Roma e vi aveva guadagnato ingenti ricchezze, con le quali aveva allestito l'impresa ultramarina. I contemporanei vollero vedere, nelle sue sventure, la punizione degli eccessi a cui si era abbandonato durante il sacco, "spogliando conventi e persino chiese".
La flotta di Pedro de Mendoza, composta di 14 navi con un migliaio di uomini e poche donne, entrò nel Plata nel gennaio 1536; e nei primi giorni di febbraio veniva fondata, sulla riva sinistra del Riachuelo, la Ciudad de Santa María de los Buenos Aires, primo nucleo della grande metropoli odierna. Gl'inizî della nuova colonia non furono lieti: gl'Indiani Querandíes, dapprima benevoli per gli Spagnoli, vennero poi in conflitto con questi; e, in un combattimento, trovava con altri la morte l'ammiraglio Diego de Mendoza, fratello dell'adelantado; i coloni ebbero a soffrire i tormenti della fame, e così duramente, da verificarsi casi di antropofagia, riferiti dal cronista tedesco sincrono, e testimone oculare, Ulrico Schmidel; il Mendoza stesso si ammalò gravemente, e diede al suo luogotenente Juan de Ayolas i poteri per risalire i fiumi esplorati da Caboto e incontrarsi con Pizarro e Almagro per discutere le rispettive giurisdizioni. Mendoza non poté aspettare il ritorno di Ayolas: aggravatosi il suo male, s'imbarcò per la Spagna, lasciando a Buenos Aires il capitano Francisco Ruiz Galán. Cessò poi di vivere durante il viaggio (1537). Proseguendo Ayolas nella sua esplorazione (nella quale doveva trovare la morte), si distaccava da lui il suo maestro di campo Domingo Martínez Irala, e questi nel 1541 trasportava nella città di Asunción nel Paraguay (fondata nel 1537 da Juan Salazar de Espinosa) gli ultimi resti della popolazione di Buenos Aires. Il centro delle provincie platensi si spostò verso il Paraguay, e Buenos Aires sarebbe scomparsa dalla storia americana, se due potenti fattori non avessero preparato il suo risorgimento. In primo luogo, mentre Irala tendeva ad espandere la conquista verso la parte orientale del Paraguay, per avvicinarsi alla pista brasiliana, il cui porto di S. Vicente, assai frequentato da navi francesi, olandesi e portoghesi, diventava lo sbocco di Asunción, il contrabbando sfociava naturalmente verso Buenos Aires. ln secondo luogo, quando Irala spopolava deliberatanente Buenos Aires, radendone al suolo le case, non pensava che le coppie di cavalli da lui messe in libertà nella pampa avrebbero rappresentato i capostipiti di una delle maggiori possibilità economiche della colonia.
2. Con Irala comincia un lungo periodo di anarchia nella nascente storia del Río de la Plata. Capitano violento, sanguinario, personalmente coraggioso, sprovveduto di ogni senso morale, turpissimo nella vita privata, egli, secondo l'ingenua espressione del cronista Schmidel, adottò in terra il governo di Satana nell'inferno. Contro il nuovo adelantado Alvaro Núñez, detto Testa di Vacca, il valoroso e onesto scopritore della Florida, che giunse nella regione platense nel 1542, egli ordì trame e intrighi, culminati con la sedizione del 25 aprile 1544: il Núñez fu imprigionato inviato in Spagna e condannato, e solo assai più tardi il Consiglio delle Indie, riveduto il processo, lo liberò e riabilitò, assegnandogli una pensione d'indennizzo. Così Irala continuò a spadroneggiare fra il Paraguay e il Perù, in conflitto continuo con le autorità reali, ma dando alla corona nuovi vastissimi territorî nel Paraguay e nel Brasile, e accompagnando la conquista con una incredibile strage di Guaranís. Irala, dunque, può considerarsi il primo caudillo del Plata, il fondatore di un sistema che avrà gravi conseguenze nei periodi più delicati della formazione del popolo argentino. L'anarchia si accentua dopo la sua morte, avvenuta nel 1557, e alla lotta dei caudillos partecipano il Cabildo, vaga parvenza di amministrazione municipale, e il primo vescovo del Paraguay, Pedro de la Torre; fin quando, alla fine del 1573, giunge nel Rio della Plata il terzo adelantado Juan Ortiz de Zárate, di cui il nipote, Juan de Garay, aveva poc'anzi (15 novembre) fondato la città di Santa Fe de la Vera Cruz; mentre Cabrera, governatore del Tucumán (dipendente allora dal viceré del Perù), fondava la città di Córdoba la Llana (6 luglio). I principali centri della futura Repubblica Argentina venivano così nettamente stabiliti; ma Buenos Aires permaneva ancora nel desolato spopolamento voluto da Irala. Lo stesso Juan de Garay, comprendendo la somma importanza di quel porto, già frequentato del resto, come si è detto, dai contrabbandieri che scendevano dall'Alto Perù e dal Paraguay, ne decise il ripopolamento: data memorabile della storia argentina. Il giorno 11 giugno del 1580, nel punto preciso dell'odierna Plaza de Mayo, il Garay, in rappresentanza dell'adelantado Juan de Torres de Vera y Aragón (genero dell'Ortiz de Zárate, che era defunto nel '76), fondava la "città della Ss. Trinità e porto di S. Maria di Buenos Aires". Si era mosso da Asunción nel marzo 1580 con una settantina di soldati, quasi tutti creoli (cioè spagnoli nati in colonia), alcune decine di famiglie indiane, il francescano Juan de Rivadeneyra, mille cavalli addomesticati, duecento vacche e alcuni tori, cinquecento pecore, ecc. È chiaro che nella mente del Garay, grande conoscitore delle terre e delle possibilità sudamericane, era penetrata la persuasione che non i fantastici tesori peruviani, ossessione dei precedenti conquistatori, ma l'agricoltura e l'allevamento del bestiame dovevano costituire la ricchezza futura dell'adelantazgo platense. Fu proceduto immediatamente al tracciato della città, più o meno secondo le regole contemplate nelle Leyes de India, alla distribuzione delle isole ai coloni, all'assegnazione di terreni nei dintorni. Si sono conservati (e furono primamente pubblicati dal De Angelis) i documenti ufficiali della fondazione e della ripartizione, e in essi troviamo, oltre alcuni dubbî, un nome schiettamente italiano, quello di un Bernabeo Veneziano, al quale è assegnato il solar n. 99 (attualmente angolo Defensa e Moreno), e si concede una suerte di 3000 varas nella valle di Sant'Anna. Soltanto pochi anni dopo il ripopolamento, Buenos Aires e il suo hinterland avevano dato una solenne smentita al concetto, prevalso per più di mezzo secolo, essere le terre del Plata le più povere del continente americano. Cominciava il traffico con i centri delle coste brasiliane, cui s'inviavano farina, sego, crini, cuoi; e attraverso Buenos Aires passavano i prodotti del governo del Tucumán e delle provincie dell'Alto Perù. Ma nel 1594 una cedola reale richiamava alla stretta osservanza delle disposizioni sulla proibizione del commercio e la clausura dei porti, e vanamente contro di essa protestava, esponendo i gravi danni dei coloni, il viceré del Perù, marchese de Cañete, appoggiato dalla Udienza di Charcas. Solo nel 1602 si cominciò ad avere qualche permesso.
3. Sorgeva intanto, dopo avere partecipato, in grande maggioranza, al ripopolamento di Buenos Aires, la generazione dei creoli, impetuosa, ribelle, che si considerava, jure loci, padrona assoluta del territorio e cominciava a guardare come intrusi i conquistatori spagnoli, che pure le avevano dato la vita. Mentre il Garay attendeva alla ripartizione delle terre di Buenos Aires, una prima sedizione scoppiava in Santa Fe (giugno 1580), sostituendosi alle autorità spagnole quelle creole: successo di breve durata, che non tardò la reazione, con l'assassinio dei rivoluzionarî. E quando, nel 1583, Garay, nel dirigersi a Santa Fe, fu sorpreso nel sonno e ucciso dagl'Indiani; i cittadini di Buenos Aires (porteños), appellandosi a una cedola del 1537, chiesero il Cahildo aperto (la municipalità e i vecinos più cospicui) per eleggere il governatore e capitano generale. Gli Spagnoli sostenevano un nipote dell'adelantado, noto come Faccia di cane, i creoli uno dei loro, il santafesino Juan Enciso Fernández. Il conflitto, pur non cruento, è da segnalarsi, al pari della sedizione di Santa Fe, come inizio di quel dualismo che doveva condurre, sia pure dopo più che due secoli, all'indipendenza dell'America latina. Si venivano fondando, in questo torno (1588), nuove città: San Juan de Vera de las siete Corrientes, che oggi, semplicemente Corrientes, è una importante città di confine della Repubblica, e Concepción del Bermejo, che ebbe poca vita: distrutta la città dagl'Indiani nel 1632 gli abitanti andarono ad accrescere la popolazione di Corrientes. Con la partenza del Torres de Vera (1591) finiva il sistema dell'adelantazgo, e vi subentrava quello del governatorato: primi governatori Hernando Arias de Saavedra, Fernando de Zárate, Juan Ramírez de Velasco e Diego Valdés y de la Vanda. Sotto quest'ultimo si verificarono le nuove severe restrizioni al commercio, a cui si è dianzi accennato, e che erano state richieste dall'intensificarsi del contrabbando dell'oro e dell'argento provenienti da Potosi: contrabbando che avrebbe finito col rovinare il commercio ufficiale attraverso il Panama. Veramente il Valdés, che pure aveva preso sul serio la sua parte, non poteva non informare il re (1599) che a Buenos Aires, tranne il grano e la carne, mancava tutto "per il vivere umano; ma qualche provvedimento in favore del porto di Buenos Aires, che il Consiglio delle Indie pareva disposto a prendere, fu presto frustrato per le rimostranze del viceré del Perù, geloso dei suoi privilegi. Morto il Valdés, dopo un aspro conflitto con il vescovo Vázquez de Liaño, il Cabildo aperto di Asunción nominava nuovamente governatore e capitano generale interino del Rio della Plata il creolo Hernando Arias de Saavedra, o Hernandarias, soldato valoroso, savio amministratore, che già aveva reso segnalati servigi, partecipando, sotto la direzione del Zárate, alla costruzione del forte di Buenos Aires (1595), per premunirsi dagli assalti dei corsari inglesi, e ottenendo, con tatto e con relativa umanità, la pacificazione delle tribù indiane fra il Paraná e l'Uruguay. Riconosciuto e confermato per nove anni, con cedola reale del 18 dicembre 1601, Hernando Arias governò con grande accorgimento; e quando, nel 1610, l'uditore Francisco de Alfaro, inviato dalla Spagna, emanò le famose ordinanze, che portano il suo nome, in favore degl'Indiani, Arias ne divenne il più zelante fautore, tanto da meritarsi il titolo di Protector de Indios. Rieletto di nuovo nel 1615, compì il più importante atto politico del suo governatorato, inviando in missione a Madrid Manuel de Frias e ottenendo la separazione del Rio della Plata dal Paraguay (cedola del 16 novembre 1617). Quindi Hernando Arias, si ritirava a Santa Fe, dove moriva nel 1634, universalmente rispettato dai contemporanei, dai posteri considerato quasi come il fondatore della nazionalità argentina. Sta in fatti, che, con la separazione del 1617, veniva stabilita la base, poi allargatasi verso il sud e l'occidente, del paese argentino, mentre nella distaccatasi provincia di Guayra (Paraguay) si veniva attuando l'esperimento di organizzazione dovuto al genio colonizzatore e politico dei gesuiti. (Per le missioni del Paraguay, come pure per le encomiendas e in generale per il sistema politico, amministrativo, religioso ed economico delle colonie spagnole, v. america). Oltre quelle già nominate, nel corso del sec. XVI si erano fondate le seguenti città, quasi tutte appartenenti al governo di Tucumán, ma poi divenute argentine: Ciudad del Barco, poi Santiago del Estero (1550); San Juan e Mendoza (1561); Esteco, oggi sparita (1567); San Felipe de Lerma, oggi Salta (1582): Todos los Santos de la Rioja, oggi Rioja (1591): San Salvador de Jujuy (1593). Buenos Aires, che nel 1602 contava, oltre la popolazione servile, un mezzo migliaia di abitanti (figura fra essi almeno un italiano, Giovanni Domenico Palermo), verso la metà del secolo, secondo i calcoli di A. B. Martínez, aveva raggiunto i 4000 ab., dovendo ritenersi esagerata la cifra di 8000 data dallo storico V. F. López.
4. Fino alla morte di Filippo IV (1665) si succedettero nel Rio della Plata i seguenti governatori: Diego de Góngora, molto bigotto, fautore del contrabbando, morto nel 1623; Alonso Pérez de Salazar; Francisco de Céspedes, sotto il cui governo gli Olandesi, allora in guerra con gli Spagnoli nel Brasile, tentarono di far sollevare i Creoli del Plata, e gl'Indiani del Río Bermejo si sollevarono, per i maltrattamenti degli encomenderos, (il Céspedes si trovò pure in continui conflitti col vescovo Carranza); Esteban de Ávila y Enríquez; Mendo de la Cueva y Benavides; Francisco Avedeno y Valdivia; Buenaventura Mujica; Pedro de Rojas (interino); Andrés de Sandoval; Jerónimo Luis de Cabrera; Jacinto de Lariz, valoroso uomo di guerra, che iniziò una fiera lotta contro gli abusi del clero, facendo rispettare le leggi che vietavano le mani-morte, le rendite perpetue, ecc.; Pedro Luis de Baigorri, avanzo delle guerre di Fiandra, così bene addestrato al saccheggio, che nel suo governatorato commise tali concussioni da finire in carcere; il marchese di Villacorta, venuto con feroci propositi fiscali ("da Buenos Aires all'interno non passerà neanche un uccello con il mangime nel becco"), ma poi abbindolato nelle reti del contrabbando olandese; José Martínez Salazar.
In questo periodo Buenos Aires procedeva nel suo lento, ma costante sviluppo. Nel 1620 era stata eretta a vescovato, e nel 1622 la vecchia chiesa parrocchiale diventava cattedrale. Nel 1602 Filippo II le aveva conceduto il primo permesso di esportazione: annualmente 2000 fanegas di farina, 500 quintali di carne secca, 500 di grassi animali, alcune migliaia di pelli, ecc., con destinazione al Brasile, alla Guinea e ad altri porti dipendenti dalla Spagna. Altro permesso era stato dato per l'introduzione dei negri d'Africa, in maggioranza di transito per l'Alto Perù; ma poi, scopertosi che con i negri venivano introdotte altre mercanzie, la concessione fu ritirata nel 1609. Ma abbiamo veduto che il contrabbando prosperava, favorito qualche volta dagli stessi governatori, e sempre dai funzionarî minori; e il contrabbando attirava, sia pure clandestinamente, molti stranieri, che diffondevano nelle popolazioni rivierasche quei sentimenti di libertà e di dignità civile, che dovranno rimanere a lungo ignoti alle popolazioni dell'interno. È vero che le autorità regie erano severissime nell'impedire la permanenza degli stranieri e assai difficilmente concedevano carte di cittadinanza: per esempio, nel 1603, espellevano, quantunque fossero, in quell'epoca, sudditi del re di Spagna, 27 portoghesi e un italiano, Giovanni Torre o Della Torre, provenienti dal Brasile. Ma nessuna severità e oculatezza era sufficiente ad evitare del tutto quei contatti, favorevoli tanto al commercio clandestino, quanto al formarsi di uno spirito indipendente nei creoli. Nella seconda metà del secolo la minaccia straniera (senza contare i ripetuti tentativi di pirati francesi, inglesi e danesi) divenne più seria: i Portoghesi, segretamente appoggiati dall'Inghilterra, occuparono la sponda orientale del Plata. Il governatore di Buenos Aires, José de Garro, mandò contro di essi il maestro di campo Antonio de Vera Mujica, al comando di 110 uomini di Buenos Aires, 60 di Santa Fe e 50 di Córdoba, e di 3000 indiani delle missioni di Corrientes e del Paraguay. La mattina del 7 agosto 1680 le posizioni portoghesi furono assaltate e felicemente espugnate, cadendo prigionieri tutti i sopravviventi della colonia. Ma la vittoria militare fu presto seguita da una sconfitta diplomatica: il trattato del 1681, per la debolezza del re di Spagna e per le ingerenze dell'Inghilterra, riconosceva al Portogallo la Colonia del Sacramento, che fu poi esca di nuovi conflitti.
5. Il sec. XVIII, infatti, si apre, nella storia del Plata, con una nuova e non ultima querela per la Colonia del Sacramento. Il governatore Juan Valdes de Inclán ne cacciò nuovamente i Portoghesi; ma questi non solo vi ritornarono in virtù del trattato di Utrecht, ma anche cercarono di dilatarsi lungo la sponda orientale del Plata, per rinforzare le posizioni di Sacramento (1720). Il nuovo governatore Zavala, con l'ausilio di forze del Tucumán e del Paraguay, nonché dei soliti indiani, strinse d'assedio le opere dei Portoghesi, che dovettero abbandonarle nel gennaio del 1724. Il governatore di Buenos Aires prese possesso del luogo, e ivi nel 1726 fondò la città di Montevideo, popolandola con coloni fatti venire dalle Canarie e dal Paraguay. I meriti militari del Zavala non furono sufficienti a farlo assolvere dall'accusa di incapacità a frenare il contrabbando, sicché fu esonerato e sostituito, nel 1734, da Miguel Salcedo. Il quale non mancò, a sua volta, di porre l'assedio alla Colonia del Sacramento, che i Portoghesi, fatti previdenti dalle passate sfortune, avevano fortemente munita. Per togliere di mezzo questo pomo della discordia nella politica di oltremare, il ministro spagnolo Carbajal trattò segretamente, nel 1750, la permuta di Sacramento: questa colonia sarebbe passata alla corona di Spagna, e il Portogallo ne avrebbe avuto in compenso il Rio Grande del Sud, da Santa Caterina alla frontiera del Paraguay, compresevi le missioni gesuitiche dell'alto Uruguay e del Guayra. Quando si cominciò a mettere in esecuzione il trattato, l'indignazione fu generale nei paesi spagnoli d'America: il nuovo governatore di Buenos Aires, José de Antonaegui, si rifiutò di eseguirlo, se prima il re non fosse stato da lui informato di tutte le clausole. Pare, difatti, che Ferdinando VI e gli altri ministri ignorassero la vera natura del trattato negoziato dal Carbajal, in modo che, fra per le proteste provenienti dalle colonie, fra per l'intervento di re Carlo di Napoli, e poi per la morte dello stesso Carbajal (1754), fu deciso mandare sui luoghi il tenente generale Pedro de Cevallos, munito di pieni poteri, per rendersi conto della situazione. Il Cevallos, giunto a Buenos Aires nel 1757, trovò che i commissarî spagnolo e portoghese avevano incominciato i lavori per la esecuzione del trattato e, avendo trovato resistenza nei guaranís, ne avevano fatto strage. Perciò egli imbarcava immediatamente per l'Europa il commissario spagnolo, marchese di Valdelirios, membro del consiglio delle Indie, faceva ritirare quello portoghese, Freire de Andrada, con le sue truppe, e nel 1759 dichiarava nullo il trattato, salvo l'approvazione del re di Spagna, allora Carlo III. E neppure a questo punto finì la lotta: riarse quando, nel 1762, Cevallos rioccupò Sacramento, e la difese vittoriosamente contro l'ammiraglio inglese Mac-Denara: vittoria sterile anche questa, come quella di José de Garro del 1680, giacché per la pace di Parigi del 1763 Sacramento veniva ancora retrocessa al Portogallo. Dopo la espulsione dei gesuiti (1767), operata rapidamente dal governatore Francesco di Paola Bucarelli, che si segnalò anche (1769) per il recupero delle isole Maluine, occupate abusivamente dagl'Inglesi, la lotta si riaccese di nuovo intorno alla Colonia del Sacramento, la quale, come si è veduto, è il fulcro della storia platense durante un secolo. Nel 1776 Carlo III elevava a viceregno il governatorato del Plata, nominava primo viceré Pedro de Cevallos, e questi, nel novembre di quell'anno, partiva da Cadice con una poderosa flotta di 19 vascelli di linea e a bordo circa 10.000 soldati. Nel febbraio '77 occupava Santa Caterina, discendeva verso il Plata e s'impadroniva, senza colpo ferire, della Colonia del Sacramento. Ritornava poi nel Rio Grande per completare il ristabilimento dei confini spagnoli, quando il trattato di Sant'Idelfonso determinava, finalmente, che la contesa Sacramento rimanesse alla corona di Spagna e il Rio Grande a quella di Portogallo. L'anno dopo Cevallos, per le proteste dei Portoghesi, che lo giudicavano troppo rigido nella determinazione dei confini, veniva richiamato in Spagna e sostituito con Juan José de Vertiz.
6. Il viceregno era così stabilmente costituito: secondo passo verso l'autonomia, il primo essendo rappresentato dalla separazione del Paraguay. Nel 1782, dandosi applicazione alle teorie discentratrici del Cevallos, il territorio del viceregno veniva diviso in otto intendenze, a capo di ognuna delle quali era un governatore-intendente. Erano: 1° Buenos Aires (vescovato), con i territorî del sud, Montevideo, Corrientes e Santa Fe; 2) Paraguay (vescovato); 3) Salta del Tucumán (vescovato) con le provincie centrali dell'Argentina; 4) Córdoba del Tucumán, con San Luis, San Juan e la Rioja; 5) Santa Cruz de la Sierra (vescovato) o Cochabamba; 6) la Paz (vescovato); 7) Presidenza di Charcas (Chuquisaca) (arcivescovato); 8) Potosí. L'anno seguente vennero aggregati al viceregno i governatorati militari di Moxos (Mojos) e Chiquitos. Gli undici viceré del Plata si succedettero in quest'ordine: Pedro de Cevallos (1777-78), José de Vertiz (1778-84), marchese di Loreto (1784-89), Nicolas de Arredondo (1789-95), Pedro Melo de Portugal Y Villena (1795-97), Antonio Olaguer Feliú (1797-99), Gabriel Avilés de Fierro (1799-1801), Joaquín del Pino (1801-4), marchese di Sobremonte (1804-7), Jacques de Liniers (1807-9), Baltazar Hidalgo de Cisneros (1809-10). Di alcuni di essi dovremo tenere più lungo discorso, ma prima converrà dare uno sguardo alle condizioni generali del paese e allo spirito pubblico.
Nella vasta colonia si andava sempre più sviluppando la pastorizia, migliorata con continui incroci, e più largamente si sfruttavano i suoi prodotti. Crescevano sempre più l'importanza e l'estensione dell'agricoltura; sebbene la coltivazione della vite e dell'olivo fosse proibita, nella provincia di Mendoza la viticoltura assumeva grande sviluppo (7300 barili di vino annui mandati a Buenos Aires). L'incremento del porto della capitale era assai notevole e prese poi un grande slancio dopo l'autorizzazione del commercio libero (1778). Già nella prima metà del secolo i gesuiti italiani Cattaneo e Gervasoni, nelle loro lettere, descrivevano Buenos Aires come la maggiore città, dopo Asunción, che s'incontrasse dalle Ande al mare, ne vantavano le importanti chiese, quasi tutte costruite dagli architetti gesuiti Primoli e Blanqui, ne lodavano i costumi. L'aumento della popolazione fu considerevole: il censimento levato nel 1744 dava 10.223 abitanti (fra i quali 10 italiani), cifra più che raddoppiata nel censimento del 1778 (24.255, fra i quali circa 100 italiani). Anche le città dell'interno andavano gradualmente sviluppandosi, e Córdoba, dove aveva sede l'università e il collegio gesuitico di Montserrat, cominciava a prendere quella particolare fisionomia, che ha tuttora, di "città dotta" e di centro cattolico. La cultura, naturalmente, era molto arretrata: a Buenos Aires, fin dal principio del '600 esistevano scuole elementari; ma per la istruzione superiore, in tutta l'Argentina, bisogna aspettare la fine del sec. XVIII e i primi del XIX, salvo Córdoba e l'Academia Carolina di Charcas (oggi Sucre, in Bolivia), che per molto tempo passò, fra gli storiografi americani, come il focolare ideale della rivoluzione di maggio, ma ora, dopo le diligenti investigazioni del Gondra, deve invece considerarsi come la rocca delle tradizionali teorie reazionarie, opposta alla spregiudicatezza di Buenos Aires. Sotto Vertiz si ebbe la prima stamperia, la Imprenta de niños expósitos (1781), assai presto, se si pensi che nel Cile la tipografia apparve quasi 40 anni dopo; e atto audacissimo, ritenendosi allora la stampa come un pericolosissimo veicolo per la introduzione e diffusione delle idee liberali. Di biblioteche non è neanche il caso di parlare. Gli uomini della rivoluzione o si erano formati in Europa, come Belgrano, o erano stati autodidatti, nel senso di crearsi una cultura propria, specialmente politica, opposta a quella ufficiale, come Mariano Moreno, che proveniva da Charcas. La massa creola, poi, specie delle campagne, si accostava inconsciamente all'idea d'indipendenza per una serie di motivi, così enumerati dal Mitre: "Il commercio che nutriva la ricchezza nelle città, la pastorizia che imprimeva un suggello speciale alla polazione disseminata nei campi, il sentimento di forte individualismo che si manifestava nei creoli, la tempra civica di certi caratteri, l'energia selvaggia della massa della popolazione, l'attitudine a tutti gli esercizî che sviluppano le forze umane, il valore nativo provato nelle guerre con gl'Indiani e i Portoghesi, l'antagonismo segreto fra la razza creola e la razza spagnola, il patriottismo locale, che non si alimentava alla lontana fonte della metropoli, l'indisciplina, il disprezzo di ogni regola, erano altrettanti stimoli e germi d'indipendenza incosciente" (Historia de Belgrano, ed. Rojas, I, 68-9). Si aggiunga a questo che il clero platense, in grande maggioranza creolo, favorì sempre le idee rivoluzionarie, a differenza di quello del Messico, che fu il sostegno della reazione; e si avrà un quadro dell'ambiente, se non delle idee, nel quale doveva, di lì a poco, scoppiare la rivoluzione. Lo stesso Mitre dice: "C'era nel braccio la forza che distrugge, senza avere nella testa l'idea che edifica, né il potere creativo nei suoi proprî elementi". La rivoluzione, difatti, venne troppo presto.
7. Oltre alla libertà di commercio e alla introduzione della tipografia, Buenos Aires dovette all'illuminato viceré Vertiz la fondazione del Collegio di San Carlo, il cui primo rettore, canonico Macile, fu educatore esemplare; la Casa de Comédias, per la quale dovette superare la forte opposizione del vescovo; la pavimentazione della città, la Casa degli esposti, l'Ospizio di mendicità, e la esplorazione del Rio Negro, affidata al pilota Villarino. Il suo successore, marchese di Loreto, regalista convinto, sostenne vivaci controversie con le autorità ecclesiastiche, e perseguitò fieramente i funzionarî concussionarî, ma anche contrariò tutto quanto aveva fatto il suo predecessore a pro della elevazione morale e intellettuale dei popoli soggetti. Il generale de Arredondo, che venne dopo di lui, lasciò il ricordo di più ampie concessioni alla libertà di commercio. Concesse, p. es., agl'importatori inglesi di schiavi africani d'imbarcare, per il ritorno, frutti del paese. Sotto di lui il movimento del porto, che fino a Vertiz era stato di una quindicina di navi all'anno, salì a 103 navi per il 1794: 35 provenienti da Cadice, 32 da Barcellona e 36 da altri porti. Nulla di notevole è da segnalarsi sotto i viceré Melo de Portugal, Olaguer Feliù, marchese di Avilés e J. del Pino; salvo che sotto quest'ultimo apparisce il giornale Semanario de Agricoltura y Comercio (1802), di spiriti liberali, diretto da Vieytes e Cerviño, in sostituzione del retrivo Telégrafo mercantil, edito, nel 1801, dal colonnello spagnolo F. A. Cabello. È anche da notare che nel 1799, per iniziativa del consolato del commercio, del quale era segretario Belgrano, erano state fondate la scuola di geometria, architettura e disegno, diretta da J. A. Hernández, e quella di nautica, sotto la direzione del Cervino; le quali funzionarono fino al 1807. Al Del Pino, morto all'inizio del 1804, succedette il marchese di Sobremonte, già intendente di Córdoba, sotto il viceregno del quale avvenne uno dei fatti più considerevoli della storia argentina.
La vittoria di Trafalgar, rendendo l'Inghilterra padrona dei mari, metteva in serio pericolo le colonie spagnole. Nel gennaio 1806 il generale David Baird conquistava il Capo di Buona Speranza, attribuito agli Olandesi dal trattato di Amiens, e il commodoro della sua squadra, Home Popham, buon marinaio, spirito avventuroso, ma avido di preda, gli suggeriva d'impadronirsi del Rio della Plata. Il Baird accedette all'idea, suggestionato anche da un negriero nordamericano, Wayne, il quale assicurava che i creoli avrebbero parteggiato per l'Inghilterra contro gli Spagnoli, da essi odiati; e permise, senza autorizzazione del suo governo, che una squadra comandata da esso Home Popham, con 1600 uomini al comando del brigadiere Beresford, si avventurasse all'impresa. Dopo accidentata navigazione, il 25 giugno a sera gl'Inglesi sbarcarono a Quilmes, a brevissima distanza da Buenos Aires, il 26 respinsero le poche e disordinate forze mandate dal viceré Sobremonte, che, il successivo 27, prese prudentemente la fuga verso Córdoba. Buenos Aires rimaneva nelle mani degl'Inglesi, assai mal visti dalla popolazione creola e di colore. A questo punto entra in scena il francese Jacques de Liniers. Nato a Niort nel 1753, era entrato giovanissimo nella marina spagnola e aveva partecipato alla spedizione contro Algeri. Nel '76 era stato al Plata con la spedizione Cevallos; poi, tornato in Europa, si era distinto per atti di valore al celebre assedio di Mahòn, poi a quello di Gibilterra. Al Plata era ritornato nel 1788, avendo dal viceré Del Pino il governatorato interinale di Misiones. Poco prima della invasione, gli era stata confidata la difesa della Ensenada de Barragán. Stabilitisi gl'Inglesi nella capitale, e iniziata la loro occupazione con un forte prelevamento dalle casse del tesoro, Liniers, nei primi giorni di luglio, passò a Colonia, e poi a Montevideo, ove, d'accordo con quel governatore Huidobro, mise insieme una truppa, composta di 528 soldati regolari, 252 militi di Montevideo, 120 volontarî catalani, 73 marinai del corsaro francese Mordeille, circa 300 marinai spagnoli e alcuni avventurieri di varie nazionalità: complessivamente 1300 uomini. Guidati da Liniers, partirono il 22 luglio da Montevideo e giunsero il 31 alla Colonia, dove il 3 agosto s'imbarcarono per la riva opposta: la mattina del 4 sbarcarono a Las Conchas, e il giorno seguente entrarono in Sant'Isidro, incorporandosi altri 200 volontarî, provenienti da un corpo organizzato dal Pueyrredón, che aveva fatto cattiva prova contro gl'invasori. Ripresa la marcia, nel pomeriggio del 10 erano al Retiro (nord di Buenos Aires): gli avamposti inglesi dovettero ritirarsi, lasciando una trentina di morti e feriti e un cannone. Il giorno 12, preceduto da avvisaglie dei "micheletti" catalani del Bofarull e dei corsari del Mordeille, avvenne l'attacco generale, impetuosissimo, partecipandovi con entusiasmo la popolazione civile, e terminato con la resa a discrezione degli Inglesi, che ebbero 300 fra morti e feriti: 200 le perdite di Liniers.
8. Il Cabildo abierto nominava Liniers governatore militare della piazza, e si rifiutava di ricevere il viceré Sobremonte, che, passato il pericolo, veniva da Córdoba con 2000 irregolari. Liniers, prevedendo che l'Inghilterra non si sarebbe acconciata al grave scacco, si mise subito all'opera per apprestare la difesa della città. Infatti il governo inglese, pure sconfessando Home Popham, che aveva agito senza ordini, anzi sottraendo milizie destinate ad altre operazioni, pensò, sia per un punto d'onore, sia perché il possesso del Plata avrebbe dato enormi vantaggi al commercio inglese, di ripigliare il tentativo. Già alla fine di ottobre giungevano dall'Africa 1400 uomini al comando del colonnello Backhouse, che occuparono Maldonado; a essi se ne aggiungevano altri 4000 comandati dal generale Achmuty, e 4200 col brigadiere Craufurd: questi ultimi diretti al Cile, ma poi, saputasi la rotta di Beresford, fatti deviare per il Plata. Tutte queste forze furono poste sotto il comando supremo del generale Whitelocke, che giunse a Montevideo (già occupata da Achmuty nel febbraio) il 10 maggio 1807, con altri 1630 uomini, fra cui un distaccamento di artiglieria. Liniers, nel giugno di quell'anno, disponeva di oltre 7000 uomini, divisi in tre brigate al comando dei colonnelli Velazco, Elío, una specie di miles gloriosus, secondo il Groussac, e Cesare Balbiani, probabilmente italiano, già ufficiale nelle truppe spagnole del Cile e valido cooperatore di Liniers nella preparazione della difesa. Il meglio delle forze argentine era rappresentato dalla celebre Legión de patricios, che svolgerà una parte importantissima nella prossima rivoluzione, e nella quale facevano le prime armi quasi tutti i futuri soldati e statisti dell'Indipendenza: Alberti, Medrano, Chiclana, Díaz Vélez, Irigoyen, Lezica, Montes de Oca, ecc. Alla fine di giugno furono segnalate le forze inglesi, che incrociavano nel fiume, col proposito di sbarcare all'Ensenada. Il 2 luglio Liniers spiegò le sue truppe in battaglia sulla riva destra del Riacheulo, ma, per una sua falsa manovra, fu preso di fianco dal generale Crower e battuto. Il Cabildo, con alla testa l'energico Martin de Alzaga, non si perdette d'animo e ordinò la difesa a tutta oltranza: Liniers conservava ancora intero il suo prestigio, e nei giorni 3 e 4 stabilì un completo sistema di difesa con trincee, barricate, ecc. All'alba del 5 gl'Inglesi iniziarono l'attacco dal quartiere del Miserere, ove si erano accampati; alle 10 avevano guadagnati importanti vantaggi, occupando il Retiro, le Catalinas e la Residencia: resisteva la Plaza de Toros con gli uomini e le batterie del Concha. Ma di lì a poco i patrioti sferravano il contrattacco e combattevano con sì disperato valore, che la brigata Lumley si arrendeva, e poco dopo era costretta a imitarla quella di Craufurd, snidata dal convento di S. Domenico. La rotta degl'Inglesi era completa: oltre i numerosissimi morti e feriti, circa 2000 prigionieri erano caduti nelle mani dei difensori. Al Whitelocke non rimase che accettare la capitolazione offerta da Liniers: scambio dei prigionieri, immediata partenza delle truppe nemiche e consegna di Montevideo.
L'entusiasmo suscitato da questo fatto d'armi fu straordinario non soltanto nell'America spagnola, ma anche in tutta l'Europa; meno l'Inghilterra, naturalmente, che ne fu mortificata, e irritata al punto di preparare una nuova spedizione sotto il comando del futuro duca di Wellington; ma poi non poté effettuarla per gli avvenimenti nella penisola iberica. Liniers fu salutato come trionfatore, nominato viceré in luogo dell'insipiente Sobremonte, creato conte di Buenos Aires; le ricche città dell'alto Perù gl'inviarono trofei d'oro massiccio. La partecipazione dei creoli, in così enorme maggioranza, alla difesa di Buenos Aires, il che significa alla difesa della Spagna nelle sue colonie, non può non sorprendere. Essi non fecero che travailler pour le roi de Prusse, che in quel caso era il re di Spagna, il loro padrone. Se avessero accolto gl'Inglesi, avrebbero avuto soltanto un altro padrone. Vi erano con gli Spagnoli, è vero, legami di sangue non dimenticabili, e contro gli Inglesi le differenze di razza e di religione; ma d'altra parte essi non potevano dimenticare le antiche e presenti vessazioni del governo spagnolo, né dissimularsi che il dominio inglese avrebbe dato ben altro incremento alla ricchezza e al benessere nazionali. Temevano forse, i creoli, che il dominio inglese sarebbe divenuto stabile (eppure c'era il fresco esempio della indipendenza nordamericana), mentre la potenza spagnola già accusava i segni del suo declinare. È difficile ammetterlo, perché in questo caso le forze creole, rivelatesi capaci di operare da sé, avrebbero nel contempo scacciato gl'invasori inglesi e abbattuti i rappresentanti dell'autorità regia. Bisogna perciò desumere, dai fatti della "Reconquista" e della "Defensa", che nei creoli erano ancora assai forti i sentimenti lealistici, e che le idee d'indipendenza, se pure si maturavano nella mente di alcuni precursori, erano lettera morta per la quasi totalità dei figli del paese. Sia come sia, quell'episodio guerresco ebbe capitale importanza nella storia argentina, nel senso che i creoli, svelatisi capaci di alte virtù militari, cominciarono a chiedersi perché non dovessero partecipare anche alla direzione della cosa pubblica; e da ciò all'idea d'indipendenza era assai breve il passo.
9. Liniers era stato nominato vicerè interino nel maggio 1808, e già si erano cominciati a manifestare dissidî fra lui e il Cabildo, in persona del suo "alcalde di primo voto" Martin de Alzaga, quando a fine luglio giungeva la notizia della rinuncia di Carlo IV e dell'incoronamento di Ferdinando VII, e a metà agosto sbarcava il marchese di Sassenay, incaricato da Napoleone di trattare con Liniers. Crebbe la diffidenza contro il viceré, a cui, dimenticandosene assai presto le alte benemerenze, si cominciò a rimproverare la qualità di straniero. Accenniamo, di passata, ai vani tentativi, in quell'anno, della principessa Carlotta Gioacchina di Portogallo per ottenere la corona del Plata; tentativi mossi specialmente da Saturnino Rodríguez Peña, e favoriti, in un primo momento, da patrioti in buona fede, come Belgrano, Moreno, Pueyrredón, Paso, Funes. La campagna contro Liniers era mossa da Alzaga a Buenos Aires, e a Montevideo, dov'era governatore, dal colonnello Elío, spagnolo. Costui, sostituito con il Michelena, non obbedì, e il convocato Cabildo (l'alcalde era un Parodi) decretò la disobbedienza al viceré, il mantenimento di Elío e la creazione di una giunta di governo, a simiglianza di quelle spagnole. Il primo giorno del 1809 gli Spagnoli, fra i quali, oltre l'Alzaga, erano il vescovo Lué, il capo di squadra Ruiz Huidobro, il brigadiere Molina e altri ufficiali, dopo una manifestazione in cui si era gridato: "La giunta come in Spagna! Abbasso il francese Liniers!", riuscivano a strappare al viceré la rinuncia; mentre nella sede del Cabildo si nominava per acclamazione una Giunta suprema, composta esclusivamente di spagnoli, salvo due americani: Mariano Moreno e Julián de Leiva. Ma le truppe creole dei patricios e degli arribeños (milizie provinciali), capitanate dal Saavedra, dispersero i congiurati spagnoli, e persuasero Liniers a ritirare le dimissioni. A porre riparo al grave dissidio che era scoppiato al Plata, e del quale si rendeva conto attraverso i memoriali di Alzaga e di Elío contro Liniers, e di Liniers contro quelli, la giunta centrale di Spagna, che allora risiedeva a Siviglia, nominò un nuovo viceré in persona di Baltazar Hidalgo de Cisneros. Il gruppo rivoluzionario (ché tale veramente poteva oramai chiamarsi quello formato da Castelli, Belgrano, Pueyrredon, Rodriguez Peña, ecc.) tentò vanamente di indurre Liniers a non trasmettere il comando al nuovo viceré: il francese, con molta coerenza, rifiutò di compiere questo atto di indisciplina. La sua lealtà lo condusse più tardi, a rivoluzione trionfante, a prendere le armi per la metropoli contro i patrioti; onde, fatto prigioniero, fu fucilato il 26 agosto 1810.
Il nuovo vicerè trovò la situazione molto grave; le idee liberali (indichiamo con questa parola tanto le tendenze a riforme con l'antico regime, quanto quelle di completa emancipazione) avevano fatto un gran passo avanti. Poco prima del suo arrivo, il 25 maggio, era scoppiata la rivolta di Chuquisaca, con la deposizione del presidente-governatore, generale Pizarro: vi si erano segnalati l'Arenales, futuro soldato dell'Indipendenza, e il democratico Monteagudo. Altra rivolta scoppiava il 16 luglio a La Paz, con la creazione della Junta tuitiva, governo indipendente, composto di soli creoli. Contro questa il viceré del Perù mandava il brigadiere Goyeneche, che eccedette nella repressione, facendo impiccare nove dei principali rivoltosi; a sedare quella di Chuquisaca il Cisneros inviò il maresciallo Nieto, che si dimostrò più umano: il solo Arenales fu imprigionato, gli altri furono mandati al confino. A Buenos Aires gl'intellettuali guadagnavano alle loro idee gli strati inferiori della popolazione. Emergevano, per robustezza di pensiero e ricchezza di cultura, l'avvocato Mariano Moreno, che già abbiamo veduto favorire la candidatura della principessa Carlotta, e Manuel Belgrano, figliuolo dell'emigrato ligure Domenico Belgrano Peri: entrambi nutriti di forti studî economici. Il Belgrano, che già aveva attivamente partecipato ai lavori del consolato, del quale era segretario, e collaborato ai primi giornali platensi, fondava al principio del 1810 il Correo de comercio de Buenos Aires, giornale che, se non ebbe sulla rivoluzione quella straordinaria influenza che vollero riconoscergli il Mitre e altri storici, contribuì senza dubbio alla diffusione delle idee. Intorno a Belgrano si era costituita una società segreta, della quale facevano parte Nicolas Rodríguez Peña, Augustin Donado, Paso, Manuel Alberti, Vieytes, Terrada, Darragueira, Chiclana, Irigoyen e Castelli, senza contare i minori: di qui a poco ne vedremo l'azione. Irresoluto di sua natura, il Cisneros, d'altra parte, non disponeva di una forza armata fedele, cosicché non poté riuscire, se non in piccolissima parte, nella esecuzione del suo più delicato compito: il disarmo e il congedo delle milizie creole. Altra grave difficoltà la indigenza del tesoro: di fronte a un fabbisogno annuo di 3 milioni di pesos non v'era che una entrata di 1.200.000. Fallito il tentativo di ottenere un prestito dai negozianti spagnoli della piazza, il viceré, uditi il Cabildo, il Consolato e il Gremio de hacendados y labradores, rappresentato dal Moreno, si decise ad aprire il porto di Buenos Aires al commercio inglese. L'effetto fu fulmineo: in un anno le entrate erano salite a 5.400.000 pesos. In quell'occasione Moreno presentò il suo famoso memoriale, di cui sono notevoli i richiami alle dottrine del Filangieri: scritto il 30 settembre 1809, fu divulgato per le stampe l'anno dopo, a rivoluzione avvvenuta (Representación que el Apoderado de los hacendados de las campañas del Río de la Plata dirigió al Virrey, ecc., Buenos Aires 1810), ed è il documento fondamentale di quella improvvisa rivoluzione economica: non ultima spinta a travolgere tutto il vecchio ordine di cose.
10. Il 18 maggio 1810 il viceré Cisneros lanciava un manifesto ai cittadini del viceregno, annunziando i gravi avvenimenti di Spagna, conosciutisi appena il giorno prima, e assicurando che, "nel fatale caso d'una perdita totale della penisola e della mancanza d'un governo supremo, egli non avrebbe preso nessuna determinazione se non in unione con tutti i rappresentanti della capitale, ai quali poi si sarebbero uniti quelli delle provincie, mentre, d'accordo con gli altri viceregni, si sarebbe stabilita una rappresentanza della sovranità di S. M. Ferdinando VII". In tal modo il viceré si riprometteva di guadagnare tempo; ma i patrioti vegliavano, e, tirato dalla loro, un po' con le buone un po' con le cattive l'alcalde Lezica, obbligarono il viceré a concedere l'autorizzazione del Cabildo aperto, la cui riunione fu fissata per il 22: all'assemblea si presentarono, delle 450 invitate, 244 persone, in maggioranza commercianti, agricoltori e ufficiali, 25 ecclesiastici e 26 professionisti, quasi tutti avvocati. Vi fu un acceso dibattito fra il vescovo Lué, il quale sosteneva la tesi che, pur vinta la Spagna, gli Spagnoli residenti in colonia dovevano prendere il comando, e Castelli, il quale col capo dei patrizî Saavedra, affermava il diritto del popolo, e quindi dei creoli, a scegliersi il governo. Alla discussione parteciparono il fiscale Villota, e l'avvocato Paso; ma non si venne a nulla di concreto, e si finì col votare, a debolissima maggioranza, una mozione con la quale s'incaricava il Cabildo di costituire una Giunta di governo, in sostituzione del viceré, e in attesa dei rappresentanti delle provincie. Fu un errore affidare questo incarico al Cabildo, il quale, il giorno dopo, pretese imporre uno strano emendamento al deliberato dell'assemblea: cioè che il viceré quantunque fosse stato dichiarato decaduto, presiedesse alla giunta. I patrioti che, nella runione del 22, si erano mostrati indecisi, titubanti, divisi nelle opinioni, si trovarono concordi nel respingere la singolare pretesa, e, dopo molto agitarsi nei giorni 23 e 24, la mattina del 25 invasero la sala capitolare del Cabildo e imposero ai regidores la proclamazione della "giunta governativa provvisoria del Rio della Plata", così composta: Cornelio Saavedra, presidente; Moreno e Paso, ministri segretarî; consiglieri Castelli, Belgrano, Alberti, Azcuénaga, Larrea e Matheu, questi due ultimi spagnoli.
Tale fu la rivoluzione di maggio, battesimo della nazionalità argentina: un movimento in apparenza incoerente e confusionario, sprovveduto di una idea direttiva ben chiara e ben definita, ma in realtà ricchissimo di sviluppi e soprattutto singolarmente intelligente. Basterebbe a provarlo, ove non vi fossero altre ragioni, il fatto che tutte le altre rivoluzioni sudamericane, originate dagli avvenimenti nella Spagna, furono dominate, e solo più tardi poterono riprendere il loro slancio: solamente quella argentina mantenne fin dal primo momento, e allargò subito, le sue conquiste. Certamente, non può dirsi che gli uomini del 22 e del 25 maggio avessero una vera e propria dottrina da applicare, né può dirsi che la idea repubblicana fosse precisamente quella che accarezzavano: il più intelligente di essi, il Moreno, che fu dagl'Inglesi definito "il Burke del Sudamerica", passò lentamente dalla concezione monarchica a quella schiettamente democratica e repubblicana: tanto che non è possibile affermare con sicurezza se, nel maggio 1810, egli fosse ancora monarchico, come sostiene Alberti, o già repubblicano, come cerca di dimostrare il Levene. Se confuso ci apparisce il pensiero del maggiore fra quegli uomini, è facile pensare come negli altri esso dovesse essere anche più oscuro. Nonostante ciò, o forse appunto per ciò, la rivoluzione finì col trionfare su tutta la linea, intendendosi per trionfo la rapida conquista delle masse creole, nella capitale non solo, e sulle coste, ove la mentalità, per il contatto con gli stranieri, era più elastica e suscettibile di assimilarsi prontamente idee nuove, ma anche nelle provincie dell'interno, dove le popolazioni erano tradizionalistiche e misoneistiche. È stato notato, dal più acuto storico di quegli avvenimenti, il Levene, che la Giunta del 25 maggio non si vantò mai palesemente di aver compiuto una rivoluzione, si limitò a far credere che si era sostituita a un viceré imbecille, si servì sempre del nome di Ferdinando VII come legittimo sovrano. Rimane oscuro se quell'atteggiamento fu spontaneo o fu un'abilissima mossa politica; ma il fatto certo è che quell'atteggiamento, o tattica che fosse, fece trionfare la rivoluzione. In primo luogo le popolazioni dell'interno, del cui concorso in un primo momento si sarebbe potuto dubitare, ebbero tutto il tempo di abituarsi all'idea di un cambiamento di governo; in secondo luogo, e soprattutto, fu evitato il grosso pericolo che l'altro viceré e i governatori della restante America meridionale potessero congregare le loro forze e rapidamente schiacciare l'incipiente movimento. Invece la giunta, con l'inganno volontario o involontario, ebbe la possibilità di preparare una milizia, che fu poi lo scudo infrangibile delle conquiste rivoluzionarie.
11. Mentre Moreno e Belgrano, obbedendo alle loro predilezioni intellettualistiche, pensavano di dotare il paese d'istituti di cultura (Moreno fondava la biblioteca e scuole popolari, Belgrano l'accademia di matematiche) e attendevano a preparare importanti riforme economiche, l'esercito nazionale cominciava a prendere corpo e a entrare in azione. L'armamento dei volontarî si effettuava con donativi spontanei dei cittadini: e quelli offerti dalle classi povere determinavano la sincera commozione di Moreno (che intanto aveva fondato la Gaceta de Buenos Aires, e vi veniva pubblicando articoli sul prossimo congresso e sulla indipendenza e costituzione dello stato, tenendo a modello le libertà inglesi). Millecinquecento volontarî, comandati dall'Ortiz de Ocampo prima, e poi dal Balcarce, dopo aver domato la reazione spagnola partita da Córdoba, e capeggiata dallo sfortunato Liniers, ottenevano, cresciuti via via di numero, la grande vittoria di Suipacha (7 novembre 1810) sulle truppe regie: l'Alto Perù si sollevava, e Buenos Aires v'inviava commissario il Castelli, energico, attivissimo, fanatico, che faceva giustiziare i capi della resistenza spagnola: Nieto, Córdoba e Sanz. Altra spedizione al Paraguay fu condotta da Belgrano, uomo di pensiero più che di guerra; ma egli dovette ritirarsi dopo lo sfortunato combattimento di Paraguary. Nondimeno di lì a poco anche il Paraguay si sollevava, deponeva il governatore Velazco e costituiva una giunta di governo, che poi, dopo varie vicende, si sarebbe trasformata nella lunga dittatura, o meglio tirannia, del dott. Francia.
Intanto nella giunta di Buenos Aires venivano sempre meglio delineandosi due partiti: quello conservatore, impersonato dal Saavedra, e il democratico, di cui Moreno era l'anima. Il sopravvenire dei deputati delle provincie precipitò le cose: questi, per l'atto del 25 maggio avrebbero dovuto riunirsi in congresso, ma per una poco precisa circolare del successivo 27 dovevano invece essere incorporati alla giunta. Moreno si opponeva fermamente alla seconda soluzione, temendo gli spiriti federalistici dei provinciali, e voleva si rispettasse la disposizione del 25; e quando l'incorporazione avvenne, non gli rimase che presentare le dimissioni. Ottenuta una missione a Londra, s'imbarcò il 4 gennaio 1811, ma morì durante il viaggio, il 4 marzo, di soli 33 anni. Il 18 dicembre fu costituita la nuova giunta, aumentata dei deputati provinciali e divenuta di 20 membri, dei quali soltanto 5 delle idee di Moreno: Paso, Rodríguez Peña, Larrea, Matheu e Alberti; ma fuori si fondava la Sociedad patriótica, club di opposizione. In seguito al disastro navale di S. Nicolás de los Arroyos, la giunta, per rappresaglia, aveva deliberato il confino di tutti gli spagnoli celibi, e a questa iniqua misura aveva reagito il piccolo gruppo degli oppositori; onde il partito dominante si decise a dare un gran colpo. Il 6 aprile scoppiava una simulata sedizione, inscenata dall'alcalde Grigera, dal colonnello Martín Rodríguez e da un dottor Campana; i quali, postisi alla testa della plebaglia dei sobborghi, dove erano popolarissimi, occuparono la piazza, reclamarono a gran voce il Cabildo, già indettato, e gli chiesero e ne ottennero la espulsione dei membri oppositori dalla giunta, il richiamo di Belgrano e l'inchiesta a suo carico, il comando a Saavedra di tutte le forze armate della capitale e delle provincie. Fu, comunque lo si voglia giustificare, uno dei tanti casi di "caudillismo" che avveleneranno la vita della nascente repubblica; e non aveva torto il Moreno quando, propugnando l'educazione popolare, si mostrava preoccupato del possibile imbarbarimento della popolazione, portata più ai campi di battaglia che alle lotte civili.
Richiamato il Belgrano, che, dopo la sfortunata spedizione nel Paraguay, era stato messo al comando dell'esercito della Banda orientale (Uruguay), al suo posto fu nominato il colonnello Rondeau, cui si aggregò l'indomabile gaucho uruguayano Artigas, che poco prima aveva prestato i suoi interessati servigi alle forze regie. Dopo una segnalata vittoria nella località detta Molino de las Piedras (18 maggio 1811), con la cattura del comandante la divisione regia, colonnello Posadas, fu posto l'assedio a Montevideo. Nell'Alto Perù, invece, la situazione si faceva grave per l'esercito rivoluzionario, battuto a Huaqui dalle forze realiste comandate dal Goyeneche (20 giugno 1811); ne veniva uno sbandamento generale, e contro gli sbandati i vescovi predicavano la guerra santa, purtroppo praticata dalle semiselvagge popolazioni rurali. I miseri resti del disperso esercito, circa 800 uomini, riorganizzati alla meglio dal Díaz Vélez, si posero in marcia verso il sud. Nella capitale, intanto, si riconosceva la fondatezza delle repugnanze di Moreno, quando si opponeva alla incorporazione dei deputati provinciali: difatti la giunta governativa, mutato il suo nome in "giunta conservatrice", e in vista degli "ostacoli che offre la moltitudine dei consiglieri per la varietà delle opinioni, ecc.", nominava, il 23 settembre 1811, un potere esecutivo composto di tre membri, Chiclana, Sarratea e Paso, con tre segretarî, José Julián Pérez, Vicente López e Bernardino Rivadavia. Il triumvirato, come suo primo atto, entrava in trattative con Elío, viceré di Montevideo, e toglieva l'assedio a quella città; poi, il 7 novembre, dichiarava sciolta la giunta conservatrice, e il 22 dello stesso mese pubblicava uno statuto provvisorio, prima carta costituzionale in cui siano tracciati i principî fondamentali del governo rappresentativo. ll triumvirato denominò sé stesso "governo superiore provvisorio delle provincie unite del Rio della Plata", con inamovibilità dei mandatarî e responsabilità di fronte al primo congresso che si riunirebbe, e in quest'attesa nominò un'assemblea legislativa, composta del Cabildo di Buenos Aires, dei rappresentanti dei paesi e di un certo numero di notabili eletti dalla cittadinanza della capitale (ma l'assemblea fu poi disciolta dal potere esecutivo, il 6 aprile 1812, per aver dichiarato che le competeva l'autorità suprema). Seguirono alcuni decreti sulle garanzie personali, sulla libertà di stampa, ecc. Il triumvirato, nel quale cominciava a palesarsi la potente personalità politica del Rivadavia, ebbe anche a domare la rivolta del 1° reggimento patricios, notoriamente infeudato al Saavedra, e più tardi costui e i membri della ex-giunta furono esiliati.
12. Dal 1812 al 1814 è tutta una serie di guerre e guerriglie: basterà accennarvi sommariamente. Nel gennaio del '12 si riprendono le ostilità nell'Uruguay. Belgrano (uscito vittorioso dall'inchiesta) prende il comando del corpo di 1800 uomini accampato a Salta: per l'avanzarsi dell'avanguardia nemica (3000 uomini del generale Tristan), ripiega su Tucumán; donde il 24 settembre, contro gli ordini del governo, muove contro i realisti, sbaragliandoli: in questa battaglia si distingue, poco più che ventenne, Manuel Dorrego. L'annuncio della vittoria pervenne a Buenos Aires il 4 ottobre, quando già il triumvirato era in grave pericolo, minato dalla Sociedad patriótica, della quale s'era posto alla testa l'impetuoso demagogo Monteagudo, e dalla loggia "Lautaro", che faceva capo al futuro generale San Martín e all'Alvear, e che, insofferente delle vaghe formule fin allora adottate, chiedeva si dichiarasse senza ambagi la indipendenza e sovranità nazionale. Il dì 8 ottobre 1812 il popolo e l'esercito riuniti chiesero il solito Cabildo aperto, e il Cabildo, subito riunitosi, accordò la deposizione dei vecchi triumviri e la nomina di un secondo triumvirato interino, di cui facevano parte Juan José Paso e Antonio Álvarez Jonte. La guerra è ripresa sotto il nuovo governo, che ha cura di rafforzare l'esercito: sul litorale si hanno le vittorie del Cerrito (31 dicembre 1812) e di San Lorenzo (3 febbraio 1813). Belgrano, alla testa di 3000 uomini, con 13 pezzi di artiglieria, nei primi di gennaio del '13 marcia contro i realisti, che si erano fortemente trincerati a Salta. La battaglia, impegnata il 20 febbraio al Campo de Castañares, finisce con la resa dei realisti, mentre Goyeneche ripiega su Oruro. Belgrano continua ad avanzare, ma il 1° ottobre, attaccato dal generale Pezuela, che aveva sostituito Goyeneche, è battuto a Vilcapujio, e poco più tardi nella pampa di Ayohuma. Nel gennaio del'14 il comando in capo dell'esercito passa a José de San Martín, mentre Belgrano e Rivadavia partono per l'Europa con la missione apparente di presentare a Ferdinando VII i reclami degli Americani contro gli abusi dei viceré, ma in realtà per mantenere l'indipendenza, cercando di guadagnarsi l'appoggio dell'Inghilterra. Gli avvenimenti posteriori resero vana la missione.
Nella capitale si era, finalmeme, proceduto alla elezione della assemblea costituente, che si riunì la prima volta la sera del 30 gennaio 1813: estremisti vi apparivano il Monteagudo e Pedro José Agrelo vi si notavano; il giovane Alvear, destinato a grande avvenire, Vicente López, cantore della rivoluzione, l'altro poeta Cayetano Rodríguez; dei precursori, Vieytes e Sarratea. Le prime deliberazioni furono una chiara rottura con la corona di Spagna: infatti, nella formula del giuramento fu soppresso il nome di Ferdinando, e un decreto del 7 febbraio significava il congedo a tutti gl'impiegati pubblici stranieri (quindi spagnoli) non naturalizzati. Fu aumentata la pensione alla vedova di Moreno; si coniò nuova moneta, sostituendosi al profilo del sovrano il simbolo dell'assemblea (conservato ancor oggi): due mani che si stringono sotto il berretto frigio; fu riformato il procedimento giudiziario, sopprimendosi l'appello alla metropoli. Che più? Nelle chiese, invece che per la maestà reale, si pregava per "l'assemblea sovrana delle provincie unite"; e l'inno patriottico nella sua più rutilante strofa diceva:
Se levanta a la faz de la tierra
una nueva y gloriosa nación,
coronada su sien de laureles
y a sus plantas rendido un león.
Nel gennaio '14 la costituente, indettata dal suo presidente Alvear, che aveva preso grande ascendente sugli animi, riformò lo statuto, e invece che nel triumvirato depose il potere esecutivo nelle mani di un solo direttore, che fu Gervasio Antonio Posadas, un onesto notaio: suoi ministri, Nicolás de Herrera agl'interni, Francisco Xavier de Viana alla guerra e marina, Larrea alle finanze. Nel giugno di quell'anno Alvear s'impadronì di Montevideo, facendovi 7000 prigionieri e catturandovi un immenso materiale bellico, e San Martín iniziò la sua splendida carriera militare su un altro scacchiere. Ma la conquista di Montevideo non fu stabile, per le mene dell'irreducibile Artigas, e la capitale orientale fu dovuta sgomberare il 25 febbraio 1815. Né le cose erano migliori al nord, dove si ebbe a deplorare la sollevazione dell'esercito di Juiuy. In questi frangenti il pacifico Posadas non stava bene al suo posto, cosicché, dietro le sue dimissioni, il 9 gennaio del '15 a direttore supremo veniva eletto il generale Alvear, cui poco dopo succedeva il Rondeau, che ebbe a supplente Álvarez Thomas. La restaurazione di Ferdinando VII non tralasciava di produrre i suoi effetti sull'America spagnola; e, se la temuta spedizione di 15.000 uomini, partita da Cadice al comando di Morillo, drizzò la prora verso il Venezuela, anzi che al Rio della Plata come prima si era stabilito, pur tuttavia la rivoluzione cilena era domata a Rancagua, e i realisti trionfavano ancora a Quito e a Lima. Ma San Martín, tenacemente, preparava gli uomini e il materiale del suo famoso esercito delle Ande.
13. Nel trionfo della Santa Alleanza, che in tal guisa si ripercoteva nell'America meridionale, soltanto il Rio della Plata conservava le conquistate libertà; ma a qual prezzo! Rondeau si lasciava battere vergognosamente a Sipe-Sipe (28 novembre 1815). L'anarchia si manifestava a Córdoba e a Santa Fe, e vi interveniva il nefasto Artigas, che si era affibbiato il magniloquente titolo di "capo degli Orientali e protettore dei popoli liberi", e con il quale si era costretti a patteggiare. Pezuela, a capo delle forze spagnole, era padrone assoluto della situazione e minacciava da vicino. Belgrano, ritornato dall'Europa, era posto di nuovo a capo dell'esercito; ma il suo luogotenente Díaz Vélez veniva a patti con i santafesini, firmando la convenzione di San Tomé, che suscitò a Buenos Aires enorme indignazione e valse la dimissione dell'Álvarez, cui succedette il generale Balcarce, esonerato a sua volta per cedere il posto a una giunta interina composta da Francisco Antonio Escalada e Miguel de Irigoyen. Si manifestava, infine, lo scisma fra le provincie e Buenos Aires. Per fortuna, però, sul principio del 1816 si apriva a Tucumán il Congresso dei deputati eletti dalle provincie: Buenos Aires vi era rappresentata con 7 delegati; Córdoba con 5; Chuquisaca con 4; Tucumán con 3; Catamarca, Santiago del Estero, Mendoza e Salta con 2; La Rioja, San Luis, San Juan, Mizque, Cochabamba e Jujuy con uno ciascuna. Mancavano i rappresentanti della Banda Orientale, di Entre Ríos, Corrientes e Santa Fe. A Salta le elezioni si erano fatte al grido: Mueran los porteños! Ciò nondimeno ad un cittadino di Buenos Aires, Juan Martin Pueyrredón, fu affidato il potere esecutivo. Il Congresso discusse a lungo sulla forma di governo, né mancarono partigiani della monarchia, fra i quali Belgrano, che patrocinava addirittura una resurrezione del regno degl'Inca. Ma non si concluse nulla in questo senso e il solo atto storico di quell'assemblea fu la dichiarazione dell'indipendenza del Rio della Plata (9 luglio 1816). Il Congresso provvedette anche a fronteggiare l'anarchia che serpeggiava nell'esercito, sostituendo all'inetto Rondeau i generali Belgrano e Cruz. Il direttore supremo Pueyrredón nel suo governo, durato fino al 1819, diede prova di grande patriottismo, prudenza e accorgimento. San Martín, da lui favorito, poté compiere con 3100 uomini il leggendario passaggio delle Ande (gennaio 1817), vincere la battaglia di Chacabuco (12 febbraio), entrare trionfatore a Santiago. Così l'anno dopo (i febbraio 1818) O' Higgins può proclamare l'indipendenza del Cile; ed è ancora San Martín che il 5 aprile 1818 batte a Maipú il corpo spagnolo di Osorio, venuto alla riscossa dal Perù. Sempre sotto il governo di Pueyrredon furono domati i movimenti anarchici nelle provincie: il 21 agosto 1816 la sedizione di Córdoba, terminata con la sconfitta completa dei cosiddetti montoneros, il 27 dicembre dello stesso anno la sollevazione di Santiago del Estero, provocata dal comandante Borges. Soltanto sul litorale ferveva ancora lo spirito sedizioso, e nella stessa Buenos Aires vi fu un tentativo, la "congiura dei francesi", finita con la fucilazione degli ufficiali Robert e Lagresse (aprile 1819). Nel 1817 il Congresso si era trasferito da Tucumán a Buenos Aires e vi elaborava quel "regolamento provvisorio", che sarà la base della costituzione del 1853, riformata nel '62. Il regolamento si trasformò nella costituzione sanzionata e promulgata l'11 maggio 1819, di spiriti moderatamente liberali, modellata su esempî inglesi.
Il Pueyrredón, ritenuto assolto il suo mandato, si dimetteva e il Congresso nominava direttore interino Rondeau. La guerra civile riarse con maggiore violenza: i ribelli, sventolando la bandiera federale, organizzarono un esercito vero e proprio, che minacciò la capitale; il Congresso fu sciolto; Buenos Aires, sola contro le provincie, si nominò una legislatura provinciale di 12 deputati, che elesse governatore della provincia Manuel Sarratea. Gli anni dal '19 al '21 segnano il culmine dell'anarchia: i democratici delle provincie, partigiani della idea federale, muovono aspra guerra ai liberali unitarî di Buenos Aires, accusati di favorire il sistema monarchico. Impossibile enumerare, qui, le infinite guerriglie, il succedersi dei capi, le lotte intestine dei caudillos - fra i quali si segnalava il futuro dittatore Rosas - le ribellioni e le dichiarazioni di autonomia delle provincie. Finalmente, nel 1821, scomparsi i più pericolosi caudillos, Artigas, Ramírez, Carrera, il partito unitario della capitale può segnare il suo trionfo, e si inizia un periodo schiettamente liberale, che può chiamarsi "di Rivadavia", dal nome dell'uomo che meglio lo rappresentò e difese. Ritornato dall'Europa, dove aveva assolto missioni diplomatiche e si era imbevuto delle teorie politiche di B. Constant e di Royer-Collard e di quelle economiche di Bentham e di Stuart Mill, il Rivadavia fu nominato segretario per gl'interni e per l'estero del governo di Rodríguez (1821-24). Svolse in questo periodo una prodigiosa e illuminata attività: le leggi sull'inviolabilità della proprietà, sull'habeas corpus e sulla libertà di stampa, già da lui meditate nel 1811; la generosa Ley de olvido (Legge dell'oblio), che concedeva il ritorno a tutti gli esuli politici; e la celebre riforma ecclesiastica, che trionfò attraverso fortissime opposizioni, e che ammise la libertà di coscienza, abolì le manomorte, secolarizzò gli ordini monastici e i cimiteri, soppresse i fòri personali del clero e le decime. L'altro segretario, Manuel J. García, pure reduce dall'Europa, messo a capo delle finanze, riorganizzò il regime delle imposte, favorì lo sviluppo del commercio, promosse l'emigrazione europea; e il generale Cruz iniziò la riforma dell'esercito e della marina.
14. Nel maggio del '24 a Rodríguez succedette il generale Las Heras; ma Rivadavia rifiutò di continuare al suo posto; rimasero al loro, bensì, García e Cruz che svilupparono la loro rispettiva opera di risanamento economico e di riforma dell'esercito. Una nuova Costituente, nel '25, approvò una "legge fondamentale", che stabiliva "le provincie reggersi con le proprie istituzioni"; ma gli unitarî, in occasione degli avvenimenti nell'Uruguay (v.), i quali avevano dimostrato l'errore di quella legge, operarono una rivoluzione parlamentare, onde il Congresso, incostituzionalmente, depose Las Heras, abolì il regime provinciale ed elesse presidente il Rivadavia. Si era, intanto, in guerra contro i Brasiliani, sui quali Alvear riportava la magnifica vittoria di Ituzaingó (20 febbraio 1827); ma ciò non impedì che nelle province si riaccendesse, con maggiore violenza, la guerra civile, sentendosi i caudillos offesi e irritati per la soppressione delle autonomie concesse dalla legge del '25. Fra essi, fra i Bustos, i Reinafé, il López, che dominò su Entre Ríos, Santa Fe e Córdoba, emerse, per l'indomito coraggio e per la sfrenata ambizione, Facundo Quiroga, esponente caratteristico di quei gauchos turbolenti dai quali esce anche Rosas, crudele, violento, ma in piena buona fede, che finirà poi assassinato. Contro il regime presidenziale di Buenos Aires si elevano, nell'interno, congressi provinciali. La riscossa federalistica vince la partita; l'opera costituzionale di Rivadavia è fallita; il presidente deve dimettersi, nel 1827. Si ritorna alle posizioni del '15.
Disciolto il governo presidenziale, il federalista colonnello Dorrego, d'accordo con i caudillos provinciali, fu eletto governatore di Buenos Aires. Egli trattò e concluse (27 agosto 1828) la pace con il Brasile, dalla quale uscì l'indipendenza dell'Uruguay. Ne divamparono i rancori degli unitarî e il 1° dicembre '28 l'esercito depose Dorrego e lo sostituì con il suo capo generale Lavalle, il quale, delegato al potere l'ammiraglio Brown - che erasi distinto nella campagna navale contro il Brasile -, mosse su Dorrego, che si era ritirato nell'interno, congiungendosi con Rosas, e che fu sconfitto, imprigionato e fucilato. Il successo degli unitarî fu breve: i federalisti batterono Lavalle al Ponte di Márquez e Rosas penetrò in Buenos Aires, mentre l'altro generale unitario, José María Paz, concentrava le sue forze in Córdoba, avendo aderito al partito unitario anche le provincie di Tucumán e Salta. Ma la chiave della situazione era sempre Buenos Aires, dove Rosas, fatto deporre il generale Viamonte, che era succeduto al Lavalle, si fece, il 6 dicembre 1829, nominare governatore e capitano generale. Avvenne ciò che era lecito aspettarsi: il federalista Rosas, impadronitosi legalmente del potere, non ad altro mirò se non a dominare le provincie: egli divenne più unitario dei suoi nemici. Durante la successiva dittatura egli continuerà a chiamarsi federalista e a definire gli avversari "selvaggi, immondi unitarî"; ma in realtà egli sarà il più feroce accentratore della storia argentina, il fautore più accanito della sovranità di Buenos Aires sulla provincia.
La tirannica dittatura di Rosas s'inizia, dunque, alla fine del '29, come semplice governatorato di Buenos Aires; nel '32 cede, apparentemente, il posto al governo del generale Juan Ramón Balcarce, glorioso avanzo della rivoluzione di maggio, che resta in carica sino al novembre del '33, e quindi a quello del Viamonte, che dura un altro anno. Alla rinuncia di questi (1834) la Sala de representantes, per gli energici rifiuti di Rosas a riassumere il potere, nomina governatore interino il suo presidente Manuel Vicente Maza, che fa da umile valletto al furbo rinunciatario. Ma infine, il 7 marzo 1835, la Camera, alla quasi unanimità (votano contro soltanto sei coraggiosi deputati, che poi saranno destituiti e scomunicati!) approva una legge che concede a Rosas la dittatura vitalizia. Veramente nel suo 1° articolo era detto che il governatorato con i pieni poteri durerebbe 5 anni; ma il 3° articolo contraddiceva al primo stabilendo che "l'esercizio di questo potere straordinario durerà tutto il tempo, che sia necessario a giudizio del governatore eletto". Rosas, non contento della votazione, a causa di quei pochi voti contrari, chiede il plebiscito; ma il suo obiettivo non è di rendere legale la sua nomina (al che sarebbe bastato il voto della Camera), bensì di mettersi al corrente, attraverso una votazione plebiscitaria, del numero e dei nomi dei suoi avversari - comprendendo fra questi gli "astensionisti"- contro i quali potrà infierire e sfogare il suo spirito di vendetta. Nel '35, così, ha principio la dittatura legalizzata, che era già in potenza nel '29, e che terminerà nel '52: diciotto anni di esosa tirannia, fondata col sangue, mantenuta dal sangue, annegata nel sangue.
15. Nel prendere possesso della sua carica, Rosas, che già si faceva chiamare "restauratore delle leggi", non esitò a bandire la guerra a morte contro i suoi nemici: "che di questa razza non rimanga uno solo fra noi... Nulla ci faccia arretrare...". Purtroppo a simili propositi seguì l'attuazione, ancora più cieca e feroce. La Mazorca, legione pretoriana del tiranno, composta di bassi elementi di polizia, di malviventi negri e gauchos, eseguiva senza mai stancarsi assassinî politici. Le classi colte e la media borghesia, che in un primo tempo avevano volentieri rinunziato alla libertà, purché si instaurasse un governo capace di dominare l'anarchia dei caudillos, dovettero ben presto rimpiangere il loro errore e ingrossarono l'emigrazione che si riversava a Montevideo oppure si adattarono alla più servile adulazione verso il tiranno. La lotta di Rosas contro i caudillos - suoi ex-alleati - fu così spietata come quella contro gli unitarî. Alla fine del '34, era stato assassinato Facundo Quiroga, e pare che Rosas non fosse estraneo a quel delitto. Ciò nondimeno, egli fece giustiziare (25 ottobre 1837) gli uccisori, Santos Pérez e fratelli Reinafé, temibili concorrenti. E la morte naturale, caso rarissimo per quei tempi, lo liberò, il 15 giugno 1838, del più pericoloso dei suoi rivali, il potentissimo caudillo Stanislao López. Fortissima fu anche la xenofobia di Rosas. contro gli stranieri vi furono atti di crudele violenza: come toccò, per esempio, al napoletano Tiola. Viceversa, un altro napoletano, il De Angelis, fu lo storiografo ufficiale della tirannia. In ogni modo, le colonie italiana e francese erano, in enorme maggioranza, aderenti al partito unitario, in favore del quale, nel '29, avevano formato un battaglione di volontarî. In seguito, Rosas si pose in urto contro più di una potenza straniera: tenne testa alla Francia, che nel 1838 bloccava Buenos Aires, all'Inghilterra, agli Stati Uniti, interdisse la navigazione nel Paraná alla Francia e all'Inghilterra, provocando il nuovo blocco franco-inglese del 1845, del quale egli, come del precedente, si rise. Questo suo atteggiamento, anzi, gli valse per proclamarsi "difensore dell'indipendenza nazionale". Dichiarò poi guerra alla Bolivia. Si volse contro l'Uruguay, quando alla sua creatura Oribe fu sostituito (1818) il presidente Rivera, che era appoggiato dal Brasile. Ridottosi presso Rosas, il fuoruscito Oribe - che era così sanguinario da meritarsi il nomignolo di Corta-cabezas (taglia-teste) - organizzò una squadra argentina. con la quale, nel dicembre 1842, mosse contro l'Uruguay, e lo occupò in gran parte, meno la capitale Montevideo che, per nove anni, fu rigorosamente assediata. Le vicende di questa lunga guerra riguardano la storia dell'Uruguay (v.). Qui basterà ricordare che, in favore degli Uruguayani, combattevano, oltre i liberali argentini ivi emigrati, numerosi Francesi e Italiani, questi ultimi guidati da un capo che già aveva dato magnifiche prove durante la rivoluzione nel Rio Grande del Sud e ora si copriva di gloria in cento azioni, soprattutto nella battaglia di S. Antonio: Giuseppe Garibaldi.
Contro il tiranno crescevano di continuo gli odî; nel suo stesso partito federalistico si verificavano continue scissioni. Il numero dei liberali era in persistente aumento. Nelle provincie, specie in quelle di Corrientes, Santa Fe, Entre Ríos e Córdoba, il fermento era grandissimo. Alla testa dell'esercito liberale, che fu detto "liberatore", si posero, nel '40, i generali Paz (evaso da Buenos Aires, dov'era tenuto prigioniero) e Lavalle. L'inizio della campagna fu fortunato, ma le divergenze fra quei due eminenti patrioti e l'inesplicabile ritiro di Lavalle (che morì l'anno dopo) diedero il sopravvento alle truppe dittatoriali, e Rosas, che per un momento aveva dovuto tremare, intensificò la persecuzione e le sentenze capitali. L'anno quaranta è il più spaventevole della storia argentina, per la copia di sangue innocente versato. Le convulsioni delle provincie continuarono per un decennio, fino a quando il generale Urquiza, mandato da Rosas a domare la situazione interna, si volse contro il suo capo, mettendosi alla testa dell'esercito liberatore. Si alleò con il Brasile; proclamò la urgente necessità che "la repubblica si costituisse sotto il vero regime federale, libero e liberale"; ritirò le forze che assediavano Montevideo; concentrò nel Paraná 22.000 uomini, fra i quali 3000 Brasiliani e 2000 Uruguayani, e con quelli iniziò la marcia su Buenos Aires. Il 3 febbraio 1852, a Monte Caseros, dava battaglia alle forze, eguali di numero, del tiranno e le sconfiggeva su tutta la linea. Rosas riuscì a fuggire, travestito; si imbarcò su una nave inglese e riparò a Southampton, dove morì, di 84 anni, nel marzo del 1877.
La storia non può concedere attenuanti al sanguinario dittatore pur riconoscendogli il merito indiscutibile della conquista della Patagonia. Si è tentato di riabilitarlo; per esempio dal Saldias, e più di recente dal García Calderón, cui piace considerarlo il vero fondatore della unità federale, il vero americano puro asceso al potere, l'armonizzatore finale delle forze argentine. Ma lo stesso scrittore ammette che egli non obbediva ad alcun concetto politico e operava soltanto in vista della sua smoderata ambizione; cosicché, pur accettando il discutibile fatto che egli desse la spinta all'unità federale, non si può accettare che ciò fosse per suo programma e volontà.
16. La vittoria di Monte Caseros non portò subito - come sarebbe stato troppo ingenuo aspettarsi - la pacificazione degli animi. Contro il vincitore Urquiza cominciarono a muoversi forti sospetti, per il suo passato rosista. Mentre egli preparava la Costituente in Santa Fe, d'accordo con i governatori di tutte le provincie che aveva convocati a San Nicolás de los Arroyos, Buenos Aires si sollevava contro le autorità nominate da Urquiza e si organizzava un governo autonomo. Cosicché quando, il 1° maggio 1853, la Costituente santafesina sanzionava la Costituzione (quella attualmente in vigore), tredici provincie rimasero unificate sotto il nuovo regime, ma vi mancava Buenos Aires, che nel 1854 si costituiva in piena sovranità. Rimase così segregata fino al 1859, quando Urquiza, che era divenuto il presidente della Confederazione, con sede a Paraná, le mosse guerra e la vinse nella battaglia di Cepeda (23 ottobre). Ma il vincitore non abusò della vittoria e, con il patto di San José de Flores, persuase la città a entrare nella Confederazione. Succeduto il Derqui a Urquiza, nuove lotte intestine si prolungarono fino a quasi tutto il '61, allorché, dopo la battaglia di Pavón (17 settembre) Buenos Aires ebbe il trionfo definitivo. Il vincitore di Pavón, generale Mitre, assunse il governo provvisorio: Buenos Aires divenne la capitale della repubblica; la costituzione del '53, salvo qualche lieve modifica, fu rispettata. Modellata su quella della confederazione dell'America del Nord essa stabilisce un governo federale composto dei tre poteri: legislativo (congresso composto di due camere: quella dei deputati, eletti direttamente dal popolo delle provincie, e quella dei senatori, composta da due membri per ogni provincia, eletti dalle rispettive legislature, e due per la capitale federale); esecutivo ("Presidente della nazione argentina" e otto ministri segretarî); giudiziario (Corte suprema e tribunali inferiori della nazione); attribuisce a ogni provincia una costituzione propria per quanto riguarda l'amministrazione della giustizia, il regime municipale e l'istruzione primaria, ma riserba al governo federale il diritto d'intervento, oltre che nel caso di invasione straniera, per sostenere le autorità costituite in caso di sedizione o invasione di altra provincia; riconosce e protegge il culto cattolico apostolico romano; abolisce la schiavitù e i privilegi personali e titoli nobiliari; concede la libertà di navigazione a tutte le bandiere sui fiumi nazionali; attribuisce al governo federale la cura d'incoraggiare l'emigrazione europea; proibisce al congresso di dettare leggi che restringano la libertà di stampa, ecc. Infine, tenuto presente che l'infausta dittatura rosista era nata dalle deliberazioni di legislature che si arrogavano, non avendola, la vera rappresentanza popolare, l'art. 29 stabilisce che: "Il congresso non potrà concedere al potere esecutivo, né le legislature provinciali ai governatori delle province, facoltà straordinarie né la somma dei pubblici poteri; né concederle onori o prerogative per le quali l'onore, la vita o le sorti degli argentini rimangono alla mercé di governi o singole persone".
Nel 1862, il Mitre fu eletto presidente della repubblica: patriota insigne, valoroso militare, vigoroso polemista, uomo di studî, scrittore di storie, amico di Garibaldi a Montevideo, favorevole all'elemento italiano (tradusse, fra l'altro, la Divina Commedia). Sotto la sua presidenza, ebbe inizio la guerra contro il Paraguay (v.). Gli successe, nel 1868, Domenico Faustino Sarmiento, poderoso intelletto, ma carattere autoritario e bisbetico, fin'allora ministro plenipotenziario a Washington. A lui toccò concludere la guerra del Paraguay che, ancorché vittoriosa, non portò all'Argentina alcun vantaggio, ma uno strascico di questioni con il Brasile, suo alleato. Dovette intervenire a Entre Ríos, dove una banda di facinorosi aveva assassinato il generale Urquiza e proclamato governatore López Jordán. Il governo federale non riconobbe il fatto compiuto, e inviò a Entre Ríos le sue truppe, che sconfissero l'usurpatore. La movimentata presidenza di Sarmiento terminò con la grave agitazione elettorale di Buenos Aires fra il partito nazionalista, rappresentato dal Mitre, e quello autonomista, rappresentato da Adolfo Alsina. Il nuovo presidente Nicola Avellaneda (1874) poté governare con relativa tranquillità, che permise lo sviluppo dell'agricoltura e dell'industria, la costruzione di ferrovie, l'incremento dell'emigrazione europea. All'Avellaneda, succedette il valente generale Julio Roca (1880), cui si deve la spedizione contro gl'Indiani del sud. Sotto la sua presidenza, Buenos Aires rimase soltanto capitale federale, mentre come residenza del governo provinciale di Buenos Aires veniva decretata la fondazione di una nuova città, La Plata. Fu anche regolata, con un trattato provvisorio del 23 luglio 1881, una vecchia questione di confini con il Chile. Sotto il presidente Juárez Celman (1886) si ebbe a deplorare una tale curée finanziaria, che la Unión Cívica, nel 1890, tentò una rivoluzione contro gli uomini del governo. La rivolta fu soffocata; ma Juárez Celman si dimise, venendo sostituito dal vice-presidente Carlo Pellegrini. Anche il successivo presidente Sáenz-Peña fu costretto a dimettersi, per una negata amnistia, lasciando il posto al vice-presidente Uriburu, sotto il quale (1896) fu firmato un nuovo trattato per le frontiere chilene. Nel 1898 si ebbe una nuova presidenza Roca, segnalata, oltre che dalle solite questioni di confini, da un grande sviluppo delle opere pubbliche (porti di Bahía Blanca, di Rosario e di Santa Fe, nuove linee ferroviarie, ecc.). Nel 1904, saliva alla presidenza Manuel Quintana, che morì nel 1906, e gli succedette il vice-presidente Figueroa Alcorta. Successivamente furono presidenti dell'Argentina Roque Sáenz-Peña (1910), sostituito, alla sua morte (1914), dal vice-presidente Vittorino de la Plaza; poi Ippolito Irigoyen (1916); Marcello de Alvear (1922) e, di nuovo, Ippolito Irigoyen (1928), attualmente in carica. Negli ultimi decennî, la Repubblica Argentina, in pace con i suoi vicini, mantenutasi strettamente neutrale durante la guerra europea, ha veduto crescere straordinariamente le sue fonti di ricchezza, cosicché la sua storia più recente, anzi che da questo, deve desumersi dal capitolo che tratta della sua geografia economica.
Bibl.: Non è possibile dare una bibliografia completa, sia pure ridotta allo stretto necessario, della storia argentina. Negli ultimi anni la storiografia ha preso, in quella repubblica, uno slancio considerevole, e la messe di lavori generali e parziali, di collezioni di documenti, di discussioni critiche, ecc., è divenuta enorme (cfr. D. Barros Arana, Historiadores argentinos, nelle sue Obras completas, IX, 478-504 e R. D. Carbia, Historia de la historiografía argentina, La Plata 1925, voll. 2). Segnaleremo qui le raccolte più importanti di documenti, le storie generali di maggiore affidamento (trascurando quelle di carattere scolastico, fra le quali non mancano alcune assai pregevoli) e gli studî particolari che si riferiscono ad argomenti trattati nella precedente esposizione. Per le opere complessive sull'America spagnola, con larghi riferimenti ai paesi del Plata, si veda la bibliografia annessa, in questa Enciclopedia, al paragr.: Storia dell'America Latina alla voce America. Avvertiamo che dove non è indicato il luogo di pubblicazione, s'intende che l'opera è apparsa a Buenos Aires.
Collezioni di documenti: Colección de obras y documentos relativos a la historia antigua y moderna de las prov. del Río de la Plata, ed. P. de Angelis, 1836-37 e ristampa del 1910 in 5 voll. (comprende anche gli antichi storici e viaggiatori José Guevara, Gregorio Funes, Díaz de Guzmán, pedro Lozano, T. X. Henis, G. de Doblas, ecc.); Colección de obras documentos y noticias inéditas o poco conocidas para servir a la hist. del Río de la Plata, ed. Lama, Mitre y Gutiérrez, 1869; Documentos para la hist. del Virreinado del Río de la Plata, 1912-13 e Documentos para la hist. argentina, 1913 segg. (in corso di pubblicazione, a cura della Facoltà di Filosofia e Lettere di Buenos Aires); Museo Mitre, Documentos de su Archivo colonial, 1909 e Archivo del general Mitre, 1911, voll. 17; Archivo colonial, 1914; Correspondencia de los oficiales reales de Hacienda del Río de la Plata con los Reyes de España, ed. R. Levillier, 1915; Antecedentes de la politica económica en el Río de la Plata: documentos..., ed. R. Levillier, Madrid 1915, voll. 2; Correspondencia de la ciudad de Buenos Aires con los Reyes de España, ed. R. Levillier, 1915 segg. (in corso di pubblicazione); La Audiencia de Charcas: Correspondencia, ed. R. Levillier, Madrid 1918 (ad opera dello stesso Levillier sono stati pubblicati anche i documenti della Governación del Tucumán, Madrid 1920). Particolarmente per la storia dell'Indipendenza, oltre l'Archivio Mitre, già citato, e le svariate pubblicazioni dell'Archivo general de la Nación, si vedano: Documentos relativos a los antecedentes de la Revolución de Mayo de 1810, 1912, voll. 2 (pubblicati dalla Facoltà di Filosofia e Lettere); P. Torres Lanza, Independencia de América: fuentes para su estudio, Madrid 1912, voll. 6 (e s. 2ª, nel Bol. del centro de estudios americanistas, Siviglia, X e XI); Documentos del Archivo de Pueyrredón, 1912, voll. 4; Actas del Cabildo de Buenos Aires: 1810, 1910; Trabajos legislativos de las primeras asambleas argentinas, ed. U. S. Frías.
Storie generali: R. Levillier, Orígines argentinos, 1912; F. Ramos Mejia, Hist. de la evolución argentina, 1921; J. B. Terán, El nacimiento de la América española, Tucumán 1927; J. M. Eizaguirre, Como se formó el país argentino, 1928; S. H. Wilcocke, Hist. of the viceroyalty of Buenos Aires, Londra 1807; L. L. Domínguez, Hist. argentina: 1492-1820, 1861 (e Parigi 1870); M. Gonzáles Llana, Hist. de las repúblicas del Plata: 1512-1810, Madrid 1863; A. Zinny, Hist. de los gobernadores de las prov. argentinas, 1879-82, voll. 3 (e ristampa del 1920 in 4 voll.); J. de Guevara, Historia del Paraguay, Río de la Plata y Tucumán, 1908; V. G. Quesada, Hist. colonial argentina, 1915; E. Ravignani, Creación y permanencia del Virreinato del Río de la Plata, 1916; V. F. López, Hist. de la República Argentina, 1883-93, voll. 10 (è la più vasta storia dell'Argentina, ma va usata con cautela; è riassunta nel Manual de hist. argentina, la cui ultima edizione è del 1920); M. R. Trelles, Revista patriótica del pasado argentino, 1888, voll. 4; M. A. Pelliza, Hist. argentina, 1888-97, voll. 5; J. M. Estrada, Lecciones sobre la hist. de la República Argentina, nelle Obras completas, II e III, 1898; M. García Merou, Hist. de la República Argentina, 1899, voll. 2; García Al-Degoer, Hist. de la Argentina, Madrid 1903; L. V. Varela, hist. constitucional de la República Argentina, La Plata 1910, voll. 4; C. A. Villanueva, Hist. de la Repúblique Argentine, Parigi 1914, voll. 2; R. Levene, Lecciones de hist. argentina, 4ª ed., 1919, voll. 2. - Esclusivamente per il periodo dell'indipendenza e anni posteriori: M. Torrente, Hist. de la revolución hispano-americana, Madrid 1829-30, voll. 3; (C. Calvo), Annales hist. de la révolution de l'Amérique latine, Parigi 1864, voll. 3; A. Saldías, La evolución republicana durante la revolución argentina, 1896 (e Madrid 1919); J. Arzadún y Zabala, Albores de la independencia argentina, Madrid 1910; A. P. Carranza, La Junta gubernativa de 1810, 1910; J. C. Jara, Sintesis filosófica de la revolución de Mayo, 1910; J. P. Otero, La révolution argentine, Parigi 1917; R. Levene, Ensayo hist. sobre la revolución de Mayo y Mariano Moreno, 1920-21 (è il miglior lavoro sull'argomento: di una riduzione pubblicata in francese si ha la trad. italiana di M. Ruffini, Firenze 1929); D. L. Molinari, Antecedentes de la revolución de Mayo, 1922-26, voll. 3.
Intorno a particolari punti di storia. - La migliore fra le moltissime opere sullo scopritore del Río de la Plata è ancora quella di J. T. Medina, Juan Díaz de Solis, Santiago de Chile 1897, voll. 2. La cronaca di Ulrico Schmidel fu pubblicata la prima volta in latino a Norimberga nel 1599; l'originale tedesco, dal ms. monacense, a Tubinga, da V. Laugmantel, nel 1889; la trad. spagnola in De Angelis, III, 273-330. Sul Pedro de Mendoza, l'eccellente lavoro di P. Groussac, Mendoza y Garay, 2ª ed., 1916. Di Irala i documenti, le relazioni e le lettere pubbl. da E. Zeballos nella Rev. de derecho, hist. y letras, di Buenos Aires, XXII (1905). Sul Garay, oltre i documenti in De Angelis, III, 5-30, e quelli pubblicati da E. Ruiz Guiñazú, 1915; J. L. Cantilo, Don Juan de Garay, 1904 e N. A. Vadell, Don Juan de Garay, 1921. Sulle varie vicende della Colonia del Sacramento: S. Ferreira da Silva, Relação do sitio que D. Miguel de Salcedo poz no anno de 1735 à praça dà nova Colonia do Sacramento, Lisbona 1748; Noticias sobre los sitios de la Colonia del Sacramento, Montevideo 1849; A. Bermejo de la Rica, La Colonia del Sacramento, Toledo 1920. - Sul viceré Cevallos: M. Caballo, La expedición militar de D. Pedro Ceballos al Río de la Plata, nella Rev. de España, X (1869). - Sulla espulsione dei Gesuiti: Colección de documentos relativos a la expulsion de los Jesuitas de la República Argentina y del Paraguay, ed. F. J. Bravo, Madrid 1872; P. Hernández, El extrañamiento de los Jesuitas del Río de la Plata, Madrid 1918. - Della vasta letteratura sulla Reconquista segnaliamo F. Saguí, Los últimos cuatro años de la dominación española, 1874; il lavoro fondamentale di P. Groussac, S. de Liniers, 1907 (cui sono da aggiungere i nuovi dati forniti da C. Poyet, Algo sobre Liniers, nella Rev. de la universidad de Córdoba, 1915). Da tenersi presenti anche le fonti inglesi: Narrative of the operation & c. in the reduction of Monte Video, Londra 1807 e Authentic narrative of the proceedings of the expedition of Brig. Gen. Graufurd & c., Londra 1808. Circa l'azione del clero creolo: A. Piaggio, Influencia del clero en la independencia argentina, Barcellona 1912; J. Noé, La religión en la sociedad argentina, 1916. Sulla giornata di Ituzaingó: L. C. Fregeiro, La batalla de I., 1919.
Sugli uomini della rivoluzione: La Correspondencia de San Martín, editore A. P. Carranza, 1911; C. I. Salas, Bibliografía del general de San Martín, 1910, voll. 5; B. Mitre, Hist. de San Martín, 1888-89, voll. 3; J. Espejo, San Martín y Bolívar, 1873; J. M. Goenaga, La entrevista de Guayaquil, Roma 1915 (ma contro García, nella Rev. de derecho y historia, XLVIII); R. Blanco Fombona, Bolívar y San Martín, nella riv. Hispania, Londra, II (1913), n. 16; A. P. Carranza, San Martín, 1905; M. R. Martínez, San Martín intimo, Parigi 1913; A. G. Carranza Mármol, El paso de los Andes, 1917; Belgrano, Cartas inéditas, Córdoba 1924; B. Mitre, Hist. de Belgrano y de la independencia argentina, 1876-77, voll. 3 (ed. R. Rojas, 1927, voll. 4); R. Rojas, Belgrano, 1920; E. Ravignani, La personalidad de Belgrano, 1920; L. R. Gondra, Las ideas económicas de Belgrano, 2ª ed., 1927 (fondamentale); Moreno, Escritos políticos y económicos, 1896; M. Moreno, Vida y memórias de Mariano Moreno, ed. J. M. Gutiérrez, 1918; R. Levene, Iniciación de la vida pública de Moreno, 1917; A. Zimermann Saavedra, Don Cornelio Saavedra, 1909; F. García Vera, Biografía de J. M. de Pueyrredón, 1914; J. M. Paz, Memórias póstumas, 1855, voll. 2; O. Magnasco, Rivadavía, 1910; A. Lamas, Rivadavía, 1915; A. del Solar, Dorrego, 1889; D. F. Sarmiento, Vida de Facundo Quiroga, 2ª ed., Santiago de Chile 1851; M. A. Oliver, El primer Director supremo (Posadas), 1914; G. F. Rodríguez, Historia de Alvear, 1913, voll. 2.
Sulla dittatura di Rosas: A. Saldías, La época de Rosas, 1895, voll. 5; O. Martens, Ein Caligula unseres Jahrhunderts, Berlino 1896; F. A. Kirkpatrick, Rosas, nel Cornhill Magazine, nov. 1899. Per la vita di Buenos Aires in quel periodo, l'attraente libro di A. Capdevila, Las vísperas de Caseros, 2ª ed., 1928.
Religione.
Quando Colombo scoprì l'America, prese possesso delle nuove terre in nome della Croce. Sotto questo segno Spagna e Portogallo proseguirono la conquista e la colonizzazione del nuovo mondo. Il papa diede allora ai re di Castiglia il diritto di patronato, specie di legazia apostolica, in America, con l'obbligo di propagare e difendere la religione cattolica nel continente da poco scoperto.
Le Leggi delle Indie contengono numerose disposizioni sulla predicazione del Vangelo, il diritto canonico e l'organizzazione religiosa in queste colonie, tra le quali era l'Argentina: così, a cominciare dal secolo XVI, la popolazione argentina entrò a far parte della cristianità cattolica.
Per comprendere bene questo avvenimento, conviene ricordare come, verso la metà del sec. XVI, la Spagna fosse divenuta la paladina della Controriforma, e la conquistatrice del mondo; nella sua azione politica essa si assunse la persecuzione dell'eresia in Europa e la propagazione del cattolicesimo nelle nuove terre che colonizzava. L'azione esercitata in America, e nella colonia del Rio de la Plata, presenta perciò questo doppio carattere, chiaramente stabilito dalle Leggi delle Indie: da una parte la vigilanza inquisitoriale verso gli stranieri sospetti, e dall'altra la predicazione del Vangelo agl'indigeni pagani. Questi due caratteri ebbe anche la società coloniale, nella quale la Chiesa aveva importanti funzioni nella vita giuridica, pedagogica e morale dello stato.
Le varie tribù, che popolavano il territorio argentino prima della scoperta, si trovavano a gradi diversi di cultura e praticavano religioni differenti; ma in tutte è possibile ritrovare alcuni almeno degli elementi che caratterizzano la religiosità primitiva. Così erano sacri i boschi, le grotte, le fonti, i fiumi, le montagne; si adoravano anche gli astri, ed erano altresì oggetto di venerazione fenomeni meteorici. Le rappresentazioni di animali (tigre, struzzo, rana, serpente condore) sulle urne funerarie e nei capi di corredo trovati nelle tombe o sulle mummie sono stati interpretati come simboli totemici; d'altra parte, forse per influsso della superiore cultura degl'Incas, si trova la venerazione per il sole, e sembra che alcuni popoli arrivassero alla concezione di un essere divino supremo e invisibile. Ma anche il culto dell'essere celeste è abbastanza diffuso presso molte popolazioni primitive, e alcuni elementi che si riscontrano nei culti di queste popolazioni sembra che ci riconducano allo stadio animistico e al preanimistico. Così si spiegano i numerosi riti di carattere magico, tra i quali può rientrare anche quello che si prestava allo spirito della terra (Pachamama, la madre dei raccolti). Numerosi erano i miti e le leggende, di cui sussistono numerose tracce nella toponimia e nel folclore delle campagne argentine.
La predicazione del cristianesimo non fece sparire totalmente le antiche superstizioni, e queste si unirono a quelle che portava il colonizzatore venuto dalle campagne spagnole. Invano la Chiesa si diede a bruciare gl'idoli, a distruggere i templi, a perseguitare il sacerdozio autonomo, considerando gl'Indios come adoratori del demonio, come avviene sempre in simili casi. Qualche cosa delle vecchie religioni persistette nella nuova, e l'Indio convertito adattò alla sua mentalità i dogmi e le pratiche imposte, che macchinalmente apprendeva.
L'autorità cattolica fin dall'inizio della conquista adottò misure energiche per l'estinzione dell'idolatria e risolvette in concilî americani di tradurre la dottrina e le orazioni della sua fede nelle lingue locali, componendo pertanto lessici, catechismi e raccolte di sermoni. Ben si comprendono le difficoltà di questo sforzo, e come la purezza del dogma dovette contaminarsi in tali versioni, nel modo stesso che i riti tendevano a degenerare, appena il sacerdote europeo che li praticava si allontanava dai villaggi indiani. Si battezzavano le moltitudini; si dava nome spagnolo ai neofiti; si disciplinava liturgicamente la tribù nelle encomiendas e nelle missioni; e così si ottenne di generalizzare il culto della Croce in tutto il territorio argentino. La croce, d'altra parte, come ha dimostrato Adán Quiroga, era stato simbolo religioso tra gl'Indiani precolombiani, e si trova profusamente dipinta nelle ceramiche autoctone dei giacimenti archeologici.
Questo processo della conversione degl'indigeni al cristianesimo è stato chiamato "conquista spirituale", per distinguerlo dalla conquista militare o politica, ma entrambe si combinavano in una sola azione sistematica. Gli ordini religiosi che più si distinsero per la loro virtù e per l'entusiasmo in tale impresa, furono i francescani e i gesuiti. Nella stessa maniera agirono i domenicani, gli agostiniani e i mercedarî; ma si riconosce il primato ai primi due, non solo per lo zelo che mostrarono sin dai primi anni e per il coraggio con cui s'internarono nelle più aspre contrade, ma per la costanza con cui persistettero nel loro sforzo. D'altra parte i gesuiti organizzarono il famoso sistema delle "missioni" e scrissero la cronaca della loro azione evangelica, mentre i francescani ebbero veri apostoli, come Luis de Bolaños e Francesco Solano; quest'ultimo fu canonizzato e lasciò nell'interno dell'Argentina una tradizione leggendaria che vive ancora.
Le cronache dei padri Techo, Lozano, Guevara, Charlevoix, Dobrizhoffer, Machoni, Falkner e d'altri storici della Compagnia di Gesù durante i secoli XVI, XVII e XVIII possono servire a farsi un'idea degli ostacoli che il cattolicesimo trovò fra gl'indigeni, finché acquistò caratteri proprî nella vita religiosa delle campagne.
Molto diverso era il processo che si operava nelle città, con una quantità di Spagnoli in esse trapiantati, e con i figli di questi, creoli o meticci. Appena il conquistatore entrava in America, fondava una città, poiché da quell'epoca datano quasi tutte quelle dell'Argentina, e con la città un cabildo per il governo locale, molto simile ai municipî dell'Impero romano. Il piano urbano della fondazione consisteva sempre in terreni destinati al duomo e ai quattro conventi di gesuiti, francescani, domenicani e agostiniani o mercedarî. A questi si aggiungevano più tardi conventi per monaci, ricoveri e ospedali affidati agli ordini religiosi che possedevano medici ed erboristi, i quali nel curare approfittavano non poco della medicina indigena appresa nelle missioni. Con la beneficenza, il clero praticava l'insegnamento. A un vescovo, il Trejo y Sanabria, si deve la fondazione dell'università di Córdoba (1614), autorizzata da una bolla pontificia e affidata fino al 1767 ai gesuiti, quindi ai francescani. Il collegio di San Carlo, fondato a Buenos Aires dal viceré Vertiz verso la fine del sec. XVIII, fu retto dal canonico Maciel, e le sue cattedre, nelle quali si formarono quasi tutti gli uomini che lottarono per l'indipendenza fino al 1810, furono tenute da poeti. Base degli studî, la teologia e il latino. Per accedere agli studî teologici nelle università coloniali, era necessario provare la propria purezza di sangue, esente da contaminazioni con negri, mori o ebrei (non con Indios): ciò conferiva al clero un certo prestigio aristocratico. Le principali famiglie avviavano i loro figli a questa professione, ch'era poi quella delle lettere, tanto in America quanto in Spagna. A tutto ciò si aggiungeva l'autorità giuridica e morale di cui il sacerdozio godeva in seno alle famiglie, per la confessione, per la giustizia, per l'Inquisizione. L'Argentina non ebbe rogo inquisitoriale (dipendeva all'uopo da Lima, che ne aveva uno), ma vi furono commissarî del Santo Ufficio, e non pochi processi contro streghe, giudaizzanti ed eretici. La Chiesa cattolica appare attraverso le varie fonti come il centro morale delle città argentine, disciplinante l'insegnamento, la famiglia, il diritto, tutte le idee e tutti i costumi. Ricordano quest'epoca le chiese allora erette, e tuttora sorgenti nelle città argentine.
Tutta l'organizzazione religiosa cominciò a cambiare con le idee liberali che, nonostante l'inquisizione e la censura, penetrarono verso la fine del sec. XVIII nelle colonie spagnole. Le riforme sociali apportate dalla dinastia di Borbone, specialmente da Carlo III e dai suoi ministri, l'espulsione dei gesuiti, la fondazione di nuovi centri di cultura, come il primo teatro e il primo periodico e il Collegio Carolino fondati a Buenos Aires; il contatto stabilito nel Rio della Plata con altri popoli, mediante il contrabbando e le invasioni inglesi (1806-1807); la penetrazione furtiva di libri proibiti, specialmente degli enciclopedisti francesi; viaggiatori che parlavano della Rivoluzione francese e dell'emancipazione nordamericana, rinnovarono le idee, e, quando scoppiò la rivoluzione, si poté notare l'azione di logge massoniche e d'idee violentemente riformatrici nel campo religioso.
Nella Primera junta de Mayo, primo consiglio rivoluzionario, il segretario Mariano Moreno affermò, nel 1810, il principio del patronato, che l'Argentina ha incorporato alla sua sovranità come successore dei re spagnoli, l'assemblea del 1813 ruppe le relazioni con la Santa Sede e proibì al clero ogni obbedienza al nunzio accreditato presso la corte di Madrid. Misure di questo genere obbedivano forse più a motivi politici che a ragioni filosofiche. Il vescovo di Córdoba, partigiano della Spagna nella rivoluzione che cominciava, fu fucilato per ordine del governo rivoluzionario; quello di Salta, per la stessa causa, fu deposto e condotto prigioniero a Buenos Aires. Le alte dignità ecclesiastiche, come il vescovo Lué di Buenos Aires, e il clero spagnolo erano nemici dell'indipendenza, favorita invece dagli ordini minori e dal clero creolo, che contava patrioti più o meno decisi come Funes, Gorriti, Castro Barros, Oro, Gómez e molti altri
Proseguendo in queste stesse tendenze liberali della rivoluzione, Rivadavia dopo il 1820 effettuò la riforma ecclesiastica, facendo partecipare il potere civile all'organizzazione interna della chiesa locale. Ciò non ostante, il sentimento generale rimaneva cattolico. Belgrano, nel consegnare a San Martín il comando dell'esercito del Nord, che lottava contro i realisti, sulla frontiera dell'alto Perù, diceva in una lettera (1814): "La S. V. non dimentichi che sarà il capo di un esercito cristiano e che facciamo la guerra tra popoli cattolici". La guerra precedente contro gl'Inglesi, nel 1806, aveva preso il carattere di una guerra contro gli eretici. Il vincitore Liniers offrì i trofei della vittoria alla Vergine del Rosario in Santo Domingo di Buenos Aires. I realisti del Perù dopo il 1810 qualificarono la rivoluzione di Buenos Aires come un sollevamento ereticale di frammassoni. Il liberalismo di Castelli, Monteagudo Agrelo, capi della rivoluzione, dava corpo a queste denunce. Nella frontiera altoperuviana la rivoluzione perdette le simpatie popolari in seguito alla prigionia dei vescovi e a certi eccessi anticlericali dei rivoluzionarî. L'atteggiamento rispettoso di Belgrano verso la Chiesa, sebbene Belgrano fosse anche personalmente un cattolico sincero, deve considerarsi soprattutto come una reazione contro tale stato di cose. Come Liniers alla Vergine del Rosario in Buenos Aires, così Belgrano rese omaggio alla Vergine delle Grazie in Tucumán, dopo la sua vittoria sugli Spagnoli nel 1812. Può esserci stato in ciò un calcolo di condottiero, come nelle sue istruzioni a San Martín, il quale, sebbene liberale, vi si attenne nel preparare, a Mendoza, la spedizione delle Ande per liberare il Chile. E così la rivoluzione democratica si compì fino a giungere alla proclamazione della libertà dei culti nella costituzione del 1813, tuttora vigente, e, in leggi successive, all'insegnamento laico e al matrimonio civile e alla diffusione della cultura scientifica, senza che lo stato e il popolo argentini cessassero di essere cristiani Il clero cattolico oppose resistenze a queste riforme, ma fu vinto.
Oggi la vita religiosa argentina si può definire come uno stato di completa tolleranza. La libertà filosofica, l'immigrazione cosmopolita, il commercio internazionale hanno creato una società del tutto diversa, sotto questo aspetto, da quella che creò la teocrazia spagnola della Controriforma nell'epoca coloniale. Dell'epoca precedente sussiste il culto esterno, ma con minore devozione, e il patronato regio, esercitato però da uno stato laico. Il cattolicesimo è la religione ufficiale argentina, e il governo interviene nella nomina dei vescovi, mantenendo le relazioni diplomatiche con la Santa Sede. La separazione della Chiesa dallo Stato è stata proposta molte volte, e da partiti liberali, e anche da cattolici scontenti della soverchia ingerenza del potere civile nella Chiesa. Ma non sembra possibile né conveniente giungere alla separazione. La cultura del clero nazionale va sempre più elevandosi, e ad esso sono riservate per legge le alte gerarchie della Chiesa. Accanto alla chiesa ufficiale, che non ha azione diretta sulle istituzioni civili o sull'insegnamento, vivono gli altri culti, senza polemiche né atti rumorosi d'intolleranza.
Lingua.
Lo spagnolo che si parla e si scrive in Argentina ha numerose piccole caratteristiche che lo distinguono dal castigliano, benché non si possa affatto parlare, come a torto ha fatto qualcuno, di due lingue diverse.
Questa varietà argentina del castigliano europeo è stata determinata dalle molteplici influenze storiche e sociali esercitate per quattro secoli sul fondo linguistico comune portato dagli Spagnoli. La lingua introdotta in America dai colonizzatori al principio del sec. XVI non era ancora giunta alla flessibilità e alla ricchezza lessicale che raggiunse più tardi, nel periodo classico della letteratura spagnola; e, adoperata da soldati e da gente di bassa condizione sociale, presentava numerosi idiotismi.
In America le relazioni sempre più frequenti fra i conquistatori e gli aborigeni non tardarono a promuovere un'accentuata penetrazione linguistica. Questa penetrazione linguistica fu reciproca: la lingua dei conquistatori contaminò le lingue indigene (quando addirittura non le soppiantò); queste, a loro volta, andarono modificando la lingua degli occupatori in alcuni aspetti della fonetica, della morfologia, della sintassi e, soprattutto, del vocabolario. La forza espansiva del castigliano nell'America meridionale si nota principalmente quando si considera questo idioma in confronto con le più importanti fra le lingue indigene del Nuovo Mondo, il quechúa e il guarani, respinte la prima in alcune provincie del nord, dell'ovest e del centro, la seconda nella provincia di Corrientes e nel governatorato di Misiones (v. america: Lingue indigene).
Le lingue indigene non poterono opporre molta resistenza, e per il loro grande numero e la diversità dialettale, e per il nuovo ordine di cose creato dagli Spagnoli: in modo analogo il latino volgare s'era diffuso sotto l'amministrazione romana nel vasto territorio europeo ancor oggi occupato dagl'idiomi neolatini.
In queste condizioni, l'influenza degl'idiomi precolombiani sullo spagnolo non poteva essere decisiva. Nella fonetica, grazie principalmente alla fermezza e alla chiarezza del sistema vocalico castigliano, questa influenza è stata molto scarsa. Ugualmente scarsa è l'influenza delle lingue indigene sulla morfologia: si possono tutt'al più segnalare alcuni vocaboli ibridi: picana, vidala, vidalita, ecc. Anche la sintassi non presenta tracce sensibili. Invece l'influenza delle parlate indigene si è fatta sentire in maniera considerevole nel vocabolario. Dei principali idiomi indigeni che ancora si parlano nella Repubblica Argentina, il quechúa diede voci come cancha, cóndor, pampa, chacra, coca, chamico, chasqui, choclo, puna, chúcaro, mate, huanaco, papa; il guarani diede le voci ñandú, catinga, caburé, yacaré; l'auracano laucha, minga, ecc. Questo vocabolario avventizio non andava a sostituire il vocabolario primitivo del castigliano coloniale; si limitava ad accrescerlo, colorendolo, per così dire, d'indianismo.
Ma questo non basta a spiegare le differenze che corrono oggi fra lo spagnolo argentino e quello peninsulare. Lo spagnolo d'America non assimilò che in piccola parte le modificazioni sopravvenute nel frattempo in Ispagna. Il secolo d'oro coincise, in termini generali, col momento della maggiore espansione coloniale della Spagna, ma la stessa rudezza della conquista e la difficoltà delle comunicazioni fecero sì che i riflessi del generale affinamento della lingua non giungessero fino alle terre spagnole d'oltreoceano. Durante questo periodo (seconda metà del sec. XVI e prima del XVII), per ragioni bene spiegabili, l'attività intellettuale delle colonie fu quasi nulla, e queste circostanze spiegano perché l'America non riuscì ad approfittare largamente delle innovazioni letterarie e quindi linguistiche del gran secolo, spiegano anche la più accentuata povertà lessicale e la più scarsa scioltezza sintattica, che di solito caratterizzano gli scrittori argentini e in generale sudamericani, in confronto col tipo medio del letterato spagnolo.
Le manifestazioni culturali di qualche importanza cominciarono in Argentina appena verso la fine del sec. XVIII: nel movimento d'idee che precede la rivoluzione, l'ambiente sociale più propizio e le comunicazioni meno difficili e più frequenti conducono a maggiori scambî intellettuali con la Spagna.
Al principio del sec. XIX si ebbero le lotte per l'indipendenza; e a poco a poco, per il crescente rancore che queste lotte avevano suscitato verso la madre patria, si venne raffermando negli Argentini un forte desiderio di indipendenza linguistica, che doveva durare fino agli albori di questo secolo. Organizzato il paese e assicurata la sua prosperità economica nella seconda metà del secolo passato, in quello stesso periodo s'inizia l'epoca delle grandi correnti d'immigrazioni. A cominciare da allora, la lingua degli emigranti italiani esercitò la sua influenza su certi aspetti del linguaggio popolare, pur senza giungere a trasformarlo radicalmente. Parecchi modi di dire e alcune particolarità fonetiche del lunfardo o gergo volgare bonaerense si possono attribuire all'azione diretta di alcuni dialetti italiani, il genovese principalmente. Nelle classi colte e fra gli scrittori si nota, invece, un accentuato influsso della lingua francese, compiutosi (con un'intensità allarmante fino a pochi anni fa) in forma indiretta, attraverso il libro francese e cattive traduzioni spagnole. Si può dire in conclusione che, nonostante così diverse influenze, la classe colta argentina si attiene ora al proposito di parlare e di scrivere il castigliano con purezza non pedantesca, anzi, in omaggio alle necessità locali, con una certa tendenza al neologismo. Il fatto che i rancori patriottici si sono placati, che il libro spagnolo entra in Argentina più largamente che mai, facilita questo proposito. Salvo poche eccezioni, gli scrittori argentini comprendono oggi gl'innegabili benefizî materiali e spirituali che reca a un paese giovane il poter disporre di un istrumento linguistico che, senza tralasciare di essere proprio, è comune ad altre venti nazioni.
Bibl.: M. L. Wagner, Amerikanisch-Spanisch und Vulgärlatein, in Zeitschrift rom. Phil., pp. 286-312, 385-404 (trad. spagn., in Facultad de Fil. y letras de la Univ. de Buenos Aires, Instituto de Filología, I, 1924, pp. 45-110); R. Grossmann, Das ausländische Sprachgut im Spanischen des Río de la Plata, Amburgo 1926; R. Donghi de Halperin, Contribución al estudio del italianismo en la República Argentina, in Fac. Fil. letras Buenos Aires, I, pp. 183-198.
Letteratura.
Il territorio nei cui limiti è oggi compresa la Repubblica Argentina, originariamente era abitato da razze indigene che non ebbero letteratura scritta, ma i cui idiomi, tradizioni e canti ci sono noti come parte del folklore, o sotto forma di notizie nelle prime cronache coloniali, in seguito alle ricostruzioni dell'arte e della scienza moderne.
Durante il sec. XVI i capitani, preti, magistrati e artigiani spagnoli, che scopersero, esplorarono e colonizzarono il territorio argentino, vi trapiantarono l'idioma castigliano, la scrittura e i fondamenti della cultura europea, quale si sviluppò in Spagna dal Rinascimento in poi.
La colonizzazione spagnola creò così anche in Argentina una società di tipo greco-latino e cristiano, con molti residui medievali e norme teocratiche: quando però l'Argentina riuscì ad emanciparsi (1810): come gli altri popoli americani, rinnovò la sua coscienza sociale e politica sotto l'influenza dell'enciclopedismo francese e del liberalismo britannico; soltanto conservò l'idioma spagnolo come segno espressivo della sua nazionalità e della sua letteratura.
Costituitasi infine nel 1853 la Repubblica Argentina, il paese si schiuse all'immigrazione europea, e al tempo stesso anche la cultura nazionale si aperse a tutte le influenze cosmopolitiche, pur mantenendo una sua caratteristica nazionale.
Cronologicamente, nella letteratura argentina si possono distinguere pertanto i seguenti periodi: 1. della preistoria indigena con i canti e le narrazioni orali in quechúa, guarani o araucano, che persistono nella tradizione popolare, o furono raccolti dopo il '500 dai colonizzatori e, in età più recente, dagli studiosi argentini; 2. della colonizzazione spagnola che comprende tre secoli, dal 1535, data della fondazione di Buenos Aires, fino al 1810, data della caduta dei viceré, periodo che presenta un interesse più storico che letterario, perché si tratta per lo più di scritti che si riferiscono agli avvenimenti locali, ora sotto forma di cronaca in prosa, ora sotto forma di opere storiche in versi; 3. dell'emancipazione nazionale, che abbraccia quasi tutto il secolo decimonono e il presente fino ai nostri giorni, ed è il solo nel quale la produzione esprima gl'ideali della patria in formazione e descriva i suoi paesaggi, i suoi tipi, i suoi costumi, in tutti i generi proprî delle letterature europee moderne, e con una propria sempre crescente originalità: anzi, anche per tutto il sec. XIX la letteratura restò quasi sempre al servizio delle vicende politiche, ed è necessario giungere fino all'epoca contemporanea dopo il 1880 per riconoscere una letteratura vera e propria, ispirata soltanto a ideali estetici, e completa in tutta la molteplicità delle sue forme.
1. Poiché la cronologia, che mette in correlazione la storia politica e la letteraria, non basta a spiegare completamente la letteratura argentina, si è ricorso ad un sistema di dipendenze estetiche dalla cultura europea. In base a questo sistema si dovrebbe parlare di classicismo, romanticismo, naturalismo, modernismo, simbolismo, ecc., come se la produzione intellettuale argentina fosse un semplice fenomeno d'imitazione intercontinentale. Il classicismo argentino sarebbe infatti rappresentato da autori dell'epoca coloniale, che studiarono latino nelle aule universitarie, e imitarono i modelli antichi, spesso attraverso altri imitatori europei: come, nel secolo XVII, Luís De Tejeda (1604-1681), autore di El peregrino en Babilonia, di Soledades e di altri poemi, e imitatore di Góngora; nel sec. XVIII, Manuel Labardén, il quale scrisse per il teatro il Siripo, dramma pseudoclassico; e infine, nei primi dell'800, durante l'emancipazione, Juan Cruz Varela, il quale compose canti imitati da Orazio e da Virgilio, e tragedie come Dido e Argía, imitate da Quintana e da Alfieri. In realtà, che esista una filiazione classica fin dall'epoca coloniale, è innegabile; ed è più facile rilevare l'analoga filiazione romantica, che incomincia da Esteban Echeverría (1804-1851). Echeverría, poeta nato a Buenos Aires, fu un autodidatta che perfezionò i suoi studî a Parigi; approfittò degl'insegnamenti di Cousin e Hugo, e, tornando in patria, iniziò nel 1837 un movimento romantico, che investì a un tempo le idee politiche (Dogma socialista), le teorie letterarie (Forma y fondo en las obras de imaginación), e la creazione poetica (La Cautiva ed altri poemi), ripercuotendosi nel romanzo, nel teatro, nella critica, ecc., e persistette per tutto il sec. XIX. Al termine di questo secolo infine Rubén Darío, grande poeta dell'America spagnola, nato nel Nicaragua e stabilitosi in Argentina, pubblicò a Buenos Aires i suoi libri Prosas profanas (poesie) e Los raros (critica), iniziando un nuovo periodo letterario sotto la suggestione del simbolismo francese e, in genere, del simbolismo cosmopolita. Non mancarono nemmeno alcuni imitatori di Zola o realisti ingenui nel romanzo e nel dramma. Questi casi ed esempî non bastano, tuttavia, a spiegare la letteratura argentina. I termini di pseudoclassicismo, romanticismo, simbolismo applicati alla letteratura argentina sono soltanto etichette posticce, a cui sfugge ciò che vi è di più profondo e genuino nel pensiero nazionale.
2. Come tutte le altre letterature, anche la letteratura argentina non può essere studiata altrimenti che in funzione della coscienza nazionale, cioè come espressione sempre più chiara di una cultura e d'una sensibilità nazionale. Gli Argentini sono bensì figli d'Europa, ma con indole e ambiente e destino proprî; e niente meglio della letteratura, nelle sue particolari tendenze, e nella sua evoluzione, documenta quest'autonomia del nuovo personaggio storico che essi sono. Già prima del sec. XVI troviamo infatti le tracce di una tradizione indigena. Dopo il '500 essa si mescola con la tradizione popolare spagnola importata dai colonizzatori, e ne nasce il folklore argentino, ricchissimo e vario, dal colore locale inconfondibile. E la stessa tradizione è ancora quella che domina il sec. XIX, e, fondendosi con elementi romantici e realistici della tecnica europea, dà luogo a un'arte nuova e vitale, quale s'incontra in libri come la Cautiva di Echeverría, il Facundo di Sarmiento, il Martín Fierro di Hernández, il Santos Vega di Obligado, la Guerra Gaucha di Lugones, il Montaraz di Leguizamón, le Mis montañas di González, il Zogoibi di Larreta, la Voz del desierto di Talero, il Pais de la Selva di Rojas, il Secundo Sombra di Güiraldes: libri tipicamente argentini, inscindibili dalla coscienza del paese in cui sono nati, e perciò cari al popolo, che, leggendoli, vi si riconosce. Quest'autonomia assimilatrice, trasformatrice, creatrice della letteratura non è altro che la vita stessa della nazione nella sua evoluzione, dal primo momento della sua origine storica fino alle più alte e complesse forme dello stato moderno.
3. I primitivi. - Lo studio del folklore, attraverso cui ci è possibile prendere diretta conoscenza dell'antica poesia popolare dell'epoca precolombiana e dei primi tempi dell'occupazione spagnola, dispone ora di una documentazione vastissima, dopo le pubblicazioni dell'Istituto di letteratura argentina e le opere di Lafone-Quevedo, Ambrosetti, Quiroga, Lehman-Vische, Debenedetti, Outes Lynch, ecc. E anche l'interpretazione e l'illustrazione storica di tutto questo materiale hanno fatto grande progresso per opera di E. Echeverría, B. Mitre, V. F. López, J. M. Estrada, J. B. Alberdi, D. F. Sarmiento, A. Saldías, J. V. González, J. M. Ramos Mejía, A. Alvarez, J. Ingenieros, C. O. Bunge. Ciò permette ora di rievocare con ricchezza di particolari quei lontani tempi, in cui la storia è spesso mescolata alla leggenda. Ma già da prima della fine del sec. XVIII in poi, mentre questo lavoro d'indagine si veniva gradualmente compiendo, la poesia stessa di questi antichi tempi era direttamente rinata, nello stesso spirito, nella stessa materia d'immaginazione, nello stesso stile, per merito dei gauchescos, poeti moderni, soprattutto del sec. XIX, che nelle loro opere rappresentarono la vita dei gauchos (creoli della campagna) e imitarono l'arte dei payadores (cantori popolari). Tipico di questo genere di poesia è Martín Fierro (1872-1878), di José Hernández, assai rapidamente assurto a importanza di poema nazionale (v. la traduzione italiana di F. Testena). Scritto nel castigliano rustico della pampa (alquanto diverso da quello dei contadini spagnoli), e in ottosillabi (come la poesia popolare spagnola), il poema rappresenta Martín Fierro, che, al suono della chitarra familiare ai payadores, narra la sua vita di gaucho alla frontiera del sud, dove visse tra gli ultimi indî e tra i soldati e i funzionarî del regime civile che si espandeva da Buenos Aires. Precursori di Hernández furono Bartolomé Hidalgo, che scrisse Cielitos e Diálogos, di tema patriottico sulla guerra dell'indipendenza (1810-1821), e Hilario Ascasubi, che compose le Trovas de Paulino Lucero, sulla guerra dell'organizzazione nazionale (1840-1852).
Il gaucho era stato dipinto in prosa già da Concolocorvo nel suo Lazarillo de Ciegos Caminantes e da Azara nei suoi viaggi, prima della emancipazione argentina; ma sono queste semplici cronache realistiche: il primo conato immaginativo in questo genere è stato probabilmente El amor de la estanciera, farsa di autore anonimo, rappresentata nell'epoca del vicereame. Soltanto con la guerra dell'indipendenza e la costituzione dello stato, il gaucho venne esaltato ad eroe della nuova democrazia e venne eretto, nella letteratura, a simbolo popolare.
Accanto a Martín Fierro, uno dei più celebri fra questi gauchos leggendarî, è Santos Vega, prototipo del payador, la cui vita fu cantata prima da Bartolomé Mitre in versi (1839), poi da Ascasubi (1851), più tardi da Rafael Obligado (1878), e alla fine passò anche al romanzo con Eduardo Gutiérrez e al teatro con Bayón Herrera. La leggenda riferisce che Santos Vega morì allorché fu vinto in tenzone lirica da un forastiero, Juan Sin Ropa (Giovanni senza veste), che per alcuni era il Diavolo ed è per altri il simbolo dell'immigrazione moderna.
Eduardo Gutiérrez, autore anche di un Martín Fierro in prosa, ha tratto un interessante romanzo dalla vita di Juan Moreira, e di altri gauchos sollevati contro la polizia rurale. E gauchos sono anche i personaggi di numerosi altri libri come il Facundo di Sarmiento. E ispirata infine alla tradizione dei gauchos, ai suoi paesaggi, ai suoi costumi, alle sue genti, alle sue arti, ai suoi miti, è anche un'abbondante produzione letteraria del tempo presente. Ma qui l'atmosfera civile ed estetica della poesia è già diversa: la vera poesia gauchesca è quella sopra ricordata: quella che ha le sue opere più rappresentative, per l'epica, nel Martín Fierro di Hernández, e per la lirica nel Santos Vega di Obligado: quella che, associando alla vena romantica dell'ispirazione un ingenuo e pittoresco realismo di particolari, e serbando nella composizione, nel ritmo, nello stile una linea di semplicità, riuscì a mantenere sempre uno schietto carattere di poesia primitiva, popolare.
4. I coloniali. - La letteratura scritta durante i tre secoli della colonia (XVI, XVII, XVIII), appartiene quasi tutta ad autori spagnoli, ma, poiché tratta la questione americana, trae dall'argomento un suo particolare carattere locale. Storicamente tali autori hanno importanza, perché sono i precursori della nazionalità che raggiungerà la sua maturazione politica nel sec. XIX: esteticamente invece il loro valore è molto scarso. La loro opera consiste per lo più in notiziarî linguistici, descrizioni naturali, relazioni geografiche, annali storici, ricordi autobiografici, cronache di avvenimenti contemporanei, atti capitolari e processi giudiziarî. Su questo materiale documentario, che ora possediamo in buone edizioni curate da studiosi competenti, furono condotte già in quel tempo più ampie narrazioni; e furono anche, in parte, già allora pubblicate, ma generalmente in Europa; poiché, sebbene la stampa fosse stata introdotta al Plata durante l'epoca coloniale, non si stamparono libri importanti prima dell'indipendenza. I principali fra questi libri sono dovuti a cronisti appartenenti a ordini religiosi, principalmente all'ordine dei gesuiti, come padre Techo, che scrisse la sua opera in latino (sec. XVI), e i suoi successori padre Lozano (sec. XVI), e padre Guevara (sec. XVIII). Altre notevoli descrizioni geografiche e narrazioni storiche sono quelle dei padri Maccioni, Dobrizhoffer, Falkner, Sánchez, Labrador, ecc.
Nel mondo laico iniziano la serie, nel sec. XVI, El Viaje di Schmidel, un bavarese che partecipò alla prima fondazione di Buenos Aires, da lui narrata; i Comentarios di Alvar Núñez; i Comentarios di Pedro Hernandez (Siviglia 1559), primo libro sull'Argentina stampato in Ispagna; e La Argentina di Ruiz Díaz de Guzmán (1612), prima opera importante scritta da un creolo, meticcio di spagnolo e indigena. Nella stessa epoca sono anche una composizione in versi di Luis de Miranda sulla distruzione della prima Buenos Aires da parte degl'Indiani, e La Argentina y conquista del Río de la Plata, dell'arcidiacono Barco Centenera, che imita in cattive ottave La Araucana di Ercilla. Il primo poeta lirico argentino nacque a Córdoba (1604), e lasciò un'opera intitolata Peregrino de Babilonia, di tema autobiografico, e numerose composizioni su tema religioso, nella maniera di Góngora. Il primo poeta drammatico fu Manuel Labardén (1754-1810), il già ricordato autore della tragedia pseudo-classica Siripo, rappresentata la prima volta nel primo teatro bonaerense, l'anno 1789, sotto il vicereame di Vertiz. Il romanzo non si coltivò in quest'epoca, perché le leggi spagnole lo proibivano.
5. I proscritti. - Un'espressione iniziale del sentimento patriottico si potrebbe scoprire fin dalla prima generazione creola nei versi di Tejeda e nella prosa di Ruiz Díaz de Guzmán; ma tale sentimento non si presenta con il suo carattere eroico fino al momento in cui furono composti i canti ispirati dalle invasioni inglesi e dalla vittoria che contro di esse riportò Buenos Aires (1806-1808). Più chiara ne fu l'affermazione dopo la rivoluzione di maggio (1810), all'inizio della guerra contro gli Spagnoli: tale generazione vide sorgere alcuni poeti: Luca, che scrisse il primo canto dell'emancipazione americana; López, che compose l'inno nazionale argentino (1813), e Varela, autore delle Odas sulle campagne liberatrici di San Martín. I principali tribuni e prosatori della rivoluzione furono Mariano Moreno, Bernardo Monteagudo e Gregorio Funes. Don José Ignacio de Gorriti, autore del libro Reflecciones, fu infine il primo che tentò di chiarire il problema sociale delle nuove repubbliche americane recentemente fondate; tuttavia, anche se lo fece con intenzione liberale e in buona prosa, le sue idee derivano ancora dalla filosofia dell'età precedente. Più libero nel suo atteggiamento e più realista nei suoi metodi, fu Esteban Echeverría, che, nel suo Dogma socialista (1837), impostò i grandi problemi argentini che divennero il programma della sua generazione. Tale generazione si trovò davanti al compito di combattere, prima, l'anarchia che seguì alle guerre dell'indipendenza, e poi la dittatura che sorse dall'anarchia. Espatriati in seguito al loro atteggiamento politico, gli scrittori di questo periodo (1839-1852) pubblicarono quasi tutte le loro opere in paesi vicini, nel Brasile, nell'Uruguay, nel Chile, nella Bolivia, dove avevano trovato rifugio. Perciò si chiamano "i proscritti". Ma la loro influenza fu grande. A loro l'Argentina deve il primo nucleo d'idee genuinamente nazionali. La loro posizione filosofica e letteraria nei confini dell'evoluzione argentina è analoga a quella della "Giovane Italia" e della "Nuova Germania" in Europa. La sociologia, la storia e il diritto argentini ebbero nella loro attività un nuovo fondamento. E quasi tutti furono, oltre che prosatori, poeti, e coltivarono la lirica, il teatro, il romanzo, preferendo, per le loro opere, argomenti americani. Appartengono a questa pleiade Sarmiento, Mitre, Alberdi, S. M. Gutiérrez, Mármol, V. F. López, tutti discepoli diretti o indiretti di Echeverría nella loro giovinezza, e continuatori della precedente generazione di patrioti nella formazione politica e culturale della democrazia argentina. A questi nomi si potrebbero aggiungere quelli del giureconsulto Vélez Sársfield, dell'economista Fragueiro, del moralista Zuviría e dei poeti Ascasubi ed Hernández già citati. L'evoluzione intellettuale dell'Argentina nel secolo XIX ha il suo pernio nella loro attività; e le date orientatrici di questo processo storico sono: 1810 (rivoluzione emancipatrice); 1837 (associazione di maggio); 1853 (costituzione democratica); 1880 (federalizzazione di Buenos Aires). Con quest'ultimo avvenimento si completa l'organizzazione dello stato e s'inizia un nuovo ciclo culturale.
6. I moderni. - La nuova epoca ha i suoi primi prodromi al tempo dell'organizzazione costituzionale (1853-1862), ma si precisa e si chiarisce soltanto dopo la federalizzazione di Buenos Aires (1880), in corrispondenza con la profonda rinnovazione di uomini e d'idee che avviene in seguito all'aumento dell'immigrazione europea e all'elevazione delle classi popolari. Le caratteristiche di quest'epoca furono l'individualismo, il cosmopolitismo, il liberalismo, il positivismo. Da una parte si effettuarono riforme d'indole economica e pedagogica, che indebolirono le tradizioni cattoliche e spagnole della vecchia Argentina, facilitando ogni genere di tentativi d' ordine intellettuale, principalmente sotto a suggestione di modelli stranieri. D'altra parte, quel che si perdette in coesione e in idealismo politico, si guadagnò in diffusione popolare della cultura e iniziative per organizzarla e raffinarla. Sono stati rinnovati i metodi della storiografia e dell'indagine letteraria. È stata riorganizzata, con funzioni nazionali, l'università di Buenos Aires. Sono state fondate, o riformate su più ampie basi, tutte le altre università, scuole, accademie, biblioteche, che oggi esistono nell'Argentina. È stato dato un potente impulso alla vita teatrale. Sono state costruite sale per concerti, esposizioni, conferenze; sono sorti periodici e giornali nuovi. E si son formati fiorenti centri editoriali. L'Esposizione del libro argentino, tenuta nel 1928 a Buenos Aires nel teatro Cervantes, ha dimostrato quali progressi in questo campo sono stati compiuti
Un momento essenziale in questo processo di rinnovamento dell'Argentina moderna è rappresentato dalla fondazione del gruppo Nosotros, costituitosi nel 1907, contemporaneamente a un'altro gruppo denominato Nexus, che svolse opera parallela nel campo delle arti figurative. La rivista Nosotros riuscì a raccogliere intorno a sé tutti i valori rimasti fino ad allora isolati e dispersi, e diventò la libera tribuna aperta a tutti coloro che avevano qualcosa di nuovo da dire. Ne assunse la direzione Roberto F. Giusti, italiano di nascita, letterato di buona cultura classica, scolaro di Francesco Capello, il noto umanista italiano dalla vita avventurosa, che così proficua opera svolse in Argentina. E intorno a lui si schierano, fra gli altri, Alfredo Bianchi, condirettore della rivista, Juan Mas y Pi, Nicolas Coronado, Alvaro Melián Lafinur, Arturo Lagorio, Julio Noé, Emilio Suarez Calimano. Un nuovo impulso fu dato alla critica, che, nonostante i buoni saggi di García Merou, di Pedro Goyena e del direttore della rivista La Biolioteca Pablo Groussac, mancava ancora generalmente di disciplina scientifica e di metodo. Un fecondo dibattito d'idee si aperse intorno a tutti i problemi interessanti la vita della repubblica, e si distinsero, accanto a José Ingenieros, pensatori e scrittori di varia tendenza ma di notevole valore come Agustín Alvárez, Carlos O. Bunge, Juan Agustín García, Carlos Ibarguren, autore di un bel libro su Manuelita Rosas, José Miguel Eizaguirre, José M. Ramos Mejia. Anche la critica d'arte ebbe esperti cultori in Amador, Aita, Pagano, Gutiérrez y Rojas Silveira. E il fervore delle discussioni continua tuttora, per opera di uomini di penetrante ingegno come Annibal Ponce, direttore della rivista Filosofía e José Gabriel autore del discusso studio La revindicacion del arte. Emerge su tutte le altre, dominante, la complessa figura di Riccardo Rojas, storico, esegeta, poeta, apostolo di latinità e al tempo stesso indagatore appassionato del folklore nazionale, dalla cui storica lettera, pubblicata in Nosotros, sui diritti della realtà e sulla necessità di un'emancipazione spirituale dall'Europa, ha tratto origine il vasto movimento odierno volto a "restaurare in tutte le manifestazioni della vita intellettuale un carattere nettamente argentino".
In questa nuova atmosfera ha trovato un potente stimolo anche la nuova letteratura.
7. Romanzo. - Grande sviluppo ha avuto il romanzo, sebbene nel paese mancasse di tradizioni. Fino all'indipendenza (1810) persistette infatti il "veto" posto dall'autorità: c'era il timore che gl'Indiani potessero scambiar per vere le false storie, o esserne indotti a ritenere opera di finzione anche i libri della legge e del dogma; e fu vietata persino l'introduzione del Don Quijote, il quale giunse bensì in America fin dalle prime stampe, ma di contrabbando, e poté esser letto solo clandestinamente. Al bisogno popolare di racconti provvedevano le narrazioni orali, generalmente di origine folkloristica. Solo fra il 1820 e il 1850 s'incominciò a leggere e a tradurre i romanzi europei; e contemporaneamente nacquero anche i primi romanzi di autori argentini: El matadero di Echeverría, la Esther di Cané, la Soledad di Mitre; ma anch'essi furono, per lo più, composti all'estero durante la proscrizione. Tentativi più vasti e notevoli furono, verso la metà del sec. XIX, l'Amalia di José Mármol, famoso romanzo politico che si svolge sotto la tirannia di Rosas, e i romanzi storici di Vicente Fidel López, intitolati La novia del hereje e La loca de la Guardia (opere alla maniera di Dumas). Un figlio di López (Lucio Vicente) seguì le orme del padre in questo stesso genere, tentando il romanzo di costumi nella Gran Aldea, descrizione umoristica della città di Buenos Aires prima del 1880. E narratore di temperamento vigoroso, ma di tecnica rudimentale come i precedenti, fu anche Eugenio Cambacères, autore del Silbido de un Vago, di Sin Rumbo e di En la Sangre (1880-1890), libri che, per le crude descrizioni realistiche alla maniera di Zola, ottennero in quel tempo un successo clamoroso. La crisi economica e politica del 1890 trovò il suo romanziere in Julián Martel (pseudonimo di José Miró), autore di La Bolsa; e in quel tempo conseguirono larga rinomanza anche due medici: Francisco Sicardi, con Libro Extraño, e Manuel Podestá con Irresponsable, Alma de niña e Daniel; ma il loro valore estetico non è grande. Di un certo rilievo per il sorgere di un vero romanzo argentino è invece l'opera di alcuni prosatori frammentisti che nel campo del romanzo fecero soltanto escursioni, ma ne prepararono l'avvento: ricordiamo fra di essi Lucio Mansilla, autore di Memorias, Rozas e d'una Excursión a los Indios Ranqueles; Santiago Estrada, autore di Viajes e Un Hogar en la Pampa; Miguel Cané, figlio dell'autore di Esther, autore egli stesso di Juvenilia, e di altre prose narrative; Eduardo Wilde, umorista originale, che, oltre varî libri di viaggi, compose relazioni autobiografiche (Aguas abajo) e racconti ammirevoli, come Trini e La Lluvia; José S. Alvárez (Fray Mocho), autore di Los Matreros, El Mar Austral, e Cuentos di sapore creolo; Bartolito Mitre, autore di Serias y Humoristicas; José María Cantilo, autore di La Familia de Quilango; Martín García Merou, autore di Ley Sociai e Perfiles; Juana Manuela Gorriti e Eduarda Mansilla de García. Col sec. XX giunse finalmente, per l'arte narrativa nell'Argentina, il periodo della grande fioritura. Le novelle Las Fuerzas extrañas di Lugones Borderland e La Eterna Angustia di Attilio Chiappori Pago Chico e El Casamiento de Laucha di Roberto Payró; le opere di Horacio Quiroga; i romanzi La Gloria di Don Ramiro e Zogoibi di Enrico Larreta, La Maestra Normal, e El Mal Metafísico di Manuel Gálvez, El Nieto de Juan Moreira di Roberto Payró, Flor de Durazno e Valle Negro di Martínez Zuviría (Hugo Wast), Don Segundo Sombra di Riccardo Güiraldes, sono, sia come espressioni di vita argentina, sia come creazioni artistiche, opere d'intrinseco alto valore, le quali possono sotto certi aspetti reggere il confronto con la contemporanea produzione europea. Fra i romanzieri della più recente generazione ricorderemo soltanto: Benito Lynch (gli Sparvieri della Florida sono già comparsi anche in traduzione italiana), Manuel Alvez, Arturo Mom, Guillermo Estrella, Enrique Gonzales Tuñon, E. M. S. Danero (Amor de Principe, La aventura negra), Victor Juan Guillot (El alma en el pozo, Historias sin importancia), Fausto Burgos, B. Gonzales Arrili, L. Barletta, Alvaro Yunque, L. Castelnuovo, Roberto Mariani, Hector Blomberg, suggestivo evocatore di porti lontani e della vita di bordo, Ernesto Morales (di cui già tradusse in italiano alcuni coloriti racconti G. Agenore Magno), Alberto Gerchunoff (Proezas de amor), Fernán F. de Amador, Iglesiao. Particolarmente efficace nell'analisi della vita degli ambienti cittadini è Felix Lima, e felici descrizioni della vita provinciale hanno dato Juan Carlos Dávalos e M. Ugarte. Il giusto tono del racconto per l'infanzia hanno trovato R. L. López, A. Lagorio (El traje maravilloso y otros cuentos a Chalito), Guzmán Saavedra. A. Cancela (El burro de Maruf, tres relatos porteños), E. Méndez Calzada, Roberto Gache (Paris Glosario Argentino) hanno scritto pagine di arguto umorismo.
8. Teatro. - Anche la storia della poesia drammatica presenta uno svolgimento analogo. Più che nelle già ricordate tragedie pseudoclassiche Siripo di Labardén (1781) e Dido e Argía di J. C. Varela (1821), i primi germi di un autonomo teatro argentino sono da ricercarsi nei balli con recitativi come il Pericón e il Cielo, e nelle tenzoni in versi note con il nome di payadas, che i gauchos eseguivano nei loro ranchos o nelle pulperías. Ma i germi stessi restarono lungo tempo senza sviluppo, sebbene gl'indici compaiano sulla scena nella tragedia del Labardén e la tragedia Molina (1823) di Manuel Belgrano (figlio del generale) sia composta su argomento incaico. Una più intensa vita penetrò nel teatro argentino, pur senza uno spiccato carattere nazionale, al tempo del romanticismo, con El Pacto e El Cruzado di Mármol, Don Tadeo e Muza di Cuenca, Lucía Miranda di Ortega, Atta-Gull di Mansilla, creando una corrente che si perpetuò sino alla fine del secolo. Contemporaneamente però anche le tendenze realistiche del sainete spagnolo (Cervantes, Lope, Don Ramón de la Cruz) si fecero strada in Argentina attraverso la rappresentazione di scene popolari e di tipi locali. E che pure l'antico repertorio gauchesco, d'altra parte, si sia poi sempre mantenuto vivo, possono dimostrarlo le commedie El Amor de la Estanciera (1780) e La Batalla de Maipú (1818), o il breve atto scenico Tupac Amarú. Alla sua maturità il teatro argentino giunse tra il 1880 e il 1900 con Gutiérrez, Podestá e Sánchez, e anche ai nostri giorni esso ha una vitalità straordinaria.
Durevole dominio sulle scene del teatro argentino hanno infatti conseguito, per esempio, le opere di Roberto Payró (Sobre las Ruinas, Marco Severi), Martín Coronado (Piedra de Escandlo e La Chacra de don Lorenzo), Gregorio de Laferrère (Jettatore, Loco de Verano, Los Invisibles, Las de Barranco, Bajo la Garra), Florencio Sánchez, Belisario Roldán, Iglesias Paz, ecc. E anche oggi la produzione teatrale è molto intensa e ricca di promesse per l'immediato avvenire.
9. Lirica. - Mentre la lirica di Tejeda, Labardén, Varela, López e Luca, pur col mutare dei tempi e degl'indirizzi letterarî era restata sostanzialmente ligia all'influenza del Rinascimento spagnolo, Echeverría segna, dopo il 1830, l'inizio dell'emancipazione della poesia americana: non soltanto egli introdusse infatti nella letteratura argentina i motivi della poesia romantica, ma li adattò al nuovo ambiente e alle nuove esigenze spirituali, destò la nuova coscienza artistica; e la sua importanza storica appare oggi assai grande. Maggiore popolarità raggiunse invece in quel tempo per la sua ispirazione veemente e la sua facile versificazione un altro poeta: Josè Mármol: le sue invettive contro Rosas sono byronianamente potenti. Anche Rivera Indarte, Bartolomé Mitre, apprezzato traduttore di Dante, e Juan María Gutiérrez coltivarono l'arte del verso; ma la loro opera in questo campo ha soprattutto importanza in quanto precorse e servì da esperienza formatrice ai poeti del periodo seguente: Carlos Guido y Spano, artista raffinato, nel quale si affacciano influenze elleniche sentite attraverso la letteratura francese; Riccardo Gutiérrez, nel quale si fondono i sentimenti cristiani e l'ispirazione romantica; Olegario Andrade, poeta troppo suggestionato da Victor Hugo, ma con grandi qualità proprie di fantasia, interprete eloquente del liberalismo argentino; Rafael Obligado, cantore che elaborò in strofe perfette i temi della musa popolare; e finalmente Pedro R. Palacios, noto con lo pseudonimo di Almafuerte, scrittore di scarsa cultura, ma dotato di un profondo sentimento umano. Le poesie di tutti questi autori sono state raccolte in volumi, e le migliori loro composizioni si possono leggere nelle antologie di Puig, di Romagosa e di Pagano. Rimatori di minor fama, ma la cui opera è degna di considerazione, furono anche Carlos Encina, Adán Quiroga, Gervasio Méndez, García Merou, Martín Coronado, Fernández Espíro.
Nell'epoca che segue e che tuttora continua, un nuovo indirizzo artistico venne a poco a poco prevalendo: quello del cosiddetto modernismo di cui è capo Rubén Darío. In Argentina esso ha trovato la sua maggiore espressione nell'opera vasta e multiforme di Leopoldo Lugones. Ma accanto al Lugones, molti altri poeti lirici delle ultime due generazioni (si vedano le antologie di M. Ugarte, di E. M. Barreda, di Morales e Quiroga, di J. Noé) sono degni di particolare rilievo, come Enrique Banchs, il qual raccolse le voci dei primitivi spagnoli; F. Félix de Amador che da una tendenza simbolista s'è volto a una poesia di pure ispirazioni cristiane (Vita abscondida, La Copa de David); Fernández Moreno, schietta tempra spagnola, realista (Intermedio provinciano, Campo argentino); Ricardo Gutiérrez, nipote dell'autore di Lazaro, poeta a sua volta mistico, pieno di lirica serenità (La ciudad en ruinas, La flecha en el vacio), Artulo Capdevila, romantico-biblico, il quale vanta pure buone opere di prosa e di teatro; Arturo Marasso; Edmondo Montagne; Rafael de Diego; Ezequiel Martínez Estrada. Poeti di tendenza classica sono invece Diego Fernández Espiro, Calixto Oyuela, Eduardo Talero, Leopoldo Daíz; e sono scomparsi, ancora giovanissimi, Evaristo Carliego, poeta della vita umile; Pedro Mario Delheye, crepuscolare; Juan P. Calon, meditativo ed amaro. Fra le più interessanti promesse per la poesia argentina sono ora José Pedroni, Luis L. Franco, Horacio Rega Molina, R. Gonzales Tunón, A. Bufano, F. López Merino, L. Marechal, A. Molinari.
Paese moderno, nel quale la donna largamente partecipa ad ogni forma di attività, l'Argentina ha avuto ed ha tuttora anche numerose poetesse: per es. Alfonsina Storni, Margherita Abella Caprile, Emilia Bertolé, María Carnelli, Alicia Domínguez, Raquel Adler.
Infine, mentre alcuni pochi, come A. Lagorio (Las tres respuestas), tentavano con lusinghieri risultati il poema in prosa, un folto gruppo di poeti ha continuato a cercare le sorgenti della propria ispirazione nel folklore nazionale, traendone composizioni liriche e soprattutto narrative ricche di colore, come Carlos Molina Maney (A punta de lanza), Ataliva Herrera (Las Vírgines del Sol), Martínez Paiva, e, fra i "nativisti" Miquel A. Camino (Chacayaleras, Chaquiras, Nuevas Chacayaleras) e R. Guijena Sánchez, il quale auspica il ritorno delle antiche coplas dell'Argentina settentrionale.
10. L'influenza italiana. - In confronto con l'influenza spagnola e, specialmente, francese, l'influenza della letteratura italiana è stata per molto tempo piuttosto scarsa. Ma negli ultimi anni va segnalato un più vivo e vasto interesse. Ricorderemo soltanto le fedeli e amorose traduzioni leopardiane di Calixto Oyuela, le postille al Leopardi e al Carducci del direttore di Nosotros Roberto F. Giusti, le versioni delle Odi barbare di B. Contreras, glì studî sul Rinascimento di Mariano A. Barrenechea, i saggi su Leopardi, Foscolo e Dante di A. Lagorio, i saggi su D'Annunzio di Victoria Ocampo e di Arturo Marasso, il bel libro di Homero Guglielmini su Pirandello. Carlos Ibarguren si è occupato con amore di Roma e della sua storia e Rafael F. Arrieta ha rievocato in Las hermanas tutelares le figure di Maria e di Giovanni Pascoli. Fervida opera per promuovere un più attivo scambio culturale fra l'Italia e l'Argentina hanno svolto, come traduttori e divulgatori, Folco Testena, G. Agenore Magno, L. Sorrentino.
Bibl.: R. Rojas, Historia de la literatura argentina, Buenos Aires 1927 e segg. (con ampie indicazioni bibliografiche). Per la letteratura contemporanea cfr. anche E. Suárez Calimano, Ensayos, Buenos Aires 1920.
Teatro.
La vita teatrale in Argentina incomincia a diventare intensa soltanto dall'organizzazione della Repubblica (1853) in poi. Prima la situazione economica e politica non aveva favorito le attività artistiche in genere, sebbene il popolo avesse mostrato di prediligere gli spettacoli scenici che servirono spesso ad accendere la passione civile nelle contese per l'indipendenza e per l'unità nazionale.
Le prime rappresentazioni teatrali, che rimontano probabilmente ai principi del sec. XVIII, si diedero tra le popolazioni guaranies nelle missioni fondate nel nord-ovest dalla Compagnia di Gesù, formanti un vasto impero patriarcale, nei cui centri di lavoro gl'Indiani apprendevano musica e letteratura insieme con i mestieri utili per la produzione. Anche nelle università di Córdoba e di Chuquisaca si diedero spettacoli allegorici e morali in occasione di grandi ricorrenze, ma di essi rimangono riferimenti poco precisi. Il primo spettacolo pubblico di cui si ha memoria a Buenos Aires, è quello delle feste per l'incoronamento di re Fernando VI di Spagna, durante le quali gl'Indiani delle missioni, portati appositamente da Yapeyú "cantarono con dolce proporzione di voci un'opera di misurata partitura che avevano appresa", e gli ufficiali della guarnigione rappresentarono in un palcoscenico improvvisato nel forte - residenza del viceré - le commedie Las armas de la hermosura e Efectos de odio y de amor di Calderón, nei giorni 15 e 16 novembre 1747. Gli attori erano dilettanti, ma indubbiamente alcuni di essi conoscevano, oltre la recitazione, la tecnica e il movimento di quelle commedie: le decorazioni e i materiali, la cui magnificenza è descritta dalla cronaca, si giustificano solo ammettendo la presenza di gente esperta di teatro.
Il successo di questi spettacoli fu tale e così vivamente ebbe eco tra il pubblico, che pochi giorni dopo "dodici persone di Spagna si riunivano e formavano compagnia per rappresentare altre due commedie": prescelsero Primero es la honra e La vida es sueño; e le eseguirono a spese di sei dei compagni in un magnifico palcoscenico, "la cui parte anteriore era composta di sette archi di drappi vistosi e parati di damasco cremisi, che servivano per le entrate ed uscite; la parte posteriore era fatta di tre archi ornati nello stesso modo, che lungo tutto lo scenario cadevano in svariati drappeggiamenti". Il cronista anonimo indica dove sorgesse la costruzione, ma la chiama "spazioso e magnifico teatro meritevole di esser considerato e lodato fra i migliori".
Non mancarono, da allora in poi, le compagnie di professionisti o dilettanti che davano spettacolo all'aria libera in steccati scoperti, secondo l'usanza spagnola, con uno scenario nel fondo e una galleria alta intorno. I documenti ufficiali non dànno tuttavia notizia di queste imprese, mentre regolano le corride dei tori, lo spettacolo nazionale che la Spagna diffuse nelle colonie e che perdura, oltre che nella Penisola Iberica, in alcuni dei suoi antichi possedimenti (Perù e Messico). Il repertorio dovette essere quello solito, abbondante e mediocre del sec. XVIII. Nella Biblioteca nazionale, fra le opere tratte dagli archivî di teatri più recenti, alcune se ne trovano, le quali appartennero evidentemente a compagnie che davano spettacoli all'aperto, nella seconda metà di quel secolo, non si sa né con quali mezzi né dove.
Bisogna giungere al vicereame di don Juan José de Vertiz (1778-1784) per trovare documenti della costruzione di un edificio permanente adibito a rappresentazioni drammatiche. Il famoso statista, cui la città coloniale deve molti dei suoi progressi, decise di fondare una Casa de Comedias sul tipo di quelle che nelle provincie spagnole davano in quei tempi rendite considerevoli all'erario. Concesse a don Francisco Velarde la sua costruzione, e destinò gli eventuali utili a opere di beneficenza, per richiamare la simpatia dell'elemento ecclesiastico. Volle che il teatro sorgesse in un terreno contiguo al mercato, detto La Ranchería, probabilmente perché occupato dai ranchos, le capanne di fango e legno dei mendicanti e degl'Indiani assoggettati. Il teatro di legno, col tetto di paglia, cominciò gli spettacoli nel 1778, probabilmente con una compagnia improvvisata da attori che si trovavano nella città. L'interno era molto semplice: numerose file di lunghe panche di pino formavano la platea; ai lati simulacri di palchi, uno dei quali più comodo e ornato per le autorità, e sull'alto del proscenio un cartello con la scritta: Ridendo corrigo mores. Il posto costava due reales, un real pagava la gente di colore.
Presso la società educata ai severi principî cattolici, la Casa de Comedias, così chiamata ufficialmente, non ottenne favore. Invano il viceré assegnò gli utili del teatro al sostenimento della Casa de Expósitos, ed invano egli stesso percorse le vie, seguito da servi con lanterne, per indurre il popolo ad assistere agli spettacoli, e fece collocare lampioni a candele ai canti delle case; le rappresentazioni decadevano per lo scarso favore delle classi abbienti, e l'impresario Velarde si lagnava della propria sorte e riduceva le offerte per la rinnovazione del contratto.
Il repertorio di lavori d'intreccio e drammi di cappa e spada che allora furoreggiava in Spagna, alternato con le farse abituali e canzonette, era in quel momento l'unico possibile. Ciò nonostante nel 1789, si rappresentò con un certo successo la tragedia Siripo dello scrittore argentino Manuel J. Labardén, e si replicò varie sere, ma presto fu dimenticata e sostituita da produzioni popolari, tra le quali si ricorda come sainete tipico El valiente y la fantasma, di autore autoctono anonimo.
La decadenza del teatro si accentuò maggiormente per la ripercussione economica della rivoluzione francese. Isolata come era per i regolamenti commerciali che ne reggevano gli scambî, la colonia non poté non risentire le conseguenze mondiali di quel movimento, e la crisi, la diminuzione di esportazioni legittime o di contrabbando ebbe ripercussioni gravi sopra il benessere pubblico.
Il teatro della Ranchería fu distrutto da un incendio il 16 agosto 1792. Buenos Aires non rimase tuttavia priva di rappresentazioni. Risulta, infatti, che nel 1797 fu data la commedia Lograr el mayor imperio por un feliz desengaño, di autore anonimo, e che dal 1794 al 1801 furono portati sulle scene varie volte El buen y el mol amigo, di Zabala y Zamora, El licenciado Vidriera, di Moreto, Luis Peres el gallego, di Calderón, ed altri lavori. Tali spettacoli si davano però in locali disadatti, incomodi e mal sicuri, e, nel 1803, per portare la capitale del vicereame all'altezza dei tempi, il cabildo affidò finalmente a una commissione il compito di far costruire, in un terreno governativo della piazza Maggiore, un grande teatro capace di tremila spettatori; d'altra parte i fratelli Tosi e Pedro Olaguer Feliú, persone cospicue, chiesero il permesso di edificare in un terreno di loro proprietà, di fronte alla chiesa de La Merced un teatro provvisorio. La costruzione del primo fu sospesa il 1806 a causa dell'invasione inglese, quando già era collocata l'impalcatura del tetto, e così rimase fino al 1855. Il secondo fu terminato rapidamente, e dal 1804 si hanno notizie di rappresentazioni date, su per giù col repertorio consueto, da compagnie composte di attori del luogo, nessuno dei quali giunse a rinomanza.
Il Coliseo provisorio, come si chiamò questo teatro, era un gran salone col tetto di embrici, il palcoscenico nel fondo e, dietro, gli altri locali accessorî; intorno erano gli ordini di palchi e la galleria per le signore, e in mezzo, nella platea, poche file di panche (lunetas) separate dallo spazio per gli spettatori in piedi mediante una ringhiera detta decolladero. In questo teatro, che dal 1804 al 1828 fu l'unico della città, si diedero gli spettacoli per festeggiare i trionfi delle armi nazionali nelle guerre dell'indipendenza e del Brasile. E anche il repertorio si rinnovò in questo tempo per l'influenza del movimento ideologico che agitava le coscienze; così si rappresentarono, tradotte, opere di Goldoni (La serva padrona), di Voltaire (Rome sauvée), di Kotzebue; e quando scoppiò il moto popolare dell'emancipazione nel 1810, il teatro seguì le correnti nuove con produzioni che infiammavano il patriottismo, denunciando le ingiustizie degli oppressori.
Mal costruito e dotato di assai scarso materiale, il Coliseo provisorio fu restaurato varie volte, e la polizia, che sotto i governi effimeri dell'indipendenza aveva funzioni municipali, finì con appropriarsi del teatro e sfruttarlo per conto proprio. Dal 1810 al 1817, la scena argentina non progredì, l'attenzione del pubblico essendo tutta assorbita dalla politica. Nel 1817 il "direttore supremo" Don Juan Martín de Pueyrredón fondò, tra le persone più autorevoli della città, la Sociedad del buen gusto del teatro per dare incremento alle rappresentazioni, e sotto il patrocinio della nuova istituzione, rinnovato il materiale e riformato ancora una volta il Coliseo, ripresero vita le manifestazioni artistiche. L'attore, autore e traduttore peruviano don Luis Ambrosio Moranti cooperò a questa ripresa che segnò l'inizio del trionfo della prima attrice nazionale Trinidad Guevara, del più tardi famoso Juan Aurelio Casacuberta, e della bellissima Matilde Díez.Il repertorio si arricchì: Corneille, Racine, Alfieri, Shakespeare, Schiller, Molière si aggiunsero agli autori di lingua castigliana, e dal 1817 al 1825 il teatro svolse considerevole attività, dando anche in prima rappresentazione varie opere di autori argentini, come S. Wilde, Morante, F. Varela, ecc.
La stessa società diede pure incremento alla vita musicale, costituendo un'orchestra e organizzando audizioni dirette dal maestro Giovanni A. Picazzarri, con arie e pezzi d'opera. Nel 1825, infine, si poté rappresentare, integralmente il Barbiere di Siviglia, cui seguirono a poco a poco, negli anni seguenti, L'Inganno Felice, Cenerentola, L'Italiana in Algeri, Otello, Tancredi, dello stesso Rossini, Giulietta e Romeo di Zingarelli, La Vestale di Pucitta.
La guerra col Brasile, l'anarchia interna, la tirannia fecero poi sparire quasi completamente il teatro, e dal 1830 al 1838, appena si ricordano a Buenos Aires spettacoli isolati e di varietà, misti di canto, pantomima, ballo, esercizî di magia e illusionismo, alternati a brevi stagioni drammatiche dei rinomati attori Casacuberta, Matilde Díez e Manuelita Funes. Tanta decadenza si attribuì alla deficienza del locale, che per di più il proprietario manteneva in pessimo stato, e apparvero così diversi progetti di costruzioni. Alcuni attori costituitisi in cooperativa, indussero un capitalista a costruire un nuovo teatro in via Victoria, che s'inaugurò nel 1838. Anche il Coliseo della piazza principale, assunto il nome di Argentino, tentò una ripresa, in quanto il suo proprietario si decise a intensificarne l'attività con una compagnia diretta da Casacuberta; ma gli avvenimenti politici, il blocco delle squadre francese e britannica, la guerra civile del nord, i dissensi tra unitarî e federali, disorganizzarono talmente le compagnie e portarono tanto panico nella società argentina, che i teatri ebbero una vita precaria, sostenuti solo dalle pantomime, dalle danze e da alcune opere (vi si distinsero artisti italiani come Nina Barbieri, i fratelli Tani, il baritono Vaccani, la soprano Luisa Pretti, ecc.).
Alla caduta del governo dispotico di Rosas, la stabilità e l'ordine nelle classi dirigenti favorirono lo sviluppo economico ed il progresso della città. L'antico teatro, che si era cominciato a costruire nel 1804 ed era rimasto poi abbandonato, fu completato sui piani dell'ing. Carlos E. Pellegrini, decorato dai pittori Cheronetti, Verazzi e Georgi, dotato degli ultimi ritrovati scenici, e affidato dall'impresa costruttrice - col nome di Teatro Colón - all'impresario italiano Lorini. S'inaugurò solennemente il 25 aprile 1857, con la Traviata di Verdi, cantata dalla soprano Vera Lorini, dal tenore Tamberlik, e dalla contralto Cassaloni. Era per quei tempi una sala magnifica, con dodici metri di boccascena, ampia platea con sedie numerate, tre ordini di palchi, galleria per signore e loggione. Sulle scene passarono i maggiori cantanti del mondo intero. Gl'impresarî Pezzi, Pestalardo e Ferrari, organizzarono le compagnie del Colón dal 1860 al 1889, con artisti come Tamberlik, Mirate, Gayarre, Masini, Tamagno, Stagno, Kaschman, Battistini, la Vera Lorini, la Borghi-Manno, la Scalchi-Lolli, la Theodorini, la Stahl, la Colonnese, ecc.
Proprio in quel tempo sorsero i teatri del Buen Orden, della Federación, del Parque Argentino, del Porvenir, il Jardín de la Esmeralda, la Florida, El Alcázar, El Recreo, tutti poi scomparsi. Poco dopo (1873) si costruì in un terreno tra le vie Esmeralda e Corrientes il teatro Variedades, che si chiamò poi Ba-ta-clan, e, ricostruito nel 1890, prese infine il nome, che conserva, di Odeón: piccola elegantissima sala, molto adatta come scena di prosa. Nel 1871 un impresario italiano, Antonio Pestalardo, costruì il Teatro de la Ópera, che, riformato nel 1881, divenne tra il 1890 e il 1908 la scena lirica più importante di Buenos Aires: vi ebbe principio la celebrità di Caruso. Il teatro Politeama, che era un circo equestre, fu adibito a spettacoli scenici nel 1879, e fra le sue quinte sfilarono i più celebri attori drammatici e cantanti (la Patti, Tamagno, Stagno, la Barrientos, Pacini, la Duse, la Bernhardt, Novelli, Zacconi), importati dai famosi impresarî Cesare Ciacchi e Leopoldo Bernabei. Il teatro San Martín (prima detto La gaieté e, in seguito, Skating-ring) fu costruito dagl'impresarî italiani Ghiglione e si inaugurò nel 1887.
Il Casino sorse per opera dell'impresario francese M. J. Forlet, attore venuto con Coquelin all'antico Alcázar; e fu da lui dedicato al genere di varietà col nome di Folies-Forlet. Nel 1880 si edificò il Teatro Nacional in via Florida, che accolse Giacinta Pezzana, Rafael Calvo, Leopoldo Buron, Eva Tetrazzini, Maria Tubau, Leopoldo Fregoli, Tina di Lorenzo, ecc. L'edificio fu distrutto da un incendio nel 1895. Il Pasatempo, costruito da M. Forlet in via Paraná, fu per lungo tempo il caffè-concerto elegante. Nell'angolo delle vie Victoria e Uruguay un ricco amatore costruì il Teatro Onrubia, oggi Victoria, nel quale recitò Ferruccio Garavaglia. Si chiamarono Nacional anche un teatro di via Santa Fe, e un altro che ha sede in via Corrientes. Il grande sviluppo della città negli ultimi anni, ha moltiplicato le sale di spettacoli a tal punto che si possono citare solo i nomi dei teatri Nuevo, General Belgrano, Splendid, Comedia, Marconi (antico Doria), Smart, Argentino (antico Zarzuela), Maipo, Florida, Pueyrredón, Solís, De Verano, Cómico, Apolo, Ateneo, Liceo (antico Rivadavia), senza contare quelli adibiti ad uso di cinematografo.
Passato l'edificio dell'antico teatro Colón ad altro uso nel 1889, l'impresario Ferrari ottenne la concessione municipale per costruire il Colón nuovo di fronte alla piazza Lavalle; ma le difficoltà finanziarie, in cui egli venne a trovarsi, fecero sì che il Municipio ne assumesse direttamente la costruzione sui piani dell'architetto italiano F. Meano; e la solenne inaugurazione ebbe luogo nel 1908. Il Colón è uno dei più importanti teatri del mondo, non solo per la sua magnificenza e per i mezzi di cui dispone, ma perché le stagioni liriche ufficiali che vi si svolgono, sono vigilate e dirette da una giunta amministrativa comunale la quale ha il compito di tenere elevato il livello artistico degli spettacoli. Per le sue scene son passati i più famosi attori di questi ultimi anni: le imprese Ciacchi Longinotti, De Rosa, Mocchi, Bonetti e Scotto vi hanno fatto venire compagnie, che si costituiscono solo per i grandi teatri.
L'eminente attrice spagnola María Guerrero, direttrice della Compagnia del Teatro Spagnolo di Madrid, e suo marito Don Fernando Díaz de Mendoza, visitavano regolarmente quasi tutti gli anni Buenos Aires, compiendo stagioni nel teatro Odeón. Nel 1912 i due artisti decisero di costruirsi un teatro speciale, e con i fondi forniti dalle banche e da capitalisti argentini edificarono il teatro Cervantes, bell'edificio di stile barocco, su progetto dell'ing. Aranda. Il rendimento del Cervantes non fu però per molti anni sufficiente al pagamento degl'interessi e delle somme d'ammortamento; e i creditori liquidarono le loro posizioni, consegnando l'immobile allo stato che lo tiene a disposizione del Conservatorio di musica e declamazione. Per iniziativa della signora Regina Pacini de Alvear è stata fondata la Casa del teatro, ricovero degli artisti e allo stesso tempo sede della Società degli autori, artisti ed impresarî.
Tra gli attori argentini che hanno acquistato rinomanza (molti di essi sono d'origine italiana), sono da ricordare: la famiglia Podestà iniziatrice del Teatro Nacional, i Petrai, Pagano, Parravicini, Battaglia, Rico, Ratti, Casaux, Quiroga, De Rosas, Rivera, Muiño, ecc. Tra i cantanti argentini di certa fama si noverano Juana Capello, Hina Spani, Luisa Bertana, Folco Bottaro, Marcelo Urízar, ecc.
Non v'è città importante dell'interno che sia priva di teatro, e le compagnie straniere (specialmente le italiane di Niccodemi, Falconi, Pirandello, Melato) vi hanno spesso compiuto giri fortunati.
Bibl.: Mariano G. Bosch, Historia del teatro en Buenos Aires, Buenos Aires 1910; id., Teatro antiguo de Buenos Aires, Buenos Aires 1904; id., Historia de la Opera en Buenos Aires, Buenos Aires 1905; Ricardo Rojas, Literatura argentina, Buenos Aires 1917; Juan Pablo Echagüe, Puntos de vista, Buenos Aires 1917; id., Una época del teatro argentino, Buenos Aires 1926; A. Taullar, Nuestro antiguo Buenos Aires, Buenos Aires 1927.
Arti figurative.
Architettura. - L'arte moderna degli Argentini non derivò alcun motivo dalle tradizioni indigene. Le sponde del Mar dolce, tappa obbligata per raggiungere i favolosi tesori intraveduti in un'atmosfera prodigiosa, nessuna forma d'architettura - sia pur rudimentale - offrivano all'avido conquistatore. Quando i colonizzatori seguaci di don Pedro de Mendoza posero piede sulla terraferma e, correggendo il declivio del burrone che dominava il Riachuelo dove ancorarono i loro vascelli, si soffermarono sull'altipiano, davanti ai loro occhi estasiati si presentò un'immensa pianura deserta, cosicché dovettero allestire ogni cosa per stabilirvi l'effimera sede della primitiva Buenos Aires. Il materiale da costruzione non abbondava, e furono usati terra e tronchi di ñandubay per la cinta difensiva, terra, tronchi, rami d'alberi e giunco, per le poche capanne costituenti il nucleo della futura città. Abitazioni, edifici destinati al culto, "casa forte" per il governatore, furono di un unico tipo e non differirono che nelle dimensioni. Codeste casupole servirono prima di modello al rancho argentino, poi alla primitiva casa coloniale. Quando l'11 giugno del 1580 don Juan de Garay fondò per la seconda volta la città di Buenos Aires, nella regione del Río de la Plata l'uso del mattone, della tegola e della calce parve ancora un progresso così audace da essere ritenuto inattuabile. Le case dei nuovi fondatori, come le prime, avevano pareti di terra, e tetti a due spioventi coperti di paglia. Quasi tutte mancavano di finestre o ne possedevano una soltanto; erano a pianta rettangolare, d'un solo piano e non superavano la modesta altezza di sei varas (poco più di cinque metri).
Con l'uso del mattone e delle tegole curve si comincia a modificare la struttura edilizia e la casa prende un nuovo e diverso aspetto. È più ampia, più solida e si modella sul tipo della casa spagnola. Anche la facciata cambia, sviluppandosi secondo norme la cui uniformità è solo eccezionalmente interrotta. Le più caratteristiche hanno, a destra e a sinistra della porta, finestre che sovente giungono fino a terra, difese da inferriate semplicissime. Altre volte la sezione centrale oltrepassa in altezza il resto dell'edificio e termina con un coronamento orizzontale o curvo, più spesso tripartito, poggiante su colonne semplici o doppie, come nella dogana di Buenos Aires. Può anche avvenire che questa soprelevazione non poggi su colonne o pilastri, ma nasca dal livello dell'architrave, come nell'ingresso della Ranchería di S. Catalina in Córdoba. Codesta sezione centrale, che forma l'ornamento maggiore della casa coloniale spagnola, è decorata con i motivi più varî; difficilmente mancano i rosoni e un finale, costituito da sfere o da coni, lisci o a gradinata. L'edificio civile più importante nella colonia fu il Cabildo costruito in Buenos Aires nel 1711. Può citarsi come modello della costruzione con portico adottata in seguito nelle provincie del nord. Consta d'un pianterreno e d'un piano superiore, ha una torre centrale e il suo tetto è coperto di tegole. Ciò che oggi sussiste del Cabildo non evoca neppur lontanamente l'edificio che vide riuniti i propugnatori dell'emancipazione argentina.
Quando, perfezionandosi, la casa coloniale amplia il suo sviluppo, si allaccia alla tradizione di Roma, sia perché non poche furono le regioni romanizzate nel litorale spagnolo, sia perché, poco dopo l'inizio della seconda metà del sec. XVIII, Buenos Aires comincia a perdere la fisionomia di città coloniale per impulso, più che di architetti, di semplici costruttori italiani. Agli elementi dello stile coloniale succedono allora motivi tratti dagli stili classici, il dorico, lo ionico, il corinzio, il composito. Sorprende invero l'analogia fra l'interno di queste case e quello delle pompeiane; ancor oggi abbondano le costruzioni in cui sono evidenti queste analogie che non si limitano alle gallerie del primo cortile sostenute da colonne dipinte in rosso, lisce nella parte inferiore e scanalate in quella superiore, alle piante e agli alzati; fino ad un'epoca relativamente recente, erano pompeiane le pitture che decoravano l'entrata - fauces - di tutte le case signorili.
La comune abitazione "che serviva per tutto e per tutti" andò successivamente aumentando i propri vani, fino ad avvicinare la sua distribuzione alla pianta romana. Oggi a Buenos Aires, la casa coloniale con tetto di tegole non esiste più in nessuna delle sue trasformazioni. Esse si trovano invece, e assai caratteristiche, in parecchie città di provincia, per es. a Córdoba e a Salta, dove alcune conservano ancora una singolare attrattiva.
Poco dopo la metà del sec. XVIII il tetto di tegole si mutò nella terrazza o azotea, il cui uso divenne comune dopo il 1800. Il Sarmiento vede in codesta trasformazione l'effetto del sostituirsi della popolazione andalusa a quella biscaglina, e in vero la nuova architettura a terrazze con le finestre difese dalle inferriate curve e sporgenti, dava alla nascente metropoli un aspetto di città andalusa, sorridente e fragrante sotto il chiaro cielo che vedeva fiorire il gelsomino e l'arancio. Così in Buenos Aires l'edificio coloniale con tetto di tegole, presto trasformato, non raggiunse la varietà decorativa che toccò in alcune provincie, e la più ricca e decorata delle case della capitale non poteva paragonarsi con alcune di quelle di Salta. Si direbbe che la città avesse premura di sostituire con nuovi stili l'architettura rurale della colonia. Sebbene già nel primo decennio del sec. XIX vi fossero in Buenos Ayres case a due piani, come quelle di via Perù 469 e di Balcarce, la prima casa a due piani edificata secondo norme veramente architettoniche fu costruita da un italiano in via Florida nel 1830 e fu oggetto d'ammirazione generale. Quando poi apparve la casa a tre piani e accennò a diffondersi, una disposizione municipale trattenne questi che allora apparvero eccessi, vietando di innalzare muraglie più alte della larghezza delle strade. Dal 1880 si diffondono le case a tre piani in cui predominano i motivi del Rinascimento italiano, poi a poco a poco si costruirono edifici di proporzioni monumentali, sormontati spesso da tetti a mansarde per l'opera diretta o per l'influenza esercitata sul gusto del pubblico da architetti francesi e tedeschi. Gli stili più varî si avvicendano in codeste fabbriche, dal gotico a quello Luigi XV, fino a che, anche in architettura, fa capolino l'arte di avanguardia. Fra tanta molteplicità di forme e di tendenze, oggi il fervore nazionalistico aspira a dare espressione a uno stile proprio, fondato su elementi ispano-americani.
L'architettura religiosa s'inizia quasi allo stesso tempo della civile. Infatti, poco dopo la seconda fondazione di Buenos Aires, dove oggi sorge la Cattedrale, si costruì la prima chiesa con le pareti di terra e il soffitto di paglia. Essa subì varie trasformazioni sino all'anno 1753, in cui, non rimanendone che un ammasso di rovine, l'architetto Rocha la ricostruì dalle fondamenta. Nel 1822 l'ingegnere francese Prospero Catelin ne modificò la facciata, dandole la forma attuale. La Cattedrale - che ebbe tetto di tegole e due torri - è oggi un tempio di stile corinzio. Fra le chiese che cominciarono a sorgere sugli albori del secolo XVIII, meritano d'essere ricordate San Francesco, San Domenico, San Telmo, La Mercede, El Pilar, le Catalinas, San Giovanni, costruite da padri gesuiti che naturalmente vi impressero le caratteristiche dell'ordine. Più di tutti contribuirono al progresso dell'architettura in quell'epoca gl'italiani Giambattista Primoli e Andrea Bianchi, che generalmente si ricordano insieme, sebbene l'opera artistica compiuta dal Bianchi sia di maggior rilievo. Sono sue le chiese di San Francesco, San Telmo, El Pilar, La Mercede e il primo convento delle Catalinas. È altresì noto il suo decisivo intervento nella costruzione della magnifica cattedrale della città di Córdoba. Per ciò che riguarda la chiesa e il convento di S. Ignazio, sino a poco tempo fa attribuiti a Giambattista Primoli, possiamo oggi affermare che autore dei piani e primo direttore dei lavori fu il gesuita Giovanni Kraus. Ma poiché il Kraus morì nel 1714, a soli quattro anni di distanza dall'inizio della costruzione di S. Ignazio, i cui lavori si protrassero per altri venti anni, se ne deve dedurre che ben poco si fosse fatto quando la direzione fu assunta da Giambattista Primoli, al quale fu perciò attribuita la paternità dell'esecuzione.
Fra i più importanti edifici pubblici della metropoli, che nell'aspetto esteriore riflette il suo carattere cosmopolita, si devono ricordare il palazzo del Congresso nazionale (Parlamento), grandioso edifizio di stile classico e il teatro Colón, ambedue opere dell'architetto italiano Vittorio Meano.
Vastissime sono anche la Scuola di medicina e l'annessa morgue, costruite da un altro italiano, l'architetto Gino Aloisi, al quale la capitale e altre città della repubblica sono debitrici di importanti edifizî. Artista d'istintivo buon gusto, nei suoi molteplici lavori l'Aloisi adottò i principî classici, mettendo peraltro sempre in evidenza la sua spiccata originalità.
Fra i primi artisti giunti in Argentina merita ricordo Carlo Enrico Pellegrini, le cui opere principali sono l'antico teatro Colón, trasformato più tardi, e l'attuale sede del Banco della Nazione. Si può dire che in edifici monumentali abbiano trovato sede tutte le principali istituzioni bancarie della Repubblica; dall'antico Banco della Provincia al recentissimo Banco di Boston, che meritò il premio del municipio di Buenos Aires. Tra gli architetti italiani più valenti vanno annoverati Nicolò Canale e suo figlio Giuseppe, a cui si devono parecchie opere significative, tra cui la Chiesa di Belgrano e il Tempio della Pietà. Quest'ultimo fu condotto a termine da un altro Italiano, Giovanni Antonio Buschiazzo, il cui nome va legato a molti notevoli edifizî argentini. L'ingegnere Maillard progettò il Palazzo di giustizia severo, massiccio, coronato, dopo la morte del suo autore, di un tetto a mansarde poco in accordo con la facciata.
I piani della Facoltà di diritto e di filosofia e lettere appartengono ad Arturo Prins di Montevideo e a Martino Noel, argentino. La Facoltà di diritto, i cui lavori volgono alla fine, è un'opera grandiosa, costruita in stile gotico per volontà del Comitato direttivo, che intese così di ricollegare la facoltà con le università medievali. Martino Noel invece tenta di fondere l'attualità argentina con la tradizione ispano-americana. A questo intento s'ispirano anche le altre sue opere, quali il padiglione dell'Argentina all'esposizione di Siviglia (1929) e il palazzo dell'ambasciata argentina nel Perù.
Fra le costruzioni d'architettura civile si deve menzionare la grandiosa stazione della Compagnia ferroviaria centrale argentina.
I primi argentini diplomati architetti sono Ernesto Bunge, Carlo Altjet e Gioacchino M. Belgrano. I primi due procedono da Berlino, l'ultimo da Parigi. Al persistente influsso italiano si aggiungono così il germanico e il francese, e l'architettura in questa guisa riceve orientamenti e impulsi nuovi. L'attività di Ernesto Bunge è abbondante e varia. Fra le sue fabbriche più ragguardevoli citiamo la cappella di Santa Felicita. Meno copiosa è stata l'opera di Gioacchino M. Belgrano, ispirata a un eclettismo d'origine francese. Fra le sue opere principali è la chiesa di Santa Lucia.
Sino al 1901 gli argentini dovevano compiere in Europa i loro studî di architettura, impartendosi nel paese un insegnamento elementarissimo.
Pittura. - Nella pittura è necessario giungere a Pietro Prilidiano Pueyrredón (1823-1871) per assistere all'avvento di un artista nazionale di qualche interesse. Ciò che precedette l'opera sua fu importato o prodotto nel paese da artisti stranieri.
Non avevano infatti tardato a giungere alla nascente colonia quadri più o meno buoni. Ce lo dicono i viaggiatori che la visitarono, come Azcárate du Biscay, il quale osserva che gli abitanti più notevoli ornano le loro case con dipinti e altri abbellimenti, e il capitano Giuseppe Andrew, che nel 1825 vide nella casa di don Emanuele De Sarratea "molti quadri eccellenti". Furono anche importate ragguardevoli pitture di soggetto religioso, destinate alle chiese, dove esistono anche buone copie di opere classiche. Come antecedente pittorico, deve pure ricordarsi l'iconografia dei dignitarî coloniali, conservata nel Museo storico. Ma l'impulso maggiore all'educazione artistica locale si deve senza dubbio a quegli europei che la stimolarono, sviluppando in Argentina la loro attività artistica.
Anche in questo campo si afferma, prima di ogni altra, l'azione dell'Italia. Nel 1806 gl'Italiani residenti in Buenos Aires non ammontavano a cento; la popolazione della città era di quarantamila abitanti o poco più. Due anni dopo non doveva essere molto maggiore la colonia italiana della metropoli e in essa figuravano già due pittori. Quando Carlo IV abdicò al trono di Spagna a favore del principe delle Asturie e il vicereame si apprestava al giuramento a Fernando VII in Buenos Ayres, si chiamò per eseguire d'urgenza il ritratto del nuovo monarca "il migliore pittore dell'epoca" residente in Argentina, l'italiano Angelo Campognaschi. Un altro artista italiano, Edoardo Cerruti, fu incaricato di conservare il ricordo dell'ornamento e dell'illuminazione della facciata del consolato, che parvero splendidi sopra tutti gli altri. Non tardarono ad arrivare da varie provenienze numerosissimi pittori, incisori e miniatori, fra i quali primeggiavano l'inglese E. F. Vidal, l'italiano Carlo Enrico Pellegrini e in seguito il francese Raimondo Monvoisin e l'italiano Ignazio Manzoni.
L'esempio dell'Europa è, insomma, predominante e costante. Esso non manca in nessuna delle tre fasi storiche che definiscono l'evoluzione politica argentina: la dominazione spagnola, l'emancipazione argentina e l'organizzazione nazionale.
Il quadro della storia artistica argentina è pertanto abbastanza ridotto se escludiamo le quattro ultime decadi. Durante il primo quarto del secolo emancipatore, quasi non v'ha vestigia di arte locale; nei cinquant'anni posteriori nessun argentino influì sui suoi contemporanei. Da Pietro Pridiliano Pueyrredón a Mariano Agrelo (1836-1891), si evocano nomi, si ricordano opere, frequentemente meglio ideate che eseguite, ma la loro azione non modifica l'ambiente. Il primo nucleo nazionale, lo inizia Edoardo Sivori (1847-1918) e giunge fino a Ernesto de la Cárcova (1867-1927). Comprende Angelo della Valle (1852-1903), Rinaldo Giudici (1853-1921), Graziano Medilaharzu (1857-1893), Augusto Ballerini (1857-1902), Edoardo Schiaffino (1858), Severo Rodríguez Etchart (1865-1903) ed Emilio Caraffa (1865). Citiamo in ordine cronologico codesti nomi che definiscono il momento che possiamo chiamare di transizione. Tuttavia entro quel periodo esistono gerarchie. Fra un de la Cárcova e un Ballerini v'è non poca distanza. De la Cárcova sembra già di altra epoca, lo agita altra sensibilità, non soltanto per la sua visione, in certo modo innovatrice, ma anche, e soprattutto, per le doti istintive di pittore che erano in lui. Se non altro il suo quadro più riuscito, Senza il pane e senza lavoro obbedisce a uno stato d'animo collettivo. Quando l'autore lo dipinse esisteva in Europa un'"arte sociale", e de la Cárcova, che risiedeva allora in Italia, sperimentò l'influenza del momento, oggettivandola nella sua massima tela.
Più che nei quadri di costumi campestri, l'attività di Angelo Della Valle appare apprezzabile nei ritratti. Insieme con Rinaldo Giudici, il Della Valle fu durante molti anni il solo maestro della Sociedad Estímulo de Bellas Artes, allora unico centro di educazione artistica del paese. Spiragli di modernità trapelano dall'opera di Edoardo Sivori, non insensibile, come tutti gli artisti della seconda metà del secolo scorso, alle preoccupazioni del problema atmosferico, ma troppo attempato, quando le affrontò, per riuscire a rinnovarsi. Per modificare sostanzialmente le condizioni dell'arte argentina, fu necessaria una generazione; e si deve osservare che collaborarono a questo mutamento uomini più prossimi al gruppo che abbiamo chiamato di transizione, che non a quello dei giovani. Tale, Martino A. Malharro (1868-1911), propugnatore dell'impressionismo. Ma è necessario evocare le esposizioni del Nexus (1907-1908) per sapere come e quando s'inizia in Buenos Aires la pittura del plein-air. L'ispiratore del Nexus fu Pio Collivadino (1869), artista di colto spirito giovanile e pronto. Intorno a lui si aggrupparono nelle esposizioni del Nexus, fra altri, Ferdinando Fader, Cesáreo Bernaldo de Quiros, Carlo P. Ripamonte e Alberto Rossi. A partire da questo momento, l'arte argentina, con brusco mutamento entra nel cammino delle sue migliori affermazioni. In poco più di vent'anni la vita nazionale si trasforma, l'aspetto della città si modifica profondamente, le abitudini cambiano, le idee si evolvono, le arti plastiche si formano. Il 25 dicembre del 1896, s'inaugura il Museo nazionale e nel 1905 si nazionalizza l'Accademia di belle arti, divisa in seguito in Scuola superiore di belle arti e in Scuola di arte decorativa. Un anno dopo si creano borse di studio e di perfezionamento in Europa, per la scultura, la pittura, la musica e l'architettura. Nel 1911 s'istituisce il Salone nazionale e sorge tosto la Società di acquarellisti, pastellisti e acquafortisti (1915). Si diffonde l'esempio anche nell'interno della Repubblica. In Rosario di Santa Fe, s'istituisce il Salone d'autunno e si fonda il Museo municipale; musei di belle arti si creano anche in Córdoba, La Plata, Tucumán, Santa Fe, Mendoza e Paraná.
Più numeroso e omogeneo è il nucleo di pittori sorto dopo lo scioglimento del Nexus: Giorgio Bermúdez, Alfredo Guido, Italo Botti, Luigi Tessandori, Antonio Pedone, Lino E. Spilimbergo, Francesco Vidal, Giorgio Larco, Augusto Marteau, Emanuele Musto, Michele C. Victorica, Lorenzo Gigli, Francesco Bernareggi, Valentino Thibón de Libian, Alfredo Gramajo Gutiérrez, Tito Cittadini, Américo Panozzi, Antonio Alice, Ottavio Pinto, Luigi Cordiviola, Angelo Vena, Gregorio Lopez Naguil, Benedetto Quinquela Martín, Giorgio Soto Acebal, Giuseppe Antonio Terry, Ettore Nava, fra Guglielmo Butler, Zeffirino Carnaccini, Walter de Navazio, Cupertino del Campo, Emilio Centurión ed altri.
Se a questi nomi si aggiungono quelli di Orazio Butler, Achille Badi, Giovanni B. Tapia, Antonio Berni, Ettore Basaldúa ed Emilio Pettoruti, vediamo apparire nella pittura locale le tendenze rinnovatrici che susseguirono la crociata impressionista, dal Cezannismo al futurismo, a confermare che l'evoluzione artistica in Argentina prende le mosse dall'Europa e che i suoi rappresentanti furono di volta in volta neoclassici, romantici, naturalisti, impressionisti, così come sono ora gli "estremisti" dell'"arte vivente" e della "pittura pura".
Scultura. - Lo sviluppo della scultura è stato in Argentina più breve e più rapido. Se prescindiamo dall'opera impersonale e anonima propria degl'indigeni delle missioni gesuitiche (o ad essi attribuita), i nativi iniziarono tardivamente nel territorio la loro attività di pionieri. Due soli nomi riassumono la scultura nazionale sino all'ultimo quarto del sec. XIX: Lucio Correa Morales e Francesco Cafferata, due artisti d'educazione europea, o, in modo più concreto, fiorentina, essendo il primo uscito dalla scuola del Lucchesi, il secondo da quella del Passaglia. Le sculture di carattere religioso eseguite in legno e quelle di carattere decorativo che procedono quest'epoca sono d'attribuzione difficile.
Ma né queste né quelle influirono sugli scultori ricordati e neppure sui contemporanei, mossi tutti dalle inquietudini proprie della loro epoca. Una sola generazione bastò per trasformare l'effettivo significato della scultura argentina: bastò passare dal maestro al discepolo
Anche qui di esempio e di utile incitamento fu l'azione direttamente svolta dagli artisti europei - per la maggior parte italiani - i quali fino a poco tempo addietro furono gli unici animatori che divisero con gli Argentini le ore difficili di un tardo inizio. Rimasto solo il Correa Morales quando il Cafferata si uccise nel 1910, nella giovanissima età di ventotto anni, vide ben presto fiorire intorno a lui altri scultori: Arturo Drasco, anche lui discepolo del Passaglia, artista molteplice e fecondo che, tra molti altri monumenti, eseguì quello decretato da Rapallo a Cristoforo Colombo, Ruggero Yrurtia, Pietro Zonza Briano, Gonzalo Leguizamón Pondal, Giuseppe Fioravanti, Luigi Falcini, Agostino Riganelli, Ettore Rocha, Paolo Curatella Manes, Luigi Perlotti, Alberto Lagos, Alfredo Bigatti, Ernesto Soto Avendaño, Cesare Sforza, docili gli uni alle forme tradizionali, più irrequieti e ansiosi di novità gli altri.
Musica.
Lo sviluppo della produzione musicale nella Repubblica argentina non è molto grande. A differenza dei pittori e degli scultori, i musicisti argentini hanno varcato raramente per fama i confini della patria.
Il primo movimento per un'affermazione nazionale nel campo della musica si ebbe nel 1910, nelle manifestazioni con cui si celebrò il 1° centenario dell'indipendenza. Un notevole impulso è partito poi dalla Sociedad Nacional de Música, fondata nel 1915 a Buenos Aires e diretta appunto alla diffusione delle opere dei compositori argentini. Questi si sono generalmente rivolti al folklore musicale dell'America latina, attingendo o dal canto popolare criollo generato dalla trasformazione secolare della musica dei colonizzatori spagnoli, oppure dalle derivazioni e mescolanze della musica autoctona incaica, proveniente dal Perù e dalla Bolivia. Compositori, dunque, che appartengono alla tendenza americanista, mentre altri hanno preferito seguire le scuole europee di loro predilezione. Le maggiori simpatie sono per la musica strumentale, a preferenza della scena lirica: e appunto in quel campo si sono avute le migliori affermazioni. Molti dei compositori argentini sono d'origine italiana, come in questa sommaria rassegna riveleranno i loro nomi. Tra i più anziani sono Alberto Williams e Arturo Beruti, il primo dedito alle forme sinfoniche e il secondo specialmente al teatro, quantunque le sue numerose opere, presentate quasi sempre in Italia, siano già dimenticate. Altro operista, e più fortunato è Constantino Gaito (Petronio, Ollantay, Fior di neve, ecc.), il quale studiò al conservatorio di Napoli col Simonetti e col Platania.
ll direttore del Conservatorio Nacional di Buenos Aires, Carlos Lopez Buchardo, abbandonò lo stile francese, nel quale aveva composto varie melodie per canto e piano, per ispirarsi al folklore. Tra le sue opere più recenti nel campo sinfonico va ricordata la Suite intitolata Escenas argentinas. La morte immatura di Julián Aguirre (v.) ha troncato l'attività più feconda e promettente nel campo della musica folkloristica.
Alcuni compositori argentini hanno studiato a Parigi, alla Schola Cantorum del d'Indy: il che vale a giustificare spiriti e forme delle sonate per pianoforte di Riccardo Rodríguez e di Celestino Piaggio, della sonatina e del quintetto di Josè André (il quale musicista esercita anche la critica). Al conservatorio di Parigi studiò anche Floro M. Ugarte autore di copiosa e varia produzione: la leggenda in un atto Saika, il poema sinfonico En las montañas e le due suites orchestrali intitolate De mi tierra e Paisages de estio, un quartetto per archi e piano. Ha attinto al folklore incaico anche Pasquale De Rogatis, nato a Napoli nel 1881, autore di un gran numero di lavori, sia orchestrali sia da camera ed anche teatrali (l'opera Huemac). Nel teatro lirico si sono affermati altri due musicisti oriundi italiani: Cesare Stiattesi con Bianca di Beaulieu e Alfredo Schiuma con quattro opere, tutte rappresentate al Colón di Buenos Aires dopo il 1915, la più recente delle quali Fabaré, in tre atti, ispirata a un poema dell'uruguayano Zorilla de San Martín, fu diretta nel 1925 da Tullio Serafin. Egli inoltre vanta molta e apprezzata musica sinfonica e da camera. Tra i più giovani va segnalato Athos Palma, affermatosi con l'opera Nazdah e con la suite Jardines, Torre Bertucci e Jan José Castro. Inoltre ricorderemo Raul Espoile (autore dell'opera Frenos e delle Cancionas argentinas) e Felipe Boero, autore di Tucumán e di brevi composizioni, tutte improntate a carattere nazionale.
Tra i numerosi musicisti italiani residenti in Argentina, già da tempo incorporati nell'ambiente artistico locale, citiamo G. Trojani, autore di musica pianistica, di melodie e della Suite sinfonica Escenas infantiles, Arturo Luzzatti (opera Afrodita e poema sinfonico El jardín voluptuoso) ed Elmerico Fracassi, molisano, che alle sue opere ne ha recentemente aggiunta un'altra intitolata Il Natale rosso.
I giovanissimi, che vengon su adesso, dànno bene a sperare dell'avvenire della musica argentina.
Tra le istituzioni musicali del paese meritano di essere ricordate, tra le altre, l'Associazione wagneriana, la Società sinfonica argentina, l'Associazione dei professori d'orchestra, la Società filarmonica argentina. (V. Tavv. XLI-XLVI).