Vedi Armenia dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
L’Armenia ha ottenuto l’indipendenza dall’Unione Sovietica, della quale aveva fatto parte sin dal 1920, nel settembre 1991. Nonostante l’istanza indipendentistica sia stata, in Armenia, più profonda e diffusa rispetto a quanto avvenuto nelle altre repubbliche socialiste sovietiche, il conseguimento dell’indipendenza non si è tradotto in un allontanamento dalla sfera di influenza politica e militare di Mosca.
Sebbene l’Armenia non sia stata direttamente interessata dai movimenti secessionistici che hanno caratterizzato la regione caucasico-meridionale all’indomani della dissoluzione sovietica, il sostegno assicurato ai separatisti armeni nel conflitto per il controllo del Nagorno Karabach si è tradotto, di fatto, in un conflitto inter-statale tra Azerbaigian e Armenia. In questo contesto, al sostegno garantito dalla Turchia all’Azerbaigian, ha fatto da contraltare il rilancio dell’intesa strategica tra Russia e Armenia che, se da un lato ha garantito la vittoria militare sul campo e la successiva creazione di un’entità statale de facto in Nagorno Karabach, d’altra parte ha finito per intrappolare Yerevan in un gioco di polarizzazioni regionali i cui effetti sono a tutt’oggi ancora evidenti.
Il conflitto in Nagorno Karabach ha anzitutto ostacolato i primi tentativi di apertura delle relazioni diplomatiche con la Turchia, dando nuovo vigore ai motivi storici di contrapposizione tra i due paesi. Nel 1993, come ritorsione rispetto all’occupazione armena dei territori azeri, la Turchia chiudeva infatti le frontiere con l’Armenia, condizionando la loro apertura ai progressi nel negoziato sul Nagorno Karabach. Il successivo ‘congelamento’ del conflitto ha tuttavia protratto la polarizzazione regionale sino ad oggi, ostacolando i tentativi di normalizzazione dei rapporti turco-armeni, cementando il legame tra Mosca e Yerevan e facendo sì che l’Armenia non seguisse il percorso filo-occidentale imboccato dalle altre due repubbliche caucasiche. Alla sfavorevole collocazione geografica del paese, privo di sbocco al mare, si è così sommato un più pericoloso elemento di isolamento politico ed economico.
Da un lato, le riserve turche sono collegate alle dure reazioni dell’alleato azero rispetto a un processo di normalizzazione che prescindeva da un avanzamento del negoziato sul Nagorno Karabach. Dall’altro lato, il governo armeno ha fronteggiato una ferma opposizione interna e della diaspora alla prospettiva di rimettere in discussione gli eventi successivi al 1915 attraverso una commissione congiunta di storici. A fronte della decisione del governo turco di condizionare la ratifica dei Protocolli al processo di pace nel Nagorno Karabach, il presidente armeno Serzh Sargsyan, nell’aprile 2010, ha sospeso l’iter parlamentare di ratifica, congelando di fatto il tentativo di normalizzazione.
Il tentativo di rompere l’isolamento geopolitico ha indotto Yerevan – prima ancora che ad aprire canali di dialogo con Ankara – ad approfondire i legami con la Nato e l’Unione Europea (Eu), con la quale collabora nell’ambito della ‘Politica europea di vicinato’ e del ‘Partenariato orientale’. Inoltre, grazie anche alla presenza di un’influente diaspora, l’Armenia ha tradizionalmente beneficiato di solidi rapporti con gli Stati Uniti, che hanno fornito al paese, nell’ultimo ventennio, circa due miliardi di dollari in aiuti umanitari e allo sviluppo.
L’architettura costituzionale armena accentra nella carica del presidente della repubblica notevoli poteri e influenza. In base alla Costituzione del 1995 e agli emendamenti approvati per referendum nel 2008, il presidente, eletto per un mandato quinquennale rinnovabile una sola volta, determina la politica estera del paese, nomina e revoca l’esecutivo, e può sciogliere il parlamento; nomina inoltre il presidente e i membri della Corte costituzionale e delle Corti d’appello. A dimostrazione della continuità politico-istituzionale tra l’Armenia e il Nagorno Karabach – e, consequenzialmente, della rilevanza della questione nagornina sul processo di costruzione statale e nazionale armeno – gli ultimi due presidenti della repubblica, Robert Kocharyan (1998-2008) e Serzh Sargsyan (dal 2008), provengono entrambi dalla regione. La ‘lobby del Karabach’ occupa, d’altro canto, molte delle cariche istituzionali più elevate.
Il parlamento armeno, unicamerale, è composto da 131 deputati, 90 eletti proporzionalmente sulla base delle liste di partito e 41 eletti con voto popolare in collegi uninominali. Sulla base delle elezioni legislative del 2007, il Partito repubblicano del presidente Sargsyan detiene la maggioranza relativa dei seggi e, assieme al partito ‘Armenia prospera’ e al partito ‘Stato di diritto’, sostiene l’attuale esecutivo. Dalla coalizione di governo è invece uscita, in segno di protesta per l’apertura incondizionata del dialogo con la Turchia, la Federazione rivoluzionaria armena, formazione nazionalista e tradizionalmente vicina alle posizioni della diaspora.
L’Armenia è il paese etnicamente più omogeneo della regione caucasica. Il 95% della popolazione è infatti armena, mentre la restante parte è formata da Russi (2%), Curdi (2%) e Azeri (1%). Si stima tuttavia che circa 200.000 Azeri abbiano lasciato il paese a seguito del conflitto in Nagorno Karabach. All’omogeneità etnica corrisponde un’omogeneità confessionale: la quasi totalità della popolazione appartiene alla Chiesa Armena, chiesa ortodossa autocefala, che, elemento centrale dell’identità nazionale, gode di diversi privilegi rispetto all’organizzazione statale. Benché l’Armenia proibisca le attività di proselitismo religioso, la libertà di culto è garantita tanto dalla costituzione quanto dalle leggi vigenti.
Della crescita economica che ha caratterizzato il paese dopo il 2000 non ha beneficiato la gran parte della popolazione: nel 2007 circa il 21% di essa viveva infatti sotto la soglia di povertà. Ciò ha comportato, negli anni, un massiccio fenomeno migratorio. Secondo i dati della Banca mondiale, sarebbero oltre 870.000 gli emigrati armeni all’estero (soprattutto in Russia, Stati Uniti e Ucraina): un terzo circa della popolazione nazionale attualmente residente.
Nonostante gli emendamenti costituzionali del 2005 abbiano ridotto i poteri della presidenza e attribuito maggior indipendenza al potere legislativo e giudiziario, questi ultimi rimangono soggetti alle pressioni politiche dell’esecutivo. La corruzione e la commistione tra potere politico ed economico restano inoltre problematiche ampiamente diffuse e non efficacemente affrontate dai governi armeni, nonostante le pressioni internazionali.
I processi elettorali rimangono lontani dagli standard internazionali di trasparenza e correttezza. Nonostante le ultime tornate elettorali – legislative del 2007 e presidenziali del 2008 – abbiano, secondo gli osservatori internazionali, fatto registrare sostanziali miglioramenti, le opposizioni hanno fermamente contestato la loro conduzione e i loro risultati. Nel febbraio 2008, in particolare, ingenti manifestazioni di protesta hanno seguito la vittoria elettorale di Sargsyan sull’ex-presidente Levon Ter-Petrossian, generando violenti scontri con la polizia e la proclamazione dello stato di emergenza nazionale.
Povera di risorse strategiche e vittima del blocco economico turco e azero, l’economia armena si è sviluppata ben al di sotto delle proprie possibilità e su una base produttiva limitata – legata principalmente al settore delle costruzioni e dei servizi. Ciononostante, le riforme economiche introdotte d’intesa con il Fondo monetario internazionale nella seconda metà degli anni Novanta e un massiccio afflusso di assistenza tecnica e finanziaria hanno permesso, a partire dall’inizio del nuovo secolo, una forte crescita economica. Tra il 2002 e il 2007 il pil armeno è cresciuto a tassi annui medi del 13%, salvo subire gli effetti della crisi internazionale e crollare, dopo una lieve flessione già nel 2008, di circa 14 punti percentuali nel 2009. La vulnerabilità dimostrata dall’economia armena rispetto alla crisi internazionale è in parte legata al peso che rivestono le rimesse provenienti dalla diaspora e dai lavoratori all’estero, crollate del 25% circa nel 2009 rispetto al 2008.
L’economia armena ha scontato anche gli effetti della crisi in Russia, che continua a rappresentare il principale partner commerciale del paese nonostante il tentativo di diversificare i flussi commerciali verso l’Europa. Nel 2010 il pil armeno è tuttavia tornato a crescere (2,6%), trainato dal settore industriale (cresciuto da solo del 9,7%) e minerario. Secondo le stime del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, il pil potrebbe inoltre crescere a ritmi attorno al 5% annuo nel prossimo biennio.
La produzione energetica armena si basa principalmente sul settore idroelettrico e sul nucleare. Yerevan ha infatti ereditato dall’Unione Sovietica la centrale nucleare di Metsamor, che fornisce circa il 40% dell’elettricità consumata dal paese. Nonostante le pressioni statunitensi ed europee per la chiusura di un impianto ormai obsoleto e la progettazione di un nuovo impianto (in collaborazione e con capitali russi), le autorità armene hanno escluso la possibilità di decommissionare la centrale di Metsamor entro il 2016, come inizialmente previsto.
Priva di riserve di idrocarburi, l’Armenia importa tuttavia circa il 75% del proprio fabbisogno energetico, principalmente dalla Russia. La contrapposizione all’Azerbaigian e alla Turchia ha difatti tagliato fuori l’Armenia dalle rotte energetiche tra il Caspio e i mercati occidentali. L’elevata dipendenza da Mosca si è tradotta nella progressiva cessione della rete infrastrutturale energetica e ferroviaria del paese a imprese russe. A mettere a rischio la sicurezza energetica nazionale contribuisce inoltre la dipendenza dallo snodo d’approvvigionamento georgiano, dal quale transitano gli approvvigionamenti provenienti dalla Russia. La conseguente vulnerabilità rispetto all’andamento delle relazioni russo-georgiane ha indotto Yerevan ad approfondire la cooperazione energetica con l’Iran. Dal 2009 l’Armenia ha iniziato a importare piccole quantità di gas dall’Iran, con il quale sono attualmente allo studio progetti congiunti per la costruzione di un oleodotto e per la generazione elettrica e idroelettrica.
Sin dal conseguimento dell’indipendenza e in stretta connessione con il conflitto in Nagorno Karabach, le politiche di difesa armene si sono fondate sull’alleanza con la Federazione Russa, tradizionalmente vista come il più efficace bilanciamento della partnership turco-azera. D’altra parte, le ingenti risorse finanziarie che l’Azerbaigian, forte dei crescenti proventi assicurati dal settore energetico, ha potuto devolvere alla spesa militare hanno fortemente sbilanciato il potenziale militare dei due paesi.
La cooperazione militare armeno-russa si esplica tanto su un piano multilaterale che bilaterale. Nel maggio 1992 l’Armenia è stata tra i paesi firmatari del Trattato di sicurezza collettiva della Comunità degli stati indipendenti (Cis), sostenendo la sua istituzionalizzazione in organizzazione internazionale nel 2002 e i successivi tentativi di ampliarne le prerogative. L’Armenia ospita una base militare russa a Gyumri in seguito a un accordo venticinquennale del 1995 rinnovato, nel 2010, fino al 2044. In base al trattato di mutua assistenza siglato da Russia e Armenia nel 1997, guardie di frontiera russa sono inoltre attualmente dispiegate al confine con la Turchia e con l’Iran.
Nel tentativo di attuare un ‘principio di complementarità’ nelle politiche di difesa che consentisse all’Armenia di perseguire un più bilanciato corso di cooperazione internazionale alla sicurezza, a partire dal 2005 Yerevan ha rafforzato l’interazione con la Nato. Alleanza atlantica e Armenia collaborano principalmente alla riforma del settore della difesa e sicurezza attraverso la sottoscrizione di un Individual Partnership Action Plan (2005). Dal 2004, l’Armenia contribuisce inoltre alla missione Kfor in Kosovo e starebbe valutando la possibilità di dispiegare truppe in Afghanistan.