Arnaldo Momigliano
Arnaldo Momigliano è annoverato tra i più grandi storici italiani del nostro tempo per l’elevata qualità degli studi dedicati al mondo antico e alla sua percezione nella cultura contemporanea. Proiettato nello scenario internazionale, ha suscitato un dibattito aperto scevro di ideologismi, essendo animato dall’incrollabile certezza che la conoscenza è un percorso di fallibilità, riducibile con il dialogo e il rigore del metodo. Ancor più che sull’enorme mole della produzione scientifica, la sua eccellenza riposa nell’aver nutrito l’indagine storica di profonde idealità, comunicando agli studiosi della sua epoca, ai suoi allievi e a quanti si ispirano al suo magistero l’esigenza di rendere vitale il passato, in quanto patrimonio inestinguibile di fondamenti etici.
Arnaldo Dante Aronne Momigliano ricevette a Caraglio, il piccolo centro vicino a Cuneo dov’era nato il 5 settembre 1908, la sua prima formazione religiosa e culturale (Pagine ebraiche, 1987, p. XI; Storia e storiografia antica, 1987, p. 7). La sua famiglia, di ebrei piemontesi, annoverava figure di profonda spiritualità (come il prozio paterno Amadio) e di alta levatura intellettuale: il cugino del padre, Felice, fu mazziniano, appassionato di profetismo ebraico, docente di filosofia teoretica al Magistero di Roma; morì suicida nel 1924 (M. Momigliano, Autobiografia, 1897, poi Autobiografia di un rabbino italiano, 1986, pp. 52-55; Berardo, in Omaggio ad Arnaldo Momigliano, 1989, pp. 225-26).
A Torino, dopo la maturità classica (nel 1925), accanto a compagni di studio (Giulio Carlo Argan, Norberto Bobbio, Carlo Dionisotti, Ludovico Geymonat, Cesare Pavese, Lalla Romano, Paolo, Piero e Renato Treves) che avrebbero segnato lo scenario culturale a livello internazionale, percorse una rapida e brillante carriera universitaria: laureatosi in lettere nel 1929, nel 1931 era già libero docente in storia antica. Dal 1932 professore incaricato di storia greca a Roma al posto del maestro Gaetano De Sanctis (al seguito del quale si era trasferito), vinse a Torino la cattedra di storia romana, che ricoprì dall’ottobre 1936 all’ottobre 1938, allorché la pubblicazione delle leggi razziali lo escluse dai diritti civili e lo privò della cattedra e di ogni mezzo di sostentamento (Dionisotti 1989, pp. 65-94; Dionisotti, in Omaggio ad Arnaldo Momigliano, 1989, pp. 239-41; Cracco Ruggini, in Arnaldo Momigliano nella storiografia del Novecento, 2006, pp. 121-23).
La svolta drammatica del 1938, preludio di una tragedia che travolse anche la sua famiglia (le due sorelle riuscirono a sopravvivere, il padre e la madre furono deportati ad Auschwitz, dove morirono nel 1943), produsse una profonda lacerazione in Momigliano, il quale in anni maturi percepì la propria identità di «Ebreo e Italiano» (Prefazione [scritta il 16 gennaio 1986] a Ottavo contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, 1987, p. 9) o anche «di Italiano e di Ebreo» (Storia e storiografia antica, 1987, p. 7; Cracco Ruggini 1989, pp. 112-15), come una realtà distintiva e qualificante degli stessi interessi intellettuali che fin dall’inizio avevano ispirato la sua ricerca (Gabba, in Omaggio ad Arnaldo Momigliano, 1989, p. 18).
Senza mostrare nei suoi studi alcun cedimento intellettuale o il minimo adeguamento alla propaganda fascista, sperò tuttavia di ottenere un impiego sostitutivo della cattedra universitaria, illustrando a Giuseppe Bottai, allora ministro dell’Educazione nazionale, le proprie benemerenze fasciste e quelle della sua famiglia (Fabre 2001); ma queste furono giudicate da Bottai labili o addirittura inesistenti, tanto che la richiesta venne tosto respinta (Cracco Ruggini, in Arnaldo Momigliano nella storiografia del Novecento, 2006, pp. 111-13). S’infranse così l’illusione di poter mantenere la propria autonomia di pensiero al prezzo di un’adesione solo formale al fascismo (una sorta di «collaborazione amministrativa»: Clemente 2007, pp. 1153-55).
Direttosi verso Oxford sulla via dell’esilio (marzo 1939), Momigliano sopravvisse inizialmente con una borsa garantita dalla Society for the protection of science and learning; aderì al movimento Free Italy e sostenne la Resistenza con testi scritti per le trasmissioni italiane di Radio Londra (Di Donato 2011, p. 477). Nel 1947 accettò un insegnamento di storia antica nell’Università di Bristol e nel 1951 la cattedra allo University college di Londra (Crawford, in Omaggio ad Arnaldo Momigliano, 1989, p. 27). Dal 1964 fu professore di storia romana alla Scuola Normale Superiore di Pisa, e dal 1975 Alexander White professor in the humanities nell’Università di Chicago (Bowersock, in Omaggio ad Arnaldo Momigliano, 1989, p. 43). Morì a Londra il 1° settembre 1987.
«Each historian chooses his problems and consequently his evidence» (Some elementary principles of historical method; cfr. Di Donato, in Arnaldo Momigliano nella storiografia del Novecento, 2006, p. 134): ovvero, l’oggetto della ricerca non dipende da casualità o convenienza, né a stimolare l’indagine sono sufficienti la curiosità o anche lo zelo intellettuale, qualora manchino più profonde esigenze personali. A metà degli anni Sessanta, dopo più di un decennio di vita e insegnamento londinese, Momigliano dettava nuovi principi di metodo storico: non più le Rules for ancient historians (scritte tra il 1947 e il 1950, anche se pubblicate solo nel 1998), non ancora le Regole del giuoco nello studio della storia antica («Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», 1974, pp. 1183-92).
Questo scrivere e riscrivere le norme entro cui la riflessione deve svolgersi perché sia corretta è forse l’aspetto più commovente della vicenda umana e intellettuale di uno studioso che ha indagato la storia per indagare se stesso (Gabba, in Omaggio ad Arnaldo Momigliano, 1989, p. 17) e ha sublimato la sofferenza dell’esilio e dell’esclusione negli scenari del passato. Fu infatti quel suo essere «Ebreo e Italiano del XX secolo» che spinse Momigliano «a comprendere certi aspetti del mondo antico e della storiografia moderna che li riguarda» (Prefazione a Ottavo contributo…, cit.), intraprendendo una ricerca che fu «literally a question of life and death» (After-dinner speech on the occasion of the conferment of the degree of D.H.L., h.c. at Brandeis University, 22 May 1977, in Ottavo contributo…, cit., p. 432).
Il coinvolgimento interiore con l’oggetto dell’indagine, peraltro, può indurre lo storico a errare. Di qui, la necessità di una verifica costante della fattibilità della propria ricerca per vagliare la validità del problema. Alla storia dell’antico come verifica delle fonti egli, dunque, collegò la storia viva della cultura moderna.
La varietà sterminata delle tematiche affrontate da Momigliano ha talvolta provocato lo sconforto dei recensori, più inclini a registrare la mancanza «di unità di oggetto e di cronologia» (Cracco Ruggini 1989, p. 107) dei suoi dieci Contributi (pubblicati tra il 1955 e il 2012) che non a cercarne la sostanziale organicità, foss’anche soltanto nell’applicazione di un metodo che rimase costantemente uguale nel tempo. Più serenamente per Benedetto Croce, Momigliano fu
non solo lo studioso esperto delle questioni specifiche, filologiche e linguistiche, concernenti il mondo antico, ma l’indagatore della ‘libertà greca’, del concetto dell’Ellenismo, della storiografia relativa all’Impero romano; lo storico dunque che dall’esercizio della critica delle ‘fonti’ senza sforzo, e senza mutar di natura, sapeva innalzarsi alla contemplazione delle grandi idee (Sasso 1996, p. 45)
pur se ridusse la «filosofia dello spirito» a «semplice metodologia funzionale» (p. 38).
Infatti, la gran mole della produzione antichistica di Momigliano si salda intorno a quei tre principali punti di riferimento, la Grecia, Roma e la Giudea, che parvero offrirgli la possibilità di studiare, come decantati, problemi e questioni per lui di toccante attualità. L’affastellarsi di note filologiche, di contributi brevissimi su singole questioni, di conferenze, lezioni e seminari, di recensioni innumerevoli a libri giudicati importanti, sia nell’assenso e ancor di più nella critica aspra, solo superficialmente potrebbe far credere a una dispersione tematica. Una tale congerie di ricerche su argomenti eterogenei, trattati spesso contemporaneamente, riflette piuttosto il modo in cui Momigliano cercava di comprendere fino in fondo, anche attraverso aspetti in apparenza minori, alcune problematiche centrali che avevano innervato la vita delle maggiori civiltà del mondo antico.
La composizione della storia di Tucidide, tesi di laurea discussa con De Sanctis nel giugno 1929, era stata preceduta da una prima pubblicazione, Note sull’Alessandra di Licofrone («Bollettino di filologia classica», 1927-28, pp. 250-55). Valorizzando il ruolo centrale della sofistica e insieme rigettando l’idea di De Sanctis che la forma artistica potesse condizionare il contenuto (per es., spingendo a falsificare i dati), Momigliano mostrò come Tucidide fosse andato oltre Erodoto, elaborando l’idea che la storia fosse possibile solo se contemporanea.
Gli interessi di Momigliano si precisarono rapidamente: l’analisi del cosmopolitismo politico era diretta alla comprensione del suo significato culturale, in particolare dei processi di integrazione e resistenza che aveva implicato; a tal fine, la cultura tedesca dell’Ottocento apparve inadeguata a valutarne l’impatto. La voce Roma. Età imperiale (1936) redatta per l’Enciclopedia Italiana (con la quale aveva avviato una feconda collaborazione anche all’interno della redazione) si potrebbe pertanto considerare una sintesi delle idee scaturite in quegli anni lavorando sia su L’opera dell’imperatore Claudio (1932), sia su Filippo il macedone. Saggio sulla storia greca del IV sec. a.C. (1934), che a sua volta aveva integrato, con uno studio sulle forme istituzionali prodotte dalla civiltà ellenistica, le Prime linee di storia della tradizione maccabaica (1930), coeve ad altri scritti sul giudaismo ellenistico. Una stretta relazione fu infatti individuata, alla luce dei problemi di pace e libertà, tra ellenismo e impero romano.
Il volumetto sull’imperatore Claudio, in particolare, reagiva alle teorizzazioni astratte dei giuristi sul carattere del regime augusteo e del principato (Capogrossi Colognesi, in Omaggio ad Arnaldo Momigliano, 1989, p. 124), contrapponendo invece l’idea – come nella sintesi su Roma imperiale per l’Enciclopedia Italiana – che in quella struttura unitaria si erano rese possibili coesistenze culturali e politiche in precedenza inimmaginabili. Vi campeggiava anche il tema dell’opposizione stoica, giudicata inutile se priva di progetti, che aveva evidentemente richiami autobiografici, in un momento in cui (nel 1931) si era posto il problema del giuramento di fedeltà al regime fascista, che lo stesso De Sanctis (insieme a soli altri undici professori universitari sui 1225 di tutta Italia) aveva rifiutato.
Le due operette sono dunque legate tra loro e insieme rimandano alle ricerche sullo Stato maccabaico, in quanto collegati tentativi di dare soluzione al dibattito, reso attuale dalla contemporaneità, del valore e dei limiti, nel 5°-4° sec. a.C., della libertà greca. Il tema, maturato in Italia tra Ottocento e Novecento insieme con la questione dello Stato, delle libertà e delle tirannidi, fu affrontato da Momigliano in dialogo con gli studi di De Sanctis e di alcuni suoi allievi (come Aldo Ferrabino e Piero Treves), e confrontandosi con le riflessioni che Croce aveva pubblicato nel 1930 nel saggio Constant e Jellinek: intorno alla differenza tra la libertà degli antichi e quella dei moderni («Atti della Reale accademia di scienze morali e politiche di Napoli», pp. 241-48), che Momigliano aveva recensito nel 1931 («Rivista di filologia e istruzione classica», 2, pp. 262-64).
Mentre infatti De Sanctis, preoccupato di rintracciare i più alti valori morali elaborati dal mondo antico, li trovava nella storia etico-politica della Grecia classica e della Roma repubblicana, cercando di dimostrare che la storia greca era stata dominata dallo sforzo di costruire una nazione, Momigliano negò che la Grecia si fosse mai posta un problema di unità politica. La libertà, concepita nel particolarismo delle póleis, era stata una libertà incompiuta: basata sulla necessità di stabilire un’egemonia, non era ricerca di unità ma di dominio. Il panellenismo di Isocrate, invece, maturato nell’impero cosmopolita fondato da Filippo, aveva superato il dilemma potere/libertà. Nella koinè mediterranea realizzata da Roma, poi, la nuova era aveva reso possibile – attraverso il giudaismo – il trionfo del cristianesimo; finalmente al centro, l’individuo aveva guadagnato, se non la libertà politica, almeno la libertà dell’anima, se non la pace sociale, quella dell’anima.
Con evidente autoconsapevolezza, nel 1967 Momigliano così riassumeva, in una lettera all’amico Sebastiano Timpanaro, le linee che avevano guidato la sua indagine negli anni seguiti al trasferimento in Inghilterra:
Se io dovessi definire che cosa mi ha interessato finora di scoprire nella storia, direi grossolanamente tre cose: l’influenza del pensiero storico greco-romano e giudaico sul pensiero storico successivo; l’organizzazione che gli organismi politici e sociali antichi si sono dati o non dati per stabilire pace e per assicurare libertà di decisione e di discussione; la posizione degli Ebrei e della civiltà ebraica nel mondo antico e successivo. Meno precisa la mia preoccupazione sull’origine della organizzazione statale romana – con la sua caratteristica plurinazionale ab origine – e sulla sua dissoluzione per il – o in concomitanza del – trionfo del Cristianesimo: meno precisa ma pure costante (Lettera a S. Timpanaro, «Eikasmòs», 2004, p. 446).
Emerge, tra l’altro, la relazione tra libertà e pace, un tema che s’innestava su quello dei limiti della libertà greca classica, ma che già nella prolusione Koiné eirene, pax Romana, pax christiana, tenuta presso l’Università di Torino nel 1936, si era ampliato nella considerazione della pax romana quale «ordine giuridico di convivenza fra tutti gli uomini». Infatti, nella prolusione – pubblicata postuma (Dionisotti 1989, pp. 109-30) con nota autografa del 1982 e, come Momigliano aveva chiesto, «con opportuni chiarimenti» – la pace augustea acquisiva il significato di termine medio di un itinerario che, dalla concezione scritturale ebraica, si dipanava attraverso figure-prototipi di pace ellenica, per costituirsi come salvazione in quella cristiana.
Portato idealmente con sé in Inghilterra, il progetto di una grande opera su libertà e pace (originariamente in due volumi, nel 1944 in un volume unico) non fu mai realizzato. Le molte pubblicazioni prodotte su aspetti minori di tale soggetto mostrano, da un lato, l’influenza dell’ambiente anglosassone, in quanto spinta ad articolare la nozione in senso spirituale e religioso, dall’altro, la crescente consapevolezza della difficoltà di esaurire il tema nei modi (presto percepiti come limitanti) immaginati a partire dal 1931 (Canfora 1990).
Contemporaneamente comparvero i saggi su vari aspetti istituzionali, religiosi e storiografici dell’epoca romana arcaica e sulle origini di Roma, muovendo dai primi studi degli anni Trenta e Quaranta. Avendo acquisito notevole centralità negli anni Sessanta, sulla scia del nuovo materiale archeologico pubblicato da Einar Gjerstad e Hermann Müller-Karpe e delle relative discussioni con Gjerstad, Raymond Bloch, András Alföldi e Robert Werner sulla data d’inizio della Repubblica romana e sul ruolo della cavalleria nella struttura sociale della città arcaica (A. Momigliano, Recensioni ai primi 3 voll., 1953-1961, di E. Gjerstad, Early Rome, e a H. Müller-Karpe, Vom Anfang Roms, 1959, in «Rivista storica italiana», 1961, 4, pp. 802-808), il tema fu poi ripreso e sviluppato nel capitolo The origins of Rome per la seconda edizione della Cambridge ancient history (7° vol., parte seconda, Rise of Rome to 220 b.C., 1989, pp. 52-112) nonché in altri studi raccolti in Roma arcaica (1989).
Le importanti novità indotte dalle scoperte archeologiche degli anni Settanta in questo settore (come l’iscrizione di Satricum) erano tutte presenti a Momigliano, il quale tuttavia non si astenne dal manifestare una crescente sfiducia nella possibilità di ricostruire la storia delle origini di Roma privilegiando l’apporto dei dati archeologici, poiché la ricerca su quell’età gli parve una scuola ideale di metodo proprio per la possibilità di combinare critica delle fonti ed evidenza archeologica.
Gli anni della cattedra allo University college di Londra significarono anche attiva partecipazione alla vita di diverse istituzioni londinesi, tra cui il Warburg institute. Ne è testimonianza la serie di seminari degli anni 1958-59 pubblicati a cura di Momigliano nel 1963, con il titolo The conflict between paganism and Christianity in the fourth century. Suggerendo che ogni relatore scegliesse il suo tema, Momigliano colse l’occasione di raccogliere in questo agile volumetto le tesi storiografiche sul 4° sec. d.C. prevalenti fra gli anni Trenta e la fine della Seconda guerra mondiale (Melloni, in Pagans and Christians in the Roman empire, 2011, p. 26), con il proposito di studiare la funzione del cristianesimo, da forza rivoluzionaria trasformatasi in forza legittimante «qualsiasi tipo di stato pagano che desse mano libera alla Chiesa» (lettera a Dionisotti del 1946, cit. in Dionisotti 1989, p. 106): già in nuce nel 1946, tale progetto ebbe piena realizzazione solo negli anni della maturità, sotto la spinta di suggestioni reciprocamente colte e offerte a colleghi a lui particolarmente vicini, come Peter Brown, Averil Cameron, Lellia Cracco Ruggini.
Gli anni di Londra contribuirono a far affiorare in Momigliano la consapevolezza metodologica che la storia di un problema è essenziale per chiarire la ragione stessa per cui ce ne occupiamo. La scelta, nel 1962, di organizzare le Sather classical lectures intorno al tema The classical foundations of modern historiography (edite postume, nel 1990, da Riccardo Di Donato e Anne-Marie Meyer), anticipa nel contenuto la ricca articolazione dei seminari avviati negli anni successivi al 1964 alla Scuola Normale Superiore di Pisa: in sostanza, seminari di storia della filologia classica tra 19° e 20° secolo.
La questione del metodo era divenuta in quegli anni particolarmente urgente per il fervore con cui nuove tendenze – dal marxismo sovietico ed europeo allo strutturalismo e altro della scuola francese delle «Annales», dalla storia come narrazione alla storia come scienza sociale e antropologia negli Stati Uniti – si affacciavano all’orizzonte. Di qui l’entusiasmo che i seminari pisani di Momigliano suscitarono anche e soprattutto tra i più giovani, affascinati dal clima di ricerca e dibattito instaurato da quelle lezioni-seminario. Ne scaturirono i ritratti di grandi studiosi dell’antichità: tra i molti, Jacob Bernays, Numa-Denis Fustel de Coulanges, Johann Gustav Droysen, Ulrich von Wilamowitz, Moses I. Finley, Karl Reinhardt, Edward Gibbon, Max Weber, Eduard Schwartz, Edward A. Freeman, Eduard Meyer, Hermann Usener, Georges Dumézil – unico seminario, nel 1983, su un autore ancora vivente –, Karl Otfried Müller, Johann Jakob Bachofen. Nella ricostruzione delle interpretazioni date nei secoli precedenti agli aspetti più vari della civiltà antica, si individuavano i nuclei di riflessione suscettibili di divenire altrettanti punti di partenza per nuove ricerche.
Il volume The development of Greek biography (1971), occasionato da un invito a Harvard nel 1968 per le Jackson lectures, esprime l’affiorare della medesima volontà di trarre le fila dalle molteplici indagini compiute su settori disparati. Le numerose ricerche sviluppate in quegli anni a Pisa non erano altro che un’estensione approfondita del lavoro di biografo esercitato in gioventù nelle numerose biografie-ritratto stilate per l’Enciclopedia Italiana e il Dizionario biografico degli Italiani. In un periodo, dunque, in cui biografia e personalità erano fuori moda per la propensione verso la storia sociale ed economica, ma la prosopografia faceva prepotente il suo ingresso negli studi, suscitando in molti la propensione a valutare in termini assoluti i dati meccanici di carriere e legami familiari, Momigliano si volse a cercare le origini della biografia e dell’autobiografia. Vi risalì attraverso il filone biblico (Ezra, Neemia) oltreché per il tramite della tradizione greca, mostrando come la distinzione tra storia e biografia fosse maturata in epoca ellenistica.
Le più tarde ricerche di antropologia religiosa di Ernesto De Martino e di Antonio Banfi in sede filosofica lo spinsero, poi, a rileggere anche la propria biografia personale all’insegna del concetto unitario di persona (Per la storia delle religioni nell’Italia contemporanea: Antonio Banfi ed Ernesto De Martino, tra persona e apocalissi, «Rivista storica italiana», 1987, 2, pp. 435-56). Ai suoi forti interessi biografici degli anni Settanta-Ottanta, tuttavia, più che ai più tardi sviluppi, è ricollegabile l’influenza esercitata da Momigliano in settori anche diversi dalla storia antica propriamente detta: così, per es., nell’alimentare la nuova prospettiva volta a ricostruire una storia dei giuristi romani, intesa come storia di singole personalità (Capogrossi Colognesi, in Omaggio ad Arnaldo Momigliano, 1989, p. 125).
Non diversamente, Alien wisdom. The limits of hellenization (1975) dava sistemazione organica a idee e suggestioni già presenti nelle prime indagini sui caratteri specifici della grecità, coordinandole intorno al tema della mancata assimilazione, o anche della difficile integrazione nel mondo greco delle civiltà orientali antiche. La tesi principale riflette la convinzione che anche in età ellenistica mancò ai Greci ogni interesse conoscitivo nei confronti di popoli stranieri, sostanzialmente a causa del loro monolinguismo. Mentre, dunque, l’essenza di fenomeni tipici dell’Oriente (come lo zoroastrismo) non fu colta dagli scrittori greci, un vero interesse etnografico fu messo in moto solo dai Romani, al servizio dei quali un Polibio o un Posidonio condussero le loro indagini. Un terzo del volume è dedicato a Greci ed Ebrei, ove non è l’estraneità dei Greci verso gli Ebrei a essere analizzata, bensì il concetto dell’indipendenza di gran parte della produzione ebraica del 2° sec. a.C. (così l’Ecclesiastico di Ben Sira, datato tra il 190 e il 170 a.C.) dalla tradizione filosofico-letteraria greca (Salmeri, in Arnaldo Momigliano nella storiografia del Novecento, 2006).
Tornava, dunque, in quegli anni il problema dell’identità ebraica: Momigliano era convinto che essa non dovesse portare all’isolamento politico, ma, cosciente della vulnerabilità di ogni assimilazione, tentò di riaffermare la presenza dell’ebraismo nella storia della civiltà occidentale in quanto elemento essenziale della formazione della cultura e della coscienza moderne. In tale contesto, fiorirono la rassegna di studi sul giudaismo contemporaneo Storie e memorie ebraiche del nostro tempo («Rivista storica italiana», 1980, 1, pp. 191-98) e numerose biografie di studiosi ebrei, con particolare predilezione per Gershom Scholem che, trasferitosi a Gerusalemme nel 1923, aveva mostrato l’impossibilità di integrare cultura tedesca e giudaismo, facendosi storico della cabala per recuperare il filone mistico dell’ebraismo più autentico (si veda la recensione all’autobiografia di Scholem From Berlin to Jerusalem [1980] in «The New York review of books», 18 dicembre 1980, pp. 37-39): in tal caso memorie personali legate alla propria formazione si coniugavano con la forte sensibilità per i caratteri della religiosità antica non solo ebraica.
L’interesse per le origini e la funzione delle religioni nel mondo antico si accentuò dopo che, nominato Alexander White professor nell’Università di Chicago, i contatti con le istituzioni più significative in Europa e negli Stati Uniti e con la ricerca storica ivi prodotta si fecero più frequenti e costanti. Momigliano era stato sempre sensibile alle questioni di storia religiosa: nella giovinezza si era avvicinato agli studi su Roma arcaica anche per chiarire il valore del mito, in quanto possibile specchio dei principi organizzativi delle società arcaiche; tra i seminari pisani, inoltre, l’unico dedicato a persona ancora vivente era stato quello su Dumézil, per l’urgenza di definire la sua posizione nei confronti del sistema trifunzionale indoeuropeo, che non gli parve offrire risposte utili né per la ricostruzione delle istituzioni né, soprattutto, per comprendere la massa di credenze, cerimonie, culti della gente comune; infine, egli non aveva esitato a giudicare insoddisfacenti le grandi sintesi di Michael Rostovtzeff (The social and economic history of the Roman empire, 1926; The social and economic history of the hellenistic world, 3 voll., 1941), di Ronald Syme (The Roman revolution, 1939; cfr. Bowersock 2012, pp. 14-18) e di Arnold H.M. Jones (The later Roman empire, 284-602, 3 voll., 1964; del resto, nella stessa prospettiva cfr. Cameron 2008, pp. 231-49), anche perché non davano adeguata valutazione ai fenomeni religiosi. Al contrario, Momigliano era convinto che questi ultimi avessero avuto grande incidenza nei processi storici e tale idea si consolidò a contatto con la vita intellettuale dell’America del Nord e il maturare delle coeve ricerche sulla persona e il sacro, che le sue riflessioni incoraggiarono: non è un caso che Peter Brown abbia dedicato a lui il volume The body and society. Men, women, and sexual renunciation in early Christianity (1988).
«Oramai settantenne, intraprese lo studio sistematico delle religioni come se fosse un giovane all’inizio della carriera» (Bowersock, in Omaggio ad Arnaldo Momigliano, 1989, p. 47): l’incontro a Chicago con Claude Lévi-Strauss e Mircea Eliade, il quale gli chiese contributi sulla storiografia della religione e sulle religioni antiche per la sua Encyclopaedia of religion (1987), può essere considerato un fattore concomitante a spiegare l’accrescersi negli ultimi anni di lezioni e seminari (cfr. On Pagans, Jews and Christians, 1987), di cui molti raccolti anche nei postumi Saggi di storia della religione romana. Studi e lezioni 1983-1986 (1988). Nel 1985 erano comparsi The life of St. Macrina by Gregory of Nyssa (in The craft of the ancient historian: essays in honor of Chester G. Starr, ed. J.W. Eadie, J. Ober, pp. 443-58) e Marcel Mauss e il problema della persona nella biografia greca («Rivista storica italiana», 1, pp. 253-63), e nel 1986 The disadvantage of monotheism for a universal state («Classical philology», 4, pp. 285-97) e Ancient biography and the study of religion in the Roman empire («Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», pp. 25-44). Insieme ad altri saggi precedenti sulla produzione letteraria del 4° sec. d.C., essi riassumono alcune delle più significative riflessioni di Momigliano sulla civiltà tardoantica e le sue forme di espressione.
Al cristianesimo egli aveva dedicato un contributo nel citato The conflict (Christianity and the decline of the Roman empire, pp. 1-16), più volte riprodotto, e che continua a essere centrale nei dibattiti sulla fine del mondo antico e le sue cause. Momigliano vi sviluppava una tesi già formulata nella citata voce Roma dell’Enciclopedia Italiana e nel coevo La formazione della moderna storiografia sull’impero romano («Rivista storica italiana», 1936, 1, pp. 35-60), ma ora arricchita dalle riflessioni maturate negli anni londinesi. Essa segnava il suo distacco da una concezione della decadenza dell’impero che la collegava con il dilagare delle credenze irrazionali delle masse e con il cedimento intellettuale delle élites, incapaci pertanto di sostenere l’assalto violento delle orde barbariche.
Il rifiuto delle tesi circolanti alla vigilia della Seconda guerra mondiale, che riproponevano l’esaltazione della ‘virilità’ germanica, capace di avere la meglio sulla ‘effeminatezza mediterranea’, si era consolidato alla luce delle sue riflessioni su Gibbon. Momigliano, pertanto, si convinse che il cristianesimo, e non i barbari, fosse stato la forza scatenante di ciò che accadde nel corso del 5° sec. d.C.: non della fine (come per Gibbon), bensì dei profondi mutamenti intervenuti nel trapasso dalla civiltà antica a quella moderna. Nei lavori dei maturi anni Ottanta, la crisi dell’impero fu concepita come risultato di un lento processo etico-morale, all’interno del quale i barbari avevano avuto un’incidenza relativa: mentre il cristianesimo, portatore dei valori del giudaismo nella cultura classica, li trasmetteva al mondo medievale, le strutture ecclesiastiche – fattesi molto attraenti anche per le persone colte e agiate – si sostituirono a quelle imperiali; le élites classiche, in sostanza, confluirono nelle nuove gerarchie ecclesiastiche.
Il Cassiodorus and the Italian culture of his time nel 1955 e il contributo sugli Anici del 1956, con la rivalutazione del «non eroico Cassiodoro» (Giardina 2006, pp. 15-18; Marcone, in Arnaldo Momigliano nella storiografia del Novecento, 2006, p. 221) e con l’analisi dei fattori che avevano portato alla conversione al cristianesimo dell’aristocrazia pagana, avevano mostrato come il passaggio alla Chiesa degli elementi emergenti della società romana fosse stato fattore decisivo del mutamento: esso aveva spezzato la solidarietà e l’identificazione tra l’impero e i suoi ceti dirigenti. Con più forza nei saggi degli anni 1986-87, Momigliano affermò che la struttura pluralistica (religiosa ed etnica) dell’impero aveva assicurato un’unità linguistica e culturale, venuta meno con il monoteismo.
Analoghe variazioni erano rintracciate nel modo di concepire la persona e, dunque, nelle strutture linguistiche e nei generi letterari utilizzati a definirla: biografia e autobiografia, un tempo distinte, mutando profondamente, avevano finito per identificarsi (così nel citato saggio su Macrina del 1985), mentre la storia ecclesiastica soppiantava quella laica (Pagan and Christian historiography in the fourth century A.D., in The conflict…, cit., pp. 77-99; L’età del trapasso fra storiografia antica e storiografia medievale [350-550 d. C.], «Rivista storica italiana», 1969, 2, pp. 286-303: cfr. Inglebert, in Pagans and Christians in the Roman empire, 2011), ridotta per lo più a innocui e neutrali breviari per i nuovi funzionari cristiani (Some observations on the ‘Origo gentis romanae’, «Journal of Roman studies», 1958, 1-2, pp. 56-73): Ammiano Marcellino era stato a lonely historian, una sorta di paradosso (The lonely historian Ammianus Marcellinus, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», 1974, pp. 1393-1407: cfr. Marcone, in Arnaldo Momigliano nella storiografia del Novecento, 2006, pp. 223-24).
Nella rimeditazione degli anni Ottanta non furono ripresi i saggi sulla Historia Augusta, sebbene proprio a partire da quel saggio del 1954 (An unsolved problem of historical forgery: the scriptores Historiae Augustae, «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», 1-2, pp. 22-46) si fossero infittiti gli interventi di Momigliano sull’età tardoantica. Negli ultimi anni della sua esistenza, da ben altro era preso Momigliano.
Sulla spinta forse, ancora una volta, della contemporaneità, di fronte alla tragedia del dilagare terroristico nei conflitti in Medio Oriente, come già all’epoca della guerra dei Sei giorni fra Israele ed Egitto, egli parve volgersi sempre più alle fonti spirituali delle azioni umane, non mancando di riflettere sul senso stesso del «patto con Dio per la liberazione dalla schiavitù e la concessione della Terra Promessa», che finiva per tradursi in eliminazione e sottomissione di altri popoli: i cicli di lezioni su Apocalissi ed Esodo nella tradizione giudaica («Rivista storica italiana», 1986, 2, pp. 353-66), tornando a riflessioni che, a partire dagli anni Settanta (Between synagogue and apocalypse, ciclo di lezioni tenuto fra il 1977 e il 1982), si erano intrecciate con quelle su Daniel and the origins of the universal history (lezioni del 1979-80, pubblicate in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», 1982, pp. 533-60) e su The Jewish historiography of resistance (1981), ovvero con Voices of the oppressed (1982), trovarono compimento nella serie finale delle Chicago lectures del 1987 su Religion and conquest in the first and second centuries (cfr. Di Donato 2011, pp. 479-80).
Una bibliografia completa dell’opera di Momigliano è ora disponibile nel Decimo contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico (pp. 653-785), ultimo di una serie di 10 voll., editi a Roma dal 1955 al 2012 (i due pubblicati postumi, il Nono [1992] e il Decimo, sono stati curati da Riccardo Di Donato), che raccolgono quasi tutta la produzione dell’autore citata nel testo.
Si vedano inoltre:
Prime linee di storia della tradizione maccabaica, Roma 1930.
L’opera dell’imperatore Claudio, Firenze 1932.
Filippo il macedone. Saggio sulla storia greca del IV sec. a.C., Firenze 1934.
The conflict between paganism and Christianity in the fourth century, ed. A. Momigliano, Oxford 1963 (i contributi di Momigliano sono Christianity and the decline of the Roman empire, pp. 1-16, e Pagan and Christian historiography in the fourth century A.D., pp. 79-99; trad. it. Torino 1968).
Lettera a S. Timpanaro (1967), «Eikasmòs», 2004, p. 446.
The development of Greek biography: four lectures, Cambridge (Mass.) 1971.
Alien wisdom. The limits of hellenization, Cambridge 1975 (trad. it. Torino 1980).
Storie e memorie ebraiche del nostro tempo, «Rivista storica italiana», 1980, 1, pp. 191-98.
La storiografia greca, Torino 1982.
New paths of classicism in the nineteenth century: the Georges Lurcy Lectures in the University of Chicago, Middletown (Conn.) 1982.
Sui fondamenti della storia antica, Torino 1984.
Tra storia e storicismo, Pisa 1985.
On pagans, Jews and Christians, Middletown (Conn.) 1987.
Pagine ebraiche, a cura di S. Berti, Torino 1987.
Per la storia delle religioni nell’Italia contemporanea: Antonio Banfi ed Ernesto De Martino, tra persona e apocalissi, «Rivista storica italiana», 1987, 2, pp. 435-56.
Storia e storiografia antica, a cura di E. Gabba, Bologna 1987.
Saggi di storia della religione romana. Studi e lezioni 1983-1986, a cura di R. Di Donato, Brescia 1988.
Roma arcaica, Firenze 1989.
The classical foundations of modern historiography, ed. A.-M. Meyer, R. Di Donato, Berkeley-Los Angeles-London 1990 (trad. it. Firenze 1992).
Studies on modern scholarship, ed. G.W. Bowersock, T.J. Cornell, Berkeley-Los Angeles-London 1994.
Pace e libertà nel mondo antico. Lezioni a Cambridge, gennaio-marzo 1940, a cura di R. Di Donato, Firenze 1996.
Rules for ancient historians, «Athenaeum», 1998, p. 242.
P. White, The authorship of the Historia Augusta, «Journal of Roman studies», 1967, 1-2, pp. 115-33.
P. Brown, Arnaldo Dante Momigliano 1908-1987, «Proceedings of the British academy», 1988, pp. 405-42.
L. Cracco Ruggini, All’ombra di Momigliano: Peter Brown e la mutazione del Tardoantico, «Rivista storica italiana», 1988, 3, pp. 739-67.
C. Dionisotti, Arnaldo Momigliano e Croce, «Belfagor», 1988, 6, pp. 617-41.
L. Cracco Ruggini, Arnaldo Momigliano: lo storico antico che ha trasformato «le fonti in vita del passato», «Studi storici», 1989, 1, pp. 105-27.
C. Dionisotti, Ricordo di Arnaldo Momigliano, Bologna 1989.
Omaggio ad Arnaldo Momigliano. Storia e storiografia sul mondo antico, Atti del Convegno di studio, Cuneo-Caraglio (22-23 ottobre 1988), a cura di L. Cracco Ruggini, Como 1989 (in partic. i saggi di E. Gabba, M.H. Crawford, G.W. Bowersock, C. Ampolo, L. Capogrossi Colognesi, L. Cracco Ruggini, L. Berardo, C. Dionisotti).
L. Canfora, Una riflessione sulla koiné eiréne e la prolusione di Arnaldo Momigliano, «Quaderni di storia», 1990, 2, pp. 31-45.
G. Sasso, Sulla genesi dell’Istituto. La ricerca del primo direttore, in L’Istituto italiano per gli studi storici nei suoi primi cinquant’anni (1946-1996), a cura di M. Herling, Napoli 1996, pp. 14 e segg.
G. Fabre, Documenti. Arnaldo Momigliano: materiali biografici/2, «Quaderni di storia», 2001, 1, pp. 309-20.
A. Giardina, Cassiodoro politico, Roma 2006, passim.
Arnaldo Momigliano nella storiografia del Novecento, Atti del Convegno di studio ‘XI Incontro perugino di storia della storiografia antica e sul mondo antico’, Spoleto 1999, a cura di L. Polverini, Roma 2006 (in partic. i saggi di L. Cracco Ruggini, R. Di Donato, L. Troiani, G. Salmeri, T. Cornell, A. Marcone).
G. Clemente, Arnaldo Momigliano (1908-1987) venti anni dopo, « Rivista storica italiana», 2007, 3, pp. 1150-61.
Averil Cameron, A.H.M. Jones and the end of the Ancient world, in A.H.M. Jones and the later Roman empire, ed. D.M. Gwynn, Leiden 2008, pp. 231-49.
R. Lizzi Testa, Dal conflitto al dialogo: nuove prospettive sulle relazioni tra pagani e cristiani in Occidente alla fine del IV secolo, in Trent’anni di studi sulla tarda antichità: bilanci e prospettive, Atti del Convegno internazionale, Napoli (21-23 novembre 2007), a cura di U. Criscuolo, L. De Giovanni, Napoli 2009, pp. 167-90.
R. Di Donato, Momigliano Arnaldo Dante, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 75° vol., Roma 2011, ad vocem.
Pagans and Christians in the Roman empire: the breaking of a dialogue (IVth-VIth century A.D.), Proceedings of the International conference at the monastery of Bose, October 2008, ed. P. Brown, R. Lizzi Testa, Wien-Zürich-Berlin-Münster 2011 (in partic. i saggi di R. Lizzi Testa, P. Brown, A. Melloni, Averil Cameron, H. Inglebert).
Alan Cameron, The last pagans of Rome, Oxford 2011.
G.W. Bowersock, Momigliano e i suoi critici, «Studi storici», 2012, 1, pp. 7-24.