DELLA ROCCA, Arrigo
Figlio di Guglielmo, nacque nel quarto decennio del sec. XIV in Corsica, da nobile famiglia della Banda di Fuori che aveva preso nome dal sito fortificato di La Rocca di Valle, allora il centro politico di una più vasta signoria comprendente l'intera zona di Sartène. Ancora bambino, quando suo padre era stato nominato luogotenente, in conformità con una prassi divenuta abituale nelle relazioni fra Genova ed il mondo signorile insulare, venne dal padre stesso consegnato in ostaggio come garanzia di fedeltà a Gottifredo da Zoagli, il vicario genovese che nel 1340 aveva condotto una campagna di pacificazione nell'isola. In un primo tempo il D. venne trattenuto nella fortezza di Bonifacio, dove il padre, prima di tradire e di cadere in disgrazia, aveva - secondo il cronista corso Giovanni Della Grossa - libero accesso; quindi, nella primavera del 1356 fu tradotto a Genova ed ivi internato. Si trattava di una misura prudenziale: con tale provvedimento si intendeva infatti limitare le possibilità di evasione dell'ostaggio e si voleva insieme allontanare dalla Corsica il pericolo potenziale che esso rappresentava. La detenzione genovese del D., tuttavia, dovette essere breve ed il giovane poté lasciare dopo pochi mesi la città ligure, fors'anche col consenso di quelle autorità comunali, ormai dominate - per la seconda volta - dal doge di parte popolare Simone Boccanegra. Il D. si trovava infatti in Corsica nel 1356 o nel 1357, alla testa della rivolta di tipo comunale contro la feudalità insulare, rivolta cui aveva sin dall'inizio legato il suo nome Sambucuccio d'Alando: esempio senza avvenire, ma non senza precedenti, di collusione fra un membro di una delle famiglie signorili cinarchesi del meridione dell'isola e la rivoluzione popolare, che iniziava allora e sarebbe stata presto vittoriosa nella Terra del Comune. Tuttavia, messosi in contrasto con i Genovesi e da questi combattuto - in particolare all'epoca del governatore Triadano Della Torre, tra la fine del settimo e gli inizi dell'ottavo decennio del secolo -, il D. fu costretto ad abbandonare l'isola e a cercare rifugio a Barcellona, presso la corte di Pietro IV, re d'Aragona. Inaugurava così, nei confronti di quel Regno, quella tradizione di dipendenza personale, finanziaria e logistica, cui sarebbe rimasto fedele per tutta la vita.
Il D. ritornò in Corsica dalla Catalogna nel 1372 o nel 1373 nelle vesti, contemporaneamente, di signore esiliato che intendeva riconquistare i propri domini e di "commissario" ufficiale del re d'Aragona che mirava ad instaurare sulla Corsica - allora sotto regime popolare o "comunale" - un potere feudale forte sotto il controllo aragonese. Egli sbarcò sulle coste della sua antica signoria e trovò in effetti anche la Banda di Fuori già guadagnata ad un regime politico e sociale di tipo popolare. Con un comportamento tipico di clan, riferito dal cronista Giovanni Della Grossa, egli avrebbe riunito quanti, nella signoria di La Rocca, erano a lui legati da rapporti di parentele e di clientela; sarebbe poi passato, con il pretesto di una visita privata, nell'antica signoria di Ornano. Nel corso di contatti segreti ottenne la fedeltà e l'appoggio dei nobili di Ornano e di Bozzi. Poiché l'Ornano era allora un settore di potente movimento comunale, egli condusse negoziati con delegati delle Comunità rurali e promise loro di non tentare niente contro il potere popolare. Dopo tre giorni di incontri e di festeggiamenti, egli convocò ufficialmente un'assemblea pubblica a Palmentu, sulle rive del Prunelli, presso Cauro, tradizionale luogo di riunioni delle popolazioni rurali nel circondario d'Aiaccio. Per la prima volta a titolo ufficiale e in un periodo di acuta crisi economica e demografica dovuta alla carestia ed alle epidemie, il D. suggerì la soluzione politica aragonese. Poté conquistare alla sua causa, in questa congiuntura difficile e su questa linea filoaragonese, la maggior parte dei notabili della Banda di Fuori, sopravvissuti e partigiani dell'antico stato di cose politico. Nel medesimo tempo egli pervenne a eliminare in una imboscata il capo popolare Francesco d'Evisa, podestà di una circoscrizione che corrispondeva all'antica signoria d'Ornano e capitano delle milizie comunali, il quale cercava di sollevare i contadini contro l'ambizioso signore feudale che si rivelava nel Della Rocca.
Divenuto capo del partito filoaragonese in Corsica, dovette avere prima dell'aprile del 1375 una parte importante - sicuramente morale e forse effettiva - nella cacciata, scaturita dalla disfatta militare, del nuovo governatore genovese Andreolo Figone che era stato inviato nell'isola per porre rimedio allo stato di anarchia venutosi a creare con la morte del suo predecessore Triadano Della Torre. Gli può essere attribuita anche la responsabilità del fallimento della missione diplomatica corsa di Araone di Struppa (giugno-luglio 1375). In questa prospettiva, l'attiva resistenza del D. alla presenza genovese in Corsica sarebbe direttamente all'origine di quel parziale estraniarsi della Repubblica ligure dagli affari dell'isola, che avrebbe di lì a poco condotto alla costituzione della Maona di Corsica.
Durante il 1376, avendo acquisito una posizione di preminenza, il D. si fece acclamare conte di Corsica - come aveva fatto a suo tempo il suo antenato Sinucello Della, Roccá noto come giudice di Cinarca - da una assemblea di suoi partigiani riuniti a Biguglia, città fino ad allora sede dei governatori genovesi. Giovanni Della Grossa ci ha conservato, nella sua lingua arcaica, il ricordo di questa cerimonia d'intronizzazione specificamente insulare: "a Bigugla vennero li puopoli di tutte quelle contrate a dare l'obbedentia ad Arrigo; con le giente di sua osta lo allogiorno e chiamorno conte di Corsica, dando in segno di ciò la bacchetta in la mano, che è cirimonia usata in Corsica con tutti li signori Cinarchesi che se hanno facto per forza di arme e per loro valore signori di Corsica, e così di qua inanti si dicie il Conte Arrigo". Da allora, in segno di ostilità anti Genova e di lealtà verso il re d'Aragona, egli avrebbe portato sul suo stendardo le armi di quel sovrano.
Nel 1378 il dominio, che il D. esercitava di fatto sull'isola, poté apparire rimesso in discussione dal passaggio della Corsica sotto la sovranità nominale della Maona, che venne costituita ufficialmente il 27 agosto, e dall'accordo stipulato fra Genova e il re d'Aragona l'11 ottobre, accordo in forza del quale le due parti si impegnavano a non fornire aiuti, rispettivamente, ai ribelli attivi in Sardegna contro gli Aragonesi e in Corsica contro i Genovesi. In realtà, tuttavia, gli elementi fondamentali del quadro politico rimasero immutati: il D., padrone della maggior parte della Corsica, seguitò a domandare rinforzi al sovrano aragonese, il quale, pur evitando ogni intervento diretto, non poté fare a meno di continuare a sostenere segretamente chi combatteva per la sua causa ed in suo nome. Certo, subito dopo la costituzione della Maona di Corsica, la guarnigione di Nonza, composta da catalani - dunque, da fedeli al D. -, dovette arrendersi agli armati degli Avogari, famiglia signorile che aveva i suoi domini a sud del Capo Corso e che combatteva per i Genovesi. Ma il D., passando all'offensiva, riuscì a battere i signori del Capo Corso e Deodato da Casta, che l'aveva assediato a corte; quindi, alzando le insegne del re d'Aragona, avanzò trionfalmente fino a Canistrzellu, a nordest del Capo, e impose fin lì la sua autorità. Di fronte a un tale quadro operativo, si ha difficoltà ad accettare la versione di Giovanni Della Grossa, secondo cui, su istigazione degli Avogari, il D. avrebbe trattato con i Genovesi e sarebbe egli stesso entrato nella Maona, promettendo di ritirarsi nel castello di Cilaccia e di lasciare liberi i castelli insulari, compreso Cinarca. Ed infatti, già padrone effettivo della maggior parte dell'isola (aveva, per esempio, spogliato dei loro domini i signori di Brando e di Nonza, e Deodato da Casta, che avevano chiamato in aiuto lo stesso Comune di Genova), il D. si unì con i signori d'Istria, di Ornano, di Leca e di Omessa, e sconfisse i "maoni" Giovanni de Magnerri e Leonello Lomellini, che si erano arrischiati ad affrontarlo nella Banda di Fuori. Il primo dei due avversari fu ucciso, mentre il secondo, fatto prigioniero, fu tiberato dietro versamento di un riscatto, sembra, di 4.000 fiorini, e dovette promettere amicizia al conte. Quest'ultinio, all'inizio del nono decennio del secolo, dopo essersi impadronito di Buguglia, sede del governatore genovese, costrinse Leonello Lomellini a fondare, con una funzione difensiva, il castello di Bastia: infatti il D. e i suoi partigiani, padroni assoluti di tutti i territori cinarchesi, minacciavano con i loro frequenti attacchi anche la Banda di Dentro. Essi fecero in special modo fallire un altro tentativo compiuto dal medesimo Leonello Lomellini per occupare e fortificare Aleria; combatterono inoltre i Cortinchi, che si erano schierati accanto alla Maona. Episodio di questa lotta fu, in particolare, l'esecuzione di Guglielmo Cortinco, soprannominato Schiumaguadella. Anche all'interno della signoria di La Rocca, il conte definì esattamente con i suoi fratelli bastardi lo stato patrimoniale delle rispettive proprietà: "egli consegnò in loro parte il mezzo del paese di Vegghiani e d'Attallà", afferma Giovanni Della Grossa.
In questi anni la maggior parte della Corsica, ad eccezione delle città fortificate di Bonifacio e di Calvi rimaste fedeli a Genova, era dunque sottomessa al potere del D. e a quest'ultimo pagava tributo. Capo delle fazioni filoaragonesi nell'isola, egli divenne dunque il principale rappresentante del re Pietro IV il Cerimonioso, che da una parte ordinava ai navigli che toccavano i porti sardi di fornirgli il vettovagliamento e dall'altra continuava a negoziare direttamente con Genova e con il papa per rafforzare la sua posizione internazionale, indebolita dall'arbitrato del marchese del Monferrato (aprile del 1360). La pace del 22 nov. 1386 fra Genova e l'Aragonese non ebbe alcun risultato concreto: infatti, essa non privò il D. né del dominio militare sull'isola, né dell'appoggio tattico - piuttosto modesto, ma costante - del Regno iberico. La pace fu confermata sotto il governo del successore di Pietro IV, Giovanni I, con un accordo del 28 marzo 1390, senza che i soccorsi al D. e agli altri insorti corsi fossero interrotti.
Tuttavia, durante il 1391, la posizione degli Aragonesi in Sardegna si deteriorò. Gli Arborea ricevettero nuovi soccorsi da Genova, mentre Brancaleone Doria s'impadroniva del Logudoro, occupava Osilo e Sassari e faceva sollevare anche la Gallura. In questa difficile congiuntura, il sovrano aragonese pensò di fare appello alle fazioni corse a lui fedeli. Alberto Zatrillas, uomo di fiducia del re, durante il 1392 ricevette l'incarico di portarsi dalla Sardegna in Corsica: doveva confermare nella sua missione il D. - il quale continuava a combattere contro i fautori del partito favorevole a Genova e si dichiarava fedele vassallo del re di Aragona - e doveva sollecitarne la cooperazione. Il signore corso si mise dunque al servizio di Giovanni I come Vassallo e reclutò truppe che condusse di persona in Sardegna per soccorrere Alghero, mentre sue galee incrociavano fra le due isole per sorvegliare i movimenti dei navigli genovesi; quale ricompensa ricevette dal sovrano aragonese, il 1° dic. 1393, il titolo di luogotenente del re "in insula nostraCorsice"e, nel marzo del 1394, una dotazione di 300 fiorini d'oro. Gli anni seguenti - a proposito dei quali Giovanni Della Grossa, favorevole al D., ci fornisce un racconto sommario - possono riassumersi in una serie di combattimenti fra la nobiltà filoaragonese, sempre capeggiata dal D., e i Genovesi, sostenuti dai capi popolari della Banda di Dentro, i "caporali", i quali, scrive il cronista corso, "congiurorno contro al conte per loro instabilità e passione e ambizione".
Il successore di Giovanni I, Martino l'Umano, si portò personalmente in Corsica dove, il 18 febbr. 1397, sbarcò vicino a Bonifacio. Egli rimase circa un mese nell'isola, visitandone varie località - soggiornò, per esempio, ad Aiaccio - e stringendo legami personali con il D., con i signori di La Rocca e altri Cinarchesi, fra cui Vincentello e Giovanni d'Istria. Il re decise in particolare di inviare in Corsica, per sostenere il D. e i suoi, un "governatore generale", Ruggero de Moncada, con un corpo di spedizione costituito da fanti e da cavalieri. Nel medesimo tempo fece loro fornire vettovagliamenti e una nave per sostenerli nella loro lotta marittima contro i Genovesi: il D. aveva in effetti il compito specifico di molestare nelle acque corse i navigli genovesi inviati in soccorso dei ribelli sardi. Nel corso dell'estate del 1397 il D., secondo Giovanni Della Grossa, sconfisse in battaglia campale nella regione di Furiani, fra Biguglia e Bastia, il nuovo governatore genovese della Corsica, Tommaso Panzano, e lo costrinse a rimbarcarsi. Durante i quattro anni successivi, meno documentati dalle fonti, il D. continuò ad opporsi ai Genovesi e in particolare al nuovo governatore Raffaele da Montaldo, che riuscì tuttavia a prendere saldamente possesso della Banda di Dentro.
Il D. morì nel giugno 1401, in circostanze misteriose, che fecero parlare di avvelenamento per conto di Genova.
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