ars combinatoria
ars combinatoria espressione con cui G.W. Leibniz (De arte combinatoria, 1666) designò il suo progetto di una metodologia in grado di dimostrare le verità acquisite (ars demonstrandi) e di scoprire verità nuove (ars inveniendi) mediante la semplice combinazione e permutazione di nozioni ritenute primitive. Secondo Leibinz, l’ars combinatoria richiede due condizioni: che sia possibile scomporre le idee complesse in idee semplici mediante una analisi esaustiva; che si possa comporre una lingua scientifica universalmente valida, un «alfabeto del pensiero umano», i cui simboli si correlino nello stesso modo dei pensieri (characteristica universalis). La combinazione delle idee deve avvenire secondo regole fisse (calculus ratiocinator), simili a quelle della matematica e, come questa consente di calcolare la quantità, così il calculus ratiocinator potrebbe calcolare ciò che appartiene al «potere dell’immaginazione». I segni artificiali della characteristica universalis sono determinati in modo tale che il calcolo logico complessivo rifletta la struttura stessa del reale.
Un progetto analogo era già presente in Raimondo Lullo che nel xiii secolo aveva ideato un sistema per collegare meccanicamente, anche con l’ausilio di tavole e figure, concetti fondamentali, in modo da esaurire ogni combinazione logica possibile e acquisire un sapere universale (ars magna). La sua opera fu ripresa da filosofi e alchimisti dei secoli xvi e xvii (Agrippa di Nettesheim, A. Kircher, P. Gassendi, G. Dalgarno) con il nome di ars combinatoria e, quindi, dallo stesso Leibniz. Molta importanza, nella riflessione leibniziana, ebbe anche il concetto di sapere come artificio e calcolo che compare negli scritti di Th. Hobbes. L’ambizione era quella di ridurre il ragionamento al calcolo: obiettivo ripreso successivamente e in modo sistematico da G. Boole (→ Boole, algebra di) e i cui principi ispiratori sono alla base della stessa logica formale moderna.