Termine designante, come il sinonimo mnemotecnica, i vari espedienti escogitati per aiutare la memoria a ritenere nozioni difficilmente associabili tra loro e riducibili a sistema e che quindi si ricordano con difficoltà.
Le fonti più antiche dell’arte della memoria si ritrovano soprattutto in Cicerone (De oratore), in Quintiliano (Institutio oratoria) e nella pseudo ciceroniana Rhetorica ad Herennium, dove il problema si pone in relazione alla tecnica della retorica allo scopo di definire i ‘luoghi’, le ‘immagini’ e l’‘ordine’ che favoriscono la memoria di fatti e nozioni. Nel Duecento, Alberto Magno e Tommaso d’Aquino tennero presenti anche temi dell’aristotelico De memoria et reminiscentia, inserendo i problemi ‘tecnici’ della m. nella cornice della psicologia aristotelica e portando il discorso fuori dell’immediato uso retorico. Sulla stessa linea si mossero poi altri autori: da Bartolomeo da San Concordio a Jacopo Ragone, alla fortunatissima Phoenix seu artificiosa memoria (1491) di Pietro da Ravenna. Nel Cinquecento l’arte della memoria assunse un rilievo più ampio per l’incontro con la tradizione lullista. L’‘arte’ di Raimondo Lullo – con il suo proposito di scomporre l’ambito delle conoscenze e del reale in elementi semplici e primi ai quali applicare modelli di combinazione capaci di costruire dimostrazioni necessarie, la riduzione degli elementi primi in lettere e simboli, la costruzione di figure indicanti i possibili nessi logico-reali e la proposta di un linguaggio artificiale universale – agì profondamente sui problemi della m. nel Cinque e Seicento. Attraverso il lullismo l’arte della memoria si legò ai problemi dell’enciclopedia, dei linguaggi artificiali, di una nuova logica ‘formale’; mentre d’altro lato il problema delle tecniche memorative trovò connessioni con le arti magiche. Se Pietro Ramo cercò di ricondurre il problema della m. nell’ambito delle più vaste discussioni sulla dialettica e sul metodo, il modo di affrontare lo stesso problema da parte di autori come Cornelio Agrippa, Giovanni Della Porta, Giordano Bruno si inserì in una concezione del mondo platonico-magica in cui rifluivano temi ermetici, cabalistici, astrologici. Dell’incrociarsi di questi elementi sono testimonianza i trattati più direttamente mnemotecnici come i Libellus artificiosae memoriae di J. Spangerbergius (1570), il Thesaurus artificiosae memoriae di Cosma Rosselli (1579), ma soprattutto il gruppo delle opere di Bruno dedicate all’ars combinatoria o all’ars reminiscendi (De umbris idearum, 1582; Cantus circaeus, 1582; Triginta sigillorum explicatio, 1583; De lampade combinatoria, 1587; De imagine signorum et idearum composizione, 1591), che si ricollegano ai suoi scritti ‘magici’. Analoghe connessioni tra m., magia, cabala sono in scritti come la Magia naturalis di W. Hildebrand (1610) o nel Traité de la mémoire artificielle di J. Belot (1654). Ancora lungo tutto il Seicento i temi della m. si presentano negli autori più impegnati nei problemi di una nuova ‘enciclopedia’ del sapere: basterà ricordare J.H. Alsted che collega strettamente i problemi della m. a quelli della riforma della cultura e dei sistemi educativi e a quelli dell’enciclopedia (Systema mnemonicum, 1610); problemi presenti altresì in Comenio e nel suo programma pansofico. Ancora il problema della m. si congiunge a quello di linguaggi universali e artificiali e a quello della ‘caratteristica’ lulliana che si ripropose nella maniera più significativa in Leibniz: con lui il problema del linguaggio universale si connetté al tema dell’unificazione del sapere, della pace fra i popoli, con una forte riduzione del linguaggio universale a una sorta di algebra generale.