Vedi PUNICA, Arte dell'anno: 1965 - 1996
PUNICA, Arte (v. vol. VI, p. 542)
Gli studi e le ricerche condotti in quest'ultimo ventennio sulla cultura materiale dei centri fenici e punici del Mediterraneo occidentale hanno di molto innovato e, nello stesso tempo, più compiutamente articolato per coordinate cronologiche e regionali la problematica relativa alla stessa definizione dell'artigianato e dell'arte punica. Nell'ambito indagato rientrano tutte le manifestazioni d'artigianato prodotte dai centri fenici d'Occidente e da quelli in seguito fondati o rifondati da Cartagine dal VII sec. a.C. sino alla distruzione del 146 a.C. In questa lettura rientrano le manifestazioni artigianali della stessa cultura successive alla caduta di Cartagine, che convenzionalmente si indicano come neopuniche e che mantengono alcuni caratteri e stilemi propri della civiltà punica. Ogni aggiornata valutazione in ragionevole autonomia di tale produzione rispetto a quella della madrepatria fenicia deve tenere in adeguato conto una serie di ultime indicazioni derivanti dal progresso degli studi, che si riassumono in due dati fondamentali: che la trasmissione di prodotti e di cultura da Oriente in Occidente, anche in apporto demografico, fu continua dal periodo precoloniale sino alla prima romanizzazione; che in più di un caso tale trasmissione si è riproposta da Occidente in Oriente con non occasionali fenomeni di ritorno.
I documenti sull'artigianato punico sono riferibili per la quasi totalità a ritrovamenti in necropoli o in luoghi di culto. La mancanza a tutt'oggi di una consistente documentazione di contesti urbani, che solo in questi ultimi anni inizia a essere correttamente enucleata negli scavi di Mozia in Sicilia, di Cartagine e di Kerkouane in Tunisia, di Tharros e Sant'Antioco in Sardegna, di Cadice in Spagna, condiziona quindi sia la stessa natura della testimonianza sia la valenza e il significato da dare al complesso dei dati disponibili. Da qui deriva anche la scarsa documentazione sull'architettura civile e religiosa, sull'ornato architettonico e sulla statuaria, a cui non sempre correttamente si ovvia con il ricorso al repertorio delle stele votive dei tofet. I giudizî sull'arte p. si valgono quindi sostanzialmente dell'esame di prodotti che ricadono per gran parte nella sfera del magico di tradizione egiziana, e che non sempre si prestano a ricostruzioni di mappe, vettori commerciali o tendenze artistiche ben individuabili. Inoltre, il recupero antiquario della gran parte della documentazione tra fine Ottocento e primi Novecento ha privato i reperti di inquadramenti cronologici di contesto, favorendo spesso datazioni basate su assonanze e linee evolutive interne, queste ultime scarsamente correlate con i dati delle coeve culture mediterranee. Da ultimo, l'attenzione forse eccessiva posta nella distinzione fra prodotti locali e di importazione primaria o secondaria rischia in più di un caso di limitare a una visione «genetica» o al limite «razziale» la valutazione globale di una cultura figurativa che raggiunge proprio nelle sue esperienze mediterranee d'incontro e di integrazione con le altre culture di sostrato e di adstrato la sua stagione più vitale e originale.
I primi studi sulla cultura materiale punica e i suoi caratteri-guida all'interno del mondo punico o nel confronto con gli altri mercati avevano individuato in Cartagine il massimo centro produttore e irradiatore, registrando così un'equivalenza formale e sostanziale fra primato culturale e primato politico detenuto dalla metropoli africana. Successivamente, fino si può dire ai giorni nostri, si è registrata una sostanziale inversione di tendenza con l'individuazione di centri artigianali autonomi da Cartagine, con propri mercati e propria evoluzione, in più casi capaci di prescindere e d'imporsi alla stessa cultura della capitale politica. In altre parole, si è arrivati a ridimensionare in qualche modo la funzione culturale di Cartagine senza peraltro trarne appieno in sede di storia politica e istituzionale le conseguenze che ne derivavano circa una più pluralistica e articolata conduzione politica del mondo punico, che vide Cartagine confrontarsi con i diversi schemi e ordini politici delle altre colonie fenicie d'Occidente.
Le ricerche di questi ultimissimi anni tendono a riconoscere a Cartagine, se non il primato, almeno una certa centralità culturale che le deriva dal trainante ruolo politico da essa assunto all'interno dell'ecumene punico dalla fine del VII sec. a.C. in poi. Un rilevamento quindi in dati di cultura materiale che va attentamente perseguito negli studi futuri e correlato a griglie cronologiche precise, in cui la centralità di Cartagine si dovrà leggere anche e soprattutto in rapporto con la funzione di smistamento che la città ebbe a svolgere sulla rotta di ritorno verso Oriente.
Le analisi sui complessi fenomeni d'importazione che hanno investito il mondo punico, sui suoi vettori e sul ruolo autonomo svolto da alcuni centri hanno notevolmente innovato la letteratura che indaga il fenomeno. Se i mercati importatori ne sono emersi in una più netta articolazione in cui il ruolo attico, etrusco, ionico, rodio, egiziano si sono meglio definiti nel tempo e nella rispettiva incidenza con il permanere di quel filone fenicio che appare sempre meno unitario e più differenziato, l'individuazione di centri artigianali punici è solo all'inizio di un lungo itinerario di ricerca. I dati finora disponibili non consentono sempre di distinguere fra materiali di produzione locale o d'importazione, o in quali circostanze una produzione artigianale di routine cittadina possa assurgere a ruolo e dignità di bottega che produce per l'importazione sia all'interno sia all'esterno del mondo punico.
Se si riconosce sostanzialmente valida l'impostazione data al problema, sarà possibile individuare prodotti importati da culture allogene, prodotti imitati da queste culture e prodotti che per caratteri, funzionalità cultuale e per milieu culturale possono e debbono definirsi punici. Ma da questa prima definizione sarà opportuno cogliere ulteriori distinzioni all'interno delle singole fenomenologie, spesso fra loro interagenti. Così accanto all'imitazione di ceramica attica e campana, attivata in particolare in botteghe puniche dell'Africa settentrionale, si porranno le importazioni di prodotti che la richiesta punica ha scelto e ambientato a riscontro delle proprie iconologie. E quest'ultimo il caso dei sarcofagi in marmo con coperchi a figure maschili e femminili rinvenuti nella necropoli cartaginese di Santa Monica, modellati da artisti etruschi, ma con un'evidente aderenza a schemi punici. Che tale commissione mirata abbia significato anche il ricorso all'opera ,di maestri artigiani di altre culture portati a operare in centri punici è fenomeno ancora da indagare, ma che sembra già da oggi non poter essere messo in discussione per quanto riguarda i maestri incisori degli scarabei in diaspro verde di Tharros e dei coni delle monete dalla Sicilia a Cartagine.
La pittura, che in questi ultimi anni ha visto più che triplicare la propria documentazione con la scoperta di temi figurativi complessi all'interno di tombe puniche cagliaritane, apre una nuova problematica. Allo stato attuale delle conoscenze non si può che definire «punico» il pittore che reinterpreta con indubbia autonomia sia cartoni vicino-orientali sia stilemi del più diffuso decorativismo ellenistico.
Per le categorie che per somma di autonome scelte tecniche di materiale e di soluzioni figurative è possibile leggere come prodotti punici - le uova di struzzo, i rasoi votivi in bronzo, alcune tematiche dei gioielli, degli amuleti e delle terrecotte - emerge in sintomatica evidenza la centralità della documentazione cartaginese.
Del tutto particolare è, infine, il fenomeno delle stele votive, che riprendono nei tipi e nelle iconografie l'intero repertorio figurativo noto ai diversi centri punici. In questo caso la produzione locale e la formazione artigianale punica sono fuori discussione.
È la produzione delle stele votive, così vincolata alla cultura delle comunità cittadine che esprimono il tofet, a segnalare per prima le specificità regionali dell'arte punica. Dalle stele di Cartagine, che si evolvono dal rigido schematismo egittizzante delle prime realizzazioni in arenaria alle ellenistiche soluzioni in calcare, alle stele di Mozia, che accentuano con gli stretti legami vicino-orientali l'insospettata impermeabilità del centro agli stimoli della vicina Sicilia greca; dalle stele monumentali di Tharros, che tale legame vicino-orientale mantengono e integrano con esperienze di una riscoperta arte paleosarda, alle stele dell'antica Sulcis, così aperte alla recezione di cartoni magnogreci.
Dalle stele alle uova di struzzo e ai rasoi votivi in bronzo. Per le uova di struzzo s'individuano nella sintassi decorativa almeno tre poli di realizzazioni caratterizzanti: quello iberico, con il repertorio d'impianto vascolare di Villaricos e il decorativismo fitomorfo di Ibiza; quello nordafricano, con la ripresa della simbologia libica nei prodotti di Guraya; quello cartaginese, con il taglio a maschera umana in vivace policromia. I rasoi votivi di Cartagine guidano l'affermazione dell'intera classe, che solo in Iberia conosce una certa specificità locale nella ripresa di tipologie indigene.
Con la glittica in pietra dura, che taglia scarabei con ovali di base sedi di complesse iconografie composite, il primato culturale di Cartagine trova ampio riscontro, e per taluni autonome elaborazioni, nella documentazione tharrense. Quest'ultima appare come il riflesso di una dimensione tirrenica che per qualche tempo sembrò poter condurre a nuova sintesi culturale la stessa cultura punica, che in seguito, fino alla caduta di Cartagine e oltre, apparirà sempre più riconoscibile per i suoi connotati africani.
È proprio in Africa, ormai priva del suo più prestigioso supporto politico, Cartagine, che la cultura punica troverà una nuova vitalità nei regni neopunici e nelle città che conservarono a lungo l'impronta di quella organizzazione comunitaria. Da qui la rinnovata documentazione di un'eredità punica che, anche in altre regioni come l'Iberia, la Sardegna e la Sicilia, diventerà a sua volta sostrato della normalizzazione romana e materierà con quanto d'indigeno ha saputo coinvolgere la nascente arte provinciale di Roma.
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