Arti marziali
Nell'attività e negli addestramenti sportivi, la denominazione arti marziali comprende le varie discipline di combattimento e autodifesa di origine orientale, che hanno in comune la stessa radice etico-religiosa. L'obiettivo principale di tutte queste discipline non era tanto l'addestramento alle tecniche di guerra, quanto il miglioramento delle capacità spirituali oltre che fisiche dei praticanti. Oggi esistono due livelli di pratica: uno più diffuso, specie in Occidente, in cui prevalgono gli aspetti sportivi e agonistici (il Judo, per es., è disciplina olimpica dal 1980), l'altro più tradizionale, volto principalmente a una migliore conoscenza della propria realtà psicofisica.
Si ritiene che le arti marziali, intese come sistema di studio delle tecniche belliche e allenamento del corpo, siano nate in India e si siano di qui diffuse in Cina e poi in Asia Minore. Notizie documentate sulle arti marziali in Cina trapelano dalle descrizioni delle prime guerre tribali, al tempo del leggendario Imperatore Giallo (27° secolo a.C.). Nel periodo della dinastia Zhou (11° secolo-221 a.C.), le tecniche a mani nude e il tiro con l'arco furono catalogati tra le discipline da guerra, accanto all'utilizzo dei carri trainati da cavalli. Guardando con attenzione alle testimonianze risalenti ai primi periodi della storia cinese documentata, si nota già un'importante distinzione tra le arti marziali e la lotta comune. Tale distinzione non riguarda il campo di applicazione o le tecniche usate, quanto piuttosto lo scopo a cui esse sono rivolte; le arti marziali, infatti, erano considerate come facenti parte di un sistema globale di educazione non solo militare, avente per scopo finale la trasformazione radicale dell'allievo. Per questa ragione, in tutte le diverse culture in cui si sono poi sviluppate, le arti marziali sono state sempre considerate uno strumento di crescita morale e spirituale, con una concezione non dissimile dall'ideale di atleta nella Grecia antica o dai codici cavallereschi del nostro Medioevo.
Secondo lo stesso principio, in Cina, a partire dalla dinastia Tang (618-907 d.C.), ufficiali e soldati, per essere promossi di grado, dovevano sostenere prove di arti marziali.In ogni periodo, nelle corti imperiali, le arti da combattimento furono favorite e molti regnanti si impegnarono a sostenere e proteggere i maestri e gli esperti della loro epoca, nonché a promuovere tornei e manifestazioni dimostrative. I signori feudali agevolarono lo sviluppo delle arti marziali per rafforzare il proprio potere militare, ma ne limitarono rigorosamente la diffusione tra i contadini e la gente comune; molto spesso, anzi, proibirono ai civili il possesso di qualsiasi tipo di arma, favorendo così, indirettamente, il sorgere e il prosperare di associazioni segrete. In Cina, comunque, le arti marziali trovarono un terreno particolarmente fertile. L'atteggiamento pratico della cultura popolare cinese, infatti, e insieme il misticismo, spesso esoterico, della religione taoista, fortemente orientata verso la natura e il corpo umano, incoraggiarono lo sviluppo di un gran numero di tecniche di combattimento, in stretta connessione con le scuole di pratica spirituale. In seguito, le arti marziali si diffusero verso la Mongolia, l'Indonesia, Giava, la Corea, Okinawa e il Giappone, dove furono integrate con i sistemi marziali e religiosi autoctoni, dando vita a entità e situazioni nuove e autonome.
L'elemento che forse caratterizza in maniera più marcata la differenza tra la nostra cultura occidentale moderna e quella orientale tradizionale, culla delle arti marziali, sta nella diversa concezione del corpo umano e delle sue potenzialità. In Occidente assistiamo a una separazione netta tra il corpo e la mente. Il campo fisico e quello spirituale sono completamente distinti e spesso visti, anche in ambito religioso, come antitetici. Malgrado il corpo non sia più considerato uno strumento del demonio, si tende comunque a volerlo disciplinare o soggiogare. I valori che la stessa scienza sociale propone sono principalmente il pensiero razionale e l'attività intellettuale; l'aspetto emotivo dell'individuo è visto come possibile fonte di confusione mentale e di disequilibrio.
In Oriente, invece, mente e corpo sono considerati assolutamente indissolubili, due aspetti della stessa sostanza. La conoscenza non ha molta importanza quando è solamente pensata o capita intellettualmente; essa deve essere sentita con il corpo. Nelle arti marziali, la comprensione tecnica o mentale di un movimento è solo l'elemento di base che permette di eseguire i movimenti, ma di per sé ha un valore meramente funzionale. Le arti marziali non possono, quindi, essere correttamente interpretate e praticate se non viene risolta, almeno in parte, la separazione tra il corpo e la mente, tra il fisico e lo spirituale.
In Oriente, questa dicotomia è illustrata e spiegata attraverso i concetti dello yin e dello yang, considerati il fondamento della struttura concettuale del pensiero e della cultura tradizionale cinesi. Tale teoria sostiene che ogni elemento o fenomeno dell'universo consiste di due aspetti opposti, detti appunto yin e yang, che sono assolutamente interdipendenti e che regolano il mondo materiale e spirituale, il principio e la fonte dell'esistenza di ogni cosa, la causa prima del loro prosperare e morire. L'opposizione di yin e yang descrive la contraddizione e la lotta tra due aspetti opposti all'interno di un fenomeno, che anticamente venivano simboleggiati con il lato in ombra e il lato in luce di una montagna, oppure, rispettivamente, con l'acqua e con il fuoco. Yin è, quindi, il freddo, il basso, l'oscurità, l'interno, l'inibizione, ciò che è materiale, l'ombra, la luna, la terra, il principio femminile; yang, invece, è il calore, l'alto, il movimento, l'esterno, la luminosità, l'eccitazione, la rapidità, tutto ciò che è immateriale, il Sole, il cielo, il principio maschile. La loro assoluta interdipendenza esprime che ciascuno dei due aspetti è la condizione per l'esistenza dell'altro: il giorno non potrebbe esistere senza la notte, l'alto senza il basso, l'ombra senza la luce, il forte senza il debole. Nella cultura occidentale, si tende spesso a dare, nelle diverse situazioni che la vita offre, un valore assoluto, positivo o negativo, a questi due aspetti della realtà, il che implicitamente spinge a ricercarne uno rifiutando l'altro, aprendo così la via a uno stato di eccesso di uno dei due e quindi di disequilibrio. Secondo la concezione orientale, l'equilibrio è nell'integrazione dei due, ma questo stato di integrazione non è dato solamente dall'alternanza dei due aspetti presi separatamente, né dalla somma della metà dell'uno e della metà dell'altro o dall'utilizzazione dell'uno prima e dell'altro dopo. È, piuttosto, l'emergere di una nuova condizione, di un diverso stato dell'essere: quanto si prefiggono, appunto, di promuovere le arti marziali, attraverso la pratica e il lavoro con il corpo.
L'aspetto esterno della pratica marziale è, ovviamente, quello più appariscente e familiare; consiste nella posizione e nel movimento degli arti e del corpo, nella tecnica corretta, nella forza muscolare, nella velocità di esecuzione e così via. L'aspetto interno, più nascosto, non ha nulla di spettacolare, anche se può produrre risultati spettacolari. Esso riguarda fattori come la respirazione, il corretto equilibrio delle tensioni interne del corpo, lo sviluppo e l'utilizzazione dell'energia interna, nota in cinese con il termine qi, e, infine, l'atteggiamento mentale o la prontezza di spirito. Gli elementi interni sono difficili da comprendere senza un'esperienza personale e hanno bisogno di quelli esterni per manifestarsi; a loro volta, quelli esterni hanno bisogno di quelli interni per avere forza vitale. La forza vitale, diversamente da quella muscolare, che può facilmente essere allenata, ma è localizzata, e quindi non utilizzabile dal resto del corpo, è immagazzinata in modo centralizzato e può essere diretta dovunque sia necessaria.
Essa integra il corpo in una sola unità coordinata e può accrescerne tutte le funzioni. Il suo libero fluire, infatti, è il fattore primario per conservare il corpo e la mente in buona salute e costituisce il cardine intorno a cui si sviluppa ogni intervento della medicina tradizionale cinese. L'energia interna è sviluppata in molti modi diversi, che, però, hanno in comune il principio secondo il quale essa non può essere acquisita meccanicamente, ma va lasciata emergere dal profondo della più intima natura dell'uomo.Formalmente, si tende a suddividere le arti marziali in due gruppi: quelle che utilizzano in prevalenza la forza fisica e quelle in cui l'accento è più sull'energia interna. Le prime, come per es. il Karate, prediligono tecniche lineari, che producono movimenti penetranti, angolari, improvvisi; le seconde, come per es. l'Aikido o il Taiji quan, adottano movimenti circolari, in cui l'energia è prevalentemente tangenziale, spazzante e continua. Nel primo caso, con l'aiuto di una forte concentrazione emotiva e mentale, si cercherà di creare un violento impatto fisico con l'avversario, nel secondo prevarranno atteggiamenti di rilassamento ed elasticità, con un'attenzione calma ed aperta. Naturalmente, anche l'energia interna può essere concentrata e scaricata in un punto sul corpo dell'avversario, in modo da provocare un forte squilibrio energetico interno.
Molte arti marziali prevedono anche l'uso di armi e alcune sono caratterizzate solamente dall'uso di un'arma senza tecniche a mani nude: il Kyudo, per es., utilizza l'arco tradizionale giapponese, il Kendo la spada ricurva. Le tecniche di utilizzo delle armi, comunque, rispondono agli stessi principi che regolano quelle a mani nude. Il punto chiave di tutti i sistemi, infatti, è fondere sé stessi con l'arma, per renderla un'estensione del proprio corpo, come una mano o un piede, in modo che la propria energia interna possa fluire fin dentro di essa.
Indipendentemente dal fatto che siano morbide o dure, interne o esterne, tutte le arti marziali sono sistemi di pratica e di utilizzo del qi. Cambiano solamente la metodologia di allenamento e l'importanza data ai fattori che caratterizzano la pratica.In molte culture diverse, la parola che indica il qi ha i due differenti significati di 'respiro' e 'spirito', una sorta di ponte tra il materiale e l'immateriale. Il qi è un'energia strettamente connessa con la vita e la coscienza e può avere effetti diretti sull'energia fisica e spirituale. Nelle arti marziali, esso viene prodotto e accumulato nel corpo, al fine di aumentare la capacità generale del praticante di controllare con la volontà e l'intento qualsiasi tipo di situazione. Il qi può essere diretto consapevolmente all'interno del proprio corpo o intorno a esso e, ad alti livelli di pratica, può influire sugli stati mentali e fisici propri e altrui.Nel mondo delle arti marziali, il qi viene sviluppato dall'interazione consapevole tra movimento fisico, respirazione e attenzione focalizzata.
Al di là dello studio e della pratica dei movimenti specifici di ogni stile marziale, la pratica sul qi viene effettuata attraverso esercizi particolari. Nel Taiji quan, per es., si assumono delle posizioni statiche, che favoriscono il rilassamento e l'accumulo del qi nella zona del dantian, posta sotto l'ombelico, considerato il serbatoio del qi nel corpo umano, e si eseguono alcuni semplici movimenti dinamici, per avviare e sviluppare la circolazione a spirale, che conduce il qi dal dantian alla periferia del corpo e viceversa.Secondo la filosofia orientale, il qi è il vero mattone della realtà; dalla terra alle galassie più lontane, dalla materia inorganica al corpo umano, ai pensieri, allo spirito, tutto è qi; ciò che cambia è solo la sua intensità e qualità. Al di là del semplice combattimento con un avversario, l'obiettivo che si prefiggono le arti marziali è non solo la coltivazione e l'utilizzo del qi, ma anche il processo di raffinazione con cui lo si aumenta di intensità e qualità, in modo da raggiungere livelli di coscienza più alti e profondi. Con lo sviluppo e l'espansione del qi, la distinzione fra sé e l'avversario cade e il combattimento diventa una danza armoniosa, finché, dopo anni di pratica, l'illuminazione spirituale apre lo studente di arti marziali alla comprensione profonda della realtà e non vi è più combattimento alcuno. Il praticante ha acquisito la fluidità dell'universo e l'avversario deve rompere questa armonia, per cui, nel momento in cui gli viene l'idea di lottare, è già battuto.
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