artigianato
La sapienza delle mani
Molti degli oggetti che usiamo quotidianamente ‒ dai vestiti alle scarpe, da tutto ciò che ci serve per cucinare e mangiare sino ai mobili ‒ sono prodotti industriali, sono cioè fabbricati in grandissima quantità e in serie tramite macchinari. Ma soltanto sino a due secoli fa questi oggetti erano prodotti dagli artigiani, ossia da persone che si servivano essenzialmente dell'abilità delle proprie mani, usando pochi strumenti e applicando tecniche tramandate di generazione in generazione. L'avvento della civiltà industriale ha nettamente ridimensionato l'artigianato, che tuttavia non è mai scomparso e che da qualche decennio ha ritrovato una sua vitalità
Quando pensiamo a un artigiano ‒ un falegname, un vasaio, un sarto, un orafo ‒ il nostro pensiero va subito alle mani, a quella 'sapienza delle mani' che è il frutto di un lungo e paziente apprendistato. L'artigiano lavora in uno spazio raccolto e quasi domestico, come una bottega che si affaccia direttamente sulla strada o un appartamento, che in genere fa contemporaneamente da laboratorio, da deposito e da negozio. Al suo interno lavorano poche persone, che servendosi dei più svariati materiali ‒ dal legno al metallo, dalla pietra al vimini, dalle stoffe alla cartapesta ‒ realizzano oggetti originali o funzionali, spesso ordinati direttamente dal cliente sulla base delle sue specifiche esigenze e dei suoi gusti personali.
La manualità al posto delle macchine, la bottega o il laboratorio al posto della fabbrica e soprattutto l'abilità e l'ingegnosità personali in luogo dell'esecuzione automatica, anche quando si tratta di usare strumenti o tecnologie: tutto questo distingue la produzione artigianale da quella industriale e le conferisce tanto i suoi caratteristici pregi (l'originalità creativa) quanto i suoi inevitabili difetti (tempi lunghi di produzione e costi elevati).
Nel mondo antico ‒ dall'Egitto alla Grecia, dall'Impero romano a quello cinese ‒ l'artigianato era fiorente e spesso gli artigiani godevano di una certa considerazione sociale. Le notizie più sicure di cui disponiamo riguardano l'Impero romano, dove vigeva una netta distinzione. Gli artigiani che lavoravano il legno (falegnami, ebanisti, carpentieri), i metalli (fabbri), la farina (panettieri) e le stoffe (follatori) erano uomini liberi: essi erano organizzati in corporazioni, che prendevano anche parte alle competizioni elettorali. Invece la lavorazione del cuoio, dei profumi e dei pellami, nonché la tintura delle stoffe, era affidata ai servi. L'artigianato romano iniziò a decadere nel 3° secolo d.C., quando l'esercito inquadrò nei suoi ranghi gli artigiani liberi, obbligandoli a lavorare gratuitamente. Le successive invasioni barbariche, con la fuga dalle città verso le campagne e lo svilupparsi di un'economia di sussistenza ‒ cioè di un'economia nella quale si producevano solo i beni indispensabili per il consumo locale ‒ aggravarono la decadenza dell'artigianato: molti mestieri sparirono e gli artigiani rimasti persero la loro libertà mettendosi alle dipendenze dei signorotti locali.
Rifiorito intorno all'11° secolo, insieme al risveglio dell'economia e alla rinascita delle città, l'artigianato conobbe sino al 17° secolo la sua epoca d'oro. Le città europee pullulavano di tessitori, fabbri, orefici, incisori, orologiai, vetrai, pellicciai, ebanisti, birrai, panettieri e decine di altri artigiani, spesso altamente specializzati. Il Libro dei mestieri, redatto in Francia nel 1258 su ordine del re, ne contava 101 tipi diversi; nella Repubblica di Venezia se ne registrarono 142. Gli artigiani ‒ che vivevano negli stessi quartieri, spesso dando il loro nome alle strade ‒ si organizzarono dapprima in confraternite, ognuna con il suo santo protettore, e poi in gilde o corporazioni, cioè in associazioni di mestiere che svolgevano molteplici funzioni. Fornivano assistenza in caso di infortuni, malattie o lutti; promuovevano la vita sociale, organizzando feste laiche e religiose; e soprattutto regolamentavano il lavoro, fissando le tecniche da usare, i prezzi da praticare e le modalità dell'apprendistato.
Nelle occasioni pubbliche più importanti, le corporazioni sfilavano per la città, mostrando tutta la magnificenza dei propri costumi e dei propri simboli. Ebbero anche un importante ruolo politico: durante l'età comunale, con la diretta partecipazione alla lotta per il potere cittadino; nei moderni Stati nazionali, con la rappresentanza delle esigenze di nuovi ceti che, a differenza dei nobili, basavano il loro ruolo sociale sul lavoro ed erano più dinamici e istruiti dei contadini.
Alla lunga nelle corporazioni prevalse uno spirito conservatore, che impedì loro di accettare il nuovo scenario economico, basato sull'innovazione tecnologica e sulla libera concorrenza. Le corporazioni furono abolite nei maggiori paesi europei tra la fine del 18° secolo e l'inizio del 19° e gli artigiani ‒ incapaci di competere con le industrie, che producevano molto di più e a prezzi infinitamente inferiori ‒ iniziarono a decadere.
Sebbene dal 19° secolo rappresenti una componente minoritaria della produzione, l'artigianato ha ritrovato, negli ultimi cinquant'anni, un suo ruolo e una sua vitalità, paradossalmente proprio grazie allo straordinario sviluppo della civiltà tecnologica. Circondati sempre più da oggetti prodotti in serie ‒ cioè uguali, standardizzati ‒ molti di noi avvertono il bisogno di oggetti originali, personalizzati, prodotti con materiali naturali, siano essi mobili, vestiti, borse o oggetti per la casa. Si è così rivitalizzato un vasto settore, che va dall'artigianato del legno, dei metalli e del vetro a quello dei vestiti, dalla tappezzeria al ricamo, dalla produzione naturale degli alimenti alla loro preparazione artigianale.
In secondo luogo, la stessa tecnologia contribuisce direttamente a sviluppare il lavoro artigianale. Artigianali sono infatti tutti quei mestieri che ci vengono in aiuto quando i molti prodotti tecnologici di cui disponiamo, così comodi ed efficienti, improvvisamente si inceppano: è il settore delle riparazioni, che riguarda le automobili, tutti i tipi di elettrodomestici, gli impianti idraulici, elettrici e di climatizzazione, i computer ‒ quasi una sorta di rivincita che la sapienza delle mani si prende sulle macchine.
Nel complesso, l'artigianato è un settore importante dell'economia: il 10% della produzione tedesca, per esempio, è opera dell'artigianato, che conta 6 milioni di addetti, mentre l'Italia è il paese europeo con il maggior numero di imprese artigiane (1 milione e 400 mila, con 3 milioni di addetti). Per diventare artigiani si seguono corsi scolastici o professionali, spesso organizzati dagli enti locali (Regioni e Comuni) o dalle stesse associazioni artigianali, nei quali l'apprendistato rimane l'elemento centrale.
La strada per divenire maestri artigiani, ai tempi delle corporazioni, era lunga e difficile. Un ragazzo andava a bottega, per imparare un mestiere o un'arte, tra gli 8 e i 15 anni. L'apprendistato durava dai 4 ai 10 anni, terminati i quali il ragazzo doveva produrre una propria opera, detta capolavoro, che veniva giudicata da uno o più maestri e dimostrava l'acquisizione del mestiere o arte. Diveniva così un garzone o lavorante. Ma per raggiungere il gradino più alto, quello di 'maestro', non bastava l'abilità. Era necessaria anche una certa anzianità e soprattutto la capacità di risparmiare, perché bisognava 'comprare il mestiere' per ricevere l'approvazione di altri maestri. Tra lavoranti e maestri vi furono spesso tensioni e scontri, perché i secondi tendevano a rendere sempre più difficile l'accesso alla dignità di maestro, spesso cercando di riservarla ai propri figli e ai propri generi. Tale tendenza, tra il 14° e il 15° secolo, determinò ripetuti conflitti sociali, che spesso sfociarono in scioperi e sommosse violente.