ASCENSIONE
L'a. è la salita di Cristo al cielo alla presenza degli apostoli dopo la risurrezione, della quale costituisce il completamento. La risurrezione di Cristo e la sua ascesa alla destra del Padre sono infatti inscindibilmente associate nei riferimenti del Nuovo Testamento: Mt. 28, 18; Rm. 8, 34; Ef. 1, 19-21; Fil. 2, 8-11 (Lohfink, 1971, pp. 81-98). L'a., come immagine dell'esaltazione di Cristo tradotta in un evento visibile, è descritta per la prima volta in Lc. 24, 50-53, vista come la fine della missione terrena del Figlio di Dio; per contro in At. 1, 9-11 vale a segnare l'inizio della missione della Chiesa. In entrambi i testi il racconto dell'a. segue lo schema di quelli relativi alle diverse assunzioni dell'antichità classica (Ercole, Romolo), dell'Antico Testamento e delle tradizioni giudaiche (Enoch, Elia): Cristo ascende al cielo alla presenza degli apostoli e conclude così la sua vita sulla terra (Lohfink, 1971, pp. 32-79). In ragione di tale rapporto, i primi artisti che rappresentarono l'a. utilizzarono l'iconografia classica delle assunzioni e, in particolare, quella dell'apoteosi.Le più antiche raffigurazioni sicuramente riferibili all'a. risalgono agli ultimi anni del sec. 4°; si tratta del sarcofago galloromano di Servannes (Arles, Mus. Lapidaire d'Art Chrétien) e di un avorio, forse dell'Italia settentrionale, oggi a Monaco (Bayer. Nationalmus.). In quest'ultimo, Cristo è raffigurato nel momento del passaggio dalla cima di un monte al cielo: la mano di Dio esce da una nuvola e prende la mano del Figlio, due apostoli assistono alla scena. I testimoni oculari comparivano anche nelle raffigurazioni classiche di apoteosi, ma qui essi richiamano l'immagine dei discepoli nelle scene di trasfigurazione, mentre la figura di Cristo mostra un'analogia formale con l'iconografia di Mosè che riceve le tavole della Legge. La mano di Dio in questo contesto può essere confrontata, per es., con Atena che afferra per le mani l'eroe nell'apoteosi di Ercole sul monumento sepolcrale di Igel (ca. 250 d.C.; Schrade, 1928-1929, fig. 9). Anche sulle monete di consacrazione di Costantino l'imperatore ascende sulla sua quadriga con il braccio teso verso una mano che spunta da una nuvola (Schrade, 1928-1929, fig. 10). Nell'avorio di Monaco, in particolare, la mano prende Cristo per il polso come in un reliquiario di marmo del sec. 5° (Ravenna, Mus. Arcivescovile), con chiara allusione a un rapporto tra l'a. e l'assunzione per opera del Padre. Uno dei pannelli delle porte lignee di S. Sabina a Roma (430 ca.) mostra una variante dello schema: Cristo è letteralmente portato in cielo da due angeli, mentre un terzo lo acclama e quattro apostoli assistono alla scena (Tsuji, 1962).Le più antiche immagini orientali, per es. quelle sulle ampolle della Terra Santa (sec. 6°) e quella sul coperchio dipinto di una cassetta lignea del sec. 6°-7° proveniente dal Sancta Sanctorum lateranense (Roma, BAV, Mus. Sacro), presentano uno schema completamente diverso. Nella zona superiore Cristo è raffigurato in trono entro una mandorla sorretta da quattro angeli, come già era avvenuto nell'arte classica nelle rappresentazioni dell'imago clipeata del defunto sorretta da geni o vittorie; nella zona inferiore appaiono nuovamente i testimoni: la Vergine - di profilo o, più di frequente, in posizione frontale, come orante - fiancheggiata dagli apostoli, tra cui s. Paolo che si protende verso l'alto. La presenza della Vergine e di s. Paolo rende questo tipo di a. non semplicemente descrittiva: testimoni dell'a., allo stesso tempo essi rappresentano anche la Chiesa; il ruolo privilegiato della Vergine è sottolineato inoltre dalla sua posizione all'interno dello schema compositivo e dalla sua espressione. Poiché Cristo è in posizione frontale, seduto in trono entro una mandorla, la zona superiore assume il carattere di una teofania al di fuori del tempo e l'a. viene intesa anche come una intronizzazione.Una miniatura nel Vangelo di Rabbūlā, del 586 (Firenze, Laur., Plut. 1. 56, c.13v), è iconograficamente ancora più complessa: la mandorla con il Cristo è posta sul tetramorfo e sulle ruote di fuoco della visione di Ezechiele (Ez. 1, 4-28; 10, 1-22); due angeli con le mani velate offrono a Cristo corone e negli angoli superiori della scena compaiono le raffigurazioni del Sole e della Luna (elementi derivati dall'iconografia imperiale). Cristo è rappresentato in piedi, con la mano destra atteggiata in un gesto retorico e la sinistra che tiene un rotolo dispiegato, come nelle rappresentazioni escatologiche della Traditio legis: l'immagine di Cristo così concepita fa chiaro riferimento alla sua seconda venuta, ribadita dalla presenza in basso di due angeli messaggeri, due uomini vestiti di bianco che spiegano l'evento agli apostoli (At. 1, 11).Il tetramorfo si trova anche nell'arte copta, per es. nell'architrave ligneo proveniente dalla chiesa di al-Mu῾allaqa (Cairo, Coptic Mus.), datato, per argomentazioni teologiche, tra il 335 e il 356-431 (Sacopoulo, 1957) ma probabilmente più tardo, e nell'affresco della cappella 46 del monastero di S. Apollo a Bāwīt (secc. 5°-7°). L'affresco della cappella 17, invece, mostra come l'iconografia teofanica dell'a. e le altre teofanie siano molto simili: la Vergine e gli apostoli si rivolgono verso l'osservatore e non verso il Cristo, raffigurato al di sopra di loro seduto sul trono-carro di Ezechiele; Cristo tiene un libro aperto, in cui è scritta per tre volte la parola ἄγιοϚ, 'santo' (Is. 6, 3; Ap. 4, 8). Si tratta qui dunque di una teofania del trisághion (Van der Meer, 1938, pp. 257-260) con i rappresentanti della Chiesa. Lo schema iconografico raffigurato sulle ampolle del sec. 6° era probabilmente noto in Occidente: una miniatura in un manoscritto irlandese del sec. 8° (Torino, Bibl. Naz., O.IV.20) deriva chiaramente dal tipo orientale, in linea di massima più diffuso peraltro nell'arte bizantina. Un'altra immagine di a. risale al periodo post-crociata e compare nel mosaico della cupola della Santa Sofia a Salonicco. Essa riproduce e sviluppa lo schema raffigurato sulle ampolle: Cristo siede sull'arco celeste entro una mandorla sorretta da angeli, ai lati della quale compaiono anche angeli messaggeri. Questo tipo iconografico, a volte con piccole modifiche, fu anche in seguito il più diffuso nell'arte bizantina e nelle regioni che ne subivano l'influsso (Wessel, 1971).Lo stesso tipo, ma senza gli angeli messaggeri, compare anche in un affresco nella chiesa inferiore di S. Clemente a Roma (847-855), dove la particolare posizione elevata della Vergine è dovuta all'inserimento di un blocco di marmo presentante una cavità che si è supposto potesse contenere una pietra proveniente dal monte degli Ulivi, dove, secondo At. 1, 12, ebbe luogo l'a. (Osborne, 1984): una di tali pietre che i pellegrini riportavano a casa in ricordo della Terra Santa, è contenuta infatti nella già ricordata cassetta del Sancta Sanctorum.Esempi del tipo bizantino si trovano più tardi anche nell'arte occidentale, nel cui ambito tuttavia furono elaborate altre tipologie di raffigurazione dell'ascensione. Mentre nelle immagini orientali si accentuava la maestà del figlio di Dio, in quelle occidentali si cercava di sottolineare il potere di Cristo che sale al cielo e di evidenziare l'atto stesso dell'ascendere. Ne risultò, a partire dall'arte carolingia (miniatura, arti minori) una grande varietà di soluzioni formali, il cui modello è comunque il tipo paleocristiano occidentale. In un'iniziale istoriata del Sacramentario di Drogone (Parigi, BN, lat. 9428, c. 71v) la figura del Cristo - rappresentato nell'atto di salire in cielo, con la croce su una spalla - può trovare un precedente nel già citato avorio di Monaco, mentre, al di sotto, la Vergine con gli apostoli (senza s. Paolo) e i due angeli messaggeri richiamano piuttosto esempi orientali. Gli apostoli, abitualmente rappresentati insieme con la Vergine, divennero una caratteristica costante di tutte le raffigurazioni occidentali, anche se la disposizione dei personaggi variava con una certa libertà: la Vergine, infatti, poteva trovarsi al centro e adottare anche la posizione frontale dell'orante oppure, più spesso, lateralmente alla testa di un gruppo di apostoli; a volte erano presenti anche gli angeli messaggeri. Cristo, che nel Sacramentario di Drogone è ancora raffigurato sulla montagna, in seguito appare per lo più sospeso nell'aria mentre avanza a grandi passi o s'innalza con le mani tese oppure entra in cielo visto di spalle, in una posizione di tre quarti, come su un avorio di Metz della fine del sec. 10° (Vienna, Kunsthistorisches Mus.), dove viene acclamato dagli angeli. Tutte queste varianti tendevano a sottolineare il fatto che il potere di ascendere al cielo costituiva una potenzialità esclusiva della persona di Cristo e infatti la mano di Dio, che nel Sacramentario di Drogone ancora tiene il polso del Figlio, perde gradualmente il suo significato originario, tanto da sembrare spesso solo un modo di accogliere Cristo; nel corso del sec. 11° la mano venne rappresentata sempre più raramente, fino a scomparire del tutto. L'evento raffigurato divenne così un'autentica ascensione. Ciò avvenne anche a causa dell'affermarsi di un tipo di immagine in cui la mano sarebbe stata fuori luogo, cioè l'a. con Cristo stante, in posizione frontale, analoga a quella del Vangelo di Rabbūlā. A giudicare dagli esempi conservati, questo tipo esisteva già nel sec. 9° (Brenk, 1971). Lo schema fu ripreso nei manoscritti ottoniani della 'scuola di Reichenau' e gradualmente divenne predominante in tutta la produzione artistica nel corso del 12° secolo. Cristo è rappresentato o solo in una mandorla o su una nuvola in una mandorla, sorretta a volte da angeli che si chinano verso il basso per declamare agli apostoli le parole da essi dette in At. 1, 11; più frequentemente questi angeli messaggeri sono sospesi nell'aria attorno ma senza sostenere effettivamente la mandorla, mentre quelli a terra tendono a scomparire.Nel sec. 12°, in particolare nell'arte tedesca, Cristo poteva chinarsi verso il basso, come a voler assicurare alla Vergine e agli apostoli che, anche se fisicamente assente, egli sarebbe comunque rimasto sempre con loro. Nel Messale di Stammheim, un manoscritto proveniente da Hildesheim, del 1160 ca. (coll. privata), Cristo tiene nella mano sinistra un rotolo con il testo di Mt. 28, 20 (Schiller, 1971, fig. 499).Nella tipologia in cui Cristo è stante, egli è raffigurato spesso con un libro in mano, ma l'attributo comune a tutti i tipi sin qui descritti è la croce, che dal sec. 12° in poi presenta in genere un vessillo, segno ancora più esplicito della vittoria sulla morte.La rappresentazione dell'atto di ascendere trovò - a parte varianti isolate anche ampiamente anteriori - intorno al Mille una nuova sorprendente espressione, con Cristo che scompare nelle nuvole, cosicché solo le sue gambe e i suoi piedi rimangono visibili. Nella fase iniziale di questa versione dell'a. la figura di Cristo è di profilo mentre in seguito diviene frontale; si tratta di un motivo che ebbe ampia diffusione a partire dalla fine del sec. 12° (Schapiro, 1943).La tendenza a raffigurare l'a. di Cristo in modo così concreto, con l'indicazione realistica del momento in cui egli scompare, spiega senza dubbio il fatto che, a partire dal sec. 13°, nella rappresentazione viene inserita anche l'impronta dei suoi piedi sulla montagna. Il culto delle reliquie può forse aver contribuito a far nascere questa immagine: per secoli i resoconti dei pellegrini avevano infatti narrato che l'impronta dei piedi di Cristo era realmente visibile nella chiesa dell'Ascensione sul monte degli Ulivi e nel sec. 13° alcune pietre con l'impronta arrivarono anche in Occidente. Secondo la Historia Anglorum di Matthew Paris, il re Enrico III d'Inghilterra nel 1249 donò all'abbazia di Westminster una lastra di marmo con l'impronta di un piede del Signore: il disegno che accompagna il manoscritto autografo (Londra, BL, Royal 14.C.VII, c. 146r) mostra Cristo che, scomparendo, lascia sul terreno l'impronta del piede destro.In Italia l'immagine di Cristo che scompare in alto tra le nuvole non si diffuse se non in rari esempi e si seguì di preferenza, almeno fino alla fine del sec. 13°, la tradizione iconografica bizantina. Nel sec. 14° era molto diffusa un'iconografia che può essere considerata una versione abbreviata della raffigurazione dell'a. ove Cristo, rappresentato per intero, mostra solo il suo busto su una nuvola, a indicare la continuità della sua presenza spirituale sulla terra.Un chiaro distacco dalla tradizione bizantina - e insieme un ritorno agli schemi più antichi - si trova in un affresco della basilica superiore di S. Francesco ad Assisi (1290 ca.) e nell'affresco di Giotto della cappella degli Scrovegni a Padova, in cui Cristo è rappresentato di profilo, mentre ascende al cielo su una nuvola, con le mani tese verso l'alto. In quest'ultimo affresco è da notare lo schema compositivo: alla destra e alla sinistra di Cristo salgono con lui anche i giusti dell'Antica Alleanza, accompagnati da angeli, secondo la descrizione delle Meditationes vitae Christi; in basso, la Vergine e gli apostoli si inginocchiano mentre assistono all'a.: anche questo è un particolare ricordato nelle Meditationes. Queste figure in ginocchio divennero un elemento comune nelle successive raffigurazioni dell'a., così come la figura di Cristo rappresentata per intero da Giotto si diffuse con varianti e adattamenti. Dopo la metà del sec. 14° si nota la tendenza, nata probabilmente a Firenze, a raffigurare Cristo in posa rigidamente frontale (come nell'affresco di Andrea di Bonaiuto nel Cappellone degli Spagnoli in S. Maria Novella a Firenze).L'iconografia dell'a. nell'arte dell'Europa settentrionale del Tardo Medioevo non presenta innovazioni di rilievo. Cristo è rappresentato mentre scompare oppure stante in posizione frontale; in genere è raffigurata anche l'impronta dei piedi. Dalla seconda metà del sec. 14° in poi, la Vergine e gli apostoli furono spesso rappresentati in ginocchio, come nell'arte italiana.In alcuni cicli, all'a. furono sovente aggiunti anche i due episodi dell'a. di Enoch (Gn. 5, 24) e di Elia (2 Re 2, 11), come in uno dei riquadri, opera di Nicola di Verdun (anteriore al 1181), nella chiesa abbaziale di Klosterneuburg presso Vienna, e successivamente nei manoscritti della c.d. Biblia pauperum, dove sono raffigurati anche Davide, Salomone, Mosè e Michea, rispettivamente con i testi di Sal. 46 (45) oppure 47 (46), 7; Ct. 2, 8; Dt. 32, 11; Mic. 2, 13. Lo Speculum humanae salvationis omette l'a. di Enoch e aggiunge invece il sogno di Giacobbe della Scala Celeste (Gn. 28, 12) nonché la parabola del Buon Pastore che riconduce a casa (ovvero in cielo) la pecorella smarrita (Lc. 15, 3-7). All'a. viene spesso associata anche l'immagine dell'aquila, per es. in alcuni manoscritti ottoniani dei Vangeli ove questa figura compare al di sopra del ritratto dell'evangelista Giovanni; ciò dipende dall'interpretazione dei simboli degli evangelisti in rapporto agli eventi principali della vita di Cristo (Schrade, 1928-1929, pp. 161-165).Come immagine isolata, nelle chiese bizantine l'a. appare nella cupola (in quella principale, ove ne esistano più d'una), ma più spesso sulla volta del bema. Si è supposto che le immagini sulle ampolle del sec. 6° riflettano le composizioni monumentali delle absidi nelle chiese commemorative in Terra Santa, anche se l'unica testimonianza relativa all'a. nell'arte monumentale di quest'epoca sono gli affreschi di Bāwīt.In Occidente, nel corso dei secc. 11° e 12°, l'a. poteva essere dipinta nell'abside, sui portali o sulle controfacciate, superfici che, per la loro conformazione, erano adatte a essere decorate con immagini di teofanie. L'a. in questi contesti è in genere qualcosa di più di una rappresentazione narrativa e spesso all'immagine venivano aggiunti riferimenti alla Seconda venuta di Cristo o, più precisamente, al Giudizio universale. Nella composizione sulla facciata della cattedrale di Angoulême (Charente) Cristo è circondato dai simboli degli evangelisti (Christe, 1969, tav. X, 1). Nel portale occidentale della chiesa del priorato di Anzy-le-Duc (Borgogna) la Vergine e gli apostoli sono raffigurati sull'architrave, mentre nell'archivolto compaiono i ventiquattro vegliardi dell'Apocalisse come testimoni della venuta di Cristo alla fine dei tempi (Christe, 1969, tav. VIII, 2).Dopo il sec. 12° l'a. continuò a essere rappresentata nei cicli della vita di Cristo, in ogni tipo di contesto, ma raramente costituì il soggetto principale di pale d'altare, di tavole o di altri oggetti di devozione privata. L'enfasi sempre maggiore posta dalla teologia sulla Passione e sulle sofferenze di Cristo ebbe riflessi notevoli sui successivi sviluppi iconografici del tema.
Bibl.:
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