Pittore, architetto e scultore (Colle di Vespignano in Mugello probabilmente 1267 - Firenze 1337). Massimo protagonista della civiltà artistica gotica italiana, rinnovò radicalmente il linguaggio figurativo. A partire dagli anni Novanta del 13° sec., con probabilità dal 1296, fu impegnato nella realizzazione dell'opera destinata a dargli fama eterna: gli affreschi della basilica superiore di Assisi con le Storie di s. Francesco. Dopo aver soggiornato a Roma, venne chiamato a Padova per realizzare tra il 1303 e il 1305 la cappella privata di Enrico degli Scrovegni: G. affrescò le pareti con Storie della Vergine, Storie di Cristo, figurazioni di Vizi e Virtù nel basamento e un grandioso Giudizio finale. Riconosciuto come grande artista già dai suoi contemporanei, G. lavorò per le più importanti città italiane: oltre ad Assisi, Roma, Padova e Firenze, dove visse dal 1306 al 1320 e realizzò il Crocifisso per S. Maria Novella e la Vergine col Bambino in trono per la chiesa di Ognissanti, G. fu attivo a Rimini nei primissimi anni del Trecento. Dopo essere tornato ad Assisi per affrescare nella chiesa inferiore la cappella della Maddalena, G. riandò a Firenze, dove dipinse nella chiesa di S. Croce le Storie di s. Giovanni Battista e s. Giovanni Evangelista per la Cappella Peruzzi (1315-20) e di nuovo le Storie di s. Francesco d'Assisi per la Cappella Bardi (1320-25). Ormai all'apice della fama, fu conteso dai grandi committenti del suo tempo: tra il 1330 e il 1333 fu a Napoli chiamato da Roberto d'Angiò e tra il 1335 e il 1336 a Milano presso Azzone Visconti (1302-1339) per affrescarne il palazzo. L'ultima opera superstite della grande attività dell'artista riguarda però l'architettura: nel 1334 infatti la Repubblica fiorentina gli aveva conferito la carica di capomastro dell'Opera del Duomo; G. progettò così uno degli edifici più cari ai fiorentini, il celebre campanile del Duomo, di cui gettò le fondamenta e diresse personalmente i lavori fino al primo ordine dei rilievi.
La figura novatrice di G. emerge con forza dal giudizio dei contemporanei (Dante, Boccaccio, Petrarca), che ne colgono già aspetti importanti che nel corso dei secoli successivi riceveranno una più esplicita codificazione: al di là di una serie di tòpoi, significativamente di matrice classica, che contribuiscono alla formazione della leggenda dell'artista, l'accento, infatti, è posto sulla "naturalezza" della sua arte, uno degli elementi caratterizzanti il suo apporto rivoluzionario, e conduce alla sua schematica contrapposizione con l'arte che la precede ("G. rimutò l'arte del dipingere di greco in latino e ridusse al moderno", Cennini; "Arrecò l'arte nuova; lasciò la rozzezza de' Greci", "Arrecò l'arte naturale e la gentilezza con essa, non uscendo dalle misure", Ghiberti). Ma se le fonti letterarie e cronachistiche (si devono ancora ricordare Riccobaldo Ferrarese, Francesco da Barberino, l'Ottimo, Sacchetti, Villani) rilevano la grandezza dell'artista e la sua attività a Firenze, Roma, Padova, Assisi, Napoli e Milano, nessuna delle opere ascritte a G. è confortata da documenti, rendendone così problematica la cronologia se non addirittura la paternità (i pochi documenti che lo riguardano, relativi a sue proprietà, ne attestano una certa agiatezza). Connessa con la formazione di G. (e, conseguentemente, con la ricusa della sua data di nascita al 1276, riportata dal Vasari) è la questione più controversa, quella cioè del suo intervento nella decorazione della chiesa superiore di S. Francesco d'Assisi, con posizioni che vanno dalla negazione assoluta della sua collaborazione all'assegnazione all'artista di tutti i cicli narrativi che si svolgono lungo la navata (Storie del Vecchio e Nuovo Testamento nei registri superiori, Storie di s. Francesco in quello inferiore), sia pure con un largo intervento di aiuti. Nella decorazione della navata della chiesa, che con ogni probabilità ha inizio dopo la bolla di Niccolò IV (1288), emergono personalità abbastanza definite, quali il Maestro d'Isacco, il Maestro della Santa Cecilia e soprattutto il Maestro delle Storie di s. Francesco, quest'ultimo dai più identificato con Giotto. Le ricerche più avanzate della pittura toscana e romana, d'altronde presenti ad Assisi ad opera di Cimabue, di Cavallini, di Torriti, e della scultura di Arnolfo, sono alla base della formazione del Maestro d'Isacco e del Maestro delle Storie di s. Francesco, si vogliano o no identificarli col giovane G.: interesse umano e drammatico della storia raccontata, sensibilità per i rapporti proporzionali e per il ruolo della luce, esplorazione dello spazio prospettico. Punto fermo della biografia dell'artista è la sua attività a Padova alle soglie del nuovo secolo. A un precedente soggiorno romano è stato collegato il frammento di affresco in S. Giovanni in Laterano, proveniente dalla perduta Loggia di Bonifacio VIII. A un secondo soggiorno romano (1313) è stato riferito il famoso mosaico della Navicella nella basilica di S. Pietro (completamente rifatto ma a cui appartengono due teste di angeli, conservate a Boville Ernica e nelle Grotte vaticane). A Padova, dove fu lungamente e a più riprese, resta di G. soltanto la decorazione della navata della cappella degli Scrovegni (i termini cronologici sono dati dalla fondazione della cappella nel 1303 e dalle testimonianze di Riccobaldo Ferrarese e Francesco da Barberino, del 1312-13): trentasette storie della Madonna e del Redentore al di sopra di un alto zoccolo finto di marmi e di nicchie, con figure di Vizî e di Virtù; tondi e fasce con figure nella volta a botte; il Giudizio Finale che occupa l'intera parete d'ingresso. Come ad Assisi, primeggiano negli affreschi degli Scrovegni le impressioni di profondità e di rilievo, ma con modulazioni più varie; la prospettiva lineare, ristretta ai primi piani ma pur illusiva, è meglio corretta dalle gradazioni di luminosità e di colore; il rilievo è consistente come nella Vita di s. Francesco ma conseguito in maniera più dolce, immedesimata la luce nel colore. Nell'accento drammatico, nell'esprimere i moti spirituali, è elaborata una scala più estesa che ad Assisi (Strage degli Innocenti); un tono pacato, grave, rende più profonda l'azione drammatica per moti spirituali colti con estrema sottigliezza (Noli me tangere; Fuga in Egitto). Alla medesima fase dell'arte di G. appartengono il Crocifisso su tavola (sempre agli Scrovegni) e la Dormitio Virginis, eseguita per la chiesa d'Ognissanti a Firenze (Berlino-Dahlem, Staatliche Museen). Ma è la Vergine col Bambino in trono della chiesa d'Ognissanti (ora agli Uffizi), eseguita con ogni probabilità immediatamente dopo gli affreschi degli Scrovegni, che rivela l'autografia dell'artista nella chiara razionalità volumetrica e nella profonda umanità. Nel suo ultimo trentennio (circa 1305-1337) moltiplicò la propria attività, operoso a Napoli (documentato 1328-33), Firenze, Milano, forse anche Avignone, giovandosi sempre più dei discepoli. E opere della bottega di G. sono appunto i polittici della pinacoteca di Bologna, di S. Croce a Firenze, di S. Pietro (ora Pinacoteca Vaticana). Sono invece eseguiti dalla mano di G. gli affreschi della cappella Bardi in S. Croce a Firenze (1317), con storie di s. Francesco, meglio conservati di quelli della vicina cappella Peruzzi, anche essi di Giotto. In questi affreschi G. preferì al movimento drammatico un ordine euritmico e grandioso, un comporre pacato e solenne. Dal 1334 fu capomastro di S. Maria del Fiore, e ne ideò il campanile, ai cui lavori soprattutto dovette attendere sino alla morte, conducendoli non oltre il primo ordine e fornendo con ogni probabilità i disegni di una parte dei rilievi esagoni dell'imbasamento, eseguiti poi da Andrea Pisano e aiuti. Un cenno particolare va ancora fatto ai perduti affreschi di soggetto profano che G. eseguì per Roberto d'Angiò a Napoli (Uomini illustri) e, negli ultimi anni della sua vita, per Azzone Visconti a Milano (Allegoria della gloria), che dovettero segnare l'instaurarsi di una tradizione di cicli, densa di risvolti morali e politici.