ASTARTE ('Αστάρῖη, Astarte)
Nome, penetrato nel mondo greco-romano, di una divinità femminile fenicia, che è menzionata anche nell'Antico Testamento e che, in forma più o meno modificata, è attestata in tutto il mondo semitico come una delle maggiori tra le figure divine. La pronuncia del nome, che nelle iscrizioni fenicie compare in sola scrittura consonantica (secondo la norma di quella scrittura), è assicurata dalla trascrizione greca e doveva sonare ‛Aštart; la vocalizzazione attuale nell'ebraico biblico (III [I] Re, XI, 5, 33; IV [II] Re, XXIII, 13; e così dovrà leggersi anche I Re [Sam.], XXXI, 10 in luogo di ‛Aštārōth) è ‛Astoreth, ma in essa si deve molto probabilmente ravvisare un'alterazione intenzionale, tendente ad attribuire al nome dell'abominata divinità dei Fenici le vocali della parola bošeth "vergogna" (cfr. baal; moloch). In aramaico, secondo il fonetismo proprio di questa lingua, troviamo la forma ‛Athtar, e non vi è dubbio che anche la grande dea babilonese Ištar (v.), come corrisponde foneticamente ad ‛Aštart, così abbia origine comune con essa. Mentre tuttavia nome e carattere della divinità si corrispondono nei Semiti settentrionali, tra le divinità dell'Arabia meridionale attestate dalle iscrizioni figura, come una delle maggiori, un ‛Athtar, che è maschile. Questa singolare differenza, mentre conferma la precoce separazione degli Arabi settentrionali dal rimanente del gruppo semitico, complica notevolmente l'indagine intorno al carattere primitivo di Astarte, non potendo ammettersi (come pure è stato sostenuto da taluni) che una vetusta divinità di carattere androgino si sia più tardi differenziata in dea presso i Semiti settentrionali e in dio presso quelli meridionali. Sarà piuttosto da supporre (per quanto tale ipotesi non sia scevra di difficoltà) che, essendosi Astarte in processo di tempo identificata presso i Semiti meridionali col cielo (ciò sembra confermato dalla circostanza che ‛Ûstär significa appunto "cielo" in tigré), ed essendo il cielo stesso concepito presso i Semiti come maschile, la divinità ad esso riferita ne abbia assunto il genere. A quanto si desume dalle iscrizioni sudarabiche, il dio ‛Athtar in tempi storici era identificato col pianeta Venere.
Comunque sia, i Semiti settentrionali, e i Fenici in particolare, riconoscevano in Astarte la divinità femminile per eccellenza. Data la scarsezza di caratteri individuali che è propria delle figure divine semitiche (a cui si deve aggiungere la scarsità delle notizie giunte fino a noi), non è possibile affermare se in origine Astarte sia identica ad altre divinità femminili, quali ‛Anat, Aširat, Tanit, né accertare per quali tratti specifici se ne distingua; in particolare ci sfugge il rapporto che corre tra Astarte e il termine generico Ba‛lat "signora", che ricorre spesso, seguito da un nome di città a indicare la divinità suprema di questa senz'altra specificazione: è tuttavia verosimile che nella maggior parte dei casi si tratti appunto di Astarte, come è attestato, soprattutto, per Biblo (v.), la cui divinità, che in iscrizioni antichissime è nominata semplicemente Ba‛lat della città, è esplicitamente chiamata Astarte in fonti classiche posteriori (Plutarco, De Iside, 15; Cicerone, De nat. deor., III, 59). Non si deve dimenticare, d'altra parte, che, mentre ciò che sappiamo del carattere e del culto della dea dalle iscrizioni indigene si riduce a poco più della semplice menzione del nome, le notizie, molto più abbondanti, che provengono dalle fonti classiche sono d'età assai tarda e risentono del sincretismo dell'età greco-romana, il quale tende a porre in rilievo i caratteri comuni delle divinità orientali, spesso contaminando e confondendo figure divine di origine del tutto diversa. Così Astarte non solo è stata identificata con l'Afrodite greca, ma anche con l'Iside egiziana e con la Cibele o Rea minorasiatica, nonché con altre divinità semitiche le quali, benché forse in origine identiche ad essa, ne erano nettamente differenziate in tempi storici.
Il carattere più spiccato dell'Astarte fenicia sembra essere quello della dea madre, carattere che in origine si riattacca forse a una concezione naturistica: essa è la terra madre, progenitrice comune di tutti gli esseri viventi, piante, animali e uomini, che è fecondata dal suo sposo celeste, il Baal (v.). Un avanzo di questa concezione primitiva sembra si sia conservato nel vocabolo arabo ‛aththarī epiteto del suolo reso fertile dalle piogge in contrasto con quello irrigato artificialmente: avanzo tanto più notevole in quanto che gli Arabi settentrionali hanno perduto, nella loro religione, ogni traccia del nome Astarte. Passati i Fenici dallo stato nomade a quello sedentario, Astarte divenne, come si è visto, la dea protettrice e signora di singole città, e come tale la troviamo, oltre che a Byblos, in quasi tutte le metropoli fenicie (Tiro, Sidone, ecc.) e nelle colonîe (Cipro, Sicilia, Malta, Cartagine e Africa settentrionale). Il suo culto in Fenicia è documentato fin dal secondo millennio a. C. in iscrizioni egiziane e assire relative a quella regione (p. es. nelle lettere di Tell el-‛Amārna). Al di fuori della zona culturale fenicia il culto di Astarte è attestato presso i Filistei (I Re [Sam.], XXXI, 10) e presso i Moabiti (v. sotto); esso penetrò anche tra gli Ebrei, e i passi biblici citati sopra si riferiscono appunto all'erezione di altari ad Astarte da parte di Salomone, i quali furono poi distrutti dal re riformatore Giosia.
Non di rado Astarte appare associata nel culto a una divinità maschile, che, a seconda delle diverse località, porta nomi diversi, ma che in sostanza ripete il carattere e gli attributi del Baal, il "signore", sposo della divinità femminile. Tra i Moabiti è attestata la coppia Kemoš-‛A‛tart (nell'iscrizione del re Mesa, sec. VIII a. C.); frequente è anche la coppia Ešmūn-‛Aštart. Che, accanto alla divinità maschile e a quella femminile, venisse adorata anche una terza divinità, il dio fanciullo, in modo da costituire una triade divina, è stato sostenuto da molti, e non è forse improbabile, ma ne manca la sicura documentazione. Certo è che in alcune forme del culto di Astarte lo sposo divino appare in aspetto giovanile, e largamente diffuso doveva essere il mito di origine non semitica (v. tammuz), secondo il quale lo sposo giovanetto veniva ucciso e, pianto lungamente dalla sposa, risorgeva poi a nuova vita, simboleggiando il morire e il rinascere annuo della vegetazione. Questo mito, e le speciali cerimonie cultuali che gli si connettevano, era specialmente in fiore a Byblos, e di là ne ebbero conoscenza i Greci, che lo hanno tramandato sotto i nomi di Afrodite e di Adone (v.), mentre le fonti indigene relative ad esso mancano quasi del tutto.
Il carattere di madre e di sposa proprio di Astarte spiega la larga parte che il suo culto dà alla prostituzione sacra, che ebbe sviluppo particolare in Siria (v. dea siria) e che provocò lo sdegno degli scrittori biblici. Egualmente diffusa è la consacrazione della colomba ad Astarte.
Le numerose figurazioni plastiche di divinità femminili semitiche, tra cui la caratteristica "dea nuda", sembrano riferirsi ad Astarte; ma anche in questo caso, come è stato detto sopra, è praticamente impossibile distinguere le varie differenziazioni di nomi e di attributi che l'antichissima divinità femminile ha subite nel tempo e nello spazio. Molto diffusa è una rappresentazione di Astarte con grandi corna ricurve, sul tipo della quale ha probabilmente influito quello della dea egiziana Hathor: il nome di una città israelitica, ‛Astěrōth Qarnaym "Astarte dalle corna", sembra riflettere questa concezione.
Benché in origine, come si è visto, Astarte non sia una divinità astrale, pure abbastanza presto (e forse non senza influenza della tendenza verso l'astralismo della religione babilonese) essa ha assunto carattere e attributi celesti. I Greci la identificarono con Afrodite Urania, i Romani le diedero l'epiteto di Caelestis, che poi divenne particolare della divinità cartaginese Tanit (v.), la quale si deve a sua volta ritenere una differenziazione dell'Astarte primitiva. Anche la "regina del cielo", il cui culto penetrò in Israele (Geremia, VII, 18, XLIV, 17, 19-25), è probabilmente Astarte (ma forse nella forma babilonese di Ištar).
Nella Bibbia la forma plurale ‛Aštĕrōth è spesso usata per designare genericamente l'insieme dei culti idolatrici prestati a divinità femminili: di qui, secondo il noto processo di riduzione a esseri diabolici delle divinità dei gentili, è sorto il nome del diavolo Astarotte, che ha avuto larga fortuna nelle letterature occidentali.
Bibl.: G. L. Paton, in Hastings, Encyclopaedia of Religions and Ethics, II, pp. 115-118; E. Meyer, in Roscher, Ausführl. Lexikon der Mythologie, I, coll. 645-55; F. Cumont, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. classis. Altertumswissenschaft, II, coll. 1776-8; W. Baudissin, in Real-Enc. f. prot. Theol. u. Kirche, 3ª ed., II, pp. 147-161 (la trattazione più completa); id., Adonis und Eschmun, Lipsia 1911, passim.