Asteroidi. Impatti con la Terra
Tra i corpi minori del Sistema solare in orbita planetaria prendono il nome di asteroidi quelli per i quali il semiasse maggiore dell'orbita è compreso tra quelli di Marte e di Giove, rispettivamente a 1,5 e 5,2 U.A. (Unità Astronomica definita come il semiasse maggiore dell'orbita terrestre, pari a ca. 150 milioni di chilometri). Successivamente la denominazione ha incluso anche oggetti in orbite più interne (NEA, Near Earth asteroid).
Il primo, e più grande, asteroide, Cerere (un corpo di quasi 1000 km di diametro), venne scoperto nella notte di San Silvestro del 1801 dall'astronomo valtellinese Giuseppe Piazzi, mediante il telescopio della Specola di Palermo. Inizialmente Cerere venne considerato un nuovo pianeta, la cui esistenza era tra l'altro in accordo con la previsione della legge di Titius-Bode. Questa legge empirica, attualmente non più considerata molto significativa, associa a un numero intero, crescente verso l'esterno del Sistema solare, i vari pianeti, e permette di calcolarne con una buona precisione il semiasse dell'orbita. Nella legge di Titius-Bode c'è un salto fra i numeri associati a Marte e a Giove ed è quindi naturale ipotizzare la presenza di un pianeta compreso fra di essi, su un'orbita che in effetti risulta, in base alla legge, non molto diversa da quella di Cerere. La legge di Titius-Bode si inseriva in una tradizione di relazioni geometriche e di rapporti armonici applicati all'interpretazione della struttura del Sistema solare: già Keplero, nel Mysterium Cosmographicum (1596) aveva ipotizzato l'esistenza di un pianeta "inter Martem et Jovem".
Alla scoperta di Cerere seguirono però rapidamente altre scoperte di corpi planetari nella stessa regione del Sistema solare. Di conseguenza si cominciò a parlare non più di uno o più nuovi pianeti, ma di fascia asteroidale. La scoperta di nuovi asteroidi ha seguito l'evoluzione naturale delle tecnologie di osservazione astronomica e dell'elaborazione dei dati ottenuti, includendo nell'elenco oggetti progressivamente più piccoli e meno luminosi, fino a superare, nei primi anni del XXI sec., il numero di 100.000 oggetti catalogati. Il diametro di completezza (dimensione minima al di sopra della quale si ritiene di avere scoperto tutti i corpi esistenti) dovrebbe in un futuro non lontano raggiungere il livello di alcuni chilometri.
All'ingresso nell'atmosfera terrestre, NEA relativamente piccoli (spesso frammenti di corpi più grandi) danno luogo a fenomeni luminosi (meteore, bolidi) dovuti all'attrito, che ne comporta spesso la completa distruzione. In alcuni casi le meteoriti raggiungono la superficie e vengono successivamente identificate e studiate. Talora le meteoriti possono avere un'origine diversa da quella asteroidale. L'impatto di asteroidi di dimensioni maggiori, sopravvissuti al passaggio nell'atmosfera, dà localmente origine a un cratere d'impatto, con un diametro di norma almeno dieci volte più grande di quello del corpo impattante. Nel caso di impatti molto rilevanti si possono inoltre avere conseguenze anche globali sul clima e sull'ecosistema che arrivano, al limite, a compromettere la sopravvivenza di alcune specie viventi.
Il moto orbitale degli asteroidi è del tutto analogo a quello dei pianeti maggiori, e la distinzione ha un carattere convenzionale. Le orbite degli asteroidi della fascia principale hanno per lo più semiassi maggiori compresi tra 2,2 e 3,5 U.A. Le orbite sono ellittiche (con eccentricità e), e giacciono su piani diversamente inclinati (con angolo relativo i) rispetto al piano dell'orbita terrestre (eclittica), che è quasi coincidente con i piani che contengono l'orbita di Giove e degli altri principali pianeti. Nella distribuzione dei semiassi maggiori degli asteroidi (fig. 2) si osservano delle zone quasi completamente spopolate, dette lacune di Kirkwood. Tali regioni sono associate alle principali risonanze di moto medio, ossia a semiassi maggiori per i quali il periodo orbitale, che si calcola mediante la terza legge di Keplero, corrisponde a una frazione semplice del periodo orbitale di Giove, per esempio 1/2, 1/3, 2/5: perché la risonanza sia importante, numeratore e denominatore della frazione devono essere numeri piccoli. Le orbite risonanti corrispondono a una particolare efficienza della perturbazione gravitazionale di Giove, che implica spesso una rapida evoluzione dinamica di tipo caotico. La variazione rilevante di alcuni elementi orbitali (i parametri che permettono di definire un'orbita), e in particolare dell'eccentricità, è la conseguenza più frequente delle risonanze, e causa sovente, in seguito a fe-nomeni complessi, un'instabilità suscale di tempo relativamente brevi rispetto a quelle di molti milioni o anche miliardi di anni che caratterizzano la vita media per collisione degli asteroidi o l'età del Sistema solare. In altri casi, però, le conseguenze finali delle risonanze sono diverse e si possono creare, invece che lacune, regioni anche isolate di stabilità. Un esempio di questo tipo può essere rappresentato dai cosiddetti Troiani, asteroidi collocati nell'intorno dei due punti lagrangiani L4 e L5 del sistema Sole-Giove, due punti che si muovono sull'orbita di Giove precedendolo o seguendolo di 60° (e quindi in risonanza 1/1). I punti lagrangiani sono definiti nell'ambito del problema ristretto dei tre corpi, e corrispondono in generale a posizioni di equilibrio nel sistema di riferimento rotante intorno al centro di massa dei due corpi principali, con il periodo di rivoluzione di questi ultimi. I due punti L4 e L5 risultano di equilibrio stabile per effetto del ruolo di richiamo delle forze apparenti, tipiche di un sistema rotante (forze di Coriolis). I Troiani sono catalogati come asteroidi, anche se è possibile che la loro origine sia del tutto diversa da quella degli altri asteroidi e legata al Sistema solare esterno. Anche altre configurazioni risonanti, più complesse (come le risonanze secolari), contribuiscono a determinare la distribuzione spaziale degli asteroidi (fig. 2).
Si ritiene che gli asteroidi della fascia principale si siano per lo più formati nella zona in cui sono oggi, anche se nelle fasi finali di formazione dei pianeti del Sistema solare i complessi fenomeni fisici e dinamici a esse associati (collisioni, incontri ravvicinati, processi di migrazione planetaria) hanno sicuramente influenzato in modo rilevante le caratteristiche generali della popolazione, causando presumibilmente, tra l'altro, una significativa diminuzione della sua massa complessiva. Anche dopo la fine delle fasi di formazione sono rimasti attivi i processi di evoluzione dinamica degli asteroidi. In particolare, le perturbazioni dovute al campo gravitazionale di Giove e degli altri pianeti causano la variazione nel tempo dell'orbita degli asteroidi; in presenza di risonanze, sia di moto medio sia secolari, tali variazioni possono essere rapide e intense, in ciò favorite anche da eventuali incontri ravvicinati con Marte. Si avvia in questi casi un processo che può portare alcuni asteroidi, in un tempo non troppo lungo (a volte dell'ordine del milione di anni) su orbite completamente diverse, anche al di fuori della fascia principale. Nel caso in cui queste orbite siano più vicine al Sole, l'asteroide può passare vicino o incrociare l'orbita di uno o più pianeti interni, in particolare della Terra. Questa popolazione secondaria di asteroidi è genericamente definita con la sigla NEA (Near Earth asteroid). Ai NEA di origine asteroidale si mescolano, anche se presumibilmente in percentuale limitata, altri corpi minori, di origine e tipo essenzialmente cometario. La frequenza di incontri ravvicinati con tutti o alcuni pianeti interni rende dinamicamente molto complessa l'evoluzione successiva dei NEA. Nella maggior parte dei casi essi, nell'arco di non molti milioni di anni, cadono sul Sole. In altri casi collidono con uno dei pianeti interni, o vengono spostati di nuovo su un'orbita più esterna.
3. Impatti con la Terra
L'energia trasferita dall'impatto, dipendente dalla massa del proiettile e dal quadrato della velocità (in media di poco inferiore ai 20 km/s), è il parametro decisivo per valutarne le conseguenze globali. Un proiettile di un chilometro di diametro, che, data la popolazione attuale dei NEA, può colpire la Terra a intervalli più brevi di un milione di anni, ha un'energia d'impatto dell'ordine di 50.000 megaton (unità di misura usata per le armi nucleari, corrispondente all'energia liberata da un milione di tonnellate di tritolo). L'impatto di un corpo di queste dimensioni, o forse due o tre volte più grande, è sufficiente per causare una catastrofe globale (la soglia è, per convenzione, fissata a un numero di vittime attese superiore a un quarto del genere umano). Ci sono diversi effetti che agiscono anche a grande distanza dalla regione d'impatto; tra di essi sono in particolare rilevanti le alterazioni climatiche (simili al cosiddetto inverno nucleare).
In particolare la rapida estinzione di molte specie viventi, tra cui i dinosauri, al passaggio (KT) dal Cretacico al Terziario (ca. 65 milioni di anni fa) è stata collegata con un possibile impatto asteroidale, del quale è stato anche identificato il probabile cratere (Chicxulub) e un possibile effetto collaterale (un'abbondanza anomala di iridio in strati geologici databili alla transizione KT). Un evento di questo tipo, provocato da un asteroide di almeno dieci chilometri, avviene in media ogni 100 milioni di anni. Ma eventi catastrofici (secondo la definizione precedente) sono forse cento volte più frequenti, ed eventi di minore portata, ma comunque estremamente pericolosi, come quello che causò, nel 1908, estesi danni nella zona, fortunatamente disabitata, di Tunguska in Siberia, possono aver luogo anche una volta ogni cento anni.
Sul piano teorico la probabilità, per ogni persona, di restare vittima di un impatto asteroidale, è superiore a quella di morire in un incidente aereo, anche se la percezione diffusa sembra essere contraria. L'interesse anche pratico di conoscere i NEA ha permesso di avviarne uno studio sistematico, secondo un programma, promosso in particolare dagli Stati Uniti, che prevede il raggiungimento di un diametro di completezza (almeno al 90%) di 1 km entro il 2008, e una progressiva diminuzione della soglia negli anni successivi. I NEA scoperti vengono studiati, con tecniche matematiche e software cui la comunità scientifica italiana ha dato un decisivo contributo, per identificare quelli potenzialmente pericolosi. La pericolosità effettiva di un NEA dipende sia dalle sue dimensioni sia dalla probabilità di impatto entro qualche decennio; distanze temporali più grandi sono meno interessanti e le collisioni relative di più difficile previsione. Viene a tale scopo usata la scala detta Torino secondo la quale a valori alti nella scala corrispondono oggetti grossi con alte probabilità di collisione. Gli oggetti più pericolosi sono seguiti nel moto, per meglio poter valutare le probabilità di collisione, e studiati accuratamente, mediante osservazioni astronomiche.
L'identificazione e lo studio di un asteroide destinato a una futura collisione con la Terra permette, in linea di massima, l'elaborazione di una strategia di mitigazione, basata non sulla distruzione dell'asteroide (impresa che richiederebbe una quantità enorme di energia e potrebbe anche non risultare efficace, data la conseguente creazione di numerosi frammenti) ma sulla sua deviazione. L'intervento richiede, per essere tecnologicamente fattibile, una previsione anticipata, spesso di qualche decennio; richiede altresì una buona conoscenza delle caratteristiche fisiche, chimiche e superficiali dell'asteroide. Questo aspetto rende particolarmente rilevanti, al di là dell'aspetto puramente conoscitivo, anche gli studi sull'evoluzione fisica e collisionale degli asteroidi.
Gli studi sulla composizione chimica e sulla struttura degli asteroidi sono basati principalmente sulle osservazioni astronomiche (sia fotometriche sia spettroscopiche). Gli asteroidi riflettono parzialmente la luce solare (in buona parte concentrata nel visibile): l'albedo definisce la percentuale media di luce riflessa; lo spettro di riflessione caratterizza la dipendenza della stessa dalla lunghezza d'onda. Una parte dell'energia ricevuta dal Sole viene invece assorbita e riscalda l'asteroide. Ne scaturisce un'ulteriore emissione luminosa nell'infrarosso, le cui caratteristiche permettono, tra l'altro, di stimare la temperatura del corpo. Le osservazioni astronomiche nel visibile e nell'infrarosso permettono di identificare alcune caratteristiche spettrali, che a loro volta corrispondono a determinati componenti chimici. Le meteoriti, per lo più frammenti asteroidali, costituiscono un'ulteriore fonte di informazione.
Il quadro che emerge dalle osservazioni rende possibile una classificazione tassonomica degli asteroidi. Le classi più importanti, spesso divise in ulteriori sottoclassi, sono quella denominata S, caratterizzata da una forte abbondanza di silicati, la C (così chiamata per l'affinità spettroscopica con le meteoriti dette condriti carbonacee) e la X. Tra i gruppi minori è particolarmente interessante il tipo V, caratteristico di uno dei più grandi asteroidi, Vesta, e della sua famiglia. Il confronto fra le caratteristiche spettrali degli asteroidi corrispondenti alle varie classi tassonomiche e quelle delle meteoriti ha posto in evidenza diverse affinità, che rafforzano le ipotesi in merito alla composizione chimica degli asteroidi, ma anche alcune discrepanze: in particolare le condriti ordinarie, che sono il gruppo più numeroso di meteoriti, non hanno una diretta e consistente controparte asteroidale. Una possibile spiegazione, emersa negli ultimi anni, è basata sul processo detto space weathering consistente nella progressiva alterazione delle caratteristiche spettroscopiche della superficie degli asteroidi per effetto dell'interazione con il vento solare e del bombardamento da parte di micrometeoriti. È stato dimostrato, per esempio, che questi processi possono progressivamente arrossare lo spettro di riflessione di una condrite ordinaria, rendendola più simile a un asteroide di tipo S.
Le collisioni hanno un ruolo rilevante nell'evoluzione degli asteroidi. Il grande numero di oggetti presenti nella fascia asteroidale, con orbite che variano lentamente nel tempo, rende le collisioni piuttosto frequenti. Quando la collisione coinvolge due oggetti di dimensioni abbastanza diverse, il più piccolo viene di solito distrutto nell'impatto e sul più grande si forma un cratere (così come si è visto accadere nel caso di un impatto con la Terra). Le poche immagini asteroidali dirette confermano la densità di crateri di impatto sugli asteroidi. La collisione fra due corpi di dimensioni non troppo diverse provoca la frammentazione di entrambi; gran parte degli asteroidi sono stati coinvolti, nella loro storia, in eventi di questa portata. In alcuni casi si ha una successiva riaccumulazione dei frammenti, dovuta alla mutua interazione gravitazionale; in altri tutti i frammenti, o parte di essi, si allontanano su orbite diverse. Si ha, in questi casi, la formazione di una famiglia dinamica. Poiché la velocità relativa di espulsione dei frammenti, tipicamente dell'ordine di 100 m/s, o anche meno, è molto piccola rispetto alle velocità relative medie (poco più di 5 km/s) con le quali gli asteroidi si incontrano, i membri di una famiglia hanno orbite molto simili fra di loro. L'esistenza di una famiglia viene quindi rivelata da addensamenti statisticamente significativi di oggetti nello spazio astratto degli elementi orbitali propri (in particolare semiasse maggiore, eccentricità e inclinazione). Lo studio delle famiglie permette di studiare i processi di impatto catastrofico, in sinergia con gli esperimenti di laboratorio (riguardanti oggetti di dimensioni molto più piccole) e con le simulazioni numeriche. Il quadro complessivo non è completamente chiaro. Studi recenti, anche in accordo con le osservazioni, hanno suggerito che tutti, o quasi, gli asteroidi più grandi di qualche centinaio di metri siano costituiti da un conglomerato di frammenti più piccoli, riaccumulati dopo le collisioni (rubble piles). Se confermata, questa ipotesi avrebbe conseguenze anche sulla preparazione di eventuali interventi di mitigazione relativi a future collisioni con la Terra.
Nonostante l'importanza centrale dei processi collisionali, la continua formazione collisionale di frammenti nelle zone di risonanza non è sufficiente a spiegare la presenza e il numero dei NEA. Essi hanno infatti, come si è detto, una breve vita media; la loro attuale presenza implica l'esistenza di un meccanismo di rifornimento molto efficiente, che a sua volta richiede che siano all'opera processi di trasferimento di oggetti (per es., frammenti di nuova formazione) provenienti da regioni della fascia asteroidale ben più ampie di quanto non siano le zone interessate dalle principali risonanze. In anni recenti questo processo è stato identificato, almeno per oggetti più piccoli di circa una decina di chilometri, con l'effetto Yarkovsky. La radiazione solare viene parzialmente assorbita dall'asteroide, e riemessa successivamente. In presenza di rotazione questo sfasamento temporale può causare una piccola accelerazione o decelerazione dell'asteroide lungo la sua orbita, e provocare un progressivo cambiamento della stessa, fino all'immissione in una regione risonante, e quindi sul percorso di creazione di un NEA. L'effetto Yarkovsky è stato misurato sperimentalmente (anche se, al momento, per un solo oggetto), e anche alcune caratteristiche delle famiglie dinamiche sembrano confermarne l'efficacia.
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Il rischio asteroidi: valutazioni scientifiche e misure preventive, a cura di Regione Piemonte, Protezione Civile, Savigliano, L'Artistica, 2005.