ASTROLABIO
Strumento, generalmente realizzato in metallo (bronzo, rame o ottone), che permette di misurare l'altezza delle stelle, della luna o del sole sull'orizzonte e di determinare relazioni di carattere astronomico e topografico, senza ricorrere a calcoli o formule matematiche. Oltre a rendere possibili osservazioni astronomiche allo stesso modo del semplice quadrante o del sestante, l'a. permette di determinare le ore del giorno e della notte e di stabilire oroscopi; inoltre può essere utilizzato per misure terrestri, come la stima della distanza di un oggetto visibile, o per stabilire l'altezza di una montagna o la profondità di un pozzo.Il termine a. deriva dal gr. ἀστϱολάβοϚ (o ἀστϱολάβον ὄϱγανον) ed è generalmente reso in arabo con asturlāb o aṣṭurlāb.Tale denominazione designa tre tipi principali di strumenti: l'a. piano, l'a. lineare, l'a. sferico.Le sue origini si possono far risalire all'Antichità classica. La teoria della proiezione stereografica può essere considerata come risalente a Ipparco (150 a.C.), ma soltanto con Tolomeo, autore del Planisphaerium, il più antico trattato specifico sull'argomento, si ha la certezza quasi assoluta di un'effettiva conoscenza dell'a. piano. Non si hanno comunque esempi di a. greci, né descrizioni precise dei medesimi.I più antichi a. esistenti sono relativamente tardi (secc. 9°-10°), tuttavia, il loro grado di evoluzione è così elevato da farli supporre prodotto di un lungo processo di elaborazione e di affinamento tecnico. In effetti, una serie di autori greci e siriaci attestano l'esistenza dello strumento nei secoli che precedono la conquista araba: Teone d'Alessandria (sec. 4°); Sinesio di Cirene, vissuto a cavallo tra il sec. 4° e il 5°, che fa menzione di un planisfero d'argento; Giovanni Filofono d'Alessandria, che nel sec. 6° scrive un trattato sulla costruzione e sull'uso dell'a.; Severo Sēbhōkht, vescovo di Qinnasrīn, autore verso la metà del sec. 7° di una descrizione in siriaco dello strumento. Il più antico trattato arabo sull'argomento risale agli inizi del sec. 9° ed è opera dell'ebreo egiziano Messahalla (Mā shā'a Allāh); circa alla stessa epoca si datano i trattati di ῾Alī b. ῾Isā e di Muhammad b. Mūsā al-Khwarīzmī. I più antichi strumenti islamici conservati sono alcuni rari esemplari risalenti alla fine del sec. 9°, come l'a. costruito da Khafīf prima del 300 a.E./913 (Mayer, 1956, p. 54, tav. I) e l'a. dedicato a Ja῾far, figlio del califfo abbaside al-Muqtafī (Sabra, 1976, p. 195, fig. 6), mentre più frequenti sono gli esempi di a. a partire dal 10° secolo.Nell'Occidente cristiano l'a. non si diffuse anteriormente al sec. 13°, benché negli ambienti colti fosse conosciuto anche prima, probabilmente grazie alla mediazione dei Veneziani, come testimoniano gli scritti di Gerberto d'Aurillac, che divenne papa con il nome di Silvestro II (sec. 10°), e di Hermann Contractus (1013-1054), allievo della scuola monastica di Reichenau, che nel Tardo Medioevo, data la fama del suo trattato sull'a., ne fu spesso ritenuto l'inventore. Nel sec. 14° Geoffrey Chaucer, basandosi probabilmente su una traduzione latina di Messahalla, scrisse in inglese un trattato intitolato The Conclusions of the Astrolabie. In Occidente con l'invenzione del telescopio l'uso dell'a. fu abbandonato, mentre in Oriente perdurò in certi casi anche fino al 19° secolo.L'a. piano, o planisferico (arabo aṣturlāb saṭḥī o musaṭṭaḥ; lat. astrolabium planisphaerium), è l'a. inteso nel suo senso più stretto. Basato sul principio della proiezione stereografica, rappresenta il tipo più comune di a., costituendo il principale strumento di osservazione astronomica del Medioevo, così in Oriente come in Europa. Un altro sinonimo arabo dell'a., basṭ al-Kura (riscontrato solo in manoscritti latini originari della Spagna nelle forme di waztalcora, walzagora, ecc.), significa 'proiezione del globo' e molto probabilmente rappresenta una traduzione letterale della locuzione con cui è denominato il planisfero di Tolomeo: ἄπλοσιϚ ἐπιϕανείαϚ σϕαίϱαϚ, preciso riferimento alla proiezione stereografica. Si tratta di uno strumento portatile piatto e di forma circolare, avente da cm. 10 a 20 di diametro. Durante l'uso deve essere appeso, per cui è fornito di un apparato di sospensione composto di tre parti: il 'trono' (arabo kursī), elemento di forma approssimativamente triangolare, fissato in maniera rigida al corpo dello strumento; un elemento intermedio inserito nel trono con la possibilità di muoversi liberamente (arabo ῾urwa, ḥabs; lat. armilla suspensoria); un anello sommitale di sospensione (arabo ḥalqa; lat. armilla rotunda). Il corpo dello strumento presenta una parte anteriore, la 'faccia' (arabo wajh; lat. facies) e un 'dorso' (arabo ẓahr; lat. dorsum). La parte anteriore consiste di un bordo esterno circolare graduato (arabo ḥajra, ṭawq, kuffa; lat. limbus, margo) che include una parte interna denominata 'madre' (arabo umm; lat. mater), in cui trovano alloggio varie 'lamine' circolari (arabo ṣafā'ih; lat. tympana, tabulae regionum). In ognuna di queste lamine è riprodotta, per una determinata latitudine terrestre, la proiezione stereografica (avente come centro di proiezione uno dei due poli) degli almucantarat, dei circoli azimutali, dell'equatore celeste e dell'eclittica, dato il piano di proiezione come tangente al polo opposto e parallelo all'equatore. Alla faccia si sovrappone la 'rete' (arabo shabaka, ῾ankabūt; lat. aranea, rete). La rete, lamina circolare avente la facoltà di girare su se stessa, rappresenta la volta delle stelle fisse ed è intagliata a giorno per permettere di leggere il più chiaramente possibile il diagramma riprodotto sulla 'lamina' sottostante. È munita inoltre di lancette indicanti la posizione delle stelle fisse più importanti. Il dorso è generalmente diviso in quattro quadranti e su di esso gira libero un regolo, fornito alle estremità di un doppio traguardo denominato 'alidada' o 'diottra' (arabo al-῾ıḍāda; lat. radius, regula); l'altezza del sole o di una stella presa con l'aiuto dell'alidada si legge direttamente sul bordo graduato dei due quadranti superiori del dorso. Un perno (arabo quṭb, watad, miḥwar; lat. clavus, axis) attraversa il centro dello strumento, ne mantiene insieme tutte le parti e costituisce l'asse su cui ruotano le parti mobili, rete e alidada.Un congegno come quello sopra descritto necessitava di tante lamine quant'era il numero delle latitudini per cui si desiderava usare lo strumento, con conseguente aumento di peso e laboriose operazioni di sostituzione delle lamine. Per ovviare a tale inconveniente l'andaluso ῾Alī b. Khalaf (sec. 11°) inventò una 'lamina universale' che riportava la proiezione della sfera su un piano perpendicolare all'eclittica, che lo tagliava secondo la linea solstiziale Cancro-Capricorno. Poco dopo un altro andaluso, al-Zarqālī (Azarquiel) realizzò un tipo di a. formato da una sola lamina (arabo al-ṣafīḥah), che presentava sulla stessa superficie le due proiezioni stereografiche dei circoli dell'equatore e dell'eclittica.L'a. lineare (arabo āṣturlāb khaṭṭī), la cui invenzione si attribuisce ad al-Muzaffar b. Muẓaffar al-Ṭūsī, vissuto intorno alla fine del sec. 12°, è noto anche come 'bastone' o 'verga' (arabo ῾aṣā) di al-Ṭūsī. Consiste in un semplice regolo che non è altro che la linea meridiana dell'a. piano. I punti segnati sul bastone indicavano le divisioni dell'eclittica, gli almucantarat, ecc., mentre una serie di fili attaccati al bastone serviva a misurare gli angoli. Meno preciso dell'a. piano, l'a. lineare non ebbe grande diffusione e non ne rimane alcun esemplare.L'a. sferico (arabo aṣturlāb kurī), che è chiamato astrolabio redondo nei Libros del Saber de Astronomia di Alfonso X il Saggio, consiste in una sfera (su cui sono indicate le costellazioni principali, l'eclittica, i cerchi di declinazione, ecc.) inclusa in una rete. Tale strumento (da non confondere con la sfera armillare formata esclusivamente da anelli) svolge le stesse funzioni dell'a. planisferico; ha, rispetto a esso, il vantaggio dell'immediata perspicuità dei moti celesti, ma è comunque più ingombrante e di costruzione tecnicamente più difficile. L'unico esemplare rimasto di a. sferico è conservato nel Mus. of the History of Science a Oxford, datato all'885 a.E./1480 (Sabra, 1976, p. 194, fig. 3).La decorazione degli a., come del resto l'intera esecuzione di questi sofisticati strumenti, rivela, nella fantasia e nell'eleganza delle soluzioni adottate, tutta l'abilità e la raffinata accuratezza che gli artigiani, in particolare quelli musulmani, manifestarono in tutti i settori della produzione metallistica. La placca del sistema di sospensione (trono), essendo un elemento non funzionale, si prestò più di altre parti a essere abbellita dalla fantasia dei decoratori, soprattutto di quelli persiani; il suo contorno assunse un aspetto frastagliato e lobato, mentre la sua superficie fu ricoperta da elementi vegetali con foglie a palmetta intrecciate in elaborati viluppi; a volte accolse anche una decorazione epigrafica. Spesso venne traforata da due o più elementi circolari e in alcuni casi venne lavorata completamente a giorno (Hartner, 1939, tav. 1397; Mayer, 1956, tav. XVII). Anche la rete, pur essendo una parte funzionale dello strumento, si prestò sia nell'intaglio della sagoma sia per le possibilità offerte al calligrafo, a ricevere una raffinata decorazione. In alcuni casi gli indici della rete assumono un aspetto zoomorfo (Oxford, Ashmolean Mus. of Art and Archaeology; Hartner, 1939, tav. 1398) e a volte anche figurazioni umane (Londra, British Mus.; Sabra, 1976, p. 200, fig. 26). Gli incisori mostrarono una particolare perizia nell'elaborazione dei diagrammi disegnati sulle lamine, ma anche e soprattutto nell'esecuzione delle iscrizioni e dei simboli astrologici che coprono le varie parti degli strumenti, talora impreziositi dall'incrostazione dei metalli con rame e argento.In Italia si conservano, insieme ad altri strumenti astronomici musulmani, anche diversi a., alcuni dei quali di pregevole fattura. Tra questi sono da segnalare l'a. di Ḥāmid b. ῾Alī al-Wāsiṭī, costruito nel 748 a.E./959-960 già nel Mus. Borgiano di Velletri e ora nel Mus. Regionale di Palermo (Mayer, 1956, p. 45), e quello realizzato dallo spagnolo Ibrāhīm b. Sa῾īd a Valencia (Spagna) nella seconda metà del sec. 11°, conservato nel Mus. Astronomico e Copernicano di Roma. Un altro esemplare di buona fattura (datato al 1120 ca.) si trova al Mus. di Storia della Scienza di Firenze. La fabbricazione di a. fu un'attività praticata prevalentemente, anche se non esclusivamente, da artigiani specializzati, che si fregiarono dell'appellativo di al-Asṭurlabī e spesso si tramandarono il mestiere di padre in figlio; gli strumenti maggiormente apprezzati furono però quelli fabbricati dagli stessi astronomi (Mayer, 1956).
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