Atene
Nel Principe (capp. vi e xxvi) M. ricorda la fondazione di A. per opera di Teseo, accostato a Mosè, Ciro, Romolo tra gli uomini «rari e maravigliosi», e dedica anche un cenno alla breve dominazione dei Trenta tiranni, appoggiati da Sparta (Principe v 4).
Nei Discorsi A. è studiata come una delle grandi repubbliche antiche, con citazione diretta di Tucidide, lo storico della grandezza ateniese (III xvi 3). È dunque Solone – non Teseo (comunque menzionato in I i 6) – a essere ricordato come il grande legislatore di A., e a essere annoverato, con Mosè e Licurgo, tra i «fondatori di regni e di republiche, e’ quali poterono, per aversi attribuito un’autorità, formare leggi a proposito del bene comune» (I ix 14). All’inizio dell’opera, dove prende avvio la riflessione machiavelliana sulla fondazione e la natura delle repubbliche, i riferimenti ad A. e Solone hanno grande rilievo: in Discorsi I ii sono infatti svolti i temi cruciali dell’anakỳklosis e della miktè politèia (→ costituzione mista), e si costruisce il confronto tra Roma e le altre esperienze istituzionali repubblicane.
In particolare, M. svolge un paragone fra l’opera di Licurgo e quella di Solone, che si conclude a vantaggio del primo. Secondo M., A. non riuscì a eguagliare né la stabilità di Sparta, il cui Stato «durò più che ottocento anni», né la potenza di Roma: Solone, infatti, vi ordinò «solo lo stato popolare» e così «lo fece di sì breve vita che avanti morisse vi vide nata la tirannide di Pisistrato» (I ii 29). Anche dopo che la tirannide fu abbattuta, lo «stato popolare», pur avendo integrato gli ordini di Solone con «molte constituzioni» intese a reprimere le insorgenze degli aristocratici e del demos (M. allude alle riforme di Clistene, 508-507 a.C.), durò non più che cento anni. Fra le altre ragioni di debolezza, la reazione alla tirannide fu così feroce da provocare «la morte di tanti eccellenti uomini, [...] l’ordine dell’ostracismo e ogni altra violenza che contro a’ suoi ottimati» (I xxviii 6). A proposito del popolo ateniese, M. ricorda un esempio di segno contrastante: affidò al giusto Aristide la valutazione di un suggerimento strategico di Temistocle, che non poteva essere rivelato in assemblea e, quando Aristide ebbe riferito che il suggerimento era «utilissimo ma disonestissimo», lo ricusò (I lix 17-19); d’altro canto, contro il parere dei savi (fra cui il «gravissimo e prudentissimo» Nicia), si lanciò nella rovinosa spedizione in Sicilia (I liii 20).
Il verso dantesco su A. e Sparta, «che fenno / l’antiche leggi» (Purgatorio VI 139-40), a riscontro con la mutevolezza delle cose fiorentine, è rovesciato ironicamente in una battuta di M. a Giovanni Gualberto, riferita a Francesco Guicciardini nella lettera del 18 maggio 1521: «io l’andai racconsolando, dicendo [...] che gli era usanza delle città grandi non star ferme molto in un proposito, e di fare oggi una cosa e domani disfarla: e gli allegai Roma e Atene».
Nel celebre capitolo xi del primo libro dei Discorsi, sulla «religione de’ Romani», la coppia Licurgo-Solone ritorna (e la lode è questa volta attribuita egualmente a entrambi) tra i savi ordinatori di leggi che hanno fatto ricorso a Dio per fare accettare i nuovi ordini (l’aggancio immediato è a Numa e a Girolamo Savonarola; il riferimento velato, altrove esplicitato, a Mosè). Nel capitolo xl si ricorda come, intorno al 450 a.C., i Romani mandassero una delegazione ad A. per trarre copia delle leggi di Solone: ma da quell’iniziativa nacquero solo disordini per Roma, col Decemvirato e la tirannide appiana. Della saggezza di Solone è comunque testimonianza, in Discorsi II x 14, il detto che «la guerra si fa con il ferro e non con l’oro» (tratto da Luciano).