DA EMPOLI, Attilio
Nacque a Reggio Calabria il 2maggio 1904, da Antonio e da Amelia Ciraolo, in una antica famiglia di origini toscane, trasferitasi in Calabria nel sec. XVII. Zio matemo era Giovanni Ciraolo, senatore del Regno e per vario tempo presidente della Croce rossa italiana. Assai precoce, il D. cominciò a studiare scienze economiche fin dagli anni del liceo. Iscrittosi alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Messina, seguì i corsi di Angelo Fraccacreta e di Roberto Michels, che firmò una prefazione, per la verità non impegnativa, al suo primo volume, Teoria dell'incidenza delle imposte (Reggio Calabria 1926).
Alcuni capitoli del libro erano stati pubblicati come articoli sulla Riv. internaz. di scienze soc. (fasc. di luglio, agosto, settembre 1925). Il lavoro presenta alcune delle caratteristiche comuni a tutte le opere successive: ragionamento serrato (anche a costo di qualche oscurità), bibliografia ridottissima, atteggiamento spregiudicato se non iconoclasta verso la teoria economica tradizionale, ricorso a una terminologia di propria invenzione per definire fenomeni precedentemente non osservati. Coniato dal D. è il termine, centrale nel libro, di "traslazione obliqua" per definire il caso in cui il produttore della merce tassata trasferisce totalmente o parzialmente l'onere dell'imposta sul consumatore di una merce non tassata prodotta dal medesimo (caso di produzioni congiunte), oppure sul produttore di una merce non tassata, ma complementare a quella tassata. Quando la traslazione obliqua avviene sui fattori di produzione, si avrà una traslazione regressiva. Il D. esamina il caso in cui l'imprenditore, per evitare l'imposta, emigri verso industrie non tassate; e polemizzando con il Pantaleoni, che nella Teoria della traslazione dei tributi aveva sostenuto che in ogni caso vi sarebbe stata una diminuzione dei profitti nell'industria di immigrazione, osserva che bisognerà tener conto dell'andamento della domanda in quella industria. Il D. esamina poi gli effetti dell'imposta in presenza di rendimenti costanti, crescenti e decrescenti di industrie di concorrenza perfetta e di monopolio, e critica la teoria corrente, rappresentata da E. R. Seligman (The Shifting and Incidence of Taxation) e da A. Graziani (Istituzioni di scienza delle finanze) giungendo, con minuta analisi, ad affermare che la probabilità di trasferire l'imposta da parte del produttore - sia esso in concorrenza perfetta o in monopolio - sarà massima nel caso di rendimenti decrescenti, e minima nel caso di rendimenti crescenti.
Quasi contemporaneamente il ventiduenne D. pubblicava un breve ma impegnativo volume dal titolo Riflessioni sull'equilibrio economico (Teoria del duplice costo di produzione), Reggio Calabria 1926.
Mentre nell'opera precedente non erano messe in discussione le assunzioni della teoria neoclassica del valore, secondo cui il prezzo di equilibrio è funzione del costo marginale (per curve di costi continue per ogni singola impresa), qui il D. afferma che "non v'è per ogni intrapresa una sola curva dei costi, ma vi è una serie di curve dei costi", ove le discontinuità corrispondono ad ingrandimenti della scala di produzione. Il D. affronta il problema della dimensione economica dell'impresa, introducendo la distinzione fra dimensione "assoluta" (quando il costo unitario è il più basso cui l'impresa può scendere) e dimensione "relativa", che è quella "che più conviene al produttore in rapporto al prezzo della merce qual è nel momento dei suoi calcoli e quale sarà se egli aumenta e diminuisce le quantità di merce che produce" (pp. 35 s.). A seconda della struttura dei costi, le dimensioni delle imprese in senso relativo saranno molto diverse. È a questo punto che il D. introduce le sue innovazioni più originali. L'impresa, nella ricerca del suo equilibrio, non deve tener conto del solo costo marginale, cioè del "costo di quella parte di produzione che si produce nelle condizioni più difficili ma che si produce normalmente"; ma anche del costo "ultramarginale", cioè del "costo che si dovrebbe sopportare da quegli agenti economici che volessero aumentare la produzione complessiva sia con l'ingrandimento di una vecchia intrapresa sia con l'impianto di una nuova intrapresa" (p. 41). L'andamento delle curve dei costi (e dei corrispondenti ricavi) "ultramarginali" va dunque conosciuto in anticipo, perché è un elemento decisivo ai fini della scelta dell'imprenditore fra espandere la produzione o no. Una situazione statica sarà data dalla non economicità del costo (e della produzione) ultramarginale. Una situazione dinamica sarà invece data dal passaggio del costo ultramarginale dalla non economicità alla convenienza. Dato che la curva dei costi ultramarginali non è continua rispetto a quella dei costi marginali, vi potrà essere il caso in cui il costo ultramarginale sarà più basso di quello marginale; corrispondentemente il ricavo ultramarginale sarà maggiore del ricavo marginale. Il limite massimo della produzione sarà segnato dal punto in cui il reddito ultramarginale scende sotto il limite minimo normale; il che può avvenire per due motivi; o perché il costo ultramarginale è superiore a quello marginale; o perché, anche se il costo ultramarginale è inferiore, il reddito ultramarginale è inferiore al reddito marginale in quanto l'aumento di produzione ha provocato una diminuzione dell'utilità marginale della merce e quindi del suo prezzo. In questo modo il D. introduceva l'altro elemento necessario alla determinazione del prezzo di equilibrio, cioè l'utilità-domanda. In effetti è quest'ultima arbitra di fissare il punto di equilibrio, il quale si situerà in una zona delimitata (a sinistra in un diagramma prezzo-quantità, che però il D. non usa) dal costo marginale, che rappresenta il limite minimo possibile e (a destra) dal "massimo prezzo che non rende ancora economica la produzione ultramarginaie" (p. 64).
Si trattava di interessanti notazioni critiche della teoria marshalliana dell'impresa, che proprio allora cominciava a essere posta in discussione nella letteratura anglossassone, che a quel tempo il giovanissimo D. non conosceva. Ciò nonostante, le recensioni - pur numerose - non andarono al di là, in genere, di una tiepida benevolenza. Mauro Fasiani lodò del primo volume la trattazione della traslazione obliqua, criticando però la tendenza del D. a considerare "inesatte" le teorie dominanti ricorrendo alla tecnica di variame un'ipotesi (e qui il Fasiani coglieva indubbiamente un limite del D., consistente in una certa tendenza al nominalismo); quanto al secondo volume il Fasiani non riteneva la "ultramarginalità" diversa dal caso di una rendita (caso in cui il prezzo è maggiore dei costo ultramarginale). Luigi Amoroso si fermava invece sul nucleo più originale delle Riflessioni, ma per respingere l'ipotesi stessa di funzioni discontinue. Molto stringato, Benvenuto Griziotti rilevava l'esiguità delle letture, limitate in pratica a Graziani, Pantaleoni e Seligman. Solo fra gli economisti critici dell'indirizzo neoclassico le due opere dei D. riscossero una approvazione incondizionata: cfr. le recensioni di Camillo Supino e soprattutto di Achille Loria, che intrattenne con il D. un carteggio scientifico.
Laureatosi con lode nel dicembre 1926, nel novembre 1927 conseguì all'unanimità la libera docenza in scienza delle finanze (corrimissari Loria, Graziani, Supino). Quasi contemporaneamente vinse una borsa di studio del Laura Spelman Rockefeller Memorial per un biennio di perfezionamento in Inghilterra e negli Stati Uniti, su segnalazione di Luigi Einaudi, consulente della Fondazione Rockefeller per l'Italia. A causa del servizio militare, il D. poté partire solo nel maggio 1929, trascorrendo un primo periodo alla London School of Economics e trasferendosi poi alla Columbia University di New York, a Berkeley e a Chicago, dove si fermò più a lungo studiando sotto la supervisione di Henry Schulm Notizie dei suoi studi, ma soprattutto delle frequenti visite compiute a stabilimenti industriali, si trovano nella sua corrispondenza con Einaudi.
Al termine del suo soggiorno negli Stati Uniti - prorogato di alcuni mesi oltre il biennio - pubblicò la Theory of Economic Equilibrium (Chicago 1931). la cui uscita fu salutata entusiasticamente da un quotidiano locale (Young Italian Genius Publishes Book Here, in Chicago Daily News, 9 dic. 1931). In questo volume i concetti delle Riflessioni sull'equilibrio economico vengono sviluppati e confrontati con alcuni svolgimenti della, teoria economica anglosassone, particolarmente il concetto di "impresa rappresentativa".
Rifacendosi alle conclusioni del dibattito sull'Economic Journal del 1930 fra D. H. Robertson, G. F. Shove e P. Sraffa, il D. sostiene l'inadeguatezza dei concetti di impresa rappresentativa e di economie di scala (sia esterne che interne) ai fini della determinazione dell'equilibrio produttivo dell'impresa. In particolare critica le conclusioni di Sraffa, secondo cui "l'impresa è in equilibrio quando le economie interne dovute a una unità addizionale di prodotto sono esattamente bilanciate dagli svantaggi dell'espansione - e questo accade nel punto dei rendimenti costanti" (cit. dal D. a p. 28), in quanto vi è incompatibilità fra esse e la condizione di prezzo di domanda costante, propria dello schema di libera concorrenza. "Se supponiamo - si chiede il D. - che un incremento di produzione dell'impresa trovi un prezzo di domanda costante, come può essere l'impresa in equilibrio a quel punto?" (pp. 28 s.). Ora, Sraffa si era già prospettato il problema nel noto saggio Sulle relazioni fra costo e quantità prodotta (1925), ripreso in The Laws of return in competitive conditions, in Economic Journal, dicembre 1926, concludendo che proprio l'impossibilità di conciliare costi costanti e. "simmetria fra domanda e offerta" postulava l'abbandono dell'ipotesi di libera concorrenza; ma il D., pur citando il testo di Sraffa, sembra non coglierne il messaggio (consistente nel superamento dell'ipotesi di concorrenza perfetta), limitandosi a soffermarsi in modo alquanto sprezzante - sull'assunzione di costi costanti (p. 68 n.).
Nonostante che questo lavoro fosse molto più impegnativo ed elaborato dei precedenti, esso non ebbe maggiore fortuna. In Italia, Umberto Ricci negò che prima del D. si fossero trascurati i fenomeni "ultramarginali", anche se non erano chiamati così. Per Ricci, "la fissazione dell'equilibrio presuppone la conoscenza dei due tratti di ciascuna curva: un tratto a sinistra (premarginale) e un tratto a destra (postmarginale)". Ricci definiva poi un deus ex machina ilprincipio dell'utilità marginale per la determinazione del prezzo, al quale il D. faceva ricorso. Il D. replicò vivacemente, ma più per ribadire il proprio pensiero ("condizione necessaria all'equilibrio è che vi sia un tratto discontinuo fra gli elementi marginali e quelli ultramarginali" in A proposito di una recens. del prof.: U. Ricci alvol. "Theory of econ. equilibrium", in Giorn. degli econ., XLVIII [1933], p. 273), che per apportare nuovi elementi di chiarificazione. Un'altra recensione non favorevole fu quella di Joan Robinson, forse risentita dal tono di sufficienza con cui il D. si riferiva alla scuola di Cambridge. La Robinson riteneva semplicistico il modo in cui il D. discuteva dell'ottima dimensione dell'impresa e delle diseconomie esterne e interne, e criticava la mancanza di chiarezza nel distinguere impresa e industria. Apprezzava invece l'idea di discontinuità delle curve. Più positiva, invece, la recensione di Alberto Breglia, cui era piaciuta soprattutto la distinzione fra "concorrenza interna" (caso di più produttori in concorrenza reciproca sul mercato), "concorrenza esterna" (un solo produttore sul mercato, ma concorrenza potenziale da parte di produttori che attualmente non operano) e "concorrenza complessa" (un misto delle due). Questioni, tutto sommato, che restano marginalli nell'economia del libro.
Rientrato in Italia alla fine del 1931, il D. intraprese l'insegnamento universitario, prima come incaricato di scienza bancaria e di statistica nell'università di Messina, poi di scienza delle finanze e diritto finanziario nell'università di Bari, accompagnando l'attività accademica con quella politica.
Attratto fin da giovanissimo prima dal nazionalismo e poi dal fascismo, fu deputato nella XXIX legislatura (1934-39), e poi consigliere della Camera dei fasci e delle corporazioni (1939-43), quale "membro della corporazione orto-florofrutticola, in rappresentanza dei lavoratori del commercio".
I suoi interventi parlamentari sono per lo più di carattere tecnico. Nel marzo 1935 proponeva di istituire un sistema di tasse scolastiche "che tenesse conto non solo dell'entità della spesa provocata, ma anche della ricchezza dei contribuenti" (Attiparlamentari, Camera, Discussioni, leg. XXIX, 1 sess.; tornata 6 marzo 1935, p. 856). Nel maggio 1936 caldeggiava una imposizione progressiva a seconda del reddito e regressiva a seconda del numero dei figli (Ibid., tornata 17 maggio 1936, p. 1630). Nel dicembre 1936, a proposito della nuova parità della lira, sottolineava l'esigenza di distinguere "le industrie che hanno periodi di grandi perdite accanto a periodi di grandi guadagni, dalle industrie che hanno guadagni piuttosto continui" (Ibid., tornata 15 dic. 1936, p. 3114). Solo nel 1938 il D. si lasciò andare a richiedere che l'esercizio finanziario coincidesse con l'"anno fascista", iniziando il 28 ottobre (Ibid., tornata 16 maggio 1938, p. 4966).
Nel 1935-36 il D. fu volontario nella guerra di Etiopia, come comandante di una compagnia della 101 leg. libica, e meritò una medaglia di bronzo per il combattimento di Amba Aradam. Nel novembre 1936 vinse la cattedra di politica economica e finanziaria all'università di Bari da dove, nel 1938, fu trasferito alla cattedra di scienza delle finanze e diritto finanziario dell'università di Messina. Nel dicembre 1942 fu chiamato alla cattedra di economia politica corporativa dell'università dk Napoli. Non ebbe successo un suo tentativo di essere chiamato all'università di Roma nel 1943. A Roma però andò ad abitare, anche per partecipare più agevolmente ai lavori parlamentari.
L'attività parlamentare non distolse eccessivamente il D. dagli studi. I suoi scritti del tempo, da una parte rappresentano ritocchi e applicazioni della "sua" teoria dell'equilibrio, dall'altra tendono maggiormente a inserirsi nel dibattito scientifico e accademico allora dominante in Italia. Si tratta per lo più di studi finanziari. In Note sulla tassazione del risparmio (Messina 1932) il D. prende posizione contro la teoria dello "Stato fattore di produzione" di De Viti de Marco ed Einaudi come fondamento dell'imposta, in quanto l'azione dello Stato non si propone il vantaggio dei singoli - come implicitamente assunto da questi autori - ma della collettività. La misura della ripartizione dipenderà invece dalla capacità contributiva dei singoli, indipendentemente dai vantaggi che ciascuno di essi riceve. Criticando le note posizioni einaudiane avverse alla tassazione del risparmio, il D. osserva che il ricorso di Einaudi al concetto di "saggio individuale di sconto fra beni presenti e futuri", di tipo psicologico, per sostenere la non tassabilità del risparmio presente, porterebbe all'assurdo di esentare qualsiasi reddito, anche da lavoro, qualora vi si applicasse il "saggio individuale di sconto".
Lo scritto Costi crescenti, decrescenti e costanti nello studio degli effetti economici delle imposte (in Arch. scientifico del R. Ist. sup. di sc. econ. e comm., Bari 1935) riprendeva alcuni temi della Theory estendendoli al problema della trasferibilità delle imposte sulla quantità prodotta. Per la teoria tradizionale, come è noto, queste ultime tendono a trasferini in quanto colpiscono anche l'unità marginale della produzione, quella il cui reddito netto è pari a zero. Quindi si avrà una riduzione di offerta, un aumento dei prezzi e una traslazione (almeno parziale) dell'imposta sul cqnsurnatori. Per il D., invece, questo schema pecca di semplicismo. Esso presuppone che l'aumento di produzione comporti un aumento dei costi, e una sua diminuzione una diminuzione dei costi. Ma questo è appunto ciò che gli studi sulle curve discontinue condotti dal D. intendono negare. A maggior ragione, un'impresa che operi in mercati diversi (in condizioni di concorrenza perfetta, oppure di monopolio) avrà curve diverse di domanda davanti a sé, con prezzi più o meno diversi dai costi marginali. Perciò la quantità ridotta per effetto dell'imposta (e la conseguente traslazione sui consumatori) sarà diversa a seconda dei casi. Seguono due scritti di diversa mole, ma entrambi critici della teoria tradizionale. In L'imposta generale e i suoi effetti economici (in Economia, XIV [1936], 5, pp. 311-315) osservava che anche un'imposta generale e uniforme turba l'equilibrio economico e quindi può trasferirsi se si sostituisce a un precedente sistema di imposte speciali. Nel volume Lineamenti teorici dell'econ. corporativa finanziaria (Milano 1941) - criticava la tesi - di Antonio De Viti de Marco, secondo cui "tutti consumano servizi pubblici generali in proporzione al proprio reddito"; criterio, sostiene il D., arbitrario, perché non c'è connessione fra ammontare di reddito e vantaggio ricavato da ciascuno dei contribuenti per il conseguimento dei fini pubblici. Segue una minuziosa critica alla trattazione degli effetti dell'iltiposta sull'equilibrio in De Viti, in cui il D. sostituisce alle ipotesi restrittive su cui De Viti lavora (in questo caso, i costi costanti) altre ipotesi che sembrano essere varianti più che confutazioni delle tesi criticate.
Un accenno critico contenuto nel libro suscitò una cortese replica di Mauro Fasiani (Sulla legittimità dell'ipotesi di un'impostagrandine nello studio della ripercussione dei tributi, in Studi in mem. di Guglielmò Masci, Milano 1943, I, pp. 261-79), che rilevava come il procedere sempre all'analisi degli effetti combinati di ciascun tipo di imposta con ciascun tipo di spesa produca una casistica spesso inutile. Viceversa, in alcuni casi (che il Fasiani elenca) è legittimo studiare gli effetti di un'imposta ("imposta-grandine" nella terminologia einaudiana) prescindendo dalla spesa del suo gettito. Era un contrapporre il metodo degli equilibri parziali a quello dell'equilibrio generale. Le qualificazioni che però lo stesso Fasiani introduceva rendevano molto meno grandi le distanze fra i due studiosi.
Il D. cercò di applicare la sua teoria al commercio internazionale, inserendosi in un dibattito fra Iacopo Mazzei e Gino Borgatta intorno alla convenienza di passare dal libero scambio all'autarchia. Si tratta di uno studio molto elaborato, in cui largo spazio è dato alla distinzione - non sempre evidente nelle opere precedenti - fra breve e lungo periodo; ma che non ebbe eco (Studi sulla teoria del commercio internazion., in Riv. ital. di scienze econ., XV [1942], pp. 773-800, 891-911, 962-1007).
Scoppiata la seconda guerra mondiale, il D. combatté nella campagna di Grecia dal febbraio al maggio 1941, meritandosi una croce di guerra. Probabilmente questa esperienza fu decisiva nel distaccarlo dal fascismo. Dopo l'8 sett. 1943 aderì a un gruppo militare clandestino romano; liberata Roma nel giugno 1944, ottenne di arruolarsi come volontario nel ricostruito esercito italiano e fu assegnato tenente a un reparto che operò alle dipendenze della Quinta armata americana. Per le azioni compiute fra il novembre 1944 e il marzo 1945 il D. fu proposto per la medaglia d'argento.
Sospeso dall'insegnamento nel febbraio 1944 e sottoposto a procedimento di epurazione, il D. fu prosciolto nell'ottobre 1945. Nel dopoguerra riprese l'elaborazione dei suoi corsi universitari, pubblicando il primo volume delle Lezioni di scienza economica. Nozioni introduttive (Napoli 1948). Attendeva alla correzione delle bozze del secondo volume, quando la morte, per una peritonite non tempestivamente diagnosticata, lo colse a Napoli il 26 sett. 1948.
Fonti e Bibl.: Fondazione L. Einaudi, Torino, Carte Einaudi (lettere del D. a L. Einaudi); Torino, Sovrintendenza bibliogr. per il Piemonte e la Valle d'Aosta, Carte Loria (lettere del D. ad A. Loria); L. Einaudi, Lettere ad A. D., a cura di L. Firpo, in Annali della Fondazione L. Einaudi, III, Torino 1969, pp. 383-399; L. Gangemi, In memoria di A. D., in Studi economici e aziendali, 1949, pp. 329-334 (con bibliogr.); L. Aliquò Lenzi-F. Aliquò Taverriti, Gli scrittori calabresi - Diz. bio-bibliografico, Reggio Calabria 1955, I, ad vocem; J. Lattari Giugni, IParlamentari della Calabria dal 1861 al 1967,; Roma 1967, p. 251; D. da Empoli, A. D.Breve ricordo agli studenti dell'ist. tecnico comm. "Attilio da Empoli", in Historica, XXXIII (1980), 4, pp. 219-225; G. Stefani, L'opera scientifica di A. D., in Riv. di pol. econ., s. 3, LXXI (1981), 10, pp. 13 dell'estr.; recensioni e commenti alle varie opere del D.: A. Loria, Sintomi di risveglio scientifico, in Echi e commenti, 5 dic. 1926, p. 6; M. Fasiani, in Riforma soc., XXXIV (1927), pp. 184 ss.; B. Griziotti, in Giorn. degli econ., XXXVIII (1927), p. 346; C. Supino, in Scientia, XXI (1927), p. 241; W. Twerdochleboff, Die Theorie der Steuerüberwälzung in der neuesten Literatur, in Zeitschrift für die gesamte Staatswissenschaft, LXXXVI (1929), pp. 513-543; L. Amoroso, in Giorn. degli econ., XI, (1929), pp. 315; A. Breglia, in Riforma sociale, XXXIX (1932), p. 334; U. Ricci, in Giornale degli economisti, XLVII (1932), pp. 981 s.; J. Robinson, in Economic Journal, XXXIII (1933), pp. 666-669. Sul pensiero del D. cfr. inoltre: R. Lupetti, Contributo alla teoria economica del costo di produzione, in Pubbl. del R. Ist. sup. di scienze econ. e comm., Firenze 1933, p. 273 (per le "curve successive"); N. Pisani, La teoria finanz. di M. Pantaleoni, in Annali di statistica e di econ., VI (1940), pp. 135-156 (per le critiche a Pantaleoni); S. Steve, Sul concetto di imposta generale, in Giorn. degli econ. e Annali di economia, n. s.; VII (1947), p. 616 (sulla trasferibilità dell'imposta generale); F. Reviglio, La teoria della curva di domanda e gli effetti delle imposte, Milano 1965, pp. 182 ss. e passim (per la traslazione sui fattori di produz. e la polemica con Fasiani); Chi è ? 1936, 1940, 1948, ad vocem.