CAUCHY, Augustin-Louis
Matematico, uno dei fondatori dell'analisi moderna, nato a Parigi il 21 agosto 1789, morto a Sceaux (Seine) il 23 maggio 1857. Visse alcuni anni ad Arcueil ove la famiglia si era ritirata per sfuggire la rivoluzione. Ristabilita la calma sotto il consolato del Bonaparte, il padre Luigi fu nominato archivista al senato e il figlio seguì a Parigi gli studî classici, l'École polytechnique e l'École des ponts-et-chaussées, riportando dovunque successi brillanti. Conseguì nel 1809 il grado d'ingegnere e l'anno seguente ebbe un posto ai lavori del porto di Cherbourg. Con l'ardore e lo zelo che portava in ogni compito, il C. si fece subito apprezzare per le qualità tecniche. Ma il suo interesse più vivo si volgeva alla scienza, che continuava a coltivare nelle ore tolte al riposo. A questa sacrificò nel 1813 il posto di Cherbourg per ritornare a Parigi. Alcuni lavori sui poliedri, sulla teoria delle sostituzioni, sugl'integrali doppî, e una memoria, premiata dall'Académie des sciences, sulla teoria delle onde, richiamarono ben presto l'attenzione dei competenti sul giovane matematico.
Dopo la restaurazione, nel 1816, il C. fu nominato, con ordinanza regia, membro per la sezione di meccanica dell'Académie des sciences, in uno dei due posti resi vacanti in seguito alla rimozione di uomini quali il Carnot e G. Monge. Di avere accettato la nomina in queste condizioni eccezionali, mentre la fama raggiunta gli avrebbe assicurato un'elezione trionfale da parte dei colleghi, fu mosso aspro rimprovero al C.; egli, legittimista fervente, ubbidì alla volontà del suo re. Nella stessa epoca fu chiamato a insegnare all'École Polytechnique, alla Sorbona, e al Collège de France.
Deposta la casa di Borbone, in seguito alla rivoluzione del 1830, egli rifiutò di prestar giuramento al nuovo regime: fu rimosso dalla cattedra e abbandonò volontariamente la patria, riparando a Friburgo in Svizzera. Lo raggiunse colà nel 1831 l'invito di Re Carlo Alberto di recarsi a Torino a coprire la cattedra di fisica sublime, che, istituita nel 1820 per l'Avogadro, questi aveva dovuto lasciare in seguito ai moti del 1821. Il C. accettò l'invito e, valendosi della sua profonda cultura classica, offrì di far lezione in latino; ma la proposta non riuscendo gradita agli allievi, svolse l'insegnamento in italiano. In gran parte per suo merito l'università e l'Accademia delle scienze di Torino (che pubblicò alcune delle sue più belle memorie) riacquistarono quel fulgore che avevano avuto durante il soggiorno di Lagrange. Per breve tempo tuttavia, perché gli fu offerto dal re Carlo X, in esilio a Praga, l'incarico di provvedere all'educazione del duca di Bordeaux, presunto erede del trono di Francia. Fedele ai suoi sentimenti borbonici, il C. non esitò a lasciare la residenza di Torino, ove poteva dedicarsi interamente alla scienza, per assumere il nuovo delicato ufficio che doveva assorbire buona parte del suo tempo.
Nel 1838 ritornò a Parigi. Gli furono offerti insegnamenti ed incarichi, tra i quali un posto nel Bureau des longitudes, che i colleghi unanimi volevano affidargli; ma la sua riluttanza a prestare il giuramento richiesto lo tenne lontano da ogni ufficio pubblico. Frequentava solo l'Académie des sciences, ove ogni settimana portava qualche comunicazione. La Repubblica del 1848 abolì il giuramento, che fu ristabilito nel 1852 da Napoleone III. L'Imperatore volle tuttavia fare un'eccezione dispensando da quest'obbligo due uomini eminenti: il C. e l'Arago. E il C. poté così riprendere alla facoltà di scienze l'insegnamento di fisica matematica, che tenne fino alla morte.
Abbandonò serenamente la vita, tutta dedicata alla scienza, alla fede, agli affetti domestici, alle opere buone. I suoi rigidi sentimenti religiosi e politici, in contrasto con le idee dominanti in quell'epoca, gli alienarono molte simpatie; tutti però furono concordi nell'apprezzare, oltre all'altezza dell'ingegno, la rettitudine del suo carattere, la nobiltà e la purezza del suo animo mite.
L'opera del C. è così copiosa (quasi ottocento scritti, oltre a sette volumi di lezioni ed esercizî) e così vasta, estendendosi a tutti i rami di matematiche pure ed applicate, che è impossibile darne qui un resoconto sia pure sommario. Accenniamo solo ad alcuni dei maggiori contributi da lui portati alla scienza.
Egli ha anzitutto il merito di avere stabilito il calcolo infinitesimale sopra solide basi, rinunziando alla vaga intuizione geometrica a cui troppo spesso ricorrevano i predecessori, e prendendo come punto di partenza il concetto di limite chiaramente precisato. Su questo si fondano le definizioni da lui date, e ormai classiche, di funzione continua, di integrale definito, ecc. Il Cours d'Analyse (1821) e il Résume des leçons données sur le calcul infinitésimal (1823) sono modelli a cui si ispirarono i trattatisti successivi. Al C. appartengono pure i fondamentali teoremi che assicurano, sotto condizioni opportune, l'esistenza e l'unicità della soluzione di un'equazione o d'un sistema di equazioni differenziali o a derivate parziali.
L'importanza di questo risultato trascende di gran lunga l'interesse critico; esso stabilisce in modo preciso in che consista il problema della integrazione di un'equazione differenziale. Per es., per un'equazione a derivate parziali del 2° ordine con due variabili indipendenti, il problema di Cauchy può presentarsi in termini geometrici così: assegnata arbitrariamente una curva e nei punti di essa una successione di piani tangenti. si domanda di costruire una superficie che passi per la curva toccando lungo questa i detti piani, e soddisfi, con la sua equazione, l'equazione differenziale data. Si tratta in sostanza di propagare al di là della curva una soluzione che viene data arbitrariamente nell'intorno della curva. È chiara l'analogia con le questioni meccaniche o fisiche (moto d'un sistema, propagazione del calore, delle onde, ecc.), ove si domanda di determinare l'andamento d'un fenomeno di cui sono assegnate le condizioni iniziali; la risoluzione di tali problemi dipende appunto dall'integrazione di equazioni differenziali.
Il C. ha pure il vanto incomparabile di aver aperto, con la teoria delle funzioni d'una variabile complessa; un campo di studî che, dopo un secolo d'intense ricerche, è ben lungi dall'essere esaurito, e che costituisce forse il maggiore contributo portato alla matematica pura dal sec. XIX.
Se un numero complesso z = x + iy (i = ∣ − 1) viene sottoposto alle consuete operazioni dell'analisi, si arriva a una funzione f(z) = u (x, y) + i v (x, y) della variabile z. L'esistenza d'una derivata f′ (z) ben determinata e le conseguenti due relazioni fra le derivate parziali prime di u e v rispetto ad x ed y (v. funzione) vengono tacitamente ammesse nei primi e fondamentali lavori del C. Solo negli ultimi anni della sua vita (1851) egli fa rilevare che il verificarsi di quelle due relazioni (condizioni di monogeneità) esprime la condizione perché la f(z), in qualunque modo sia definita, possegga in ogni punto regolare z una derivata indipendente dalla direzione in cui ha luogo l'incremento dz della variabile indipendente (incremento raffigurato da uno spostamento infinitesimo nel piano della variabile complessa z). Più tardi, specialmente per opera del Riemann, quella condizione fu assunta come base della definizione di funzione d'una variabile complessa, funzione che il C. chiama monogena. Fino dal 1825 il C. si propose di estendere alle dette funzioni f(z) il concetto di integrale definito. L'integrale è calcolato lungo una determinata curva che, nel piano della z, conduce dal limite inferiore al limite superiore; egli dimostra però che il valore dell'integrale non cambia se varia il cammino d'integrazione (restando fissi gli estremi) senza incontrare punti singolari; donde il celebre teorema di C.: l'integrale d'una funzione di variabile complessa esteso al contorno di un'area che non contenga punti singolari della funzione è nullo. Dall'ipotesi che vi sia invece nell'area un punto singolare particolarmente semplice il C. deduce una formula che è una delle più importanti dell'Analisi, da cui egli trae innumerevoli conseguenze. Tra le altre questa: ogni funzione monogena regolare in un punto a ammette uno sviluppo in serie di potenze di z - a (serie di Taylor-Cauchy) convergente entro un cerchio di centro a e raggio conveniente. Così i due concetti di funzione monogena e funzione analitica (sviluppabile in serie di potenze) vengono a sovrapporsi, e la teoria delle serie di potenze acquista una chiarezza e una eleganza che mancano quando si operi nel campo reale. Per altre applicazioni importanti che il C. fa di quella formula v. funzione.
Anche nella cinematica e nella meccanica dei sistemi continui il C. ha recato contributi essenziali. È classico un suo teorema sul modo come si distribuiscono gli sforzi nell'intorno d'un punto del sistema. A lui risalgono le equazioni oggi adottate nella teoria della elasticità, teoria che egli riuscì a liberare dall'ipotesi delle azioni a distanza, e che estese anche ai corpi anisotropi (cioè comportantisi diversamente nelle varie direzioni). Nell'ottica portò varî complementi alla teoria elastica di Fresnel e per primo costruì una teoria della dispersione normale della luce.
Opere: Øuvres complètes, pubblicate per cura dell'Académie des sciences di Parigi, voll. 28, di cui 22 già usciti, Parigi dal 1882.
Bibl.: Valson, La vie et les travaux du Baron C., Parigi 1868; J. Bertrand, Éloge de A.-L.C., in Éloges académiques, II, Parigi 1902.