PECCEI, Aurelio
PECCEI, Aurelio. – Nacque a Torino il 4 luglio 1908 da Roberto, di professione avvocato, e da Eugenia Rivotto, casalinga, secondo di tre figli, essendo il fratello maggiore, Elio, nato nel 1904 e la sorella minore, Massimiliana, nel 1910.
Si laureò in scienze economiche presso l’Università di Torino nel 1930 con una tesi su La nuova politica economica di Lenin. Dopo la laurea e un breve periodo trascorso a Parigi fu assunto con funzioni di dirigente dalla società automobilistica FIAT di Torino, che gli affidò l’incarico di gestire le relazioni con l’Unione Sovietica e i Paesi dell’Est all’interno della Divisione affari speciali.
Nel 1933 sposò Anna Migliorero, dalla quale ebbe tre figli: Paola (nata nel 1939), Roberto (nato nel 1942) e Riccardo (nato nel 1945).
Nel 1935 compì una missione in Estremo Oriente occupandosi del Consorzio aeronautico italiano per la Cina, costituito da FIAT insieme con le maggiori aziende aeronautiche e motoristiche italiane del tempo. Fu questa l’occasione nella quale ebbe modo di misurare la sua capacità di organizzatore in situazioni di crisi e di stabilire rapporti ai più alti livelli politici, come con il generale nazionalista Chang Kai-shek e la di lui consorte. Non ebbe, invece, occasione di incontrare il leader comunista Mao Zedong.
Di sentimenti antifascisti, non si sentì di seguire alcuna ideologia tradizionale, quanto piuttosto l’inclinazione del suo spirito libero, illuminato e cosmopolita.
Nel 1939 rientrò in Italia in seguito all’aggravarsi del conflitto cino-giapponese. Durante la seconda guerra mondiale militò nelle file di Giustizia e Libertà. Membro della segreteria del Partito d’Azione, sollecitò l’elaborazione di un programma economico da parte degli esponenti del gruppo azionista torinese. Nel febbraio 1944 fu arrestato dalla milizia fascista e rinchiuso nel carcere di via Asti a Torino, dove rimase per undici mesi, resistendo con tenacia alle sevizie inflittegli.
Peccei aveva tenuto, tra l’altro, i rapporti con il Comitato di liberazione nazionale (CLN) per conto di Vittorio Valletta, amministratore delegato di FIAT: se avesse parlato, si sarebbe scoperto il doppio e triplo gioco di Valletta con gravi conseguenze anche per l’azienda automobilistica. Venne infine liberato in seguito alle ‘pressioni’ esercitate da Valletta stesso nelle sedi dei comandi nazifascisti (Castronovo, 1999, p. 674).
Nell’immediato dopoguerra il CLN lo nominò commissario straordinario nel comitato incaricato di gestire provvisoriamente l’ordinaria amministrazione della FIAT in attesa degli esiti del procedimento di epurazione contro Valletta e il presidente della FIAT, il senatore Giovanni Agnelli. I compiti direttivi erano stati ripartiti fra l’ingegner Gaudenzio Bono, per la produzione automobilistica; l’ingegnere Arnoldo Fogagnolo, per la parte navale e siderurgica; Battista Santhià, comunista e unico rappresentante politico, per i servizi sociali e i rapporti con le commissioni interne; e Peccei, al quale fu affidata la gestione della sezione aeronautica. In questa veste, nel 1946 egli contribuì alla nascita di Alitalia.
Con il ritorno di Valletta al comando del gruppo automobilistico torinese, Peccei riprese a pieno l’attività di dirigente, compiendo numerose missioni all’estero. Si recò per la prima volta negli Stati Uniti, cercando di stabilire accordi di collaborazione con le grandi aziende automobilistiche americane. Durante questi viaggi ebbe conoscenza diretta dei problemi del sottosviluppo in Asia, Medio Oriente, Africa e America Latina.
Nel 1949 si trasferì con la famiglia a Buenos Aires con l’incarico di rilanciare la FIAT in Sudamerica.
Due anni prima il presidente argentino Juan Domingo Peron aveva varato un ambizioso piano quinquennale per l’industrializzazione del Paese che puntava a sviluppare i settori della metalmeccanica e della siderurgia. In linea con le politiche di sviluppo del governo di Buenos Aires, e con una partecipazione di minoranza dello Stato argentino, nel 1954 fu costituita la FIAT Concord (produttrice di auto e trattori) destinata a imporsi come uno dei più importanti gruppi metalmeccanici dell’America Latina; Peccei ne fu responsabile fino al 1973.
Nel 1956 Peccei creò a Buenos Aires il Research bureau for international economic cooperation che, dopo la pubblicazione di un’indagine sui problemi economici dei Paesi sottosviluppati, aveva presentato le soluzioni proposte da Peccei nel 1959 e nel 1961. Peccei intraprese anche iniziative industriali in Cile e Venezuela per conto sia di FIAT sia di altre grandi imprese italiane, come Innocenti. In quelle circostanze aveva incontrato anche alcuni esponenti dei movimenti politici estremisti che operavano nel subcontinente.
La conoscenza diretta del mondo latino-americano contribuì a rafforzare in lui il convincimento che, in politica come in economia, niente era più dannoso del velleitarismo e che «l’innovazione senza risultati effettivi è inutile» (Pauli, 1987, p. 37).
Nel 1957, pur continuando a dirigere le attività in America Latina, rientrò in Italia. In sintonia con la politica neoatlantica del governo italiano, un gruppo industrial-finanziario (che faceva capo a FIAT, IMI-Istituto mobiliare italiano, La Centrale, Sade, Italcementi, Montecatini e Innocenti) lo aveva incaricato di creare una società di consulenza ingegneristica ed economica per l’assistenza ai Paesi meno avanzati nel bacino del Mediterraneo. Venne costituita così l’Italconsult, che estese le proprie operazioni a più di cinquanta Paesi. Peccei ne fu amministratore delegato per un ventennio orientandone le linee d’intervento secondo una visione ispirata ai principi della responsabilità sociale dell’impresa. Nei Paesi in via di sviluppo il nuovo organismo avrebbe dovuto operare ‘senza scopo di lucro’ e la sua attività svilupparsi indipendentemente da quella degli azionisti e dai loro interessi.
Il suo contributo fu altrettanto determinante per la creazione dell’ADELA (Atlantic community DEvelopment group for Latin America). Questa opportunità gli fu offerta, alla fine del 1962, dai senatori americani progressisti Hubert Humphrey e Jacobs Javits. Costoro – nell’ambito del progetto kennedyano dell’Alliance for progress, volto a fornire aiuto tecnico-economico e assistenza in America Latina – gli avevano chiesto di guidare un progetto per rilanciare l’iniziativa privata.
Una delle innovazioni introdotte in ADELA era il fine sociale dell’impresa, che doveva essere di interesse pubblico. Grazie al network internazionale istituito con gli esponenti (come lo svedese Marcus Wallenberg) delle più importanti banche e industrie mondiali (come National city bank, Exxon e Bank of Tokyo) fu possibile dar corpo a un progetto mai tentato prima: un’istituzione cooperativa di investimento e di management che avrebbe tratto le proprie risorse da nazioni dei diversi continenti. ADELA avrebbe attivato il supporto finanziario e l’esperienza dei Paesi avanzati a favore del Sudamerica per rinvigorirne l’attività del settore privato.
Nel 1964 Peccei fu nominato amministratore delegato della Olivetti. Il gruppo finanziario-industriale (composto da FIAT, IMI, La Centrale, Mediobanca e Pirelli), che ne aveva assunto il controllo, gli affidò il compito di risollevare l’azienda dalle difficoltà in cui era sprofondata dopo la morte di Adriano Olivetti, all’inizio del 1960.
Nei tre anni del suo incarico egli la riorganizzò introducendovi le tecniche gestionali di una moderna corporation e dotandola di una struttura divisionale creata in base alle diverse esigenze di mercato e alle funzioni dell’impresa. Il bilancio del gruppo si era riassestato, mentre i conti della controllata statunitense Underwood erano tornati positivi. Tuttavia, queste operazioni di recupero e rilancio comportarono la decisione, sostenuta dal gruppo degli investitori, di cedere la Divisione elettronica alla General Electric che, di fatto, privò l’Olivetti della sua divisione tecnologica d’avanguardia.
A metà degli anni Sessanta Peccei cominciò a parlare più frequentemente in pubblico dei suoi timori e preoccupazioni per i problemi del mondo. Egli aveva individuato durante la sua esperienza di manager le linee di tendenza riguardanti i mutamenti radicali di scenario e di prospettiva legati alla diffusione dell’informatica. E ciò mentre restavano irrisolti i problemi del sottosviluppo e del divario fra Nord e Sud del mondo. Di questo parlò nel discorso tenuto presso il Collegio militare di Buenos Aires il 27 settembre del 1965 e che, tradotto in inglese, due anni dopo venne inserito nella documentazione di un convegno delle Nazioni Unite. La sua era senz’altro una visione originale e lungimirante per quegli anni, tanto che le sue analisi e diagnosi attrassero l’attenzione di importanti osservatori come l’accademico sovietico Jermen Gvishiani e Alexander King, allora direttore generale per la scienza all’OECD (Organisation for Economic Cooperation and Development) a Parigi.
Fra il 1964 e il 1965 venne inviato da Valletta in missione a Mosca nell’ambito dell’operazione industriale che si sarebbe conclusa con la creazione della grande fabbrica automobilistica di Togliattigrad. Dall’Unione Sovietica rientrò con la convinzione che il sistema industriale sovietico fosse confuso, rigido e inefficiente. Nel dicembre 1965 egli tenne un’importante conferenza a Mosca affrontando proprio il tema dello «spreco di risorse» che, a suo giudizio, aveva luogo non solo «per deficienza tecnica», quanto per «deficienza di informazione». Secondo Peccei, Europa e Stati Uniti dovevano perseguire l’unità d’azione. Il gap tecnologico non doveva essere motivo di tensione quanto di stimolo a consolidare la collaborazione perché l’Europa aveva «bisogno degli investimenti degli USA, dei loro brevetti, della loro organizzazione e del loro know-how». Perciò, bisognava «fare l’Europa e farla al più presto» (Castagnoli, 2009, pp. 35-38), perseguendo l’obiettivo federalista dell’amico Altiero Spinelli.
All’inizio del 1966 Peccei tenne un’altra importante conferenza a Washington. I temi erano quelli già trattati nelle occasioni precedenti, ma con nuovi argomenti. In particolare affrontò la questione dei macroproblemi planetari che, a suo giudizio, avrebbero potuto essere risolti soltanto con uno sforzo collettivo di tutti gli Stati, coinvolgendo anche i Paesi comunisti e quelli in via di sviluppo. I suoi suggerimenti vennero immediatamente raccolti da Humphrey che, divenuto nel frattempo vicepresidente degli Stati Uniti, riuscì a interessare all’idea di istituire un centro internazionale di studi sui problemi delle società avanzate il presidente Lyndon B. Johnson e McGeorge Bundy, da poco nominato presidente della Ford Foundation. I risultati di questa iniziativa si sarebbero visti circa sette anni dopo, quando venne creato a Vienna l’IIASA (International Institute for Applied System Analysis).
Il 13 settembre 1967 Peccei svolse una conferenza ad Akademgorodok, la città siberiana della scienza. In quella occasione affrontò i temi ambientali da una prospettiva del tutto nuova, che contemplava il ricorso alla programmazione su scala globale per far fronte agli effetti squilibrati della crescita demografica e proteggere gli ecosistemi.
Intanto dalla sintonia d’intenti e di vedute con il direttore generale per la scienza King prendeva forma il progetto del Club di Roma. Lo scopo del Club, costituito nel 1968, era di affrontare ciò che essi chiamavano «the predicament of mankind» e di contribuire alla sua soluzione, promuovendo incontri fra i più illustri scienziati, economisti, politici e capi di Stato per sollecitarne l’attenzione sui problemi che ipotecavano il futuro del pianeta.
Nel 1969 pubblicò The chasm ahead, un libro in cui affrontava alcune problematiche che erano proprie degli studi sul futuro che avevano avuto origine negli Stati Uniti all’indomani del secondo conflitto mondiale. In linea con queste visioni anticipatrici tracciava il Project 1969, basato su un working paper dell’esperto di metodi di previsione e valutazione della tecnologia Erich Jantsch. Si trattava di «un primo studio sulla fattibilità di pianificare razionalmente il futuro del nostro pianeta» (The chasm ahead, cit., pp. 222-235) che prevedeva una sorta di joint venture fra i Paesi avanzati per affrontare i problemi mondiali.
Il primo rapporto al Club di Roma fu frutto di una complessa elaborazione di modelli analitici che adottavano una prospettiva globale. Dapprima Peccei si trovò in sintonia con l’idea dell’accademico americano di origine turca Hasan Ozbekhan, la cui proposta presentava, tuttavia, aspetti di incerta applicazione. Si optò allora per il modello messo a punto da Jay Forrester, professore al MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston ed esperto di metodi dei sistemi dinamici, che suggeriva di simulare le interazioni fra le diverse macrocomponenti della problematica mondiale. Il rapporto al Club di Roma fu stilato, alla fine, da Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jorgen Randers e William Behrens III che presero in considerazione cinque variabili: popolazione, disponibilità di alimenti, produzione industriale, risorse non rinnovabili e inquinamento. I risultati dello studio furono pubblicati nel 1972 nel rapporto Limits to growth. Il libro ebbe un vasto successo e scatenò una polemica su scala planetaria. In Italia il messaggio suscitò reazioni contrastanti, ma politica e istituzioni lo ignorarono.
Il secondo rapporto, stilato da Eduard Pestel e Mihajlo D. Mesarovic nel 1974, si focalizzò sulle stesse problematiche del primo, smorzandone gli aspetti più critici. Il terzo, scritto nel 1976 dal premio Nobel per l’economia Jan Tinbergen, affrontò il tema dell’ineguaglianza nel mondo. Peccei concordava con le conclusioni di Tinbergen che per ridurre i divari si dovesse cambiare la governance mondiale, ma ancor più egli credeva che la gente dovesse cambiare i propri riferimenti ideali assumendosi la responsabilità del cambiamento. Il cambiamento di mentalità e sistema dei valori fu il tema anche del rapporto al Club di Roma nel 1977 del cibernetico ungherese Ervin László, che mise in luce la centralità dell’uomo per risolvere i problemi del pianeta e rispondere agli obblighi verso le generazioni future.
In un documento redatto nel 1981 Peccei osservò che l’umanità possedeva tutti i requisiti per superare quelle difficoltà epocali: informazione, conoscenza scientifica, know-how tecnologico, mezzi industriali e finanziari, capacità manageriali. Ma, per utilizzare questi assets in modo profittevole, era necessario rendere il sistema globale governabile e imparare a governarlo. In accordo con le premesse concettuali del regionalismo per un Nuovo ordine economico internazionale e una nuova strategia planetaria di sviluppo, si doveva trasformare il confronto Est-Ovest in vera cooperazione e sviluppare le relazioni Nord-Sud in base al mutuo interesse. Inoltre, bisognava riorientare il pensiero corrente e il comportamento delle persone con un’adeguata preparazione culturale e tecnica in modo da favorire lo sviluppo etico-culturale e umano tramite la qualità e la rilevanza del processo educativo e la ricerca scientifica. Infatti, non erano soltanto il degrado demografico e quello ambientale a mettere a repentaglio il futuro, quanto le crisi economiche, le istituzioni inadeguate e la mancanza di una leadership morale e politica di alto profilo.
Peccei morì a Roma il 14 marzo 1984.
Opere. The chasm ahead, London 1969 (trad. it. Verso l’abisso, Milano 1970); Prefazione a D.H. Meadows - D.L. Meadows - J. Randers - W.W.Behrens III, The limits to growth. A report for the Club of Rome’s project on the predicament of mankind, New York 1972 (trad. it. I limiti dello sviluppo, Milano 1972); La qualità umana, Milano 1976; Facing unprecedent challenges: mankind in the eighties, IIASA, Laxenburg, 21 novembre 1980; Cento pagine per l’avvenire, Milano 1981; Regionalism and the New international economic order, New York 1981, pp. XXIX-XXXIV (con D. Nicol e L. Echeverria); Before it is too late, Tokyo-New York 1984 (con D. Ikeda; trad. it. Campanello d’allarme per il XXI secolo, Milano 1985); Scritti di A. P., a cura della Fondazione Aurelio Peccei, Roma 1993.
Fonti e Bibl.: Ivrea, Archivio storico Olivetti, Conferenza del dott. A. P. alla Associazione per il progresso economico, in Leader, Quaderno nr. 1, s.d.; Ivrea, Archivio storico Olivetti, Documentazione società, Direzione Comunicazioni Ufficio Stampa, Primo versamento, Personalità della famiglia Olivetti e dirigenti della Società, Rassegna stampa, Pubblicazioni…, ad nomen, b. 81, f. 1036: A. Peccei, Un gran problema de nuestro tiempo. Los Paises subdesarollados, Buenos Aires 1959, Id., Developed-underdeveloped and East-West relations, Business international Bermuda roundtable on Corporate planning today for tomorrow’s world market, december 15-17, 1966; ibid., 213-221: A. Peccei, È possibile una programmazione universale? Uno sguardo realistico al futuro, Conferenza all’Esposizione universale di Montreal, 27 giugno 1967, Id., Considerazioni sulla necessità di una programmazione globale, settembre 1967.
G.A. Pauli, Crusader for the future. A portrait of A. P. founder of the Club of Rome, Oxford-New York 1987; P. Moll, From scarcity to sustainability. Future studies and the environment: the role of the Club of Rome, Frankfurt 1991, pp. 76-77, 104, 115-122; U. Colombo, Prefazione, in Lezioni per il ventunesimo secolo. Scritti di A. P., a cura della Fondazione Aurelio Peccei, Roma 1993; E. Barbieri Masini, Gli studi sul futuro e l’Italia, in Futuribili, 1998, n. 3, pp. 11-34; V. Castronovo, Fiat 1899-1999. Un secolo di storia italiana, Milano 1999; A. Solustri, Cronache di Italconsult Spa. Cinquant’anni d’ingegno e ingegneria, Roma 2002; Un programma economico per il Partito d’azione, in Mezzosecolo. Materiali di ricerca storica, 2003-2006, n. 15, pp. 225-281; E. Barbieri Masini, A. P. e l’intuizione del Club di Roma nel contesto internazionale, in Fra etica economia e ambiente. A. P., un protagonista del Novecento, a cura di A. Castagnoli, Torino 2009, pp. 53-64; A. Castagnoli, L’esperienza internazionale di A. P. e il suo paradigma manageriale: la responsabilità sociale dell’impresa, ibid., pp. 25-51; B. Lamborghini, A. P. e la rivoluzione elettronica, ibid., pp. 65-68; L. Piccioni - G. Nebbia, I limiti dello sviluppo in Italia. Cronache di un dibattito 1971-74, in I quaderni di Altronovecento, 2011, n. 1, pp. 1-58; A. Castagnoli, Essere impresa nel mondo. L’espansione internazionale dell’Olivetti dalle origini agli anni Sessanta, Bologna 2012, pp. 246-252; M. Salomone, La società umana oltre il ‘malpasso’. Orientati al futuro: A. P. e il Club di Roma, Torino 2012; R. Peccei, A. P. e i limiti dello sviluppo, in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Ottava Appendice. Tecnica, Roma 2013, pp. 652-661.