AUSTRIA (V, p. 458; App. I, p. 196; II, 1, p. 311; III, 1, p. 176)
Negli ultimi vent'anni la popolazione austriaca è aumentata molto poco (v. tab. 1). L'accrescimento naturale, già tradizionalmente debole, è rimasto basso, soprattutto per la scarsa natalità: il tasso medio annuo di natalità è salito a 18,7‰ nel triennio 1961-63 per poi scendere a 14,5‰ nel 1970-72, mentre quello di mortalità è salito, negli stessi anni, a 12,8‰ e a 13,1‰. Questa dinamica esprime le lacerazioni provocate nella composizione della popolazione per età dalla seconda guerra mondiale (come già dalla prima) e anche il miglioramento delle condizioni di vita, cui è pure da correlarsi la più recente contrazione del tasso di fecondità.
D'altra parte, neppure il movimento migratorio è stato vivace: il saldo ancora negativo nel decennio 1951-61 è divenuto debolmente positivo nel decennio seguente. I residenti di nazionalità straniera sono saliti a 176.773 al 1971.
Quanto alla mobilità geografica interna, dopo la seconda guerra mondiale si è accentuata la tendenza - manifestatasi dalla fine della prima - del baricentro demografico, come di quello economico, a spostarsi a occidente: verso le regioni (A. occidentale: Vorarlberg, Tirolo, Salisburgo) confinanti con i paesi dell'Europa occidentale, e in particolare con la Rep. Fed. di Germania, con i quali l'A. rafforza le sue relazioni economiche. Si accentua, inoltre, la tendenza all'inurbamento della popolazione, soprattutto nelle città principali. Tale processo - che tuttavia è meno intenso che in altri paesi dell'Europa occidentale - appare evidente, specialmente nel decennio 1961-71, considerando anche il rilevante processo di suburbanizzazione, come risulta dall'incremento demografico dei comuni vicini alle città, grandi e anche medie.
In ciascuna regione, lo spopolamento delle campagne ha interessato maggiormente le aree periferiche rispetto ai centri urbano-industriali principali, aree economicamente meno sviluppate e meno dotate di servizi. Particolarmente soggette a spopolamento sono state le aree lungo i confini con i paesi dell'Est.
In complesso l'A. alpina si differenzia dalle regioni alpine di altri paesi per non essere stata soggetta a un intenso processo di decadimento economico e di spopolamento, grazie a una struttura fondiaria tradizionalmente meno frazionata e dispersa, a una discreta disponibilità di risorse minerarie e una discreta armatura di centri urbano-industriali, allo sviluppo del turismo e, non per ultimo, alla articolazione del territorio in Länder che godono di una notevole autonomia politica e amministrativa. La popolazione dell'A. alpina è cresciuta del 14,5% dal 1951 al 1971 (del 28% i Länder occidentali), mentre quella dell'A., escludendo opportunamente Vienna (diminuita del 7,5%), è aumentata del 9,8‰.
Il movimento demografico e la mobilità geografica della popolazione sono strettamente interconnessi alle trasformazioni della struttura economico-sociale.
Il tasso d'attività è sceso dal 48,3% del 1951 al 47,6% del 1961 e al 41,5 del 1971. Questa evoluzione si connette soprattutto all'invecchiamento della popolazione e all'aumento della scolarità. Profondamente mutata è nello stesso tempo la composizione per settore di attività economica (v. tab. 2).
Le attività agricole contribuiscono per il 5,7% alla formazione del prodotto nazionale lordo e quelle industriali (escluse costruzioni e produzione d'energia) per il 35,8%; tali valori erano rispettivamente 10,1% e 36,9% nel 1962, 15,8% e 38,2% nel 1952. L'economia dell'A. sembra quindi interessata da un intenso processo di "terziarizzazione", come altre economie capitalistiche avanzate. Tuttavia, questa crescita riguarda soprattutto le attività terziarie ad uso della popolazione, piuttosto che ad uso delle imprese, e si connette in parte all'intenso flusso di turisti stranieri, oltre che all'aumento interno dei consumi privati e della dotazione di servizi collettivi. Nel 1972 su un totale di 13,8 milioni di ospiti 10,7 milioni erano stranieri, provenienti per il 63,1% dalla Rep. Fed. di Germania su 92,9 milioni di pernottamenti (di cui 32 milioni in alloggi privati) 72,2 milioni erano dati da stranieri, per il 77,3% provenienti dalla Rep. Fed. di Germania; il numero dei pernottamenti si è più che quadruplicato rispetto agli anni migliori dell'anteguerra (nel 1938 furono 20,9 milioni). Il costante deficit della bilancia commerciale dell'A., nell'ultimo ventennio è stato in gran parte compensato con le entrate connesse al turismo (nel 1972 pari all'81,5% di tale deficit che era di 31.916 milioni di scellini). Il turismo (in prevalenza estivo) avvantaggia i principali centri storici (come Vienna) e l'A. alpina, ove è particolarmente diffuso nei Länder occidentali e in Carinzia: questi Länder hanno assorbito, nel 1972, ben il 76% dei turisti stranieri e l'83% dei loro pernottamenti.
Nonostante la stazionarietà dell'occupazione totale, il settore industriale ha subito non trascurabili trasformazioni strutturali, e la produzione è sensibilmente aumentata in quasi ogni classe d'industria, salvo in quelle estrattive ove si è anche maggiormente ridotta l'occupazione. Questi risultati si sono ottenuti attraverso una specializzazione produttiva e una ristrutturazione crescente delle aziende, fatti che hanno portato a una loro concentrazione economica e territoriale (nelle principali agglomerazioni urbane).
Tuttavia la struttura industriale dell'A. rimane ancora caratterizzata dalla dominanza di medie e piccole aziende, salvo nella siderurgia, metallurgia e nella meccanica pesante, classi in cui già in passato si aveva una maggiore concentrazione economica e territoriale.
Nonostante una relativamente maggiore dinamicità della struttura industriale dell'A. occidentale, che si è andata diversificando, le principali regioni industriali continuano a essere l'A. Inferiore con Vienna (che detengono il 48,7% degli stabilimenti, il 44,4% degli occupati e il 43,1% del valore della produzione industriale dell'A.), l'A. Superiore e la Stiria (assieme hanno il 27,1% degli stabilimenti, il 35,8% degli occupati e il 37,0% del valore della produzione).
Nel ramo minerario, diverse produzioni, pur se per lo più insufficienti al consumo interno, hanno avuto discreti incrementi. L'estrazione di minerali di ferro è salita a 4,1 milioni di t (pari al 71% del minerale lavorato in Austria). Sono ormai inattive le miniere di carbon fossile e di bauxite. In continua ascesa è la produzione d'energia elettrica, che ha raggiunto 29.388 milioni di kWh (per il 58,7% idrica) contro un consumo intermo di 27.870 milioni di kWh, nel 1972.
Anche nel settore agricolo si è assistito a un aumento, seppur molto più debole, dell'indice della produzione. Alla contrazione dell'occupazione si è supplito con un'intensa meccanizzazione, che ha comportato una certa ricomposizione fondiaria. Questo processo non ha tuttavia ancora raggiunto i livelli auspicabili per un effettivo ammodernamento dell'agricoltura. Si è in complesso accentuata la specializzazione produttiva dell'economia agricola dell'A., fondata prevalentemente sull'allevamento e sulla selvicoltura. Della superficie agraria e forestale utilizzata (7,1 milioni di ha), il 45,2% era occupato da foreste e boschi, il 38% da pascoli, prati permanenti, e avvicendati, foraggere e mais.
Nonostante il saldo attivo di legname, carne, latte e latticini, la bilancia commerciale dei prodotti alimentari e delle materie prime agrarie è decisamente negativa. Passivo è, inoltre, il commercio di combustibili e minerali, prodotti chimici, macchine, mezzi di trasporto e beni strumentali in genere; attivo è invece il commercio di prodotti semifiniti e di beni di consumo finiti. Il deficit totale della bilancia commerciale è dato soprattutto dagli scambi con la Rep. Fed. di Germania (nel 1972 il saldo negativo con questo paese era di 30.360 milioni di scellini). Il 57,9% delle importazioni (in totale pari a 120.576 milioni di scellini) e il 38,7% delle esportazioni (89.747 milioni) sono dati dai paesi della CEE (rispettivamente 41,9% e 22,4% dalla sola Rep. Fed. di Germania).
Bibl.: P. Gabert, P. Guichonnet, Les Alpes et les États alpins, Parigi 1965; Atlas der Republik Österreich, pubbl. dalla Österreichische Akademie der Wissenschaften, Vienna 1961-74; Wirtschafts und sozialstatistisches Handbuch 1945-1969, pubbl. dalla Kammer für Arbeiter und Angestellte für Wien, ivi 1970; F. Adamo, Città e sistemi urbani dell'Austria alpina, Torino 1974; Statistisches Handbuch für die Republik Österreich, pubbl. dallo Österreichischen Statistischen Zentralamt, Vienna (annuario).
Economia. - Nell'ultimo decennio l'A. si è inserita tra le nazioni industrializzate dell'Europa, grazie al suo costante ed equilibrato sviluppo; il prodotto nazionale lordo infatti è aumentato, in termini reali, a un tasso medio annuo di circa il 5%, fino al 1974. Nel 1975 invece, a causa della recessione economica internazionale e di una certa flessione della domanda interna e, conseguentemente, della produzione industriale (−7,5%), il prodotto nazionale austriaco ha segnato un regresso del 2%.
La struttura della domanda e la corrispettiva ripartizione delle risorse si è, nel tempo, modificata a vantaggio degl'investimenti; i consumi privati in rapporto al prodotto lordo sono rimasti quasi invariati (58% circa), quelli pubblici sono passati dal 13% all'11%, mentre gl'investimenti fissi lordi son passati dal 24% al 28% circa, dati che indicano una crescente industrializzazione.
Il movimento dei prezzi al consumo, che nel periodo 1960-72 era stato mediamente del 3,3% annuo, nel 1973 è salito al 6%, e ha toccato la punta massima nel 1974 raggiungendo un incremento del 9,5%, mentre nel 1975 è sceso al +8,4%. Per il 1976, rispetto al 1975, si è calcolato un rincaro del 7,3% circa, dato valido anche per il tasso d'inflazione per il corrispondente periodo.
Anche nel mercato del lavoro, pur subendo le inevitabili oscillazioni congiunturali, si è riflessa la relativa stabilità dell'economia austriaca. Essa ha registrato, dal 1969 al 1973, un periodo di rapida espansione dell'attività produttiva a cui si è unito un processo di accumulazione molto marcato e tale da aumentare notevolmente il livello della produzione potenziale.
Si è raggiunto, così, uno stato di piena occupazione, che ha determinato un forte incremento nell'impiego di mano d'opera straniera, passata da 62.000 lavoratori nel 1968 a 180.000 nel 1975, per un'incidenza del 7% dei lavoratori dipendenti occupati in Austria. Nel 1976 il numero dei disoccupati (76.000) corrisponde a un tasso di disoccupazione del 2,8%, uno dei più bassi in Europa.
È interessante inoltre notare come l'organizzazione sindacale in A., attraverso la collaborazione tra imprenditori e sindacati nell'ambito della "Commissione paritetica", sia riuscita a mantenere una pace sociale che ha, finora, evitato, anche in periodi di difficile congiuntura, un incontrollato rincorrersi dei prezzi e salari, mantenendo entro valori sempre non rilevanti il numero degli scioperi. Per il 1975 infatti si sono perse per scioperi, in A., solo 44.098 ore di lavoro, pari a un minuto a lavoratore per anno.
Le entrate nette valutarie provenienti dal turismo hanno sempre avuto un forte influsso sulla bilancia dei pagamenti, in certi periodi riuscendo addirittura a coprire il disavanzo della bilancia commerciale (v. sopra). La politica monetaria in A. ha sempre teso alla massima stabilità ottenibile nell'ambito della bilancia dei pagamenti. Le due rivalutazioni dello scellino nel marzo (+2,25%) e nel luglio (+4,8%) del 1973 hanno teso a evitare una lievitazione dei prezzi troppo accentuata per i prodotti importati.
Al successivo accentuarsi delle pressioni inflazionistiche, provenienti da un forte aumento dei costi, specie quelli relativi alle materie prime e alle fonti energetiche d'importazione, le autorità austriache hanno impostato la politica dei redditi in modo più restrittivo; dal marzo 1973 lo scellino ha iniziato a fluttuare, e il suo margine di fluttuazione dal maggio 1974 è stato allargato a ±4,5%. Se da una parte la posizione forte dello scellino contribuisce al contenimento dei prezzi, dall'altra è divenuta un grave onere per gli esportatori; appunto allo scopo di aiutare gli operatori economici, di ridurre i costi dei crediti e di stimolare gl'investimenti, la Banca nazionale austriaca ha ridotto nel gennaio 1976 il tasso di sconto dal 6 al 5%.
Se si osserva l'evoluzione del commercio estero austriaco si può notare come pur non potendosi avvantaggiare direttamente dell'istituzione del Mercato Comune Europeo ne ha ottenuto un rilevante incremento dall'integrazione con l'economia mondiale. Nel 1975 però il commercio estero austriaco ha subìto una flessione sia delle importazioni, pari a 163,4 miliardi di scellini (−3%), sia nelle esportazioni, ammontanti a 131 miliardi di scellini (−2%).
Per quanto riguarda l'interscambio italo-austriaco, nel corso degli ultimi anni esso è costantemente aumentato. Nel 1975 però si è verificato un eccezionale aumento del 20% delle esportazioni italiane in A., corrispondenti a 479 miliardi di lire, mentre le importazioni italiane di prodotti austriaci, pari a 391 miliardi di lire, hanno registrato una flessione del 13%. Ne risulta un saldo a favore dell'Italia di 88 miliardi di lire. Ancora più appariscente risulta il regresso della quota parte del mercato italiano sul totale delle esportazioni austriache, che nel 1958 ammontava al 17%, mentre nel 1975 è scesa all'8%.
Storia. - Riconfermata con le elezioni del 1956, 1959 e 1962, la grande coalizione fra cattolici della Oesterreichische Volkspartei (ÖVP) e socialdemocratici della Sozialistische Partei Oesterreichs (SPÖ)) si presentava, agli esordi degli anni Sessanta, come "coalizione permanente": il dato fondamentale nel sistema politico della seconda Repubblica. Nata nel 1945 (inizialmente con la formula del tripartito, con l'inclusione, cioè, del partito comunista) come national government, per risolvere i problemi della ricostruzione e per garantire all'A., paese occupato dalle quattro potenze, l'integrità e l'esistenza statale e per riacquistarle la sovranità, la coalizione era stata mantenuta anche dopo lo Staatsvertrag del 1955: fulcro istituzionale della democrazia consociativa austriaca.
Se gl'imperativi della ricostruzione e quelli internazionali erano venuti meno, rimaneva pur sempre, almeno nella percezione delle élites politiche, l'esigenza di garantire, col sistema della grande coalizione, la coesistenza delle due subculture nemiche, quella cattolica e quella socialista: la coalizione continuava ad avere anche la funzione d'impedire un rinnovarsi dello scontro diretto fra cattolici e socialisti, quale aveva portato, fra il 1927 e il 1934, alla morte della prima Repubblica. La grande coalizione non era che l'aspetto parlamentare-governativo della Proporzdemokratie, o democrazia consociativa, instaurata per gestire un sistema politico caratterizzato da una cultura politica fortemente frammentata, da forte integrazione subculturale (verzuiling) e da uno straordinario parallelismo delle cleavages politiche, culturali, socio-economiche: le due Reichshälften (metà dello stato) "nera" e "rossa", si tenevano insieme mediante le istituzioni, le procedure, le norme comportamentali della democrazia consociativa, atte anzitutto a fornire garanzie. La stabilità stessa della coalizione, che riduceva le elezioni a mera legittimazione democratica di una formula prestabilita, l'amicabilis compositio, con le sue istituzioni quali il comitato della coalizione (Koalitionsausscuß) e le sue procedure quale il Junktim, i suoi meccanismi, fra cui primeggiava il Proporz, la suddivisione, con sistema appunto proporzionale, dell'apparato statale e dell'economia pubblica fra "neri" e "rossi": tutto ciò era un sistema ormai pienamente consolidato intorno al 1960. Questa democrazia consociativa aveva le sue speciali istituzioni nel campo socio-economico (Kammerstaat): l'esistenza di un forte settore pubblico industriale e la stabile cooperazione governativa fra cattolici e socialdemocratici spingevano i principali gruppi di pressione dell'agricoltura, dell'industria, del commercio e dei sindacati, organizzati nelle Kammern e stabilmente collegati ai due grandi partiti, a puntare sull'esercizio d'influenza continuativa sulla politica economica dello stato, secondo un modello paritetico. Accesso istituzionalizzato delle Kammern ai canali dell'amministrazione, il loro riconosciuto diritto di stipulare accordi sui salari e prezzi, trasfusi poi dal governo federale in norme legali, commissioni quali quella economica e quella sui prezzi e salari, ne sono le principali caratteristiche.
Nello stesso primo lustro degli anni Sessanta emersero chiaramente i costi di questo sistema: immobilismo e crescente incapacità di agire. La stipulazione degli accordi di coalizione diventò sempre più difficile, tre volte si mancò di concordare un bilancio regolare, e gli altri tre giunsero in porto essenzialmente per situazioni di debolezza interna di uno dei due partiti che sconsigliavano il rischio di una crisi. Che l'ÖVP chiedesse nel 1962 più voti per attenuare il rigido meccanismo della coalizione, che poi nell'accordo sulla coalizione del 1963 s'istituisse uno "spazio extra-coalizione", comprendente materie sulle quali era stato impossibile accordarsi e per le quali si lasciava libero il voto nel parlamento, queste erano le prime avvisaglie della crisi della grande coalizione. Ma questa ricevette il suo colpo fatale dal riemergere di un problema ormai chiaramente anacronistico: il rientro in A. di Otto d'Asburgo, secondo la sua richiesta del 1961. Nemmeno i grandi risvolti costituzionali avrebbero giustificato le dimensioni del conflitto scoppiato fra cattolici e socialisti: questa era solo l'occasione propizia per la deflagrazione di molte tensioni. Per la prima volta tornò in discussione un'alternativa alla grande coalizione: una piccola coalizione dei socialdemocratici coi liberamazionali della Freiheitliche Partei Oesterreichs (FPÖ), fin lì rimasti emarginati quali eredi dei fautori dell'Anschluß.
Protrattasi stancamente ancora per tre anni, la coalizione si ruppe in seguito alle elezioni del 1966, che dettero la maggioranza all'ÖVP. Il passaggio dalla grande coalizione alla serie di governi monocolore, con alternanza, non fu però il risultato di un'operazione strategica chiaramente impostata in tal senso. Troppo forte era ancora il tabù della coalizione e dell'equilibrio: durante la campagna elettorale ambedue i partiti avevano promesso di voler rinnovare la coalizione. Dopo il successo l'ÖVP aprì trattative con la SPÖ, cercando di tradurre la sua nuova posizione di forza in revisioni della linea politica (rapporti con la CEE, politica economica, ecc.) e in un allargamento della sfera di potere mediante una ridistribuzione delle competenze dei ministeri, soprattutto mirando a ridurre la coalizione austriaca ad una normale intesa di governo, senza patto di coalizione e senza carattere permanente. Soltanto il rifiuto finale dei socialisti aprì la via al primo monocolore del dopoguerra, il secondo gabinetto Klaus (con Toncic-Sorinj ministro degli Esteri, sostituito nel 1968 da Waldheim).
Questa svolta tuttavia non investì tutto il sistema politico austriaco: al di sotto del livello governativo-parlamentare, la democrazia consociativa austriaca rimase in larga misura immutata: non solo la legislazione precedente non fu sottoposta a revisione, ma nemmeno fu epurata l'amministrazione e, come dimostrò l'accordo del 1967 per le industrie statalizzate, il sistema del Proporz fra "neri" e "rossi" rimase pienamente in vigore. Se prima c'era stata un po' di Bereichsopposition (opposizione settoriale), ora c'era, sotto il nuovo quasi bipartitismo, molta Bereichskoalition. Tuttavia la politica interna austriaca era ormai entrata in movimento. Se la fine della coalizione era stata preparata anche dall'avvento, nella ÖVP, di una generazione di riformatori disposti al confronto piuttosto che al compromesso, la latente crisi della SPÖ era sboccata, dopo il 1966, in un processo d'apertura e di modernizzazione, che ripeteva quello già compiuto dalla SPD, tradotto poi a livello personale, nella leadership del carismatico Kreisky. Dopo una lunga fase di eccezionale stabilità (fra il 1953 ed il 1963 il margine entro il quale oscilla la percentuale dell'ÖVP è di 4,4%, quello della SPÖ di 2,0%), l'elettorato austriaco aveva acquistato - come s'era visto dapprima nel 1966 - una considerevole mobilità e si mostrava sensibile alla trasfomazione in atto della SPÖ verso un catch all party riformatore: il mutamento ha aperto la prospettiva di altenanza al potere.
Nelle elezioni locali dell'autunno 1967 il partito cattolico perse la maggioranza, dividendo in parti eguali i seggi al Bundesrat con i rivali socialisti; il cancelliere federale Klaus rimaneggiò allora il suo governo. Ma le elezioni del 1970 al Nationalrat segnarono la vittoria dei socialisti, ormai partito di maggioranza relativa. Kreisky formò allora un governo di minoranza, giocando anche la carta della FPÖ, che, risentendo dell'influenza del partito liberale tedesco, attenuò l'elemento "nazionale" per dare spazio a quello liberale e inserirsi nel giuoco politico austriaco. Nelle elezioni anticipate del 1971 il governo Kreisky (con l'indipendente Kirchschläger agli Esteri, cui successe Bielka nel 1974) ottenne la maggioranza assoluta, obiettivo dichiarato. La rielezione del socialista Jonas (1971) e, morto questo, l'elezione del ministro degli Esteri Kirchschläger (1974), candidato governativo alla carica di presidente federale, confermarono la tradizione dei presidenti socialisti della seconda Repubblica, consolidando la posizione di Kreisky. La nuova legislatura vide la conclusione dell'accordo di libero scambio tra l'A. e la CEE e la rivalutazione dello scellino (1973). Poco toccati ancora dalla crisi economica mondiale, gli Austriaci tornarono alle urne il 4 ottobre 1975 per riconfermare la maggioranza assoluta al governo Kreisky. Il passaggio a un sistema di alternanza, con netta distinzione dei ruoli fra maggioranza e opposizione, pur persistendo molte forme di cooperazione, può considerarsi ormai acquisito per l'Austria (v. tab. 4).
La politica estera dell'A. ha il suo fondamento nella neutralità secondo il modello svizzero, la conditio sine qua non dello Staatsvertrag, sancita dalla legge costituzionale del 1955: essa traccia i limiti alla politica estera della repubblica, sia nel contesto dei rapporti Est-Ovest che di fronte all'integrazione europea, rinviandola alle organizzazioni europee non troppo caratterizzate politicamente (Consiglio d'Europa, ecc. o ad organi di cooperazione Est-Ovest, nonché all'ONU, come contesti d'azione preferiti. L'elezione dell'ex ministro degli esteri Waldheim a segretario generale dell'ONU (1972) è stato un riconoscimento di questa politica.
La politica estera austriaca è stata tuttavia lungamente incentrata sulle controversie con l'Italia, e in misura molto minore con la Iugoslavia, per la situazione delle rispettive minoranze. La questione dell'Alto Adige (vedi in questa Appendice) era tornata di attualità sullo scorcio degli anni Cinquanta: nel 1959-60 il ministro degli Esteri austriaco la sollevò formalmente all'Assemblea generale dell'ONU, che invitò le due parti a riprendere le negoziazioni. Le trattative italo-austriache erano contrappuntate da un crescente terrorismo alto-atesino, che l'A. era generalmente accusata di non combattere con sufficiente energia. La strategia del confronto - impostata specialmente dal segretario di stato Gschnitzer - condusse il Ballhauseplatz in una impasse: isolamento tanto all'ONU (1961) che nel quadro europeo (misure economiche dell'Italia contro l'A. nel 1961, veto italiano alle aspirazioni comunitarie di Vienna nel 1967). Dopo il preludio della Commissione dei diciannove, la composizione della vertenza alto-atesina avvenne sulla base del "pacchetto" con l'accordo Moro-Waldheim (novembre 1969). Inverso si presenta il contrasto con la Iugoslavia per la situazione della minoranza slovena in Carinzia, sebbene questa sia numericamente e giuridicamente più debole di quella tedesca a sud del Brennero.
Di fronte al processo d'integrazione europea l'obbligo della neutralità traccia duri limiti alla dinamica dell'economia austriaca, che ha i suoi maggiori partners nella RFT e nell'Italia. Membro dell'EFTA, l'A. puntò sulla costruzione di un "ponte" con la CEE, fino a quando la revisione della politica britannica non consigliò di cercare l'adesione o almeno l'associazione. Adesione caldeggiata dalla ÖVP e dagli ambienti imprenditoriali, vista invece con diffidenza da una parte dei socialisti e in ogni caso avversata dall'Unione Sovietica. La travagliata ricerca di un posto nell'Europa in via d'integrazione, corrispondente alle esigenze dell'economia e compatibile con la neutralità, sboccò nel 1972 nell'accordo di libero scambio con la CEE.
Bibl.: G. Lehmbruch, Proporzdemokratie, Tubinga 1967; K.-H. Nassmacher, Das Österreichische Regierungssystem. Große Koalition oder alternierende Regierung, Colonia-Opladen 1968; A. E. Alcock, The history of the South Tyrol question, Londra 1970; T. O. Schlesinger, Austrian neutrality in postwar Europe. The domestic sources of a foreign policy, Vienna-Stoccarda 1972; K. Steiner, Politics in Austria, Boston 1972; E. Weinzierl, K. Skalnik, Österreich - Die Zweite Republik, Graz 1972; W. T. Bluhm, Building an Austrian nation. The political integration of a western state, New Haven - Londra 1973; Das politische System Österreichs, a cura di H. Fischer, Vienna 1974; M. Mommsen-Reindl, Widersprüche in der Proporzdemokratie. Die Hintergründe der Österreichischen Staatskrise 1963 um den Fall Habsburg, in Politische Vierteljahresschrift, XV, 2 (1974).
Letteratura. - Per molti degli scrittori austriaci, e senz'altro per i migliori fra loro, con l'Auschluß del 1938 si era di colpo imposta, come già era avvenuto anni prima per gli scrittori tedeschi, la prospettiva dell'emigrazione come unica possibilità di non coartata espressione e persino di sopravvivenza. In emigrazione morirono, fra gli altri, Ö. von Horváth (1901-1938) e R. Musil (1880-1942), F. Werfel (1890-1945) e H. Broch (1886-1951). Ma se pesante in quegli anni fu il disagio dei singoli e grave il depauperamento culturale interno, al contrario dopo il 1945, cioè dopo il cosiddetto "anno zero", proprio dall'emigrazione vennero le prime voci che ebbero diritto e possibilità di levarsi: quello stesso anno Broch pubblicava il suo capolavoro, il romanzo Der Tod des Vergil, e nel 1946, primo fra i suoi postumi, usciva di Werfel il romanzo di viaggi Stern der Ungeborenen. Era l'avvio di una ripresa che non intendeva rompere con una peculiare tradizione. E non spezzava con la tradizione, mostrando chiara la sua ascendenza presso Trakl e più indietro presso Hölderlin, il primo autore inedito sino al termine della guerra, il lirico P. Celan (1920-70), che pure accettava e proponeva dettami poetici inconsueti e pressati dalle esigenze più proprie del momento storico (poesia come fatto non più esclusivamente estetico, niente e assoluto rivissuti in un'esperienza-limite che accoglie l'assurdo della loro compresenza, di qui la via aperta all'ermetico e al paralogico). Quella di Celan fu un'esperienza esclusivamente poetica (Der Sand aus den Urnen, 1948; Mohn und Gedächtnis, 1952; Von Schwelle zu Schwelle, 1955; Sprachgitter, 1959; Die Niemandsrose, 1963; Atemwende, 1967; Fadensonnen, 1968; Lichtzwang, 1970; Schneepart, postumo 1971); anche per questo la sua fu una produzione paradigmatica e in un certo senso unica. Pari coerenza, ma diversamente personalizzata, poté e può vantare il poeta M. Hölzer (nato nel 1915), lungo una linea che passa dal surrealismo alla poesia trascendentale (Entstehung eines Sternbildes, 1958; Nigredo, 1962; Gesicht ohne Gesicht, 1968). Di contro, dopo inizi altamente promettenti e comunque significativi a prova di un sofferto isolamento spirituale (Anrufung des grossen Bären, 1956; Die gestundete Zeit, 1957), abbandonò la poesia I. Bachmann (1926-1973), per dedicarsi fruttuosamente ad altri generi. Legate a un credo cristiano non conformistico, hanno fornito originali e spesso felici contributi C. Busta (nata il 1915), eminente fra gli eredi di Weinheber (fra l'altro Der Regenbaum, 1951; Lampe und Delphin, 1955; Die Sternenmühle, 1959; Unterwegs zu älteren Feuern, 1965) e l'autodidatta C. Lavant (1915-1973), sempre coinvolta in una dolorosa partecipazione (in campo lirico, Die unvollendete Liebe, 1949; Die Bettlerschale, 1956; Spindel im Mond, 1959; Sonnenvogel, 1960; Der Pfauenschrei, 1962; Hälfte des Herzens, 1967). Ampliano il loro orizzonte fino alla corresponsabilità negli eventi storici E. Fried (nato nel 1921) e M. Guttenbrunnen (nato nel 1919), l'uno attratto verso una sperimentazione che lo accosta alla "lirica concreta" (fra l'altro Reich der Steine, 1963; Warngedichte e Überlegungen, 1964; Und Vietnam, und, 1966; Zeitfragen, 1968; Unter Nebenfeiden, 1970; Die Freiheit, den Mund aufzumachen, 1972, Gegengift, 1974), l'altro, sulla scia di K. Kraus, avverso alla sperimentazione nella misura in cui risulti deviante rispetto all'impegno (Schwarze Ruten, 1947; Opferholz, 1954; Ungereimte Gedichte, 1959; Die lange Zeit, 1965). Si ha, del resto, un crescente interesse per la sperimentazione, anche con richiami al futurismo e al dadaismo che però talora frenano anziché sostenere.
Parecchio articolato, anche qui sulla traccia di una tradizione ben caratterizzata, il panorama della narrativa e della prosa in genere. A parte l'ultimo, più rilevante Broch (coi romanzi Der Tod des Vergil, 1945, e Die Schuldlosen, 1950), definitivamente dopo il 1945 s'impose H. von Doderer (1896-1966) in cui, pur senza un pieno suffragio nelle opere, si è voluto riconoscere il realizzatore di una nuova atmosfera, meno vincolata alle nostalgie per l'idea della "grande Austria" in cui altri, anche della sua generazione, ancora si riconoscono (fra i suoi romanzi Die Strudlhofstiege, 1951; Die Dämonen, 1956). Altri autori già noti che hanno dato il meglio di sè dopo il 1945 sono il poeta-pittore A.P. von Gütersloh (1887-1973), passato dall'originario espressionismo a un neomanierismo che ha fatto scuola (di rilievo il romanzo Sonne und Mond, 1962) e il realista magico G. Saiko (1892-1962), orientato allo studio del profondo e dei conflitti psicologici e sociali che ne scaturiscono (fra l'altro nei romanzi Auf dem Floss, 1948; Der Mann im Schilf, 1955). Fra gli scrittori della stessa generazione dominano però, o almeno si avvertono ancora, nostalgia e rimpianto per un mondo amato per sempre finito: così in J. Urzidil (1896-1970), legato all'idea della "sua" vecchia Praga (fra l'altro le novelle del Prager Tryptychon, 1960), e in A. Lernet-Holenia (nato nel 1897), costantemente legato alla Vienna asburgica anche se incapace di confermarsi ai livelli del vecchio romanzo Die Standarte (1934). E neppure G. Fussenegger, che pure è più giovane (nata nel 1912), si discosta da una posizione definibile come conservatrice, in una serie di romanzi solidamente realistici (fra i vari Die Brüder von Lasawa, 1948; Das verschüttete Anlitz, 1957; Die Pulvermühle, 1968). Si trattava pur sempre di autori che già da prima della guerra, talora da molto prima, avevano dato inizio alla loro attività (e non è qui da dimenticare il narratore-saggista E. Canetti, nato nel 1905, finalmente giunto ai meritati riconoscimenti). Fatto nuovo fu, anzitutto nella narrativa, l'opera di I. Aichinger (nata nel 1921), in specie Die grössere Hoffnung (1947), primo romanzo austriaco del dopoguerra intenzionalmente calato nel tempo e prima testimonianza di un recupero kafkiano in area culturale tedesca, cui si collegò di lì a poco anche J. Ebner (nata nel 1918) coi romanzi, improntati a realismo magico, Sie warten auf Antwort (1954), Die Wildnisfrüher Sommer (1958) e con le novelle Die Götter reden nicht (1961). In quegli stessi anni, con le novelle Das dreissigste Jahr (1961), cui tenne dietro, a parziale conferma, il romanzo Malina (1971), si conquistava un posto di gran rilievo anche nella narrativa I. Bachmann, continuando a confessare tensioni e disagi di un io fortemente liricizzato a contatto con una realtà resistente e inaccettabile. Con ciò la Bachmann si differenzia da quanti, come G. Fritsch (1924-69; fra l'altro, Moos auf den Steinen, 1956; Fasching, 1967) e come F. Habeck (nato nel 1916; fra l'altro, Das Boot kommt nach Mitternacht, 1951; Der Ritt auf dem Tiger, 1958), affrontano temi del presente in chiave prevalentemente realistica, o da quanti, come J. Lind (nato nel 1927; Eine Seele aus Holz, 1962; Landschaft in Beton, 1963) ed H. Zand (1923-70; Letzte Ausfahrt, 1953; Erben des Feuers, 1961), non arretrano di fronte al crudo e persino al macabro di un passato ancora recente e di un presente senza illusioni, o da quanti, come T. Bernhard (nato nel 1931; Frost, 1963; Verstörung, 1967; Das Kalkwerk, 1970), cercano piuttosto il contatto con poetiche e tecniche aggiornate (in questo caso del nouveau roman).
Intanto, l'esigenza di chiarificare dalla base i problemi dell'espressione in genere e del linguaggio in particolare si faceva avvertire anche in Austria. Nasceva così la cosiddetta Wiener Gruppe, operante fra il 1952 e il 1964 (attenta fra l'altro ai dettami della filosofia del linguaggio dell'austriaco Wittgenstein) luogo d'incontro di artisti d'avanguardia legati da un concetto di funzione letteraria che fra l'altro esclude diversificazione di generi - onde i loro "testi", né prosa né poesia - e riduce al minimo i personalismi. Da questo e da altri gruppi d'avanguardia (da ricordare almeno il Forum Stadtpark di Graz) hanno ricevuto le prime, determinanti sollecitazioni autori fra i più interessanti nel panorama degli anni Sessanta e oltre, quali H.C. Artmann (nato nel 1921; in un'abbondante produzione, Von denen Husaren und anderen Seiltänzern, 1961), E. Jandl (nato nel 1925, con la "poesia concreta" di Klare gerührt, 1964), O. Wiener (nato nel 1935; col romanzo Die Verbesserung von Mitteleuropa, 1969), F. Mayröcker (nata nel 1924; fra l'altro, col Minimonsters Traumlexikon, 1968), di qui è anche mosso il più noto dell'ultima generazione, P. Handke (nato nel 1942), debitore anch'egli verso la poetica del nouveau roman ma soprattutto disposto all'analisi dell'espressione linguistica, che gli si allarga in analisi e critica dei mezzi attuali e potenziali di disumanizzazione. Ciò vale per la narrativa (e si ricordano i romanzi Die Hornissen, 1966; Der Hausierer, 1967; Die Angst des Tormanns beim Elfmeter, 1970; Der kurze Brief zum langen Abschied, 1972; Die Stunde der wahren Empfindung, 1975), ma tanto più pel teatro (Publikumsbeschimpfung, 1966; Hilferufe, 1967; Kaspar, 1968; Das Mündel will Vormund sein, 1969; Der Ritt über den Bodensee e Quodlibet, 1970). Handke è riuscito a dare una vera scossa a un teatro che, come quello austriaco, proprio in virtù della rigogliosa tradizione, remota e recente, più stenta sulla via dell'innovazione. E difatti, in una prima e più lunga fase, dopo la ripresa postbellica, continuarono a produrre e ad aver seguito autori già da tempo sulla breccia, come F. Braun (nato nel 1885; Die Tochter des Jairus, 1950; Joseph und Maria, 1956), R. Henz (nato nel 1897; Flucht in die Heimat, 1946; Die Erlösung, 1949; Die grosse Entscheidung, 1952), F. Bruckner (1891-1958; Früchte des Nichts, 1952, e vari drammi storici pubblicati in una nel 1956), M. Mell (1882-1971; Jeanne d'Arc, e altri drammi storici), F.T. Csokor (1885-1969; Der verlorene Sohn, 1946; Medea postbellica, 1947; Pilatus, 1954; Hebt den Stein ab, 1957; Die Kaiser zwischen den zeiten, 1964), o il già ricordato Lernet-Holenia, oppure altri ancora - relativamente inediti ma incaricati del ruolo di "continuatori" - su tutti F. Hochwälder (nato nel 1911; fra i molti lavori, Das heilige Experiment, 1947; Virginia, 1951; Donadieu, 1953; Die Herberge, 1955; Der Befehl, 1967). Il genere relativamente nuovo del radiodramma contribuì ben presto, però, a promuovere meno convenzionali realizzazioni, coinvolgendo parecchi degli autori più dotati, come la Aichinger (Oakland, 1970), la Bachmann (di gran spicco Der gute Gott von Manhattan, 1958), il saggista-poeta R. Bayr (nato nel 1919; Windmühlen, 1969), Fritsch (Kopf oder Adler, 1965), Habeck (Die Baracke des Glücks, 1966), la Mayröcker (Land Art, 1970), lo scrittore d'avanguardia G. Rühm (nato nel 1930; Ophelia und die Wörter, 1969). La fortuna del radiodramma, affidato esclusivamente alla parola, è servita anche da azione frenante nelle polemiche, provocate all'avvento di Handke, sul problema dell'"anti-teatro", avendo Handke puntato di contro essenzialmente sulla mimica e quindi su un radicale ridimensionamento della parola quale predominante mezzo espressivo. Altra tendenza è quella che segue W. Bauer (nato nel 1941), che preferisce però innovare dall'interno, richiamandosi semmai al teatro popolare naturalisticamente irrobustito (Mikrodramen, 1964; Magie afternoon e Change, 1969; Silvester e Film und Frau, 1971): ed è, accanto a Handke, la personalità di maggior spicco del più recente teatro austriaco.
Bibl.: H. Kindermann, Wegweiser durch die moderne Literatur in Österreich, Innsbruck 1954; N. Langer, Dichter aus Österreich, 4 voll., Vienna-Monaco 1957-63; Untersuchungen zur Österreichischen Literatur des 20. Jahrhunderts, a cura di K. Koweindl, 5 voll., Vienna 1963-71; V. Suchy, Literatur in Österreich von 1945 bis 1970, ivi 19732; Die zeitgenössische Literatur Österreichs, a cura di H. Spiel, Monaco 1976.
Archeologia. - Durante il Paleolitico e Mesolitico il territorio austriaco rientra nel più vasto ambito culturale dell'Europa centrale. Uno sviluppo culturale definito e caratteristico si ha solo con la prima età del Ferro (750-400 a. C.) con la cultura di Hallstatt, il cui nome, esteso poi all'intero ambito europeo, deriva dall'omonimo villaggio austriaco, ove si rinvenne una delle più importanti necropoli della protostoria europea. Si presume che i diversi gruppi etnici della zona alpina orientale (Illiri, Celti, Reti) divisi in piccole tribù, abbiano cominciato a raccogliersi attorno al primo millennio in un organismo politico (il regno del Noricum), il cui centro doveva trovarsi nella Carinzia centrale, probabilmente nel Magdalensberg. Il regno del Noricum, politicamente assoggettato da Roma nel 15 a. C., comprendeva la maggior parte dell'A. attuale, con un lembo di terra slovena; parte dell'A. occidentale apparterrà invece alla Raetia. A difesa del confine, costituito dal corso del Danubio, erano disposti, in punti militarmente strategici, grandi accampamenti, Carnuntum, Vindobona, Lauriacum, assieme a castella e posti di guardia presidiati da truppe ausiliarie. Con l'occupazione romana, a seguito di una profonda romanizzazione, si viene elaborando un'espressione artistica originale, prodotto di una fusione fra il carattere italico e il sostrato indigeno di tradizione celto-illirica. Il carattere dell'artigianato locale si coglie nei numerosi rilievi sepolcrali (stele e medaglioni con il busto del defunto). Si trovano inoltre testimonianze dell'attività di artisti immigrati e pezzi d'importazione di grande valore. Le scoperte più significative dell'A. romana provengono dalla regione sud-orientale, dalle città di Flavia Solva e Virunum, nelle quali fu più sensibile l'influsso culturale proveniente dall'Italia settentrionale. In particolare l'individuazione di una scuola di scultura a Virunum ha contribuito notevolmente alla conoscenza degli artisti italici nel Noricum. In base ai più recenti scavi risulta che gli edifici pubblici di epoca romana, edilizia sacra, bagni, anfiteatri (tre a Carnuntum, e poi a Flavia Solva, ecc.), teatri (Virunum, ecc.) seguono assai chiaramente i modelli romani. Si afferma in A. il tempio romano a podium, destinato al culto delle divinità ufficiali e degl'imperatori: un esempio importante è costituito dal tempio a doppia cella sul Magdalensberg in Carinzia (prima età augustea); altri se ne trovano a Virunum, Brigantium e presso Carnuntum. All'architettura celtica si rifanno invece i templi montani delle divinità celtiche romanizzate (per es. il sacrario di Marte Latobio presso S. Margareten, in Carinzia, a forma di torre con galleria a colonne intorno alla cella). Per quanto riguarda l'architettura privata il ritrovamento più notevole di questi ultimi anni è costituito dalla casa ad atrio di Aguntum, sullo schema delle domus pompeiane, un unicum nel territorio delle Alpi orientali. A Carnuntum, dove negli anni 1958-64 sono stati condotti scavi nella zona civile della città, si mantiene, anche se tradotto in costruzione in pietra, il tipo indigeno di casa con corridoio centrale, mentre a Lauriacum il sistema indigeno di costruzione in legno, con pianta irregolare, perdura anche in età romana. Un bell'esempio di villa rustica con annessa costruzione termale si trova presso Parnsdorf in Burgenland (1° secolo d.C., fino al 3°-4° secolo). Vedi tav. f. t.
Bibl.: F. Ertl, Topographia Norici, Krenmüster 1965, ristampato con aggiornamenti, ivi 1969; E. Vorbeck-E. Beckel, Carnuntum, Rom an der Donau, Salisburgo 1973; G. Alföldi, Noricum, Londra-Boston 1974; G. Schreiber, Die Römer in Österreich, Francoforte sul Meno 1974; G. Winkler, Die Römer in Österreich, Linz 1975.
Arte. - L'apporto di maggior rilievo alla scena mondiale della recente pittura austriaca è la "Wiener Schule des phantastischen cleo principale in E. Fuchs, E. Brauer, E. Hutter, A. Lehnden. I loro dipinti presentano un mondo d'immagini organizzate in associazioni ed evocazioni surrealistiche, con chiari ricordi della tradizione dei maestri antichi e, soprattutto, con una forte influenza letteraria, che è la principale caratteristica della scuola, sulla quale è stato fondamentale l'influsso di H. Gütersloh, celebre non soltanto come pittore, ma anche come scrittore. Dalla concezione primaria si è in seguito allontanato E. Fuchs, che si è orientato verso un misticismo universale che si rifà a tradizioni rappresentative e filosofiche medievali. Da porre ugualmente sullo sfondo della prima esperienza surrealista è l'opera di F. Hundertwasser, nel suo avvio, permeata com'è nella sua tematica da un soffio di lontani mondi di fiaba: case, villaggi, città in un colorato universo racchiuso da spirali.
Più direttamente a una tematica attuale si riferiscono invece le espressioni più recenti del realismo, pur nella loro varietà di manifestazioni e di tendenze. T. Huber giunge così a una sintesi di fotorealismo e di collage, mentre G. Winkler cerca di rispecchiare fedelmente nella fotografia il repertorio iconografico del fotorealismo americano. In questa direzione J. Nöbauer si presenta con una sua personale variante, collegando un realismo di oggetti elaborato in modo estremamente meticoloso a uno spazio surreale estraniato. Il tema dell'opposizione fra gli oggetti, nella loro realtà individuata analiticamente, e uno spazio cui risultano estranei, è presente, in apporti personali, nelle opere di W.M. Pühringer, A. Raibel e, già fuori da questa corrente, in artisti come A. Riedel, P. Atanasov.
Altre tendenze attuali dell'arte austriaca rimandano più direttamente alla sfera dei problemi internazionali, come, per es., l'analisi del comportamento e del movimento (J. Bauer, V. Export). Spesso le "azioni" in cui si attua l'analisi hanno, in A. come altrove, un affascinante nucleo rituale sottinteso. L'aspetto rituale è stato appunto esaltato da artisti che si sono rivolti all'"azione" con una presa di posizione totale ed estrema, come O. Mühl o P. Nitsch, creatori di un teatro psico-patologico del mistero, dove stregoneria ed esorcismo si uniscono in una singolare orgia di sangue e di morte.
Altri aspetti della pittura austriaca contemporanea toccano il paesaggio, il disegno architettonico e il ritratto, ora con carattere espressionista (Heuer, Schiestl, Kulnig, Drexel), ora in rapporto con i nuovi realismi e le nuove figurazioni (Carer, Skrika, Wukounig). Reminiscenze della tarda arte pop (Zdrahal) si accostano all'impegno di critica sociale (Pakosta, Pfaffenbichler, Sandner, Dworak) e un'oggettività con accenti spesso simbolici (Nisselmüller, Lechner, Wolf, Herms) si trova vicino a volute che si collegano, pur in un'accezione intimamente variata, al repertorio formale del barocco austriaco (Bischof, Krumpel, Reiter).
La scultura austriaca più che dalle correnti è dominata da singoli artisti. Il suo maggiore rappresentante è stato F. Wotruba (morto nel 1975), la cui posizione classica si afferma come una presenza indiscussa nel nostro tempo. La sua combinazione di costruzioni architettoniche ben calcolate, di figure di arcaica severità e di una sua astratta interpretazione dello spazio, lo ha condotto a divenire un classico della scultura moderna, pur consentendogli un'attualità che va al di là del tempo. L'opera di A. Hridlicka, che espone le sue figure a lacerazioni e a deformazioni che le fanno simboli di un'interiore macerazione, appare dominata in modo altamente interessante dal problema del rapporto con la tradizione classica. Accanto a questi maestri, nella nuova generazione è diffusa la tendenza a creare assemblages legati al mondo della tecnica, che vanno dalla semplice presentazione di una forma basica geometrizzante alla complessa costruzione d'interi apparati meccanici e ambientali (W. Kirchmayr, S. Auer, H. Hollein). Tra i più recenti i pittori R. Hoflehner e W. Walkensteiner e lo scultore R. Kedl.
Lo stesso vale anche per l'architettura, alla quale appartiene, almeno secondo l'intenzione, il lavoro del gruppo "Haus-Rucker-CO", fondato a Vienna nel 1967. Il suo argomento è la speculazione architettonica su modi di vita futuri, come si potrebbero sviluppare un giorno sotto la spinta dello spazio circostante distrutto.
Nell'architettura vera e propria sono risultati importanti dopo il 1945 soprattutto R. Rainer e la sua scuola, che uniscono rigorosa razionalità e sicurezza stilistica. Un esempio indicativo è la Wiener Stadthalle (1954-58), una costruzione in acciaio con rivestimento in alluminio, o il centro ideato assieme ad Auböck di abitazioni unifamiliari prefabbricate. Questo stile architettonico a proiezione orizzontale orientato urbanisticamente, ha stimolato tutta una serie di giovani architetti quali Sekler, Freyler o Windbrechtinger e Ketterer. Nell'insieme una rigorosa logica sulle orme di A. Loos, esempio della quale sono i lavori del "Gruppe 4" (Holzbauer, Kurrent, Spalt).
Vedi tav. f. t.