AUTARCHIA (fr. autarcie o autarchie; ted. Autarkie; ingl. autarchy e selfgovernement)
Termine usato in economia politica per indicare l'indipendenza assoluta o relativa, permanente o temporanea, della vita economica di un paese, concepito come mercato chiuso.
Il problema dell'autarchia non si pone nell'economia classica e liberale, costruita sul presupposto individualistico, e perciò necessariamente anazionale. Per essa esistono soltanto economie private che si incontrano su mercati di carattere cosmopolitico. Il problema sorge invece allorché la nazione comincia a intendersi come organismo economico unitario e quindi come soggetto economico pubblico nel quale si risolvono le attività dei privati. Allora il mercato diventa inter-nazionale e gli attori in esso operanti sono gli stati (direttamente o attraverso il controllo delle attività dei cittadini). E allora appunto uno stato può avvertire il bisogno di garantire la propria indipendenza politica realizzando l'indipendenza economica, cioè liberandosi o ponendosi in grado di liberarsi dalla necessità di commerciare con gli altri paesi.
Il concetto di autarchia acquista due significati diversi a seconda che si tratti di autarchia assoluta o relativa. Quella assoluta è sempre teoricamente raggiungibile con la semplice chiusura delle frontiere, perché è sempre concepibile lo svilupparsi della vita umana in un qualsiasi territorio, per quanto esso scarseggi di materie prime. Il costo dell'autarchia varierà da paese a paese a seconda della ricchezza del suolo e del grado di sviluppo della civiltà e delle industrie. Esso sarà dato dalla rinunzia alla collaborazione (divisione del lavoro) con gli altri paesi e cioè dalla rinunzia quantitativa e qualitativa a tutti i prodotti legati a tale collaborazione. Tutto ciò, naturalmente, ha una portata affatto teorica: a nessun paese potrebbe venire in mente di rinunziare a ogni collaborazione con il resto del mondo, tanto più che tale rinunzia importerebbe anche quella a conoscere ciò che avviene nel resto del mondo, poiché ogni conoscenza implica un traffico e ogni traffico uno scambio economico.
Significato storicamente concreto ha invece il concetto di autarchia relativa. Suo fine principale è quello di rendere la nazione economicamente autonoma per tutto ciò che riguarda i prodotti essenziali alla vita e alla difesa in caso di guerra.
Il carattere bellico dell'ideale concreto di autarchia ci è confermato dal suo determinarsi storicamente attraverso le vicende di questi ultimi decennî. I precedenti teorici del concetto di autarchia si possono naturalmente rintracciare anche in tempi remoti nella storia del pensiero economico; e soprattutto in Germania, dove l'economia nazionale ha la sua prima sistemazione scientifica, non erano mancati esempî di dottrine volte all'esaltazione del mercato chiuso. Basti ricordare Der geschlossene Handelstaat di Fichte e Der isolierte Staat di von Thünen. Ma il problema si pose con tragica evidenza negl'Imperi Centrali durante la guerra mondiale e da allora ha richiamato sempre più l'attenzione dei politici e degli studiosi.
Finita la guerra, il problema parve dapprima svanire nella mentalità antibellica che presto si diffuse un po' dappertutto. Il carattere di accentramento e di statalizzazione, che la vita economica aveva assunto nei singoli paesi sotto la pressione delle esigenze dello stato di guerra, fu notevolmente combattuto con l'intenzione di un ritorno all'economia individualistica dell'anteguerra. La nazione che più continuò a preoccuparsi del problema e che cominciò a precisare l'ideale di un'economia permanente a carattere statale fu l'U.R.S.S. Sotto l'impulso di Lenin essa iniziò un processo di industrializzazione in grandissime proporzioni, che in pochi anni valse a trasformare completamente la fisionomia del paese e a far porre nuovi problemi di politica e di scienza economica. L'esigenza di una vita economica sempre più organica si tradusse a un certo punto nella concezione di un piano destinato a disciplinare per una serie di anni tutta l'attività produttrice e correlativamente tutto il consumo. Un primo piano quinquennale, la cui attuazione si iniziò nel 1928, fu compiuto in poco più di quattro anni, alla fine del 1932, e un secondo piano, anch'esso quinquennale, entrò in vigore nel 1933 (v. u.r.s.s.: Finanze, XXXIV, p. 825 segg.).
Il principio dell'economia programmatica aveva intanto richiamato l'attenzione degli studiosi anche fuori della Russia e particolarmente nella Germania, posta dal Trattato di Versailles in condizioni economiche e politiche di particolare gravità. E proprio in Germania (v. App.) si riaprì il problema dell'autarchia, che divenne il fondamento della politica economica del nazionalsocialismo dal 1933 in poi, conducendo nel 1936 alla formulazione di un piano quadriennale che dovrebbe assicurare il completo conseguimento del fine proposto.
In Italia, dopo la politica economica liberale dei primi anni del regime fascista (1922-1925), il bisogno di una disciplina statale sempre più organica si fece sentire a poco a poco fino a chiarirsi e a precisarsi attraverso lo sviluppo dell'ordinamento corporativo. Già nel 1925 si era iniziata la cosiddetta "battaglia del grano" diretta a conseguire una produzione tale da soddisfare interamente il fabbisogno nazionale. Ma si trattava ancora di un problema singolo e di una disciplina di carattere non istituzionale. Né alla disciplina istituzionale si poté pensare nei primi anni dell'esperienza corporativa, allorché il corporativismo era inteso esclusivamente in funzione dei problemi del lavoro e si limitava all'ideale della conciliazione degli opposti sindacati. Soltanto nel 1932 l'esigenza dell'economia programmatica cominciò a imporsi all'attenzione dei politici e degli studiosi e con essa acquistò una fisionomia concreta e sistematica il problema dell'autarchia. E una politica in senso autarchico fu decisamente iniziata negli anni seguenti, e definitivamente impostata al principio del 1936 in seguito alle sanzioni (v. appresso).
In quanto alle altre nazioni, può dirsi che una certa politica autarchica, legata all'esigenza dell'economia programmatica e all'attuale situazione politica va più o meno diffondendosi dappertutto e perfino nei paesi più tradizionalmente liberali.
È evidente che la politica autarchica tende in generale a ridurre la collaborazione internazionale e i vantaggi della divisione del lavoro. Ma non bisogna limitare l'analisi a queste conseguenze negative ed escludere le conseguenze di carattere positivo, la cui portata è impossibile determinaie a priori. E anzitutto occorre rilevare che, come nell'interno di un paese la mancata indipendenza economica del proletariato può condurre allo sfruttamento capitalistico, così nella vita internazionale la posizione quasi monopolistica di alcune grandi nazioni può tenere in continuo stato di minorità e di dipendenza politica i paesi più poveri. Ora la politica autarchica, anche a prescindere dall'eventualità della guerra armata, può tendere appunto a questo altro genere di lotta, e cioè a sottrarre un paese al tradizionale rapporto di dipendenza che lo lega a un altro o ad altri determinati paesi. La possibilità di trattare commercialmente da pari a pari con qualsiasi altro paese e di escludere ogni forma di ricatto economico toglie la più grande delle armi di cui possa disporre un impero nemico o una coalizione di paesi capitalistici. Da questo punto di vista la politica autarchica potrebbe essere considerata come una fase di transizione verso una vita economica internazionale a carattere anticapitalistico e perciò di una più profonda e organica collaborazione.
E da questo stesso punto di vista potrebbero essere valutate le conseguenze economiche e istituzionali di carattere interno. Anche a prescindere da eventuali risultati positivi, che è possibile raggiungere sul terreno più propriamente economico con l'impulso dato alla vita tecnica e delle industrie dalla necessità di affrontare ostacoli che sembrano molte volte insormontabili (si pensi ai miracoli di certi prodotti sintetici e alle conseguenze economiche di certi surrogati scoperti sotto la sola pressione di una tale necessità politica), comincia ad essere evidente che la trasformazione della struttura economica dei paesi a tendenza autarchica va ben al di là delle limitazioni di carattere contingente. Si è già accennato al rapporto che lega il concetto di autarchia con quello di economia programmatica ed è a tale rapporto che occorre guardare per rendersi conto della complessità della trasformazione politica e sociale che implica una politica autarchica.
Bibl.: Per la storia del termine, così dal punto di vista giuridico che da quello economico v. B. Migliorini, Autarchia, in Nuovi studi di diritto, economia e politica, 1934, pp. 100-108. Cfr. inoltre: G. Danos, L'idée de l'autarchie économique et les statistiques du commerce extérieur, Parigi 1921; J. Nowak, L'idée de l'autarchie économique, ivi 1925; C. Lammers, Autarkie, in Planwirtschaft und berufständischer Staat, Berlino 1932. Per il problema più specificamente italiano, v. L. Lojacono, L'indipendenza economica italiana, Milano 1937 (raccolta di monografie di varî autori); O. Por, Materie prime ed autarchia, Roma 1937; J. Griziotti-Kretschmann, Autarchia econ. e finanz. ed econ. naz., Padova 1938.
L'autarchia in Italia.
Il problema dell'autarchia economica è stato impostato in Italia, nei suoi termini generali, il 23 marzo 1936, col discorso di Benito Mussolini alla seconda Assemblea nazionale delle corporazioni. Di tale discorso debbono essere ricordate soprattutto le seguenti parole: "L'assedio economico - che è stato decretato per la prima volta contro l'Italia perché si è contato, secondo una frase pronunziata nella riunione di Parigi del 10 marzo, sulla modestia del nostro potenziale industriale - ha sollevato una serie numerosa di problemi che tutti si riassumono in questa proposizione: l'autonomia politica, cioè la possibilità di una politica estera indipendente, non si può più concepire senza una correlativa capacità di autonomia economica". ... "La nuova fase della storia italiana sarà dominata da questo postulato: realizzare nel più breve termine possibile il massimo possibile di autonomia nella vita economica della Nazione".
Il Capo del governo ha inoltre fissato, con lo stesso discorso, le linee d'attuazione di tale postulato nei suoi limiti concreti. Non si tratta di raggiungere un'autonomia economica assoluta che sarebbe, oltre che impossibile, anche non conveniente; l'autarchia deve essere realizzata al massimo grado nelle industrie chiavi dell'economia nazionale, cioè nei settori più direttamente determinanti le possibilità d'azione del Paese nella sfera dei rapporti interstatali. Data la situazione produttiva nazionale, che non dà preoccupazioni gravi per il settore alimentare, lo sforzo autarchico deve quindi essere applicato principalmente alle produzioni di minerali metallici, di materie tessili e di combustibili solidi e liquidi; contemporaneamente debbono essere studiate e sfruttate tutte le possibilità esistenti di sostituzione di un consumo a un altro, soprattutto nei settori dell'energia (uso di carburanti succedanei, elettrificazione delle ferrovie) e dei prodotti tessili (utilizzazione delle fibre nazionali in sostituzione di quelle importate). In sostanza, la soluzione del problema si imposta su due binarî principali: su quello della produzione, mediante la creazione di nuove industrie e il potenziamento di quelle esistenti; su quello del consumo, mediante l'intensificazione o la riduzione di alcuni consumi (produttivi o distruttivi) e la limitazione massima degli sprechi.
Il problema autarchico si è posto anche, sotto un altro aspetto, in termini valutarî: dato che per talune materie non conviene perseguire la completa autarchia produttiva, deve prevedersi per esse il mantenimento se non addirittura, per le industrie da sviluppare maggiormente per il potenziamento economico, l'incremento delle importazioni e, corrispondentemente, delle esportazioni destinate a bilanciarle; in senso inverso la stessa soluzione si impone per le importazioni destinate ad alimentare industrie prevalentemente esportatrici, di cui naturalmente è riconosciuta l'utilità ai fini dell'affemazione dell'economia nazionale di fronte alle altre. Tali considerazioni, insieme con quelle relative alla chiara convenienza di migliorare per quanto possibile la bilancia nazionale dei pagamenti, spostano il problema dal piano puramente produttivo a quello più comprensivo di un'autarchia valutaria, e non fanno che ribadire il principio, più volte affermato in Italia, che l'azione autarchica non deve influire in senso riduttivo sul volume degli scambî con l'estero, così come in linea generale sembra dover accadere (v. sopra), ma può anzi in più d'un settore avvantaggiarli. In base a tale principio si deve procedere, per quanto possibile, ad una redistribuzione delle correnti di scambio internazionale confluenti nel mercato interno.
La soluzione di così vasto programma non potrebbe attendersí esclusivamente dall'iniziativa privata; bisogna evidentemente precedere, in molti casi, quell'iniziativa, mediante un positivo intervento dello stato; in altri casi stimolarla, coordinarla, in base a una visione complessiva delle necessità nazionali che non può non sfuggire al privato. Occorre quindi, anzitutto, procedere a una trasformazione in senso strumentale del comando economico; gli scopi e i limiti di questa trasformazione sono stati fissati dal Capo del governo, con lo stesso discorso, in quello cioè che ha chiamato il "piano regolatore dell'economia italiana". L'enunciazione del piano è stata preceduta da una dichiarazione che rimane fondamentale per chi voglia interpretare con esattezza l'evoluzione del pensiero fascista nel campo economico: "Il Regime fascista non intende statizzare o, peggio, funzionarizzare l'intera economia della Nazione; gli basta controllarla e disciplinarla attraverso le Corporazioni, la cui attività da me seguita è stata di grande rendimento ed offre le condizioni di ulteriori, metodici sviluppi". In particolare, nei varî settori dell'attività economica nazionale: mentre l'agricoltura, la piccola e media industria e il commercio interno sono destinati a conservare, sempre nell'ambito del disciplinamento corporativo, le forme tradizionali bene rispondenti ai loro scopi, la grande industria fornitrice dei prodotti considerati essenziali ai fini del programma autarchico, costituita da capitali azionarî fortemente concentrati, si raggruppa in "grandi unità corrispondenti a quelle che si chiamano le industrie-chiavi" e assume un "carattere speciale nell'orbita dello stato", l'intervento statale assume praticamente qui, nella maggior parte dei casi, l'aspetto di un attivo controllo, qualche volta quello della partecipazione ed eccezionalmente quello della gestione diretta, giustificata, oltre che da considerazioni sociali, dal fatto che la produzione di alcune industrie è destinata a un solo compratore: lo stato. Di regola, l'applicazione di tali direttive ha poi dato vita a imprese miste, cioè con capitale formato sia dallo stato sia dai privati, gestite da consigli di composizione mista che agiscono in piena armonia con le direttive dello stato: citiamo ad esempio l'Azienda nazionale idrogenazione combustibili, l'Azienda carboni italiani e l'Azienda minerali metallici italiani. Il commercio estero, in considerazione della sua natura strumentale essenziale per la vita del Paese nei suoi rapporti internazionali, non potrebbe non essere controllato dallo stato; anche il credito passa sotto il controllo dello stato, per l'evidente importanza delle sue funzioni in relazione all'attuazione del "piano regolatore dell'economia italiana".
Senza bisogno di addentrarsi nella descrizione di ogni singolo istituto, anche per non ripetere quanto potrà leggersi sotto altri esponenti, si può accennare qui che ai provvedimenti precedentemente presi per disciplinare alcuni settori economici (leggi sui nuovi impianti e sui consorzî industriali, riorganizzazione del credito agrario, provvedimenti per la smobilitazione e il finanziamento delle industrie nel periodo di crisi) la formulazione del programma autarchico ha reso indispensabile aggiungerne altri destinati a operare in sempre maggiore profondità nell'organismo economico della nazione. Il controllo del credito è stato realizzato mediante la creazione dell'Ispettorato del credito e del risparmio, e quello del commercio estero mediante l'organizzazione del Ministero per gli scambî e le valute; attraverso le operazioni finanziarie dell'Istituto per la ricostruzione industriale (I.R.I.), creato in periodo di crisi, lo stato ha raggiunto la possibilità di controllare talune grandi industrie e di partecipare alla creazione di imprese per produzioni di base, nonché di far passare sotto il suo controllo le maggiori compagnie di navigazione e i cantieri relativi. Il principio consortile nell'industria, e quello dell'"ammasso" in agricoltura, per i settori produttivi bisognevoli di maggior protezione contro le oscillazioni del mercato, sono stati applicati in estensione e profondità crescenti dando talvolta vita, anche qui, a enti caratteristici dell'economia fascista, come l'Istituto cotoniero italiano; molti compiti prima demandati ad altri organi dello stato, ad esempio quelli dell'autorizzazione dei nuovi impianti industriali, la sorveglianza sui consorzî di produttori e la formazione dei prezzi, sono stati attribuiti, per evidenti necessità di coordinamento, alle corporazioni. Ultima in ordine di tempo, deve essere ricordata qui la creazione della Commissione suprema per l'autarchia, formata dal Comitato corporativo centrale integrato da esperti e da direttori di grandi quotidiani; né va dimenticata l'importanza dei compiti attribuiti al Consiglio nazionale delle ricerche nel campo più propriamente scientifico della battaglia per l'autarchia.
Quest'opera di trasformazione dell'organismo economico è stata ritenuta a buon punto dal Capo del governo quando egli ha impartito, con il discorso pronunziato il 15 maggio 1937 alla terza Assemblea nazionale delle corporazioni, le direttive che tutti, organi ed enti pubblici e privati di ogni settore economico debbono seguire per il potenziamento nazionale; con quel discorso sono stati inoltre indicati alle corporazioui i punti di partenza e di arrivo da tenere presenti nella predisposizione dei "piani autarchici" destinati ad essere poi coordinati e definiti dal Comitato corporativo centrale. Tale lavoro di esame e di coordinazione è stato compiuto tra il maggio e gli ultimi mesi del 1937, in numerose riunioni corporative nelle quali il problema autarchico è stato concretamente impostato per ogni singola produzione e per produzioni collegate, ora dal punto di vista di un'autarchia integrale e ora da quello di un'autarchia valutaria (compensazione delle importazioni con le esportazioni nello stesso ramo), sempre però tenendo presente la necessità di preparare l'industria all'eventualità di dover sostenere uno sforzo limite in caso di emergenze belliche che potrebbero far passare ln seconda linea ogni considerazione di costo propria dei tempi normali.
Benché attualmente la realizzazione del programma autarchico, coordinata e disciplinata attraverso le corporazioni, non possa ancora dirsi compiuta (il termine assegnato per il raggiungimento delle mete previste dai piani autarchici cade generalmente nel 1940-41), pure l'esame di tutte le possibilità produttive dell'Italia, già compiuto, permette di trarre fin d'ora alcune conclusioni importanti. Così, nel settore agricolo, si è potuto constatare che la bonifica integrale e la battaglia del grano hanno portato la produzione nazionale di frumento a una media di 75 milioni di quintali, corrispondente al fabbisogno alimentare del popolo italiano (con un lieve aumento delle rese unitarie la produzione sarà sufficiente anche per le semine); le deficienze della produzione olearia potranno essere colmate mediante l'innesto degli olivastri nelle zone coperte da tali piante e mediante una migliore utilizzazione dei semi oleosi; per i tessili, l'incremento della produzione e dell'utilizzazione di fibre nazionali come il raion, la canapa, il fiocco e il lanital e di quelle dell'Impero (cotone) e la sostituzione della cellulosa d'importazione con cellulosa nazionale da paglia di grano, di riso, stocchi di granturco e da canna comune, possono assicurare l'autarchia senza bisogno di ridurre la notevole esportazione dei relativi prodotti. Nel settore minerario, l'utilizzazione delle ceneri di pirite, l'intensificazione della produzione di minerali ferrosi nazionali e la trasformazione strumentale dell'industria siderurgica possono permettere di raggiungere una notevole autonomia nel ferro, mentre ancor più soddisfacenti sono le previsioni per gli altri minerali metallici: per l'alluminio, la cui produzione largamente eccedente il fabbisogno, oltre ad essere utilizzata per la sostituzione di gran parte del rame mancante all'Italia, può alimentare una forte corrente di esportazioni; per il magnesio, il piombo, lo zinco, il cadmio, il mercurio, il nichelio, l'antimonio, che insieme con altri minerali possono assicurare una integrale autarchia. L'industria chimica può essere messa in grado, mediante la creazione di nuovi impianti e il potenziamento di quelli esistenti, di coprire interamente il fabbisogno nazionale; l'industria elettrica, con un maggiore sfruttamento delle risorse idriche nazionali, potrà fornire nuovi quantitativi di energia in sostituzione di altre fonti importate. Inoltre, un intensificato sfruttamento dei giacimenti nazionali di carbone dell'Arsa e della Sardegna e una migliore utilizzazione di esso possono permettere di ridurre sensibilmente le importazioni di combustibile solido dall'estero. Per i combustibili liquidi, che costituiscono un importante settore del programma autarchico, i quantitativi importati potranno essere sostituiti mediante l'uso di miscele con alcool da bietole e da sorgo e mediante l'utilizzazione dei gas naturali (come il metano), dei carboni vegetali (per gassogeno), degli olî greggi albanesi (lavorazione iniziata da impianti-pilota) e con la distillazione delle rocce asfaltiche e delle ligniti; va ricordato, in proposito, che il rapido esaurirsi dei giacimenti di petrolio pone in termini di necessità, per qualunque paese, la sostituzione di questa materia prima con succedanei anche di maggior costo. Nel campo delle comunicazioni marittime, infine, l'attuazione del programma autarchico deve assicurare, con un programma organico di costruzione di nuove navi mercantili, alla rete italiana di comunicazioni internazionali una flotta mercantile capace di assumersi completamente i trasporti da e per i porti nazionali. Un notevolissimo contributo all'autarchia sarà portato infine dalla lotta contro gli sprechi di materie prime, siano esse destinate direttamente al consumo o piuttosto ad alimentare nuovi cicli produttivi; lotta che è stata già intrapresa principalmente nei settori dei minerali metallici, dei combustibili e della cellulosa, e per la quale si vanno approntando tuttora studi ed applicazioni più estese.