autocoscienza
Termine che indica, se usato in senso generico, la coscienza che l’io ha di sé stesso. In senso proprio, relativamente cioè al contesto del linguaggio idealistico in cui il termine ha trovato la più larga utilizzazione, l’a. si applica alla coscienza che ha di sé l’io come principio del conoscere e fondamento della realtà.
È con Kant che può farsi iniziare la storia del termine, usato per indicare la coscienza che ha di sé l’Io puro quale condizione trascendentale del conoscere. Da questo punto di vista l’a. si identifica con l’appercezione (➔), ossia con l’attività dell’Io puro, che «deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni», costituendo in tal modo l’unità trascendentale dell’autocoscienza. Rispetto agli sviluppi del concetto nell’idealismo classico tedesco, tuttavia, l’attività dell’a. in Kant trova un limite insuperabile nei dati offerti dall’intuizione sensibile, in assenza dei quali essa gira a vuoto, dando origine a una conoscenza – quella prodotta dalle idee della ragione, esaminate nella terza parte della Critica della ragion pura (➔), la Dialettica trascendentale – puramente illusoria. Una ben diversa posizione assume invece il termine – e il concetto – di a. nella storia dell’idealismo tedesco, una volta che l’io diviene principio creativo e non solo normativo rispetto alla realtà. Così, in Fichte l’a. è la stessa creatività dell’io che si realizza ponendo il «non io» e superandolo incessantemente. In Schelling è l’«atto uno e assoluto» che ingloba tanto l’io quanto tutto quello che ha con lui relazione. In Hegel, infine, l’a. universale è il puro realizzarsi della ragione assoluta.
Il tema dell’a. prende largo spazio, in Hegel, soprattutto nella Fenomenologia dello spirito (➔) (1807) e nelle sezioni dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche (➔) (1817) che hanno per oggetto lo spirito soggettivo. Il tema di fondo di queste opere è costituito da una sostanziale critica dell’idealismo soggettivo di Kant e Fichte e dell’idealismo sì oggettivo ma secondo Hegel irrimediabilmente «mistico» di Schelling. In Kant e Fichte l’opposizione tra l’Io e il suo oggetto sarà sempre insuperabile, finché non verrà deposta la determinazione finita dell’Io o coscienza, perché la determinazione del sapere puro come Io porta continuamente con sé il richiamo all’Io soggettivo. Perché l’Io diventi l’effettivo inizio e il fondamento della filosofia occorre «purgare» l’Io da sé stesso, e far sì che «si abbandoni alla vita dell’Oggetto» (termine con il quale Hegel intende il sapere assoluto, la sostanza, e Dio stesso). Nella Fenomenologia viene descritto un itinerario nel quale, partendo dalla immediatezza o coscienza sensibile, la coscienza viene ricondotta al sapere assoluto come alla sua intima verità. L’opera è la storia del progressivo adeguarsi della coscienza umana al processo di sviluppo dell’Idea, quindi la storia del progressivo innalzamento di un punto di vista soggettivo al punto di vista dell’assoluto (➔). Essa quindi descrive l’itinerario della coscienza naturale verso il vero sapere, ossia l’itinerario dell’anima che percorre la serie delle sue figure quali stazioni prescrittele dalla sua stessa natura perché si rischiari e divenga Spirito e, mediante la piena esperienza di sé stessa, giunga alla conoscenza di ciò che essa è in sé stessa. Questo innalzamento della coscienza empirica o soggettiva al sapere assoluto è facilitato dal fatto che essa possiede già le tappe del suo ascendere. Occorre solo riconquistarle, scendendo nell’interiorità del ricordo con una operazione paragonabile all’anamnesi (➔) platonica. Il «sé» o a., dice Hegel, deve penetrare e digerire la ricchezza della sua sostanza mediante il suo «sprofondare dentro di sé». Questo rientrare in sé della coscienza significa, in un primo tempo, sperimentare la nullità degli oggetti esterni, scoprendosi come a.; in un secondo tempo, superare le rappresentazioni soggettive o inadeguate dell’a. e scoprirsi a. effettuale, oggettiva; infine, superare la forma immediata e incosciente di tale effettualità (l’eticità greca, nella quale a. e sostanza coincidono, ma la soggettività è completamente immersa nella sostanza, e non ha nessuna autonomia) per raggiungere l’unione cosciente di a. oggettiva e sostanza soggettiva. Ciò è reso possibile dal cristianesimo tramite l’incarnazione dell’assoluto, il Figlio, Cristo. In tal modo sono poste le premesse perché, una volta afferrato il vero senso dell’incarnazione e della manifestazione storica dell’assoluto (fine del «regno del Figlio», ossia del cattolicesimo, e avvento della Riforma luterana), la sostanza acquisti coscienza di sé nell’a., e l’a. acquisti spessore oggettivo nella sostanza. Il disegno complessivo sviluppato da Hegel prevede quindi un duplice movimento in base al quale la sostanza – l’assoluto – acquista piena consapevolezza di sé nell’a. e – inversamente – l’a. acquista oggettività nella sostanza. Al percorso ascendente dell’a. verso la sostanza corrisponde quindi il percorso discendente della sostanza nell’a.; l’incontro delle due figure è descritto da Hegel con la caratteristica espressione secondo la quale «la sostanza diventa soggetto», che è poi il senso finale e lo scopo principale dell’intera sua filosofia. Come si comprenderà il concetto di a., in Hegel, è qualcosa di assai più complesso della semplice coscienza di sé. A. è la coscienza di sé come protagonista di un percorso storico e ideale insieme, nel quale si riassume il senso dell’intero corso storico dell’umanità. L’acquisizione di tale livello di a. implica, di fatto, l’identificazione dell’a. umana con Dio, l’assoluto, la sostanza – termini del tutto intercambiabili. Questa identificazione, peraltro, non deve andare a scapito della differenza – ciò che secondo Hegel accade nell’idealismo mistico-oggettivo di Schelling. Identità e differenza fra i due termini vanno tanto «superate» quanto conservate, secondo il pregnante concetto hegeliano di Aufhebung (➔). Un ritorno all’idealismo soggettivo si avrà in Italia con la filosofia di Croce e Gentile. Diversamente dall’approccio teoretico di Croce, nell’idealismo attualistico di Gentile il concetto di a. si presenta come lo stesso processo pratico, con espliciti punti di contatto con la filosofia della prassi di Marx.