DEL BIANCO, Baccio
Nacque a Firenze il 31 ott. 1604, figlio di un Cosimo merciaio (a sua volta figlio di Raffaello, fattore a Cerreto Guidi) e di Caterina Portigiani. Architetto militare, pittore e scenografo, fu attivo in Italia, Ungheria, Austria, Boemia e Spagna. Già nel 1612 fu discepolo di G. Bilivert, dal 1613 anche dell'architetto militare V. Boccacci, e poi dell'architetto G. Parigi.
Nel 1620 il D. divenne aiuto di Giovanni Pieroni, architetto, ingegnere, matematico ed astrologo. Con lui partì nella primavera del 1622 per l'Europa centrale, per entrare al servizio dell'imperatore Ferdinando II. Dapprima il D. disegnò piante delle fortificazioni per Altenburg, Oedenburg (Sopron) e Presburgo (ora Bratislava, Cecoslovacchia) in Ungheria: di questa ultima città o del castello di quel luogo eseguì un modello in cera. A Vienna poi progettò in dieci mesi un modello di fortificazioni della città contro gli Ungheresi condotti da Gabriele Bethlen, fortificazioni che furono realizzate in quattro mesi.
Nel 1622-23 il Pieroni lo inviò insieme al Boccacci a Praga: il D. prese dimora nel quartiere di Hradčany, nelle vicinanze del castello reale. L'artista perfezionò le fortificazioni di Petrín (Monte di San Lorenzo) sotto la sorveglianza del Pieroni, arrivato da Vienna poco dopo. Fu poi al servizio di Albrecht von Wallenstein, generalissimo di Ferdinando II. Nel vasto nuovo palazzo Valdštejn (Wallenstein) nel quartiere praghese di Malá Strana (città minore) il D. decorò parecchi locali con affreschi e la sala anche con trofei in stucco dipinto.
Sul soffitto di questa sala il D. raffigurò il Wallenstein nelle vesti di Marte (l'idea di questa composizione proveniva dal Pieroni). Si tratta di un affresco dinamico, con motivi illusionistici d'origine manieristica, ma con drammaticità già barocca; il tiro a tre, visto da sotto in su, segue lo schema delle composizioni di temi analoghi, per es. quello del Fetonte nella loggia del cortile dei leoni nel castello del Buonconsiglio a Trento di Girolamo Romanino, del 1531, o dell'Aurora nel casino del palazzo Pallavicini Rospigliosi a Roma di Guido Reni, del 1614. Di origine tardomanieristica sono pure gli affreschi del D. sul soffitto del gabinetto di udienza: Vulcano è circondato da personificazioni delle quattro età (dell'oro, dell'argento, del rame, del ferro) e delle quattro parti del giorno. Nella galleria dell'astronomia il D. affrescò per il castellano, interessato alle dottrine astrologiche, un vasto ciclo di personificazioni mitologiche dei sette pianeti e dei quattro continenti con simboli dello Zodiaco; nella cappella del palazzo invece raffigurò la Leggenda di s. Venceslao, patrono di Boemia, e la Storia della Vergine con emblemi delle litanie lauretane. In una galleria infine dipinse scene delle Metamorfosi di Ovidio secondo le illustrazioni di Virgil Solis del 1563; e nella loggia monumentale del giardino il ciclo dell'Eneide e gli dei antichi.
Il D. eseguì questi affreschi in collaborazione con aiuti, finora purtroppo sconosciuti: i dipinti non sono infatti omogenei per qualità. Costituirono la prima eco degli affreschi italiani contemporanei e il primo esempio a Praga di pittura monumentale del protobarocco italiano, sebbene con alcuni tratti ancora manieristici, sopratutto nella composizione e nelle proporzioni delle figure. La maggior parte degli stucchi del palazzo Valdštejn fu invece attribuita al D. erroneamente (cfr. O.I. Blazicek, in Arte e artisti dei laghi lombardi, II, Como 1964, p. 117).
Non si conosce la data precisa della partenza del D. da Praga (sett. 1625 o 1626?); il non facile ritorno in patria gli fu reso possibile grazie all'aiuto dei Miseroni, intagliatori di pietre dure di origine milanese, direttori della bottega praghese. Dopo una sosta a Milano il D. tornò a Firenze, dove "aperse pubblica scuola di prospettiva e di civile, e militare architettura" (Baldinucci, V, p. 30), avendo fra gli allievi il matematico Vincenzo Viviani (che gli succederà poi nella cattedra di prospettiva all'accademia del disegno) e i pittori Jacopo Chiavistelli, Agnolo Gori, Andrea Ciseri, quadraturisti, nonché Francesco Furini e altri.
Si sposò due volte, la prima con Alessandra di Paolo Stiattesi, da cui ebbe i figli Raffaello (nato nel 1642 e morto dopo il 1674, che seguì la carriera del padre), Maddalena (in religione Angela Fedele, monaca in S. Clemente) e Cosimo; la seconda volta con Isabella Dei, che gli diede le figlie Caterina e Alessandra.
La sua attività si esplicò in apparati, scenografie e disegni di costumi teatrali; disegni per mobili, vetrerie e argenterie; mosaici, arazzi, graffiti di facciate; un modello per la facciata del duomo oggi non identificabile (1633-1647). Poche sono le opere di pittura che il D. lasciò a Firenze: in casa Buonarroti lavorò a due riprese, nel 1628 (aprile-maggio) per le finte porte della "stanza della notte e del dì" (il disegno di una è all'Ermitage di Leningrado, inv. 29638), poi per i trompe-l'oeil e gli affreschi dello scrittoio con sei ovati con ritratti di uomini illustri della famiglia, episodi delle loro gesta e una lunetta con il Tempo e una figura femminile (novembre 1637-aprile 1638). Nel 1634 dipinse le quadrature all'affresco di Giovanni da San Giovanni Ebe spodestata da Ganimede e forse il ciclo di giochi fanciulleschi nella villa di Mezzomonte; nel 1635, col Furini, le ante d'organo della badia fiorentina (è sua quella di destra, con s. Giovanni Battista); nel 1636 fece "a sgraffio" la facciata della cappella Antinori attigua a S. Gaetano; intorno al 1638 affreschi con paesaggi e grottesche nella canonica di S. Martino a Sesto Fiorentino. Nella stessa zona ed epoca eseguì anche decorazioni nella villa Venturi detta "Il Prato di San Lorenzo" (tuttora in loco) e nella villa Guicciardini Corsi Salviati (perdute).
Recentemente gli sono stati dati (Cantelli, 1980, 1982, 1983) vari dipinti dal ductus leggero e spiritoso come, nelle Gallerie fiorentine, un Orfeo all'inferno (inv. 3807), peraltro opera di Joseph Heintz il giovane (M. Chiarini, Un altro "Orfeo...", in Arte veneta, XL, [1986], p. 177), una S. Caterina d'Alessandria (inv. 4639), due ritrattini del lascito Feroni (inv. Cenacoli 45 e 46) e un Ritrovamento di Mosè (inv. 3826) già dato a Giovanni da San Giovanni; mentre è caduta (Manetti, 1981) l'attribuzione più celebre, quella del fregio affrescato con imprese militari dei Del Monte nella villa Arrivabene, ora proposto a M. Cinganelli (Lucchesi-Bertocci, 1984).
La fama del D. riposa soprattutto sui numerosi disegni che purtroppo, a differenza di quelli dei coevi Jacopo Callot e Stefano Della Bella, non vennero incisi.
Il Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi ne conserva quasi trecento, fra cui la serie dei cornuti, molti caramogi, nani, teste acconciate, figurini di costumi, scene di strada, botteghe, mercati, vita contadina, paesaggi, porti, cantieri navali, progetti di bicchieri; vari altri sono alla Biblioteca Marucelliana e presso la Fondazione Home a Firenze. La collezione de Marignane di Mentone conserva una serie di caricature, l'Ashmolean Museum di Oxford il bellissimo Reduci dalla guerra di Castro (1642-44); disegni sono alla Nat. Gallery of Canada a Ottawa, all'Art Institute di Chicago (un frontespizio datato 1628, con scheletri di struzzi), al British Museum di Londra (costumi teatrali in un volume da casa Doni che ne contiene alcuni di Stefano Della Bella), nelle collezioni reali di Windsor Castle, al Louvre, all'Albertina di Vienna, al Metropolitan Museum di New York, nelle Gallerie statali di Monaco di Baviera, presso la Houghton Library della Harvard University.
Il Baldinucci esalta l'attività del D. nella caricatura, ponendolo addirittura all'inizio della caricatura moderna, ed effettivamente l'artista porta all'apice un filone bizzarro che ha paralleli nel teatro e nella poesia giocosa, e che prima di lui a Firenze era stato rappresentato da Filippo Napoletano e dal Callot, poi da Stefano Della Bella e infine da Giovan Domenico Ferretti. Contemporaneamente però ne ricorda i disegni a penna di paesi, a cui forse lo instradò Giulio Parigi (che gli era stato brevemente maestro) e che furono certo stimolati dai frequenti spostamenti che il servizio di corte gli imponeva: come esperto di fortificazioni, il D. fu nel 1626-27 a Livorno (e a quest'epoca possono risalire le raffigurazioni di porti e arsenali e dei loro personaggi) e dal 1637, nominato ingegnere della Parte guelfa dopo la buona prova fatta negli apparati scenici per le nozze del granduca Ferdinando II con Vittoria Della Rovere, girò tutta la Toscana dal Valdarno alle frontiere per controllare "ripari d'Arno" e fortezze, ritraendo città, ville e contadini al lavoro con una nitidezza di segno che dipende da quella di Jacopo Da Empoli e non ignora lo stile lucido e realistico del paesaggio olandese.
Alla fine del 1650, dopo aver condotto a buon punto la ricostruzione dell'interno della chiesa di S. Domenico a Prato, colpita da un fulmine nel settembre 1647, il D. partì - con una sosta a Genova in casa Spinola - per la Spagna, inviato dal granduca su richiesta di Filippo IV; a corte era stata già apprezzata l'opera di un altro ingegnere fiorentino, Cosimo Lotti. Sono state pubblicate (Bacci, 1963) sue lettere del 1651, 1653 e 1655 al granduca, che raccontano dei costumi spagnoli e della sua attività di scenografo. Nel 1652 allestì La fiera, el rayo y la piedra e nel 1653 l'Andromeda y Perseo, entrambe di Calderón; della prima restano i disegni nella Biblioteca nazionale di Madrid, della seconda un copione di lusso, scritto, disegnato e musicato per il suocero del re, alla Harvard University, Houghton Library (Dearborn Massar, 1977).
Nel 1654 scrisse all'amico Biagio Marmi (guardaroba di Ferdinando II de' Medici) una scanzonata autobiografia, più volte pubblicata (Racconto della vita...), che si diffonde a lungo soprattutto sul giovanile periodo nordico e sul tardo periodo spagnolo (su cui si veda anche Shergold, 1967). Il 26 giugno 1657 il D. redasse un testamento (Agullo Cobi, 1981) prezioso per notizie sulla composizione familiare dell'artista, e tre giorni dopo, il 29 giugno 1657, morì nel palazzo del Retiro, a Madrid.
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