BALDOVINO
Era pisano di nascita, almeno secondo la tradizione, e, come cisterciense, fu in frequenti rapporti con san Bemardo, che diresse a lui alcune sue lettere. Secondo alcuni studiosi, questo B. è da identificarsi con l'omonino che venne nominato cardinale da Innocenzo II nel concilio di Clermont (novembre 1130), primo dei cardinali provenienti dall'Ordine cisterciense.
Nel 1137 succedette all'arcivescovo Uberto sulla cattedra episcopale pisana. San Bernardo ne accenna, con parole di elogio per lui, in una lettera ai monaci di Chiaravalle. In quello stesso anno B. fu inviato da Innocenzo II a Montecassino col compito di riportare all'obbedienza romana una parte dei monaci che si erano ribellati: "ut filium Petri Leonis cum suis sequacibus a monachis casinensibus refutari et anathematizari faceret... et Papae et eius successoribus obedientiam promitterent".
Nel luglio 1137 B. intervenne al dibattito, svoltosi alla presenza dell'imperatore Lotario II, sugli ordinamenti della vita monastica, dibattito che Pietro Diacono ebbe con alcuni cardinali, per conto del monastero di Montecassino. Ce lo racconta Pietro Diacono stesso nella sua Chronica (p. 822).
Il 22 apr. 1138 Innocenzo II scriveva a B. circa le discordie tra Pisani e Genovesi relative al dominio sulla Sardegna e sulla Corsica, conferendo, al tempo stesso, alla Chiesa di Pisa la primazia sul Turritano e sui vescovi di Populonia, di Galtelli e di Civita.
Il 16 nov. 1138 l'arcivescovo intervenne come arbitro nella controversia tra i canonici della cattedrale e l'abate di S. Rossore relativa ai diritti sulla selva del Tumulo (Tombolo). Secondo il Mattei, erudito pisano del sec. XVIII, l'arcivescovo sosteneva la causa dell'abate di S. Rossore poiché il documento addotto dai canonici gli pareva sospetto. Un decennio più tardi, e forse non a caso dopo la morte dell'arcivescovo (1147), i canonici otterranno la selva in donazione da Corrado III "salva tamen omni ratione et iustitia monasterii sancti Ruxorii". Ora al Mattei va obbiettato che nel 1138 la disputa non riguardava la selva di S. Rossore, bensì, come si è detto, si trattava del "tumulus" (Tombolo). Le due località, oggi nettamente distinte perché si trovano, la prima, immediatamente a nord dell'Arno dai dintorni di Pisa fin presso la sua foce, e la seconda ad una decina di chilometri a sud del corso del fiume, già nel sec. XII sembrano infatti chiaramente individuate con due nomi diversi. Inoltre dal documento del 1138 si può soltanto desumere che la questione fu rinviata, non già che fu decisa a favore dell'abate di S. Rossore.
Il 19 luglio 1139 la Chiesa pisana ottenne da Corrado III un privilegio di conferma delle sue proprietà nel contado; il privilegio fu emanato, come si dice nel documento, per esortazione di san Bernardo e del vescovo Ottone di Frisinga, fratello del sovrano. D'altra parte, i diritti della Chiesa stessa si erano accresciuti e perfezionati nell'anno precedente per la sentenza di restituzione di una metà dell'isola di Pianosa emanata in suo favore dal Comune di Pisa contro le pretese di Benetto del fu Ugo.
Sempre nel 1139 B. si recò probabilmente in Sardegna, in visita nella regione del Turritano, poiché compare tra i firmatari della "carta offersionis" con cui Ugo, vescovo di Ottana, concede a S. Salvatore di Camaldoli la chiesa di S. Pietro in Olim. L'interesse dell'arcivescovo per il Turritano è ben spiegabile in relazione ai diritti di primazia ricevuti, come si è detto, nel 1138, e rivendicati, anche nel secolo successivo, dagli arcivescovi pisani.
Negli anni tra il 1140 e il 1142 vediamo l'arcivescovo impegnato nella definizione di importanti controversie relative al contado e alla diocesi di Pisa: il 30 luglio 1140 in una vertenza col vescovo di Lucca per la giurisdizione sulla chiesa di S. Angelo di Travalda "in iudicio domini Gerardi sancte Crucis kardinalis". La questione venne, per il momento, differita, e non ci risulta in che modo si sia poi conclusa.
Il 18 nov. 1140 B. interveniva nella competizione legale vertente tra la pieve di Pugnano (località situata ai piedi delle colline nord-orientali di Pisa a una decina di chilometri dalla città) e il monastero cittadino di S. Paolo per la riscossione delle decime tra Pugnano e Ripafratta. Nel documento vien detto esplicitamente che la decima apparteneva in origine alla consorteria nobiliare dei da Ripafratta, risiedente appunto nelle vicinanze di Pugnano. Una sua parte (e probabilmente la maggiore) doveva esser passata, per lascito o per donazione, a questi due enti religiosi che se la disputavano. Un quarto di quella porzione veniva ora assegnato dall'arcivescovo alla pieve di Pugnano: "quartam portionem decimationis nobilium virorum de Ripafracta, que iure debetur clericis et baptismalibus ecclesiis"; il resto al monastero di S. Paolo. Un altro problema relativo a questo documento sta nella identificazione del monastero di S. Paolo, poiché due erano le chiese pisane dedicate al nome di questo santo: S. Paolo a Ripa d'Arno e S. Paolo all'Orto. Tuttavia possiamo presumere che si trattasse del primo dei due poiché nel sec. XII indubbiamente esso aveva una maggiore importanza, e poiché sappiamo che era stato confermato un diritto di decime appunto a questo monastero dal vescovo pisano Gerardo (1080-85) e poi da papa Eugenio III (7 febbr. 1147).
Il 19 ott. 1142 l'arcivescovo emanava una sentenza arbitrale in merito a una controversia esistente tra due Comuni rurali del territorio costiero a sud di Livorno: quelli di Vada e di Rosignano, a proposito del diritto di tagliar legna nella selva Asca, situata presso Vada. La decisione finale andava a vantaggio degli uomini di Rosignano.
Durante l'archiepiscopato di B. le proprietà della Chiesa pisana ebbero un notevole incremento. Lo si può desumere dalla frequenza delle donazioni, degli acquisti, dalle concessioni e dalle rinnovazioni dei livelli.
Nel 1145, recatosi in Sardegna come legato apostolico, B. scomunicò e destitui il giudice di Arborea, sostituendolo con quello di Torres. Morì il 6 ottobre di quello stesso anno. Secondo la tradizione cronistica, in una delle lotte svoltesi tra Pisani e Lucchesi tra il 1138 ed il 1143, B. era stato imprigionato dai Lucchesi allorché riuscirono a conquistare il "castrum Aghinolfum" (Montignoso) e poi era stato rilasciato.
Fonti e Bibl.: Petri Diaconi Chronica monasterii Casinensis,in Mon. Germ. historica, Scriptores, VII, Hannoverae 1846, p. 822; P. F. Kehr, Italia Pontificia, III, Berolini 1908, pp. 336, 354, 372; Regesto della Chiesa di Pisa,a cura di N. Caturegli, in Regesta Chartarum Italiae,n. 24, Roma 1938, nn. 365-367, 370, 372-386, 390, 392, 394-396, 400, 407; A. F. Mattei, Historia ecclesiae Pisanae, I, Lucae 1768, pp. 216-221; P. B. Gams, Series episcoporum,Ratisbonae 1873, p. 761. A proposito della selva del Tumulo, già concessa da Enrico IV ai canonici della cattedrale pisana, cfr. C. Violante, Appunti per la storia delle canoniche regolari in Pisa al tempo della riforma gregoriana,in Studi in onore di mons. C. Castiglioni,Milano 1957, p. 854.