Banca Centrale Europea
Nel giugno 1998 nasce la Banca Centrale Europea (BCE). Questo evento storico nelle relazioni economiche e politiche fra i paesi dell'Europa occidentale segna un passaggio fondamentale del processo di integrazione europea, avviato subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. Esso si inscrive compiutamente in quel metodo pragmatico, funzionalista, che ha caratterizzato fin dall'inizio la costruzione dell'unione europea e che è basato su iniziative limitate, mirate alla soluzione di specifici problemi. Nella visione dei funzionalisti, il successo delle singole iniziative diffonde i suoi effetti ad altri campi, interessando progressivamente maggiori aree di cooperazione. "L'Europa non si farà d'un tratto, né con una costruzione globale, essa si fa con delle realizzazioni concrete creando innanzitutto una solidarietà di fatto": così Robert Schuman definiva il funzionalismo (v. Mammarella e Cacace, 1999, p. 6) presentando, nel 1950, la proposta, ispirata da Jean Monnet (v., 1976, pp. 341 ss.), di costruzione della Comunità Europea per il Carbone e l'Acciaio (CECA), che segnò l'inizio del processo di integrazione europea.Limitando l'analisi degli sviluppi dell'unione europea agli aspetti più strettamente monetari, va rilevato che la cooperazione in questo particolare settore inizia relativamente tardi: è solo nel 1964 che nasce il Comitato dei Governatori delle banche centrali della CEE. In effetti, il sistema monetario internazionale uscito dalla conferenza di Bretton Woods del 1944 che legava, in un sistema di cambi fissi, tutte le monete al dollaro degli Stati Uniti e, per suo tramite, all'oro, garantiva un'adeguata stabilità e non giustificava l'esistenza di forme più strette di cooperazione monetaria a livello regionale. È solo quando quel sistema comincia a mostrare sintomi di debolezza e si intravedono i segni premonitori della sua crisi che i sei paesi fondatori della CEE avvertono l'esigenza di avviare forme di consultazione e di cooperazione nel settore delle politiche monetarie e di cambio. Un'area regionale che progrediva nella liberalizzazione degli scambi di merci, servizi e capitali doveva anche mirare ad avere politiche monetarie e di cambio coordinate e coerenti con gli obiettivi di lungo termine di piena integrazione economica, se non addirittura politica.
Nel 1970 i paesi della CEE compiono il primo tentativo di costituire un'unione monetaria e affidano al Primo ministro del Lussemburgo, Pierre Werner, il compito di redigere un rapporto che delinei contenuti e tempi di realizzazione di quell'unione. Nel 1972 alcuni paesi europei raggiungono un accordo per limitare le variazioni dei tassi di cambio delle rispettive monete: è l'accordo noto come 'serpente monetario'. La crisi petrolifera del 1973-1974, la lunga fase di turbolenza monetaria e valutaria che seguì, il definitivo abbandono del sistema monetario nato a Bretton Woods, determinarono l'archiviazione del progetto Werner.È solo nel 1978 che la cooperazione monetaria europea riprende slancio, per iniziativa dei governi francese e tedesco che propongono la costituzione del Sistema Monetario Europeo (SME), caratterizzato, in particolare, da un accordo di cambio che avrebbe dovuto limitare le oscillazioni di ciascuna moneta europea nei confronti delle altre. Nasce l'ECU (European Currency Unit): una moneta-paniere composta da quantità fisse delle valute dei paesi della Comunità. L'ECU è il precursore dell'euro. Lo SME prende avvio all'inizio del 1979; suo corollario è l'intensificazione del coordinamento delle politiche monetarie dei paesi partecipanti all'accordo (v. Masera, 1987; v. De Grauwe, 1992; tr. it., pp. 123 ss.).
Gli anni ottanta segnano un'accelerazione dei progetti di unione europea: nel 1986 viene firmato l'Atto unico europeo, che fissa al 1992 il completamento del mercato comune, la creazione cioè di un'area nella quale è libero il movimento delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone. La prospettiva del mercato unico fa emergere il problema, che è economico e politico insieme, della sua conciliazione con una pluralità di monete, strette fra loro da un accordo che ne limita l'oscillazione sui mercati dei cambi, e con politiche monetarie nazionali. È il problema del 'quartetto inconciliabile'. Il libero scambio, la mobilità dei capitali, i tassi di cambio fissi e l'autonomia nazionale nella conduzione della politica monetaria sono inconciliabili: "emergerà la contraddizione tra perfetta integrazione commerciale, completa mobilità dei capitali, ritorno ad un sistema di cambi fissi e l'autonomia, finora indiscussa, nella condotta delle politiche monetarie nazionali. Questa contraddizione è dimostrata dall'analisi economica e confermata dall'esperienza storica." (v. Padoa-Schioppa, 1992, p. 132).La decisione che si fa strada nei governi europei, sotto l'impulso del Presidente della Commissione europea, Jacques Delors, è di muovere verso un'unione economica e monetaria, caratterizzata da un'unica moneta e da un'unica politica monetaria. A Jacques Delors, nel 1988, il Consiglio europeo affida il compito di presiedere un Comitato, del quale fanno parte i governatori delle banche centrali dei 15 paesi membri della Comunità Europea, con l'incarico di elaborare un piano per il raggiungimento dell'unione economica e monetaria (v. Committee for the Study of Economic and Monetary Union, 1989). Punto centrale del rapporto del Comitato, noto come Rapporto Delors, era "l'idea che l'unione monetaria aveva bisogno di una base istituzionale forte, come quella che prevale a livello nazionale, e di una moneta unica: la Banca Centrale Europea e l'euro trovano entrambi la loro origine nel Rapporto Delors" (v. Papadia e Santini, 1999, p. 17).
Alla fine del 1989 viene convocata una conferenza intergovernativa, che sfocia nel Trattato di Maastricht, firmato nel 1992 ed entrato in vigore alla fine del 1993. Esso, per quanto riguarda il futuro assetto monetario dell'Europa, recepisce pressoché integralmente il disegno del Rapporto Delors.Il Trattato stabilisce che il cammino verso l'Unione Economica e Monetaria (UEM) sia scandito in tre tappe; cruciale è la seconda, che inizia nel 1994, durante la quale i paesi che aspirano ad entrare nell'area dell'euro, la moneta unica europea, devono completare un programma di 'convergenza' per rispettare i cosiddetti 'criteri di Maastricht'. Il Trattato prevede infatti che aderiscano all'euro solo quei paesi che abbiano raggiunto un adeguato grado di solidità e omogeneità economiche, identificate dal rispetto di alcuni criteri: un basso tasso di inflazione, tassi di interesse a lungo termine simili e relativamente bassi, una moneta stabile sul mercato dei cambi, finanze pubbliche sane ed equilibrate (v. Istituto Monetario Europeo, 1998).Nel gennaio 1994 inizia a operare l'Istituto Monetario Europeo (IME) previsto dal Trattato di Maastricht, al quale è affidato il duplice compito di rendere più stretta la cooperazione monetaria e di predisporre, sotto il profilo organizzativo, l'avvento della BCE. Nel maggio 1998, il Consiglio europeo decide il passaggio alla moneta unica, dal gennaio 1999, di 11 paesi (Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna; un dodicesimo paese, la Grecia, aderisce dal gennaio 2001); l'IME, terminato il suo mandato, viene posto in liquidazione e, in giugno, come s'è già detto, nasce la BCE. Questa, nella restante parte del 1998, porta a compimento la preparazione e, dal gennaio 1999, divenuto l'euro la moneta unica europea, assume la responsabilità della politica monetaria per i paesi partecipanti all'area dell'euro.
L'atto di nascita della BCE è l'art. 8 del Trattato che istituisce la Comunità Europea (la numerazione degli articoli è quella della versione consolidata del Trattato istitutivo e Atti modificativi; v. Pocar e Tamburini, 2000): "sono istituiti [...] un Sistema europeo di banche centrali [...] e una Banca centrale europea [...] che agiscono nei limiti dei poteri loro conferiti dal presente Trattato e dallo Statuto del SEBC e della BCE allegato al Trattato stesso".Il SEBC, che non ha personalità giuridica, è composto dalla BCE, di nuova istituzione, e dalle Banche Centrali Nazionali (BCN) dei 15 paesi membri dell'Unione Europea: la BCE, al pari delle BCN, ha personalità giuridica. Dal momento che non tutti i membri della UE hanno adottato l'euro come moneta unica, è stato coniato il termine 'Eurosistema' per identificare i membri del SEBC che fanno parte dell'area dell'euro.Lo Statuto prevede che la BCE abbia un capitale di 5 miliardi di euro (poco meno di 9.700 miliardi di lire); attualmente il capitale versato è di circa 4 miliardi di euro, poiché le BCN di alcuni paesi della UE, e fra questi il Regno Unito, che non hanno adottato l'euro come moneta, non fanno parte a pieno titolo della BCE. Il capitale della BCE è stato conferito dalle BCN, che assumono pertanto la caratteristica di 'azioniste'. La distribuzione del capitale fra le BCN è legata a una formula prevista dallo Statuto, basata sulla popolazione e sul prodotto interno lordo di ciascun paese. La quota maggiore è quella della Bundesbank, 31 per cento, seguita dalla Banque de France, 21 per cento e dalla Banca d'Italia, 19 per cento.
Sotto il profilo istituzionale e costituzionale, il SEBC costituisce un unicum nella storia delle relazioni fra paesi. Si è infatti creato un organismo con una struttura federale, al quale un gruppo di paesi sovrani ha devoluto la propria sovranità monetaria. "È la prima volta che Stati sovrani rinunciano alla sovranità monetaria spontaneamente e realizzano un'unione monetaria prima di una piena unione politica. [...] Evento nuovo per gli Stati, che avevano sempre considerato propria prerogativa il battere moneta" (v. Padoa-Schioppa, 1998, pp.17-18).
La tipicità del modello europeo, che fa convivere una gestione della moneta su base federale con sovranità nazionali distinte, pone l'interrogativo della solidità di questa costruzione. Ci si chiede, in particolare, se non sia troppo ardita una costruzione nella quale alcuni Stati mettono in comune la moneta, ma conservano il carattere nazionale delle politiche fiscali e di bilancio, senza avere un bilancio federale ragguardevole (il bilancio comunitario è davvero una frazione minimale dei bilanci degli Stati membri della UE).Il paradigma funzionalista potrebbe aver esaurito le sue potenzialità; dopo il passaggio alla moneta unica europea potrebbero non esserci più funzioni particolari, settoriali, da mettere in comune. Il passo successivo dovrebbe essere l'unione politica; per alcuni, la sua mancanza potrebbe rivelarsi, nel medio termine, esiziale per l'unione monetaria. Come ha scritto uno studioso con grande esperienza di questioni europee, "o l'UE rappresenta veramente un unicum, che rimarrà tale, o rappresenta invece una struttura politica ancora immatura che non sopravviverà al tempo e dovrà trasformarsi in una forma politica più consolidata" (v. Emerson, 1998; tr. it., p. 210). Né manca chi, più pessimista sul futuro della UE, vede nella moneta unica e nella politica monetaria unica gestita dalla BCE l'origine di conflitti di interesse fra i paesi aderenti all'euro così forti da causare la dissoluzione, anche violenta, dell'Unione stessa (v. Feldstein, 1997).
L'anomalia di un'unione monetaria non inserita in un'unione politica è tuttavia, nel caso dell'Europa, meno acuta di quanto possa apparire a prima vista. La sovranità degli Stati membri della UE è già stata trasferita in molti settori alle istituzioni comunitarie: decisioni anche di natura prettamente politica, sono ora divise tra i parlamenti e i governi nazionali, da un lato, e le istituzioni comunitarie, dall'altro.Si considerino i limiti che il Trattato e il successivo Patto di stabilità e crescita, che ha reso più severi i vincoli al bilancio pubblico fissati dal Trattato, pongono alle politiche di bilancio degli Stati membri e alla sorveglianza che su queste politiche è esercitata dalla Commissione europea e dal Consiglio europeo (v. Bini Smaghi, 1998, pp. 30 ss; v. Banca Centrale Europea, maggio 1999, pp. 47 ss). Il Patto di stabilità prevede che i paesi membri abbiano un bilancio pubblico in pareggio o anche, in condizioni cicliche favorevoli, in avanzo, guadagnando in tal modo margini di manovra per politiche fiscali e di bilancio anticicliche e, purtuttavia, rispettose del criterio di Maastricht, che pone un tetto del 3 per cento del PIL al disavanzo pubblico. È dibattuto se questi margini di manovra siano adeguati per rianimare economie che fossero entrate in recessione, tanto più che, come s'è visto, il bilancio comunitario è molto esiguo e non dispone delle risorse che potrebbero essere necessarie per svolgere questo ruolo. L'esperienza consentirà valutazioni più fondate e potrà suggerire eventuali correttivi.La legislazione comunitaria di attuazione del mercato unico ha introdotto nei paesi membri della UE un corpo di norme uniformi che permea tutta la vita economica dell'Unione: dal settore dell'intermediazione bancaria e finanziaria, alla politica della concorrenza, al commercio internazionale (v. Guarino, 1997).
Resta il fatto che l'Unione Europea non è una federazione o una confederazione di Stati; che un settore politico delicato come quello della sicurezza è ancora dominio nazionale; che è in vigore, in aree di rilievo come quella fiscale, la regola dell'unanimità delle decisioni; che il processo di integrazione ha seguito "un metodo che potremmo definire del dispotismo illuminato: procedure pienamente legittime, ma ancorate al metodo democratico solo dal vigere della democrazia entro gli Stati, non da un processo democratico europeo." (v. Padoa-Schioppa, 1998, p. 12).Il Trattato di Amsterdam del 1997 ha fatto registrare solo modesti avanzamenti verso una più stretta coesione politica in Europa. Gli obiettivi che la Conferenza intergovernativa che preparò quel Trattato si era prefissa di conseguire ("avvicinare di più l'Unione europea ai cittadini; rafforzare e allargare il campo di azione della politica estera e della sicurezza comune; assicurare il buon funzionamento delle istituzioni comunitarie rispettando l'equilibrio e rafforzando l'efficienza del processo decisionale"; v. Mammarella e Cacace, 1998, p. 270) restano tuttora non conseguiti. Essi sono presenti nell'agenda della Conferenza intergovernativa in corso nel 2000 e sono ancor più cruciali in vista dell'allargamento dell'Unione ai paesi dell'Europa centro-orientale; l'adesione di nuovi membri rende più urgente, cogente il rafforzamento dell'identità politica europea (v. Prodi, 1999, pp. 12 ss.).
Abbiamo già avuto modo di definire l'Eurosistema un sistema federale, con un organo centrale, la BCE, e organi periferici, le BCN dei paesi partecipanti all'area dell'euro. Una banca centrale con assetto federale non è nuova nell'esperienza moderna: è il modello della Germania e degli Stati Uniti. L'Eurosistema si differenzia da entrambi per la più spiccata caratteristica di decentramento operativo, che si associa all'accentramento decisionale, di cui esamineremo tra breve le ragioni e le procedure.Il decentramento operativo trova il suo fondamento normativo nell'art. 12.1 dello Statuto del SEBC, il quale prevede che "per quanto possibile e opportuno" la BCE "si avvale delle banche centrali nazionali per eseguire operazioni che rientrano nei compiti del SEBC".
A sua volta, lo Statuto è conforme all'art. 5 del Trattato che eleva il principio di sussidiarietà a criterio base per la distribuzione delle competenze fra i diversi livelli di responsabilità nell'Unione.
Il decentramento consente all'Eurosistema di trarre giovamento dal patrimonio di conoscenze, di esperienza acquisito dalle BCN nel corso della loro vita, e di continuare a utilizzare il loro ingente capitale fisico (immobili, attrezzature informatiche, stabilimenti per la stampa delle banconote) e umano (personale qualificato, esperto e motivato). Il modello federale in vigore in Germania prima dell'entrata in funzione dell'Eurosistema (forte accentramento decisionale e operativo) e quello in vigore negli Stati Uniti (accentramento decisionale e decentramento operativo essenzialmente presso una delle Banche della Riserva federale, quella di NewYork, a causa del predominante ruolo finanziario di quella piazza) non avrebbero potuto essere applicati in Europa dove non esiste, o comunque non è unanimemente riconosciuta come tale, una piazza finanziaria predominante, dove operano BCN con storie a volte secolari, fortemente radicate e rispettate nei rispettivi paesi.Il decentramento comporta che l'esecuzione delle operazioni di politica monetaria e del cambio, la gestione delle riserve ufficiali valutarie, l'organizzazione del sistema dei pagamenti (v. sotto) facciano capo di regola alle BCN. Le banche di ciascun paese mantengono i loro conti presso la propria BCN: su questi conti sono regolate le operazioni di politica monetaria e quelle interbancarie, con procedure che assicurano la tempestività e la sicurezza del regolamento. Una complessa ed evoluta rete informatica collega le BCN tra di loro e con la BCE, in modo da assicurare l'operatività transfrontaliera e un tempestivo flusso di informazioni sulle condizioni monetarie dell'area dell'euro, che a sua volta consente agli organi decisionali della BCE di predisporre gli opportuni interventi di gestione della politica monetaria.
Ci si interroga sull'efficienza di un sistema decentrato e complesso e sulla superiorità di un sistema più accentrato. Il modello scelto dall'Eurosistema per il suo avvio è compatibile con la struttura delle BCN, ed è il più intonato con la storia dei paesi membri e con lo stato del processo di integrazione europea. L'esperienza finora conseguita ha dimostrato la funzionalità delle procedure in vigore. Nel lungo termine, l'attuale modello potrà mutare e connotarsi con un grado più intenso di accentramento, se così suggerirà l'esperienza e, ancor più, l'eventuale evoluzione verso forme più strette di integrazione politica dell'Unione.Abbiamo parlato di accentramento decisionale: vediamone ora le ragioni e gli organi preposti.La politica monetaria in un'area nella quale circola la stessa moneta è una e indivisibile; non è quindi ipotizzabile una pluralità di centri decisionali. Nelle economie moderne, aperte ai rapporti commerciali e finanziari con il resto del mondo, l'efficacia della politica monetaria dipende, in misura ben più ampia che in passato, dalla credibilità della banca centrale e, quindi, dalla sua capacità di influenzare le aspettative: solo una banca centrale credibile convince gli agenti economici di essere in grado di controllare l'inflazione nel lungo termine. Sui mercati dei beni, della finanza, del lavoro, i prezzi e i salari sconteranno, nel loro evolversi, una aspettativa di permanente bassa inflazione. Dunque, per la politica monetaria, occorre un governo unico ed efficiente.
L'art. 8 dello Statuto stabilisce che "Il SEBC è governato dagli organi decisionali della BCE"; essi sono il Consiglio direttivo e il Comitato esecutivo (è altresì previsto un Consiglio generale del quale fanno parte anche le BCN dei paesi membri della UE non partecipanti all'area dell'euro; esso non ha responsabilità di politica monetaria, ma solo funzioni di consultazione e coordinamento).Il Consiglio direttivo è composto dai membri del Comitato esecutivo e dai Governatori delle BCN partecipanti all'area dell'euro. A sua volta il Comitato esecutivo è composto dal Presidente della BCE, dal Vicepresidente e da altri quattro componenti. I membri del Comitato esecutivo sono nominati dai governi dei paesi partecipanti, sentito il Parlamento europeo, per un periodo di otto anni; in occasione della prima nomina, la durata del mandato è stata scaglionata tra i quattro e gli otto anni, come previsto dallo Statuto, per meglio garantire, con rinnovi parziali, la continuità gestionale. I membri del Comitato esecutivo devono essere scelti "tra persone di riconosciuta levatura ed esperienza professionale nel settore monetario o bancario" (art. 11.2 dello Statuto). Essi esercitano le loro funzioni a tempo pieno.Il Trattato e lo Statuto prevedono garanzie a tutela dell'indipendenza (sulla quale torneremo in seguito) dei Governatori e dei membri del Comitato esecutivo. I Governatori, nominati con procedure nazionali, devono rimanere in carica per un periodo non inferiore a cinque anni. Il loro mandato, come pure quello dei componenti del Comitato esecutivo, non può essere revocato, tranne nel caso in cui "non soddisfano più le condizioni richieste per l'espletamento delle loro funzioni" o per "gravi mancanze". È ammesso, in caso di revoca, il ricorso alla Corte di giustizia.L'organo decisionale più importante della BCE è il Consiglio direttivo: a esso infatti fanno capo tutte le decisioni relative alla politica monetaria unica. È il Consiglio che definisce la strategia di politica monetaria ritenuta idonea al conseguimento del fine primario della stabilità dei prezzi (v. sotto); che decide il ricorso ai vari strumenti della politica monetaria; che fissa, in particolare, i tassi di interesse rilevanti per la politica monetaria.
Il Comitato esecutivo, oltre a essere responsabile della gestione ordinaria della BCE, esercita come primaria funzione quella di dare attuazione alle decisioni di politica monetaria del Consiglio direttivo, in stretto collegamento operativo con le BCN.Il Consiglio direttivo, di regola, prende le sue decisioni a maggioranza semplice; ogni membro è titolare di un voto. Si è inteso così sottolineare che i Governatori delle BCN non sono i rappresentanti dei paesi di provenienza, ma contribuiscono alle decisioni di politica monetaria guardando all'interesse dell'intera area dell'euro.
Il Trattato (art. 105) e lo Statuto (art. 2) assegnano al SEBC l'obiettivo principale del "mantenimento della stabilità dei prezzi"; fatto salvo questo obiettivo, il SEBC "sostiene le politiche economiche generali della Comunità al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi della Comunità definiti nell'art. 2 del Trattato". Questi ultimi obiettivi, a loro volta, riguardano, in particolare, la crescita equilibrata delle economie e dell'occupazione, nonché lo sviluppo di una società equa e solidale.La stabilità dei prezzi come obiettivo primario della banca centrale non implica tanto l'individuazione di una scala di priorità fra obiettivi, quanto l'assegnazione di ciascuno di essi alle politiche più idonee a conseguirli. In altre parole, la stabilità dei prezzi non è più importante della piena occupazione o dell'assistenza ai cittadini bisognosi o della tutela dell'ambiente; essa può però essere conseguita con gli strumenti propri della politica monetaria, mentre gli altri obiettivi, ugualmente importanti, sono affidati ad altre politiche (fiscale e di bilancio, della concorrenza e via dicendo).
Nell'assegnare alla politica monetaria l'obiettivo principale della stabilità dei prezzi, il Trattato ha recepito le conclusioni di importanti filoni di analisi economica, suffragati dalle esperienze e dalle verifiche empiriche, per i quali l'inflazione, nel medio termine, è essenzialmente un fenomeno monetario, quali che ne siano state le cause immediate; in quanto tale, essa è controllabile con la politica monetaria. Un aumento dei prezzi può originare da fattori esterni (ad esempio, un rialzo dei prezzi delle fonti energetiche) o interni (ad esempio, una variazione delle aliquote dell'IVA; aumenti dei salari eccedenti quello della produttività che possono spingere le imprese a tentare di ripristinare i margini di profitto con un rialzo dei listini). Tuttavia, quegli aumenti non si tradurranno in inflazione, cioè in un fenomeno di rialzo dei prezzi diffuso e prolungato, se una politica monetaria rigorosa e credibile controllerà l'espansione monetaria e influenzerà le aspettative degli operatori economici nella direzione della stabilità.
Nella visione del Consiglio direttivo della BCE, il mantenimento di prezzi stabili nel medio termine consente anche di offrire quel sostegno alle politiche economiche generali della Comunità, richiamato in precedenza. Infatti la stabilità dei prezzi crea "le condizioni in cui le altre politiche possono essere più efficaci"; diversamente "le aspettative inflazionistiche e i premi per il rischio crescerebbero, aumentando i tassi di interesse a più lungo termine ed elevando il costo degli investimenti necessari a produrre miglioramenti sostenibili e duraturi nel tenore di vita" (v. Banca Centrale Europea, gennaio 1999, p. 41).Nel perseguimento dei fini statutari, gli organi direttivi della BCE sono indipendenti. L'art. 108 del Trattato, ripreso dall'art. 7 dello Statuto, impegna la BCE, le BCN e i membri dei rispettivi organi decisionali a non "sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo".
Oltre che con la garanzia di indipendenza personale dei membri degli organi decisionali della BCE e delle BCN, il Trattato tutela l'autonomia della politica monetaria vietando alle stesse BCE e BCN di finanziare in qualunque forma (ad esempio con concessione di facilitazioni creditizie o con l'acquisto diretto, all'emissione, di titoli) istituzioni comunitarie e amministrazioni pubbliche, centrali o locali (art. 101). Il divieto di finanziamento dei disavanzi pubblici con mezzi monetari previene commistioni fra le politiche di bilancio e monetaria. Eventuali disavanzi pubblici dovranno essere coperti con ricorso al mercato finanziario, attingendo quindi al risparmio privato; le forze del mercato faranno all'occorrenza sentire la pressione del vincolo di bilancio anche all'operatore pubblico. La banca centrale sarà libera di regolare la quantità di moneta che affluisce all'economia in funzione dell'obiettivo della stabilità dei prezzi, senza i vincoli derivanti da pressioni o addirittura da obblighi di finanziamento del Tesoro. L'esperienza dei paesi caratterizzati da inflazione endemica mostra chiaramente il legame fra questa e la subordinazione della banca centrale al governo, che le impone di finanziare 'a rubinetto' il disavanzo pubblico.
L'indipendenza della banca centrale non riguarda i fini che, come si è visto, sono stati chiaramente definiti dal Trattato e dallo Statuto, bensì le modalità per conseguirli, cioè l'uso degli strumenti di politica monetaria. Nell'attuazione di questa politica "la discrezionalità rimane necessaria perché le conoscenze di cui si dispone sull'effetto della politica monetaria sull'economia non permettono di redigere un 'codice della politica monetaria' che, come un codice penale o civile, preveda in dettaglio i casi possibili e le regole che a essi si applicano" (v. Papadia e Santini, 1999, p. 32). La generalizzata attribuzione per legge alle banche centrali dell'obiettivo primario della stabilità dei prezzi e dell'indipendenza operativa per conseguirlo è fenomeno che si è affermato dagli anni settanta. Alla base di esso, troviamo gli sviluppi del pensiero economico che individua in modo convincente nella stabilità dei prezzi l'obiettivo primario della politica monetaria, e le esperienze inflazionistiche degli anni settanta e di parte del decennio successivo, che posero in atto "un meccanismo redistributivo gigantesco e interamente arbitrario in violazione di uno dei principi alla base delle democrazie, No taxation without representation. In una visione di legittimità democratica, quel principio investe l'istituto di emissione del diritto-dovere di farsi assertore delle ragioni della difesa monetaria" (v. Baffi, 1976, pp. 442-443). Se "la moneta è un bene pubblico, da regolare in funzione dell'interesse generale", è allora opportuno che il potere di creare moneta sia affidato "a uomini diversi da quelli che presiedono alla spesa pubblica; uomini che abbiano la possibilità di operare in autonomia, in vista di obiettivi di interesse generale" (v. Fazio, 1994, p. 71*).
Ha formato oggetto di dibattito la compatibilità con le regole della democrazia parlamentare dell'indipendenza di un organismo non eletto, al quale è affidata la responsabilità della politica monetaria. I sostenitori dell'incompatibilità rilevano nell'assetto istituzionale previsto dal Trattato per la BCE un deficit democratico, essendo la banca sottratta al vaglio politico del Parlamento, sede della sovranità popolare.L'esame del Trattato e dello Statuto consente di respingere queste critiche. All'origine della BCE vi è infatti un atto democratico, il Trattato, ratificato dai Parlamenti nazionali dei paesi membri; esso ha anche assegnato alla banca i suoi obiettivi, vincolandone in tal modo l'azione al loro conseguimento. La BCE non agisce in un vuoto interistituzionale: il Presidente del Consiglio dei ministri della Comunità e un membro della Commissione europea possono partecipare, pur senza diritto di voto, alle riunioni del Consiglio direttivo. Il Parlamento europeo, oltre a esprimere un parere sulle proposte di nomina dei componenti del Comitato esecutivo, riceve annualmente una relazione sulle attività del SEBC e sulla politica monetaria unica, sulla quale può avviare un dibattito generale; inoltre può convocare il Presidente della BCE nell'ambito della procedura delle audizioni. I conti delle banche centrali che compongono il SEBC sono regolarmente pubblicati; la BCE pubblica un Bollettino mensile che riporta l'analisi degli andamenti dell'economia dell'area dell'euro e spiega le ragioni alla base della politica monetaria effettivamente seguita.
La politica di trasparenza praticata dalla BCE, anche oltre le disposizioni dello Statuto, apre la Banca alle valutazioni dei parlamenti, europeo e nazionali, dei mezzi di comunicazione, degli studiosi, dei cittadini. In un mondo nel quale le aspettative svolgono un ruolo cruciale nel determinare i comportamenti degli agenti economici, la credibilità è il bene sommo del banchiere centrale; egli la conseguirà solo se il controllo ex post della sua azione da parte della società civile confermerà la correttezza dei suoi comportamenti e la loro idoneità a tutelare il bene pubblico 'valore della moneta'. 5. La strategia di politica monetaria.Abbiamo visto come il Trattato e lo Statuto si fondino sulle conclusioni alle quali sono pervenuti il pensiero economico e l'esperienza, per cui l'inflazione è un fenomeno essenzialmente monetario che, almeno nel medio periodo, non favorisce, anzi danneggia, il processo di sviluppo economico di un paese. Questa impostazione giustifica l'assegnazione alla banca centrale della stabilità dei prezzi come obiettivo primario e dell'autonomia operativa per conseguirlo.Il discorso sulla BCE deve quindi concludersi con l'esame delle strategie e degli strumenti che lo Statuto e, soprattutto, l'esperienza operativa delle banche centrali hanno individuato come i più efficaci per l'attuazione della strategia di politica monetaria scelta dal Consiglio direttivo.
Sul piano strategico, la conseguenza del pensiero monetarista è la fissazione di una regola che imponga alla banca centrale di far crescere la moneta a un determinato tasso annuo, che diventa in tal modo l'obiettivo intermedio della politica monetaria, ritenuto compatibile con la stabilità dei prezzi, obiettivo finale.Tuttavia "la fissazione di obiettivi intermedi quantitativi sotto specie di aggregati monetari e la stessa teoria monetaria appaiono oggi alquanto turbate dal dilagante fenomeno dell'innovazione finanziaria", in presenza del quale "non solo il controllo degli aggregati monetari, ma anche il loro significato diviene particolarmente incerto" (v. Arcelli, 2000, pp. 538-539). Sempre più, nell'analisi monetaria e nell'esperienza delle banche centrali, gli aggregati monetari rivestono un ruolo di variabile informativa, cioè di una variabile la cui evoluzione migliora la capacità delle autorità di politica monetaria di valutare l'esistenza di rischi inflazionistici.Sebbene numerose banche centrali che compongono il SEBC abbiano a lungo basato la loro politica monetaria sul controllo di un determinato aggregato monetario (fra queste la Banca d'Italia e la Bundesbank, la banca centrale della Repubblica federale di Germania, che, in Europa, ha anche conseguito i maggiori successi nel contenimento dell'inflazione), il Consiglio direttivo della BCE, nel definire la strategia per la politica monetaria dell'area dell'euro, non poteva non tener conto del diffondersi delle innovazioni finanziarie. In particolare, ha dovuto fronteggiare quella particolare innovazione rappresentata dalla confluenza di 11 monete nazionali nella moneta unica europea, l'euro. Che quella confluenza avrebbe prodotto mutamenti nel comportamento degli agenti economici era abbastanza prevedibile; ma la natura e l'intensità di quei mutamenti erano incerti, mancando ogni esperienza.
L'approccio seguito è stato pertanto improntato a un ragionevole pragmatismo, e si è concretato in due modi. Per la crescita dell'aggregato monetario prescelto (ne vedremo tra breve la composizione) si è individuato un 'valore di riferimento', piuttosto che un tasso di crescita che avrebbe potuto far pensare alla fissazione di una regola stretta e vincolante. In secondo luogo, accanto all'osservazione e al controllo di un aggregato monetario, si è introdotta una valutazione, basata su una pluralità di indicatori, delle prospettive dell'andamento dei prezzi nell'area dell'euro. Ne è derivata una strategia di politica monetaria basata su 'due pilastri' (v. Banca Centrale Europea, gennaio 1999, pp. 39 ss.). Essi inglobano, con opportuna flessibilità, gli elementi costitutivi delle due strategie di politica monetaria più utilizzate nell'esperienza delle banche centrali: il monetary targeting e l'inflation targeting. La prima strategia, come s'è detto, "si basa sull'annuncio [...] di un tasso di crescita per l'aggregato monetario considerato rilevante [...] non appena la quantità di moneta si discosta dal sentiero di crescita previsto, la banca centrale interviene"; l'inflation targeting "identifica invece una strategia basata sull'annuncio della banca centrale di un profilo desiderato per l'inflazione futura. In questo caso la banca centrale decide i suoi interventi correttivi sulla base degli scostamenti dell'inflazione effettiva da quella programmata" (v. Pifferi e Porta, 1999, p. 56).La politica monetaria della BCE reagisce cioè alle informazioni fornite sia dall'andamento dell'aggregato monetario, scelto come obiettivo intermedio, sia da una serie di indicatori dell'inflazione futura: se queste informazioni convincono il Consiglio direttivo che la stabilità dei prezzi è, in prospettiva, in pericolo, esso reagisce rendendo più restrittiva la politica monetaria (v. Banca Centrale Europea, luglio 2000, pp. 41 ss).
Al momento dell'avvio della politica monetaria unica, il Consiglio direttivo della BCE ha scelto, come aggregato monetario da controllare, il primo dei "due pilastri", la M3, per la quale ha previsto come 'valore di riferimento' un tasso annuo di crescita del 4,5 per cento. L'aggregato M3 comprende il circolante e le passività bancarie con scadenza fino a due anni: la sua relativa ampiezza è motivata dalla maggiore stabilità, mentre la crescita del 4,5 per cento è coerente con uno sviluppo in termini reali dell'economia dell'area dell'euro intorno a un tasso del 2,5-3 per cento, senza che si generino tensioni inflazionistiche (v. Banca Centrale Europea, febbraio 1999). Il secondo pilastro su cui si basa la politica monetaria nell'area dell'euro trae significato dalla definizione che il Consiglio della BCE ha dato della stabilità dei prezzi. Essa va valutata in termini di un tasso annuo di aumento dei prezzi al consumo inferiore al 2 per cento; quel tasso va conseguito nel medio periodo: scostamenti dal 2 per cento possono non comportare reazioni di politica monetaria se ritenuti accidentali e temporanei. 6. Le operazioni; le funzioni di vigilanza.I due pilastri sui quali si fonda la strategia di politica monetaria servono "come base per le decisioni sui tassi di interesse volte a mantenere la stabilità dei prezzi nel medio periodo" (v. Banca Centrale Europea, gennaio 1999, p. 49). La manovra delle operazioni di finanziamento al sistema bancario e il tasso di interesse su queste operazioni costituiscono lo strumento a disposizione della banca centrale per guidare la moneta e i prezzi sul sentiero di crescita desiderato. Prima di esaminarli in dettaglio, occorre ricordare che gli strumenti della politica monetaria possono cambiare, e in effetti sono cambiati, nel corso del tempo: alcuni possono perdere rilievo o essere del tutto abbandonati, altri diventare importanti. Le banche centrali operano attraverso i mercati monetari e finanziari, e hanno, come controparti, gli intermediari creditizi: la loro operatività non può non essere influenzata dalle mutazioni, dalle innovazioni che si affermano sui mercati e che scaturiscono dall'evolversi dei rapporti fra agenti economici. Le stesse banche centrali contribuiscono con le loro azioni alle innovazioni dei mercati.
La BCE ha previsto per l'operatività del sistema due tassi guida, che delimitano un 'corridoio' all'interno del quale si situano i tassi di interesse a breve termine che si formano sul mercato interbancario. Questi tassi si applicano alle operazioni compiute per iniziativa delle banche. Il tasso più alto è quello sulle operazioni di 'rifinanziamento marginale', cioè sul credito overnight che le banche centrali dell'Eurosistema sono tenute a concedere, dietro adeguate garanzie, alle aziende di credito che abbiano carenza di mezzi liquidi.
Se la carenza di liquidità è estesa all'intero sistema e persistente, i tassi di mercato saliranno, ma si arresteranno al tasso al quale è possibile rifinanziarsi presso l'Eurosistema. Per converso, se la liquidità è abbondante, i tassi di mercato scenderanno, ma si arresteranno al tasso al quale l'Eurosistema è disposto a remunerare i depositi costituiti dalle aziende di credito presso le BCN. Il tasso sulla facilitazione di deposito delimita pertanto la parte bassa del corridoio.Il tasso di interesse a breve termine si forma sul mercato interbancario e oscilla all'interno del corridoio; dalla sua collocazione gli operatori di mercato possono trarre indicazioni circa le intenzioni di politica monetaria del Consiglio direttivo. Un suo movimento verso l'alto potrebbe essere interpretato come il preannuncio di una restrizione monetaria e viceversa. È quindi importante che una banca centrale disponga degli strumenti operativi per garantire una sostanziale stabilità del tasso di mercato intorno al valore desiderato. La variazione dei tassi guida e, quindi, lo spostamento verso l'alto o verso il basso del corridoio, segnalano in modo inequivocabile una modifica della linea di politica monetaria: nel senso della restrizione, nel primo caso, dell'allentamento, nel secondo.Per mantenere il tasso di interesse di mercato nella posizione desiderata all'interno del corridoio, la BCE si avvale delle operazioni di mercato aperto e della riserva obbligatoria.
Con le operazioni di mercato aperto, la banca centrale acquista o vende titoli contro disponibilità liquide sul mercato finanziario in contropartita con le banche; essa cioè regola la quantità di liquidità disponibile in misura coerente con il tasso di interesse desiderato. L'Eurosistema è in grado di effettuare una vasta gamma di operazioni di mercato aperto: a titolo provvisorio o definitivo, a tasso fisso o variabile, contro titoli o contro valute estere. L'ampiezza delle tipologie consente di scegliere la forma tecnica più confacente alle condizioni di mercato e ai segnali che la BCE intende inviare al mercato (per un esame delle caratteristiche tecniche di queste operazioni, v. Pifferi e Porta, 1999, pp. 4-5).
La riserva obbligatoria consiste in un deposito che ciascuna azienda di credito è tenuta a costituire presso la propria banca centrale; all'avvio della politica monetaria unica, il Consiglio direttivo ha fissato il deposito al 2 per cento della raccolta. Le banche sono tenute al rispetto dell'obbligo di riserva nella media del mese: ne segue che, in un determinato giorno, una banca a corto di liquidità può attingere alla propria riserva obbligatoria, provvedendo a compensare questo prelievo, nell'ambito del mese di riferimento, in un giorno successivo, caratterizzato da abbondanza di liquidità. Il deposito di riserva funge in tal modo da cuscinetto, contribuendo a smussare le pressioni della domanda e dell'offerta di fondi liquidi sul mercato interbancario, e attenuando per tale via l'erraticità del tasso di interesse a brevissimo termine.Oltre che sui mercati monetario e finanziario dell'euro, l'Eurosistema può operare su quelli esteri e dei cambi. La BCE e le BCN dispongono di ampie riserve valutarie, denominate soprattutto in dollari e, in minor misura, in yen: la loro gestione comporta un'intensa operatività sui mercati esteri e internazionali (v. Banca Centrale Europea, Rapporto annuale, 1999, p. 57).
Le riserve valutarie costituiscono di regola una posta attiva particolarmente importante del bilancio di una banca centrale. Esse sono accumulate quando, in presenza di un avanzo della bilancia dei pagamenti, un paese desideri contenere l'apprezzamento della moneta nazionale; sono invece spese, in condizioni sfavorevoli della bilancia dei pagamenti, per contenere il deprezzamento della moneta nazionale. Quantunque la liberalizzazione dei movimenti di capitali e l'enorme sviluppo dei flussi internazionali di fondi che ne è seguito abbiano diffuso nel mondo un sistema di cambi fluttuanti, che comporta un minor ricorso alle riserve valutarie, nondimeno resta la possibilità di effettuare interventi sui mercati dei cambi, più efficaci se concertati fra una pluralità di paesi. In ogni caso, le riserve valutarie conferiscono forza e credibilità alla banca centrale che le detiene e, quindi, alla moneta che essa emette.Nell'Unione Europea la politica del cambio, quale emerge dall'art. 111 del Trattato, è responsabilità congiunta del Consiglio europeo e della BCE. Spetta al Consiglio europeo, cioè ai governi, concludere eventuali accordi di cambio fra euro e monete terze o, in assenza di intese formali, formulare eventuali orientamenti generali di politica del cambio nei confronti di queste valute. La gestione degli accordi di cambio o degli orientamenti generali compete alla BCE, le cui azioni devono però essere coerenti con l'obiettivo della stabilità dei prezzi. Si può così ritenere che la BCE non effettuerebbe, ad esempio, acquisto di dollari contro euro sul mercato dei cambi, se ritenesse che l'indebolimento della moneta europea che ne deriverebbe sarebbe tale da compromettere la stabilità dei prezzi.
La fitta rete di operazioni fra banche centrali facenti parte dell'Eurosistema e aziende di credito richiede l'esistenza di un efficiente sistema dei pagamenti, che "può essere definito come l'insieme degli strumenti, delle procedure, degli operatori, delle infrastrutture, delle norme che concorrono ad assicurare il trasferimento della moneta tra operatori economici" (v. Brizzi e altri, 1998, p. 9). Il sistema dei pagamenti è efficiente quando i trasferimenti monetari che esso consente avvengono con rapidità e sicurezza. La sua importanza, non solo per le transazioni collegate alle operazioni di politica monetaria, ma, più in generale, per la miriade di transazioni monetarie, di piccolo e di grande importo, che connotano le economie moderne, giustifica l'assegnazione da parte dello Statuto (art. 3) al SEBC del compito di "promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento". Lo stesso SEBC ha sviluppato un sistema, identificato dall'acronimo TARGET, che ha in primo luogo il compito di "facilitare l'integrazione del mercato monetario in euro, al fine di consentire la regolare conduzione della politica monetaria unica" (v. Banca Centrale Europea, Rapporto annuale, 1999, p. 59).L'autorizzazione all'emissione delle banconote in euro, dal gennaio 2002, è, in base allo Statuto, diritto esclusivo del Consiglio direttivo della BCE. Le banconote possono essere emesse sia dalla BCE sia dalle BCN; esse costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell'Unione. Gli Stati membri coniano le monete metalliche, peraltro nei limiti fissati dalla BCE, che, in questo modo, garantisce che il volume e il valore delle monete coniate siano funzione delle esigenze di correntezza dei piccoli pagamenti e non configurino una forma impropria di finanziamento del Tesoro (v. Bini Smaghi, 1998; v. Mori, 2000).
L'attribuzione delle responsabilità di vigilanza sul sistema bancario e, più in generale, su quello finanziario, varia da paese a paese: in alcuni, il legislatore nazionale ha scelto la banca centrale, in altri, un'agenzia pubblica specializzata, in altri ancora, ha definito un assetto con responsabilità congiunte. L'istituzione del SEBC non ha modificato gli assetti esistenti in ciascun paese; le responsabilità di vigilanza restano affidate alle autorità nazionali competenti.Il Trattato (art. 105.5) e lo Statuto (art. 3.3) hanno soltanto stabilito che "il SEBC contribuisce ad una buona conduzione delle politiche perseguite dalle competenti autorità per quanto riguarda la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e la stabilità del sistema finanziario". Il Trattato ha inoltre previsto (art. 105.6) la possibilità che il Consiglio europeo, deliberando all'unanimità, affidi alla BCE compiti specifici in materia di "vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle altre istituzioni finanziarie, escluse le imprese d'assicurazione".L'interesse del SEBC per un'efficiente ed efficace vigilanza sugli enti creditizi nasce in primo luogo dal ruolo primario che le banche hanno nella trasmissione alle economie degli impulsi di politica monetaria che promanano dalla banca centrale. Coerentemente, l'art. 25 dello Statuto prevede che la BCE possa, di sua iniziativa o su richiesta delle competenti autorità comunitarie o nazionali, fornire pareri sulla legislazione comunitaria concernente la vigilanza sulle banche e la stabilità del sistema finanziario.
È stato costituito un Comitato per la vigilanza bancaria che assiste il SEBC nelle sue esigenze conoscitive e per le sue funzioni consultive. Esso costituisce una sede importante per lo sviluppo della cooperazione fra autorità nazionali di vigilanza, il cui rilievo è accresciuto dal passaggio alla moneta unica, dalla crescente diffusione dell'operatività delle maggiori banche in vari paesi dell'area, dai fenomeni di integrazione fra banche di diversi paesi, con la prospettiva di costituzione di grandi gruppi bancari multinazionali (v. Banca Centrale Europea, Rapporto Annuale, 1999, capitolo VI).Resta da dire che il passaggio delle responsabilità della politica monetaria dall'ambito nazionale a quello sovranazionale non ha affievolito la ragion d'essere delle Banche Centrali Nazionali. Queste, come si è visto, mantengono piena operatività nel settore della politica monetaria e del cambio e in quello della gestione delle riserve valutarie; conservano i loro centri di studio e di analisi economica, al servizio in primo luogo del contributo che il rispettivo governatore è chiamato a dare alla politica monetaria unica. Le BCN, sotto la loro responsabilità, possono svolgere, in base all'art. 14.4 dello Statuto, funzioni diverse, purché non incompatibili, da quelle previste per il SEBC: tra queste, per molte banche centrali, inclusa la Banca d'Italia (v. Santini e Zamboni Garavelli, 1999, pp. 893 ss.), preminenti sono quelle connesse con la vigilanza prudenziale sugli enti creditizi, sugli intermediari non bancari, sui mercati.
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