BANCA E SISTEMA BANCARIO
di Tancredi Bianchi
Un sistema bancario è organizzato istituzionalmente se la legge disciplina in modo specifico l'attività creditizia. Infatti le esperienze di autoregolamentazione dell'attività bancaria non sono rassicuranti per la stabilità e l'efficienza dei sistemi.L'intervento del legislatore è necessario soprattutto per due motivi: 1) i debiti delle banche servono - allorché circolano per effetto dell'emissione di assegni o di ordini di bonifico e di trasferimento di fondi - come mezzo per regolare gli scambi, ossia come moneta; 2) proprio a cagione della funzione monetaria dei debiti bancari, il sistema creditizio è importante e insostituibile organo di trasmissione della politica monetaria dello Stato.Gli ordinamenti legislativi che disciplinano l'attività creditizia si articolano in divieti, obblighi e limitazioni. Tutti e tre questi tipi di vincoli sono stati suggeriti dall'esperienza, ossia dall'aver osservato il rischio insito in talune operazioni.I divieti concernono l'impossibilità di operare in merci e in beni particolari, ma anche la ricercata separazione fra credito monetario e credito mobiliare, fra credito ordinario e credito speciale. La discussione sulla specializzazione dell'attività bancaria e l'organizzazione del sistema in banche universali è, peraltro, sempre aperta. Gli obblighi riguardano la scelta vincolata di taluni attivi. L'esempio più tipico è rappresentato dalla riserva bancaria obbligatoria (in Italia proporzionata all'ammontare dei depositi al netto dei fondi patrimoniali). Altri obblighi concernono l'acquisto di titoli del debito pubblico o di altri emittenti pubblici o parapubblici. Le limitazioni si riferiscono alle proporzioni minime o massime (soglie) dei valori attivi e passivi (ratios patrimoniali). Sovente il valore base di riferimento è il patrimonio di diretta pertinenza.
La normativa italiana che disciplina l'attività bancaria si compendia nella cosiddetta legge bancaria (r.d.l. n. 375 del 12 marzo 1936, convertito nella legge n. 141 del 7 marzo 1938 e successive modificazioni). Il principio ispiratore di tale normativa è la distinzione fra le aziende di credito, esercenti il credito ordinario, o commerciale, o a breve termine, e gli istituti speciali, prevalentemente operanti nel medio e lungo termine.Le aziende di credito sono autorizzate alla raccolta di depositi monetari, rimborsabili a vista o dopo brevissimo preavviso, ovvero vincolati per scadenze non superiori, fino al 1988, ai 18 mesi. A partire dal 1988 è stata autorizzata la raccolta, entro certi confini, di depositi vincolati fino a 5 anni, operata mediante l'emissione di speciali titoli di credito (certificati di deposito). I prestiti concessi dalle aziende di credito, se a scadenza fissa, non hanno maturazione oltre i 18 mesi. È tuttavia prevalente la concessione di aperture di credito a scadenza indeterminata, con durata fino alla revoca. A partire dal 1972 è stata concessa alle aziende di credito una limitata operatività a medio termine. L'adesione dell'Italia al mercato unico europeo, in cui predomina la banca di tipo universale, secondo il modello già prevalente nella Germania Occidentale, dovrebbe ampliare i confini dell'operatività delle aziende di credito oltre il breve termine.In ogni sistema bancario si riscontra una specializzazione funzionale delle aziende di credito, che si distinguono in banche commerciali, banche popolari cooperative, casse di risparmio e, nell'esperienza europea, casse rurali e artigiane.Il nostro legislatore del 1936 trovò in Italia una struttura più complessa, derivante anche dall'unificazione degli istituti di emissione. Il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia furono qualificati istituti di credito di diritto pubblico, insieme con l'Istituto Bancario San Paolo di Torino, il Monte dei Paschi di Siena, la Banca Nazionale del Lavoro e il Banco di Sardegna.
I salvataggi bancari degli anni venti e dell'inizio degli anni trenta determinarono, poi, la categoria delle banche di interesse nazionale (Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano e Banco di Roma) con il trasferimento del pacchetto di assoluta maggioranza all'IRI. Benché costituite nella forma di società per azioni, le tre banche di interesse nazionale sono distinte, nell'ordinamento, dalle altre società per azioni, qualificate come aziende ordinarie di credito.
Per alcune caratteristiche funzionali e istituzionali si distingue poi fra banche popolari cooperative, casse di risparmio e casse rurali e artigiane.Il soggetto giuridico pubblico (istituti di credito di diritto pubblico, casse di risparmio, banche di interesse nazionale) ovvero la forma cooperativa (banche popolari e casse rurali) fanno sì che il sistema italiano sia prevalentemente immutabile nella struttura. Soltanto le aziende ordinarie di credito possono essere acquistate da qualsiasi banca di un'altra categoria: negli altri casi i mutamenti possono avvenire solo all'interno della medesima categoria.
Questa situazione di relativo immobilismo strutturale può modificarsi solo trasformando in società per azioni le banche controllate dalla mano pubblica.
Gli istituti speciali di credito esercitano l'attività nel campo del medio e lungo termine in settori specialistici come l'edilizia e le costruzioni, l'agricoltura, la pesca, l'industria cinematografica, ecc. Essi non raccolgono depositi dalla clientela, ma emettono obbligazioni o si indebitano su conti aperti da aziende di credito, che non di rado hanno significative partecipazioni in questi istituti.L'attività di credito mobiliare, concernente soprattutto il mercato primario delle nuove emissioni, fa largo riferimento alle aziende di credito, che però hanno importanti limitazioni quanto alla detenzione di partecipazioni azionarie in enti non bancari o con operatività non funzionali con quella bancaria.Il controllo dell'attività creditizia fa capo alla Vigilanza presso la banca centrale. Secondo orientamenti recenti, che si ricollegano alle esperienze di altri paesi europei, la vigilanza si articola in modo prudenziale, proporzionando il patrimonio netto ai rischi delle varie classi di attivi. Il sistema si differenzierebbe così al suo interno, pur rimanendo unitario, in rapporto al diverso grado di patrimonializzazione di ogni singola azienda di credito. La vigilanza di tipo prudenziale è coerente con la banca di tipo universale.
La coesione del sistema bancario dipende, da un lato, dall'interesse al controllo del sistema dei pagamenti, favorendo al massimo la funzione monetaria dei debiti bancari, come vedremo anche in seguito; dall'altro, dipende da una normativa che sia oggettivamente uguale per tutte le componenti del sistema medesimo. La normativa italiana contiene però alcune condizioni vantaggiose per il movimento cooperativistico (banche popolari e casse rurali) e per le casse di risparmio.I sistemi bancari riescono ad accrescere il loro peso nel sistema dei pagamenti se possono garantire il buon fine dei depositi, e a questo scopo sussistono accordi volontari di solidarietà per l'assicurazione dei depositi e la tutela dei depositanti. In Italia è stato all'uopo costituito, nel 1987, il fondo interbancario di tutela dei depositi.L'espansione territoriale delle banche non di rado non è libera: in tal caso le autorità agiscono sulla struttura del sistema. Gli orientamenti più recenti sono, però, per la libertà di insediamento delle banche, anche per favorire la concorrenza nell'ambito del sistema.Essendo un organo di trasmissione della politica monetaria, il sistema bancario dovrebbe essere stabile e perciò ci si chiede se la concorrenza non possa nuocere alla stabilità. L'esperienza dimostra che la concorrenza, saviamente contenuta entro una cornice di norme di vigilanza prudenziale, stimola la ricerca dell'efficienza e della produttività, il che è coerente con il fine della stabilità.
Secondo una definizione, ormai classica ma puntuale, la banca è quell'azienda i cui debiti sono usati per estinguere obbligazioni monetarie di dare, e cioè sono usati come moneta. Solo i debiti degli istituti di emissione, rappresentati dalla circolazione di biglietti a corso legale, sono moneta a potere liberatorio in senso proprio; i debiti delle altre banche sono però comunemente accettati in pagamento e giudicati del tutto assimilabili al contante, ossia ai biglietti.Gli intermediari creditizi e finanziari i cui debiti non possono estinguere obbligazioni, come mezzi normali di pagamento, non possono, a rigore, essere classificati come banche.
L'intervento della banca nel regolamento degli scambi commerciali, riguardanti sia merci sia titoli di credito, e in generale nell'estinzione di qualsivoglia obbligazione monetaria di dare, costituisce una funzione fondamentale di un'azienda di credito moderna. Nel sistema dei pagamenti le banche hanno un ruolo centrale. La condizione che è a fondamento della funzione monetaria dei debiti bancari è la pronta convertibilità dei medesimi in moneta a corso legale. In un sistema di relazioni commerciali e finanziarie internazionali, con libera circolazione dei capitali, la pronta convertibilità deve essere in più specie monetarie. La banca è quindi anche definita come l'azienda disposta a pagare i propri debiti nella specie monetaria gradita dal cliente.
Uno strumento di pagamento è comunemente accettato se ha ampia e vasta circolazione. Ciò è certo assicurato ai biglietti a corso legale, emessi dall'istituto di emissione, che è anche, negli ordinamenti moderni, la banca centrale o banca delle banche. Il potere liberatorio dei biglietti è la condizione necessaria e sufficiente per l'ampiezza e la vastità della loro circolazione, ma non può essere così per i debiti di una singola banca. La funzione monetaria di tali debiti potrebbe perciò essere di per sé immiserita, giacché essi avrebbero circolazione solo, o quasi, fra i clienti della banca data.
Siccome non si può pensare di risolvere il problema avendo un solo istituto di emissione, o banca centrale, e una sola banca, con debiti prontamente convertibili in biglietti, diventa necessaria l'intesa fra banche volta a promuovere la circolazione e la negoziazione dei debiti di ognuna. L'esplicarsi della funzione monetaria dei debiti bancari è la prima sollecitazione al costituirsi delle banche in sistema.
Uno strumento di pagamento si concreta in un titolo che contiene o la promessa dell'emittente di pagare o l'ordine dell'emittente a un trassato di pagare.
Il biglietto di banca annota una specifica promessa: "pagabile a vista al portatore". Di fatto, nel mondo moderno essa non è suscettibile di essere mantenuta, giacché i biglietti circolano a corso forzoso e quindi non possono essere convertiti in moneta merce, tipicamente in oro, secondo la promessa scritta sul loro recto.
I debiti delle banche non di emissione circolano, invece, quasi sempre perché viene emesso un ordine di pagare sulle banche medesime. La forma tipica di tale ordine si estrinseca nello chèque o assegno bancario, o anche nella disposizione di bonifico, ossia di trasferire una data disponibilità da un titolare a un altro beneficiario, cliente o no della banca trassata.
Talora l'ordine si concreta mediante l'emissione, da parte della banca, di una promessa di pagamento, nella forma dell'assegno circolare.Tuttavia, assegni bancari e giroconti per bonifici sono di gran lunga i mezzi di circolazione più comuni dei debiti bancari.
Si è detto che le banche hanno un diretto interesse a che i loro debiti, posti in circolazione nei modi sopra indicati, possano circolare al di fuori della propria specifica clientela: il beneficiario di una disposizione di pagamento su una banca (assegno bancario o ordine di bonifico) può essere cliente di un'altra banca e perciò giudica di primaria importanza la negoziabilità, presso la propria banca, del titolo di credito ottenuto. In altre parole, e limitando l'esemplificazione agli assegni bancari, è importante che il beneficiario originario, o l'ultimo giratario, di tali titoli possa negoziarli per il cambio in altra specie monetaria, e ciò avviene per norma nella forma di versamento su un proprio conto, presso un qualsiasi sportello bancario, della banca trassata o no. Ciò in virtù di quelle intese fra banche che sono a fondamento di un sistema bancario.
Dunque, la banca A riceverà ogni giorno, in versamento sui propri conti, assegni tratti sulle banche B, C,...N; la banca B assegni tratti sulle banche A, C,...N; la banca C assegni tratti sulle banche A, B,...N; e così via. Il pagamento finale di tali titoli di credito può essere fatto solo dalla banca trassata. Le banche che hanno negoziato assegni emessi su altre aziende di credito dovranno perciò farli pervenire a quelle. Ogni giorno, o anche due o più volte in un giorno, si dà perciò luogo alla compensazione: la banca A dà alle banche B, C,...N gli assegni emessi su di esse, ricevuti in versamento (o per il cambio) da propri clienti, e viceversa riceve dalle banche B, C,...N gli assegni emessi su di essa e versati o negoziati presso quelle. Ovviamente la compensazione non è, se non in rarissimi casi, a pareggio. Il saldo di compensazione vedrà debitrice (o creditrice) una banca nei confronti di un'altra, o di altre, e dovrebbe per norma essere regolato in contanti, con un ordine di bonifico sull'istituto di emissione. La compensazione è anche accentrata: si parla, infatti, di accordi di stanza di compensazione.
Già da quanto è stato fin qui detto in via esemplificativa, appare evidente che le banche aderenti agli accordi di stanza di compensazione debbono disporre o di contanti o di saldi disponibili presso l'istituto di emissione. In caso contrario il saldo di compensazione è regolato fuori stanza, mediante addebitamento e accreditamento su conti bancari reciproci, detti conti interbancari o intercreditizi. La compensazione, fondamento dell'ampia circolazione dei debiti bancari, è pure alla base dell'affermarsi del sistema bancario.La proiezione territoriale operativa di ogni banca è, sia pure con vario grado, delimitata. Essa non coincide con l'ambito dei flussi dei pagamenti e delle riscossioni della clientela di quella medesima zona territoriale. Ciò è appunto all'origine di intese di stanza di compensazione e del formarsi di accordi di conti interbancari. Se però dalle intese ricordate emergessero posizioni sistematicamente creditorie (o debitorie) di alcune banche, si avrebbe l'indicazione di una struttura del sistema creditizio che rifletterebbe squilibri territoriali dell'economia reale o politiche monetarie troppo influenti sulla dinamica delle quantità economiche tipiche delle aziende di credito.
Una professione ha sempre vari modi per avvalorare la propria immagine e credibilità: può prevedere regole di comportamento, che presuppongano possibilità di controlli, sanzioni in caso di inosservanza e solidarietà nei confronti dei terzi per i danni derivanti dall'inadeguatezza o dal non rispetto delle regole stesse. Tutto ciò è solo in parte applicabile nell'ambito di una comunità bancaria. Ne deriva che la stabilità di un sistema dipende: a) dall'osservanza delle regole imposte; b) dall'intervento della pubblica amministrazione nell'ipotesi di danni ai terzi ricollegabili all'inadeguatezza delle regole, al non puntuale controllo della loro applicazione, alla particolare gravità di fatti e circostanze occorsi; c) dalla solidarietà nell'ambito del sistema quando i danni non possano ricondursi ai motivi sub b).
Le norme di buona gestione presuppongono dettami di tipo prudenziale in ordine alla liquidità (impegno di pagare i debiti nella specie monetaria gradita dal beneficiario) e alla solvibilità (permanenza di condizioni di equilibrio economico e patrimoniale). L'esperienza internazionale non ha per ora saputo indicare norme prudenziali di gestione diverse dai divieti di compiere talune operazioni, dagli obblighi di eseguirne altre, dalla specificazione di limitazioni o soglie per talune operazioni in rapporto ad altre, per cui si definiscono rapporti (ratios) fra grandezze patrimoniali, che spesso trovano un altro riferimento nell'adeguatezza dei capitali propri della data banca.
I divieti debbono essere uguali per ogni banca e non derogabili; lo stesso dicasi per gli obblighi e per le limitazioni. Negli aspetti in esame i sistemi bancari dovrebbero essere a ordinamento stabile, almeno relativamente.
Debbono essere vietate le operazioni particolarmente aleatorie, in rapporto alle abilità professionali, che per norma si riscontrano presso una banca, e alle strutture finanziarie e patrimoniali che poggiano sulla funzione monetaria dei debiti bancari.
Gli obblighi dovrebbero essere intesi ad assicurare migliori condizioni di equilibrio patrimoniale delle gestioni bancarie, ma non di rado sono imposti per esigenze del bilancio pubblico e della politica monetaria.Le limitazioni e in generale i ratios minimi e massimi di bilancio dovrebbero derivare da consolidate esperienze di buone regole di gestione.
Le gestioni bancarie trovano il loro fondamento nel fine di assicurare la massima funzione monetaria ai debiti. Un titolo di credito ha funzione monetaria: 1) se è a vista; 2) se è infruttifero quando circola; 3) se ha un sicuro, o altamente probabile, buon fine.
Gli stessi biglietti emessi dalla banca centrale mancano del terzo requisito, rispetto alla promessa che su di essi si legge. Sono convertibili in altre valute, anch'esse però non convertibili in moneta merce.
L'accettazione della carta moneta nel regolamento degli scambi e la non convertibilità di questa in moneta merce (oro) accrescono la competitività della moneta scritturale (assegni bancari e giroconti) rispetto ai biglietti. Se la banca dà un'immagine di buona gestione, dunque, aumenta la funzione monetaria dei propri debiti a vista, ossia utilizzabili a richiesta su disposizione del titolare. La caratteristica prima dell'indebitamento bancario è, pertanto, che esso è a vista e che i debiti possono essere fatti circolare mediante ordini di pagamento a vista. I debiti di tale specie si denominano depositi e si classificano come depositi moneta, nel senso che il depositante richiede per essi una spiccata funzione monetaria.
Si è a lungo dibattuto se la raccolta bancaria a vista sia condizionante per la scelta degli attivi bancari, e si è affermato spesso che essi dovrebbero essere a scadenza brevissima, o riducibili in moneta in tempo breve senza alee di perdita per la sorte capitale. Impostato il dibattito in termini semplicistici, ne conseguono deduzioni altrettanto semplicistiche.
Invero, i depositi moneta sono raccolti in modo il più possibile frazionato, e la loro relativa stabilità di consistenza come genere è una condizione caratteristica della gestione di una banca moderna. La duration di una massa di depositi a vista è indeterminata, ma di fatto lunga, e perciò non vi sarebbe un problema di liquidità per una scelta di attivi anche di scadenza non breve. L'esperienza dimostra, tuttavia, che al rischio di trasformazione delle scadenze (raccolta di fondi a vista e collocamento a tempo) si congiunge un'alea del prezzo. I depositi moneta, se fruttiferi, hanno una remunerazione che è per definizione variabile secondo le contingenze del mercato monetario. Se sono infruttiferi, come può avvenire in paesi con una notevole stabilità monetaria, hanno pur sempre un mutevole costo di amministrazione in proporzione al loro grado di movimento (intreccio versamenti/prelevamenti).
Ne consegue, quindi, che l'acquisizione di attivi a rendimento fermo fino alla naturale scadenza (ossia fino all'autoliquidazione) è aleatoria in funzione sia della variabilità dei saggi a breve o brevissimo termine, sia della variabilità dei costi operativi. La traslazione di questi due rischi impone di scegliere attivi che, giovandosi della variabilità del rendimento, possano compensare disarmonie di tasso o di valore di trasferimento prima della scadenza.
Quanto più la moneta è instabile, tanto più possono essere rischiose attività che presuppongono un rendimento fermo fino alla scadenza. Gli attivi bancari tendono allora a essere formalmente più corti, a meno che la raccolta non avvenga con depositi tempo (conti vincolati e certificati di deposito), che possono attenuare le alee di saggio e di trasformazione delle scadenze. Le banche, infatti, non possono rinunciare all'acquisizione anche di attivi di durata non corta e, comunque sia, a rendimento predeterminato e immutabile, se durevoli fino alla naturale autoliquidazione. Alle precedenti considerazioni va aggiunto che simili attivi sono talora imposti dalle autorità monetarie, in ordine alla disciplina dell'attività creditizia.
Sono obblighi tipici di investimento le riserve di liquidità in contanti e il vincolo di portafoglio. Le cosiddette riserve di liquidità sono nella sostanza un investimento immobilizzato e a rendimento prefissato, che nei sistemi bancari ordinati non è inferiore alla remunerazione media normale dei depositi moneta. Se non scende la consistenza dei depositi, le riserve obbligatorie sono immobilizzate; se invece l'ammontare globale dei depositi scende, queste riserve possono essere utilizzate solo nella medesima proporzione in cui stanno rispetto ai depositi. In altre parole, il ratio di dette riserve rispetto ai depositi tende a rimanere costante, ferma la disciplina al riguardo.
Il vincolo di portafoglio rappresenta un investimento obbligatorio in titoli: pubblici, parapubblici, o emessi da enti particolari. Nei sistemi ordinati il vincolo di portafoglio si proporziona ai depositi tempo, rispetto ai quali si giustifica meno la disciplina delle riserve di liquidità.
Nell'esperienza italiana le riserve obbligatorie sono costituite in contanti, sotto forma di deposito vincolato presso la banca centrale. Ne deriva che le banche, per adempiere gli obblighi di riserva, debbono ottenere contanti o dai versamenti della clientela o da altre banche e intermediari - che trasferiscono a esse contanti o saldi disponibili presso la banca centrale - o infine cedendo titoli di credito alla stessa banca centrale (risconto e operazioni di tesoreria latu sensu).La crescita dei passivi bancari si riconnette al moltiplicatore creditizio, alla politica monetaria e alla circolazione della moneta di base, e alla propensione delle aziende non di credito a collocare mezzi in depositi tempo.
Questi tre punti meritano un commento specifico.
È noto il principio loans make deposits (i prestiti creano i depositi), che fu compendiato nell'altra espressione: creazione del credito ex nihilo. La dimostrazione del principio è molto semplice. Tizio deposita presso una banca 100 unità di contanti; la banca in virtù di tale disponibilità apre una linea di credito a Caio per 90 unità. Caio utilizza il fido traendo sulla banca un assegno di cui è beneficiario Sempronio. Se Sempronio non chiederà di tradurre l'assegno in contanti, lo verserà in conto presso la banca. A questo punto la banca avrà un debito verso Tizio di 100 e verso Sempronio di 90; un credito verso Caio di 90; disponibilità in cassa di 100. Il processo può continuare con un altro prestito a Mevio, che tirerà un assegno a favore di Quinto, che lo verserà su un proprio conto presso la banca. E così via.La creazione del credito ex nihilo poggia sulla concessione di prestiti i quali, utilizzati mediante emissione di titoli di credito (moneta scritturale), determinano successivi versamenti in un conto di deposito. L'uso dei fidi non in contanti e la negoziazione della moneta scritturale per il versamento sono il fondamento del principio loans make deposits, ossia del moltiplicatore creditizio.Tale moltiplicatore trova la prima origine in un deposito in contanti, successivamente nell'uso dei prestiti mediante moneta scritturale e, quindi, nell'uso della medesima nel regolamento degli scambi, sicché i beneficiari dei pagamenti sono indotti a versarne presso una banca il controvalore.Il meccanismo descritto darebbe al sistema bancario un potere notevole di espandere le grandezze negoziate, quanto più cresca l'uso della moneta scritturale nel regolamento degli scambi e quanto meglio funzionino gli accordi di compensazione e il sistema dei conti interbancari. Il potere sui mezzi di pagamento toglierebbe spazio alla politica delle autorità monetarie e quindi, per evitare o attenuare una tale conseguenza, è stata introdotta la disciplina della riserva obbligatoria in contanti. Il perno del moltiplicatore creditizio diviene così la moneta di base in circolazione, ossia quei valori che servono per la costituzione delle riserve bancarie: tipicamente i contanti.I contanti sono indispensabili negli scambi al minuto e per i pagamenti nei confronti dell'amministrazione pubblica e parapubblica. La fonte dei contanti per le banche sono perciò le famiglie e in genere le aziende di consumo, mentre le imprese, aziende di produzione, usano prevalentemente la moneta scritturale.
La banca centrale pone in circolazione la moneta di base principalmente per tre vie: acquistando valuta estera; concedendo credito al Tesoro; concedendo credito alle altre banche. Di queste tre vie, la seconda è la più importante: il flusso di contanti verso il sistema economico trova il primo fondamento nella spesa pubblica; il flusso netto, nella spesa pubblica in disavanzo. Con la disciplina delle riserve bancarie, una quota della base monetaria creata per il Tesoro ritorna alla banca centrale.Si può scrivere la seguente uguaglianza:
Mb + Pb + Ib = Fc + D + Cb
ossia la moneta di base in circolazione (Mb) più i prestiti bancari (Pb) erogati al sistema economico più i necessari investimenti (Ib) delle banche in immobili, impianti e macchinari è sempre uguale al fondo di cassa (Fc), ossia alla moneta di base detenuta dalle aziende non di credito, più i depositi bancari (D), sia moneta sia a tempo, più il capitale proprio delle banche (Cb). La relazione è valida a livello del sistema bancario, considerato nell'insieme.La differenza fra la moneta di base e il fondo di cassa delle aziende non di credito (Mb-Fc) è uguale alle riserve bancarie, libere e obbligatorie (Rb). Poiché la disciplina dell'attività creditizia impone un rapporto fra le riserve bancarie e i depositi, si desume che le autorità, controllando la creazione di moneta di base e la misura delle riserve bancarie, fissano il tetto alla crescita dei depositi.
L'iniziativa delle banche sta nell'espandere l'uso della moneta scritturale, ossia nel sistematico intervento nel sistema dei pagamenti. L'ovvio presupposto è la propensione all'indebitamento delle imprese, e anche delle aziende di consumo, sicché se aumenta un membro di sinistra dell'uguaglianza aumenta pure uno di destra (Pb e D). La riduzione del fondo di cassa delle aziende non di credito in vantaggio dei depositi è poi la via per espandere le grandezze bancarie e per assolvere, senza tensioni di tesoreria, gli obblighi di riserva.Negli Stati moderni l'aumento della circolazione della moneta di base è una circostanza frequente, che consente flussi di contanti verso il sistema bancario, adeguati alla crescita dello stesso.Lo spostamento delle preferenze dei depositanti verso altre attività finanziarie, per esempio l'acquisto di valori mobiliari e cioè il passaggio da depositi a titoli, sta a indicare una diversa politica di indebitamento delle imprese e della pubblica amministrazione: anziché presso le banche presso le aziende non di credito o, come anche si dice, nei confronti del mercato anziché degli intermediari.L'indice di intermediazione bancaria è nella capacità delle banche di accrescere la somma dei valori (Pb+Ib); la disintermediazione si misura nella minore crescita delle grandezze predette rispetto ad altre grandezze finanziarie.Il valore del moltiplicatore creditizio è l'indicatore del grado di intermediazione finanziaria del sistema bancario. Tale valore, a parità di altre circostanze, è minore quanto più sia severa la disciplina delle riserve bancarie e quanto più i valori mobiliari trovino classamento finale presso le aziende di consumo.
La politica monetaria si esprime sinteticamente nel bilancio della banca centrale, che si compendia principalmente in tre voci di attività e in due voci passive.Sono voci attive la disponibilità di oro e valute estere (riserve valutarie), i crediti verso la pubblica amministrazione (anticipazioni in conto corrente al Tesoro e titoli pubblici in portafoglio), i crediti verso il sistema bancario (per operazioni in tesoreria a suo favore). Sono voci al passivo la circolazione di biglietti e i depositi ricevuti dal sistema bancario (riserve obbligatorie delle banche e altre disponibilità momentaneamente libere non collocate in conti intercreditizi) e dalla pubblica amministrazione.
In regime di disciplina delle riserve bancarie i crediti verso il sistema bancario sono necessariamente limitati, per non vanificare quella normativa. Ne consegue che, salvo sbilanci rilevanti nei saldi con l'estero, la politica monetaria, come già si è detto, è notevolmente correlata con la situazione del Tesoro.
Se il Tesoro non dovesse ricorrere all'indebitamento, la moneta di base in circolazione sarebbe relativamente stabile, a parità di disciplina delle riserve obbligatorie. La crescita del sistema bancario dovrebbe far leva su un maggior uso della moneta scritturale nel regolamento degli scambi e quindi su un minor fabbisogno di moneta di base (Fc) da parte delle aziende non di credito.Il notevole condizionamento che la politica monetaria subisce dalla concreta situazione del Tesoro pone rilevanti problemi per l'indipendenza della banca centrale. L'autonomia della banca centrale può essere assicurata solo da una legge che fissi ratios di bilancio, in particolare con riferimento all'ammontare delle riserve valutarie rispetto a quello della circolazione di biglietti.I disavanzi della pubblica amministrazione, che a medio o lungo termine incidono negativamente sulla consistenza delle riserve valutarie, troverebbero ostacolo a essere finanziati mediante emissione di biglietti, ossia con moneta. Tali deficit premerebbero allora sul mercato del credito, alzando i saggi di interesse e riducendo il credito all'economia produttiva. Ne deriverebbero intuibili ripercussioni socio-politiche, per cui la politica dei pubblici disavanzi incontrerebbe ostacoli.
Se, al contrario, la dinamica della moneta di base è determinata dalle esigenze del Tesoro e dai deficit della pubblica amministrazione, per il vincolo di bilancio del sistema bancario essa trascina alla crescita, ceteris paribus, i depositi amministrati dal sistema creditizio, e le autorità, per impedire un aumento troppo alto del valore del moltiplicatore, sono costrette a porre obblighi (maggiori riserve e/o vincoli di portafoglio) e limitazioni (massimale alla crescita dei prestiti) a carico delle banche. Meno autonoma quindi è la banca centrale e più regolamentato è il sistema bancario.
La raccolta di depositi tempo pone le banche soprattutto in competizione sul mercato dei valori mobiliari a breve termine (con scadenza inferiore a 18 mesi), e ciò anche se i depositi sono nella forma di conti vincolati, rappresentati da libretti a risparmio.Come si è detto in precedenza, le aziende non di credito riducono l'intermediazione bancaria se acquistano titoli emessi da emittenti diversi dalle banche, a parità di altre circostanze. Sussiste tuttavia un'area di competizione per le banche, le quali mobilitando depositi tempo frazionati possono, con un processo di trasformazione delle scadenze, avere un portafoglio di valori mobiliari con duration maggiore rispetto alla raccolta a tempo. Condizione necessaria è che il sistema dei saggi di interesse sia ordinato per valori crescenti in rapporto alla scadenza.
È una circostanza di rischio, per la banca, che il rendimento del portafoglio titoli sia più rigido nel tempo rispetto alla remunerazione dei depositi tempo, soggetti a più rapido rinnovamento per specie, pur nella relativa costanza di valore come genere.La raccolta a tempo può essere, poi, una fonte importante di contanti, cui non si può rinunciare sia per gli obblighi di riserva, sia per garantire sempre la convertibilità dei debiti bancari in moneta a potere liberatorio.La durata massima del vincolo temporale, nella raccolta a tempo, muta da paese a paese. Là dove l'attività bancaria si modella sul tipo di banca universale, che si trova presente solo nell'Europa continentale sassone ma tende a diffondersi in tutta Europa, la raccolta a tempo può prevedere un vincolo fino a 60 mesi e in tal caso è rappresentata prevalentemente da titoli di credito (certificati di deposito) che, in quanto valori mobiliari, possono fruire di un mercato secondario. Non si giustifica una disciplina delle riserve in contanti in presenza di una raccolta a tempo.
Nell'attività bancaria, come si è intuito, l'intervento sistematico nel sistema dei pagamenti è una funzione fondamentale. Tale sistematicità poggia sulla circolazione di moneta scritturale, ossia dei debiti bancari. Poiché i pagamenti sono continui e frequentissimi, nel tempo e nello spazio, la funzione monetaria dei debiti bancari si collega con operazioni creditizie da cui deriva un intenso movimento, ossia un intreccio di versamenti e di prelevamenti. Questa condizione, come si intuisce, è tipica da un lato dei depositi moneta, dall'altro dei prestiti a breve termine, connessi con il finanziamento del capitale circolante delle imprese affidate.
Non dunque per motivi di liquidità, ma allo scopo di esaltare la funzione monetaria dei debiti bancari, che è il fondamento del moltiplicatore creditizio, l'attività bancaria si impernia su negoziazioni di credito attivo e di credito passivo a vista o a breve, e talora brevissimo, termine. Tali tipi di crediti sono compresi nella categoria del cosiddetto credito commerciale, e perciò le banche sono anche definite di credito commerciale. Un'altra definizione le qualifica come banche di credito ordinario, intendendosi per tale credito quello che finanzia l'attività corrente ma non il mutamento delle combinazioni produttive (razionalizzazione e innovazione di processi e di prodotti; ampliamento della capacità produttiva).
La distinzione fra credito ordinario e credito finanziario (diretto al mutamento delle combinazioni produttive delle imprese) è però alquanto incerta, e d'altro canto i due tipi di finanziamento riguardano i medesimi soggetti debitori. Il dibattito sulla specializzazione bancaria è perciò antico e gli argomenti a favore e contro la banca universale - esercente cioè sia il credito ordinario sia quello finanziario - sono numerosi, spesso persuasivi, quasi mai conclusivi. Sembrano però comunemente accettati due punti: 1) il credito finanziario immobilizza più mezzi e dunque esige una raccolta a tempo e una maggiore dotazione di capitali propri da parte della banca; 2) l'esercizio del credito finanziario, insieme con quello ordinario, presuppone un rapporto più diretto, meno frazionato, fra banchiere e impresa e perciò si addice a banche di non modeste dimensioni.Un sistema bancario con banche universali è, per forza di cose, un sistema con un più alto grado di concentrazione.
Ma anche là dove predomina il principio della specializzazione - ossia l'orientamento al credito ordinario da parte delle banche, riservando il credito finanziario a istituti speciali, non aventi debiti con funzione monetaria - non potrà non esserci la raccolta a tempo, per i motivi già detti e ormai chiari.
L'equilibrio di gestione di una banca non può poggiare solo sull'autoliquidazione degli attivi. L'indebitamento degli affidati è quasi sempre breve come specie ma durevole come genere e molte forme tecniche di prestito non consentono il trasferimento per cessione del credito. Ne consegue che, se una banca dovesse operare fondandosi sull'autoliquidazione degli attivi, esalterebbe le alee di scadenza e di prezzo (saggio di interesse) e dunque limiterebbe il processo di trasformazione delle scadenze, oppure sarebbe spinta ad accrescere la raccolta a tempo, pur non divenendo una banca universale. È quindi giovevole all'attività bancaria la possibilità di trasferire attivi prima della naturale scadenza. Affinché ciò possa avvenire occorrono due condizioni: gli attivi debbono essere rappresentati da titoli di credito e questi debbono fruire di un mercato secondario.La tradizione indica due tipi di titoli: quelli rappresentativi di crediti mercantili e quelli di debito della pubblica amministrazione o di grandi imprese. Per ambedue questi tipi di valori il mercato secondario è sovente assicurato, e nel passato quasi sempre, dalla banca centrale e dalle altre banche.
I sistemi bancari si costituiscono, dunque, non solo per agevolare la circolazione dei debiti bancari, esaltandone la funzione monetaria, ma anche per rendere trasferibili taluni attivi bancari. La mobilitazione dei crediti di regolamento delle imprese è una funzione bancaria assai antica e rappresenta un'altra via di interposizione nel sistema dei pagamenti e di controllo dei flussi inerenti.
La cambiale è stata per lungo tempo lo strumento del credito mercantile, ossia lo strumento per ottenere il pagamento differito degli scambi commerciali, attribuendo al creditore un titolo di credito esecutivo - letterale, autonomo e astratto - capace di agevolare l'eventuale recupero coattivo del credito. Essendo un titolo di credito all'ordine, circolante per mezzo di girata, la cambiale acquisita da una banca con l'operazione di sconto può essere ancora negoziata mediante risconto (nuovo sconto).
Il risconto del portafoglio di crediti mercantili mobilitati da una data banca è per norma operato da un'altra azienda di credito, che pure è solita mobilitare crediti mercantili di imprese, ovvero ha il compito istituzionale di governare la liquidità e la stabilità del sistema bancario.
Il risconto è certo un'operazione tipica della banca centrale, in quanto banca delle banche, ma non solo di essa: come le altre operazioni di tesoreria, ossia di trasferimento di attivi prima della scadenza, può essere promosso o da esigenze di liquidità, dunque di equilibrio monetario di gestione, o dalla reputata convenienza di modificare il mix degli attivi per mutare le alee di scadenza e di prezzo. Esso è possibile se si dispone di un titolo di credito trasferibile. Il minore uso delle cambiali nel regolamento degli scambi commerciali ha ridotto il peso del ritrasferimento dei titoli rappresentativi dei crediti inerenti. Il diminuito ricorso al risconto del portafoglio non riduce, tuttavia, l'esigenza di disporre di attivi trasferibili. Fino a oggi tali attivi sono stati rappresentati soprattutto da valori mobiliari pubblici, con riferimento ai quali la banca centrale assicura, per via diretta o mediata, un discreto mercato secondario, la possibilità di operazioni di pronto contro termine (la cosiddetta pensione di titoli), la concessione di credito di anticipazione.
Nel prossimo futuro dovrebbero tornare ad avere rilievo anche i valori mobiliari emessi dalle imprese, in virtù del diffondersi del processo di securitization (mobiliarizzazione) nella finanza delle aziende di produzione. Una finanza rivolta al mercato si avvale dell'emissione di titoli di credito che possono trovare classamento presso aziende non di credito e presso banche. Si tratta di valori a breve scadenza, come le commercial papers, di obbligazioni di varia specie, di azioni delle varie categorie, di cui le banche sono i naturali canali di collocamento: agiscono sul mercato primario di quei titoli, ne assicurano in parte il classamento e debbono poi operare come dealers, e pare come market makers, sul mercato secondario per assicurarne la commerciabilità e trasferibilità. Non è possibile pensare che il mercato secondario di questi valori abbia come operatore la banca centrale. Se questi titoli non possono alimentare scambi di borsa, il loro mercato secondario sarà un mercato trasparente ed efficiente, ma di banca, o meglio di sistema bancario. E ciò è vero pure nell'ipotesi che l'ordinamento preveda grandi banche universali.
In base alla definizione di banca comunemente accettata il sistema bancario è una parte del sistema creditizio, che a sua volta è una parte del complessivo sistema finanziario. Il perno del sistema bancario è la banca centrale, i cui debiti, per definizione, servono per estinguere obbligazioni.I debiti delle banche commerciali ordinarie, correttamente denominate anche banche di deposito, sono utilizzati nel regolamento degli scambi in quanto giudicati convertibili in moneta a potere liberatorio, ossia in debiti della banca centrale. Si stabilisce così un nesso quasi naturale fra l'istituto di emissione banca centrale e l'insieme delle banche di deposito.
La banca centrale deve darsi carico dell'equilibrio monetario di gestione del sistema bancario, che è una questione più complessa del semplice controllo della liquidità. Al fine di perseguire un ordinato svolgimento del sistema nell'aspetto monetario, il banchiere centrale agisce con vari strumenti, diretti e indiretti. Innanzitutto vi è la disciplina delle riserve obbligatorie, che impone alle banche di approvvigionarsi di contanti. Vi sono poi le operazioni di mercato aperto, mediante le quali, agendo sul mercato secondario dei titoli pubblici, si sottrae (vendita di valori) o si aggiunge (acquisto di valori) base monetaria sul mercato. Vi sono poi le operazioni di pronto contro termine, che hanno ripercussioni simili alle operazioni di mercato aperto, epperò attraverso vendite e acquisti temporanei seguiti da contro-operazioni. Analogamente si può operare con riporti (swaps) in valuta, spostando dalla moneta nazionale a quelle estere, o viceversa, le risorse di tesoreria presso il sistema bancario. La banca centrale è, infine, il necessario nesso per il regolamento in contanti dei saldi di stanza di compensazione.
Il governo della base monetaria sarebbe certo reso più difficile se le banche non operassero in sistema, ma ciò, come si è ormai chiarito, è tecnicamente impossibile o quasi.
Il mercato secondario degli attivi bancari è anch'esso governato, per via diretta o mediata, dalla banca centrale in quanto banca delle banche. Era in antico il mercato del risconto del portafoglio cambiario delle aziende di credito, poi divenne sempre più quello dei titoli del debito pubblico, man mano che aumentava il classamento di tali valori presso le banche.
Disporre di attivi anche non self liquidating è condizione fondamentale per la buona gestione di una banca di credito ordinario. Tali attivi, in quanto tipici dell'attività bancaria, possono avere un mercato secondario solo bancario; in quanto non esclusivi dell'attività bancaria possono avere un mercato secondario di borsa o organizzato secondo schemi simili. In tal caso però le banche operano come dealers e talora come primary dealers. La trasferibilità degli attivi rientra anche nel mercato primario, allorché le banche negoziano operazioni di credito in pool. Le operazioni di trasferimento di attivi, di mercato secondario, sono dette anche di tesoreria. Nella misura in cui la banca centrale è disposta a negoziare in contropartita, con dirette ripercussioni sulla base monetaria, stabilisce i prezzi di riferimento degli attivi. Il prezzo, un tempo, era fondamentalmente il saggio ufficiale dello sconto. Oggi la banca centrale contingenta gli interventi sul mercato secondario degli attivi bancari per riservarsi autonomia nel campo della politica monetaria. Sovente preferisce operare in via temporanea con operazioni di anticipazione su titoli - con riferimento alle quali fissa un prezzo, detto 'saggio Lombard', correlato ma non necessariamente coincidente con quello ufficiale di sconto - e con operazioni di pensione titoli (pronto contro termine).
Il mercato secondario degli attivi bancari è quindi un mercato tendenzialmente interbancario, di sistema. La sua ampiezza è sovente malcerta, ancorché il mercato sia di titoli di credito in gran parte pubblici o parapubblici, scambiati con l'aiuto di circuiti telematici, secondo schemi propri dei mercati finanziari di dealers.
Mentre in passato era prevalente la mobilitazione dei crediti mercantili in forma cambiaria, e quindi il mercato secondario era soprattutto quello del risconto, oggi la trasferibilità degli attivi poggia in larga misura sulle posizioni in titoli e in cambi e si concreta sui mercati di borsa o con un'organizzazione prossima ai mercati di borsa.
Il collegamento fra mercato monetario e mercato finanziario che così viene a stabilirsi spinge verso schemi operativi di banca universale o di gruppo plurifunzionale. Ciò potrebbe apparire meno urgente quando la crescita di moneta di base promuove un aumento dei depositi tale da ridurre la sollecitazione al trasferimento degli attivi come condizione utile di gestione. Di conseguenza, se la politica monetaria è molto concessiva, il mercato secondario degli attivi bancari è dominato da calcoli di convenienza sui saggi attesi, mentre se è restrittiva è dominato prevalentemente da calcoli congiunti di convenienza, inerenti ai rischi di scadenza e di saggio.
Dato che gli orientamenti della politica monetaria sono spesso condizionati dalla politica del debito pubblico, le banche hanno sviluppato, in anni recenti, tecniche di attenuazione dei rischi di liquidità, o meglio di equilibrio monetario di gestione. Tali tecniche riguardano in sintesi swaps di interessi (trasformazione di tassi fissi in saggi variabili e viceversa), opzioni, operazioni su futures, e così via.
Il riaggiustamento della liquidità all'interno del sistema bancario può ampiamente avvenire anche spostando saldi su conti intrattenuti fra banche. Tali conti possono mutare pure i saldi di stanza di compensazione, se sono alimentati in guisa da modificare gli sbilanci naturali in quella sede.I conti interbancari, in quanto giudicati di mercato secondario rispetto ai depositi e ai prestiti delle banche, non sono giustamente sottoposti alla disciplina delle riserve obbligatorie. La negoziazione di un conto interbancario, attivo o passivo, è alternativa all'acquisizione o all'alienazione di attivi trasferibili. Fra il rendimento di trasferimento di quegli attivi e il frutto dei conti intercreditizi si stabiliscono perciò nessi significativi, solo turbati dal rischio di durata e di prezzo di cessione degli attivi trasferibili, mentre i conti interbancari sono sovente a vista o a breve termine.
Il mercato dei fondi interbancari è, comunque, per buona parte alternativo al mercato secondario degli attivi bancari, salvo per operazioni di call money, pur necessarie per gli equilibri di gestione delle aziende di credito.
I fondi intercreditizi possono fruire di un proprio moltiplicatore: questa circostanza è rilevante quando i movimenti internazionali di capitali sono liberi, in quanto consente alle banche di concedere disponibilità di moneta nazionale e di ottenere risorse equivalenti in altre valute. Dai fondi interbancari prende così le mosse il mercato delle xenovalute, noto più comunemente, nel linguaggio corrente, come mercato dell'eurodollaro.
Le compensazioni di liquidità tra banche, agili e pronte attraverso l'intreccio dei flussi dei fondi intercreditizi e gli accordi di stanza di compensazione, riducono il bisogno di riserve bancarie in moneta di base. A parità di altre circostanze, quindi, accrescono il valore del moltiplicatore creditizio.La banca centrale, quando rinuncia a ricevere depositi liberi dalle banche, remunerati al saggio ufficiale, perde o quasi il controllo del mercato dei fondi interbancari, che non ritrovano più nel medesimo saggio ufficiale un punto di riferimento per la fissazione del tasso di frutto.
Si tratta di saldi eminentemente liquidi, espressivi quantomeno di riserve libere di liquidità, ma la loro remunerazione dipende dalla funzionalità e dall'ampiezza del mercato secondario degli attivi e, in particolare, dei titoli pubblici; dalla disponibilità della banca centrale a operare largamente, come primary dealer, su detto mercato; dal livello di remunerazione della moneta nazionale sul mercato delle xenovalute.Se il rendimento dei fondi interbancari è relativamente alto, essi diventano strumento irrinunciabile delle gestioni bancarie e sospingono alla connessione delle banche in sistema.
L'operare delle banche in sistema le lega in un rapporto di solidarietà, necessario perché il sistema stesso appaia liquido, solvibile, stabile ed efficiente. Sono obiettivi attribuiti per tradizione alle cure della banca centrale e alle norme che disciplinano l'attività creditizia, e quindi sovente giudicati come fini riflessi delle singole banche. L'opinione moderna li assegna invece anche al sistema, come compiti organizzativi e di comportamento professionale, suggerendo che l'azione delle autorità monetarie sia diretta a far assolvere tali compiti spontaneamente e non come risultato dell'osservanza di vincoli.
L'indicazione della liquidità e della solvibilità del sistema è data dall'efficienza degli accordi di compensazione e dunque del sistema dei pagamenti; dall'ampiezza dei rapporti interbancari; dalla dichiarata volontà, a livello di sistema, di tutelare il credito dei depositanti. Fermiamo l'attenzione su quest'ultimo punto. La funzione monetaria dei debiti bancari è massima se nessun creditore avverte un apprezzabile divario di rischio per i saldi disponibili presso l'una o l'altra banca. L'elezione, indotta dai flussi di pagamenti, quanto ai rapporti bancari si ricollega allora all'articolazione territoriale delle banche e ai meccanismi di funzionamento del sistema dei pagamenti. La tutela del credito dei depositanti, come espressione di solidarietà della professione bancaria, è promossa con sistemi assimilabili a quelli propri dell'industria assicurativa (assicurazione dei depositi) o con la costituzione di fondi interbancari che tutelano i depositanti, come nel caso italiano.
Di fatto, negli ultimi decenni, le crisi bancarie sono state sempre risolte senza perdite per i depositanti, spesso con fusioni fra banche o con interventi di banche maggiori, non di rado con contributi o altri provvedimenti a carico del Tesoro. L'esperienza ci mostra il puntuale intervento solidale del sistema e, nei casi di maggior rilievo, del Tesoro o della banca centrale per conto dei pubblici poteri, che hanno un evidente interesse a non turbare la consistenza e i movimenti di medio circolante, data la funzione monetaria dei debiti bancari. La guida della gestione delle crisi bancarie, giovandosi della solidarietà del sistema, è quasi sempre compito della banca centrale.
Nell'esperienza di ogni paese la garanzia dichiarata a favore dei depositanti è totale fino a un certo livello e diviene poi parziale per somme superiori. La gestione delle crisi è però tale che la banca in difficoltà viene sovente o risanata o assorbita da un'altra banca, per cui la solidarietà del sistema garantisce di fatto il totale pagamento dei depositi. Quando le perdite della banca in difficoltà superano il valore del capitale economico quale era prima di quelle perdite (netto patrimoniale contabile più un cosiddetto goodwill calcolato in proporzione della raccolta), il maggior onere in sede di risanamento ricade o sul sistema come tale o, nei casi più gravi, sul bilancio pubblico.
Un altro motivo del legame in sistema delle banche riguarda il nesso, pure in sistema, dei prezzi del credito, vale a dire la famiglia dei saggi di interesse negoziati dalle banche.I prodotti finanziari offerti dalle varie banche non possono essere molto differenziati: da ciò derivano certe relazioni fra i prezzi pur in un contesto concorrenziale.Il sistema dei saggi bancari si muove da sempre, a ogni modo, in funzione delle condizioni generali di liquidità del mercato, che sono regolate, a loro volta, o dalla politica del saggio ufficiale praticato dalla banca centrale o dalla politica di emissione e di classamento del debito pubblico.
Quando il debito pubblico raggiunge misure alte rispetto ad altri parametri, come il prodotto interno lordo, le esigenze di collocamento del debito prevalgono su altre considerazioni. La banca centrale perde allora in autonomia, in quanto deve cooperare alla politica del pubblico indebitamento.
D'altro canto non vi è motivo di movimenti non coerenti fra il saggio di banca e il rendimento dei titoli pubblici a breve termine, che a sua volta si pone come alternativo ad altri rendimenti di attivi bancari e anche al frutto dei depositi tempo raccolti dal sistema bancario. Non basta: i titoli pubblici, in regime di libertà dei movimenti di capitali, determinano con il loro rendimento la convenienza a investire o no all'estero e a far affluire o no capitali dall'estero, tenute in considerazione le attese sul cambio. Un tempo il saggio ufficiale, con i suoi cambiamenti, poteva determinare movimenti internazionali di capitali assai più di quanto possa accadere al presente.
Tuttavia, il segnale del rendimento dei titoli pubblici per quanto attiene ai tassi bancari è meno forte di quello del saggio ufficiale. Se il primo varia moderatamente in su o in giù, la risposta dei saggi bancari può non sussistere o prodursi dopo un certo lag temporale. Viceversa, il mutamento del saggio ufficiale è un segnale più chiaro, anche di una certa politica monetaria che tende a divenire restrittiva se il saggio sale e concessiva nel caso opposto. È ovvio, comunque, che non di rado le banche prevedono i movimenti del saggio ufficiale o dei rendimenti del debito pubblico, e li precedono.
In Italia la misura del saggio ufficiale può essere mutata con decreto del ministro del Tesoro, su parere del governatore della Banca d'Italia. L'autonomia della banca centrale è perciò, nell'aspetto in esame, limitata, e inoltre il mutamento del saggio ufficiale è caricato di un significato politico oltre che tecnico. Va però detto che difficilmente banca centrale e Tesoro potrebbero non operare d'intesa. Secondo l'esperienza, quando ciò avvenisse, bisognerebbe rimuovere uno degli esponenti dei due uffici.
Se il sistema bancario operasse in condizioni di limitata concorrenza, i prezzi negoziati sarebbero ancor più parametrati, per via diretta o non lontanamente mediata, al saggio giudicato più significativo (quello ufficiale o quello del rendimento dei Buoni del Tesoro a corta scadenza).
La discreta uniformità delle variazioni dei saggi bancari nel tempo e nello spazio, pur con la caratteristica di prezzi multipli nello spazio, sembrerebbe avvalorare l'idea che la concorrenza bancaria non poggia tanto sul prezzo, quanto piuttosto sulla qualità del servizio e sulla differenziazione di altre condizioni complementari. Il che è certo vero, soprattutto se si pensa che i rapporti del cliente con la banca possono essere molteplici: di deposito, ma anche di amministrazione di titoli e custodia di valori; di prestito, ma anche di negoziazione di cambi e di titoli di consulenza e di informazione; e così via.
Insomma la concorrenza è per 'pacchetti' di operazioni e nelle differenze di composizione di tali pacchetti; ma un sistema ordinato di prezzi singoli, con movimenti uniformi, resta un buon fondamento per un altrettanto ordinato sistema bancario. Quest'ultimo, tuttavia, deve saper espellere le aziende marginali, pagando il costo della solidarietà del sistema. In generale il sistema tende a muoversi come un convoglio se la velocità di marcia dei componenti è alquanto omogenea, ma deve anche pagare un costo per questa immagine di stabilità e di efficienza quando il procedere in convoglio significa proteggere le aziende marginali e donare rendite a quelle più efficienti.
L'operare in un sistema coordinato è condizione necessaria nel campo dell'industria bancaria, cui presiedono regole che non sono solo norme di autodisciplina, data la mole degli interessi e il numero degli operatori. L'attività bancaria è libera, ma controllata: si potrebbe parlare di un regime di libertà vigilata.È ovvio che l'oggettività di riferimento per l'applicazione delle norme di controllo, in un contesto in cui tutto è permesso salvo quanto è per tutti espressamente vietato, consente il massimo di libertà all'interno di un codice di comportamento che non leda la libertà dei concorrenti. Dunque, un minimo di regulation.
Al presente, come già si è detto in precedenza, il riferimento oggettivo delle norme di controllo si fonda principalmente sui ratios di bilancio e sull'inerente adeguatezza dei mezzi di diretta pertinenza, oltre che su divieti non derogabili e obblighi uguali per tutti.
Proprio l'introduzione di ratios di rischiosità e di ratios di struttura patrimoniale apre la via all'ampliamento dei tipi di operazioni negoziate, alla banca universale e a un concetto di banca e di sistema più complesso di quello finora esaminato.Il controllo del moltiplicatore del credito sospinge, come si è detto, alla raccolta a tempo e questa apre la via all'acquisizione di attivi che vanno oltre il credito ordinario commerciale: di qui il possibile intervento diretto nei processi di securitization nella finanza delle imprese, e così via. Il tutto in un contesto economico nel quale i debiti pubblici vanno crescendo.
Ed ecco che il concetto di vigilanza si estende a operazioni originariamente non tipiche delle banche, ma divenute ora bancarie, sì che il controllo riguarda banche e parabanche, banche e istituti speciali: qualcuno giunge anche a estendere il concetto di sistema bancario a quello di sistema creditizio.
A tale conclusione è difficile sfuggire se l'organizzazione operativa si modella sulla banca universale o sul gruppo bancario plurifunzionale, che faccia, direttamente o per via mediata, perno su una banca.
Nella misura in cui il credito finanziario non può essere distinto da quello ordinario, il sistema bancario tende a identificarsi con quello creditizio, con qualche incerta demarcazione anche per quanto attiene al sistema finanziario. La domanda è allora: quali sono i confini di applicazione della vigilanza bancaria? Più essa si estende e più coinvolge intermediari creditizi che a rigore non sarebbero banche, in quanto i loro debiti non hanno funzione monetaria. La situazione italiana è però questa.
Il sistema bancario italiano è il risultato di una legislatura che fra le due guerre volle dare ordine all'attività creditizia, valendosi a lungo di forme di vigilanza strutturale anziché prudenziale. La crisi della banca mista, di credito ordinario e finanziario, assolutamente non disciplinata né quanto a rapporti di bilancio né quanto ad adeguatezza di mezzi propri, indusse il legislatore italiano degli anni trenta a disciplinare la specializzazione bancaria e a prendere atto che non sussisteva un sistema di istituti di credito finanziario o speciale. Questi ultimi ebbero vita con capitali pubblici o con capitali bancari, oppure come sezioni autonome di banche già esistenti.
Da tali circostanze conseguirono: il rifiuto, come principio, della banca universale; la tendenza verso il gruppo bancario plurifunzionale, in cui gli istituti speciali operino in gran parte come enti di secondo grado; la conservazione di fatto di banche di tipo universale, ma con alta vocazione per l'esercizio del credito finanziario a vantaggio della pubblica amministrazione. Si determinò così un divieto, derogabile, all'entrata nel sistema, e la tendenza a confondere la stabilità del sistema con la lenta variazione strutturale del medesimo, che si muoveva in prevalenza in convoglio.
A ciò si deve aggiungere l'impermeabilità di taluni assetti proprietari, in quanto il sistema bancario italiano si compone di: a) istituti di credito di diritto pubblico; b) casse di risparmio e monti di credito di prima categoria; c) banche di interesse nazionale; d) aziende ordinarie di credito; e) banche popolari cooperative; f) casse rurali e artigiane, pure cooperative.
Le prime due categorie non prevedono la negoziabilità di quote del proprio patrimonio e limitano la possibilità di fusioni all'ambito della categoria. Solo di recente taluni istituti di credito di diritto pubblico e talune casse di risparmio hanno raccolto mezzi propri mediante l'emissione di quote di risparmio negoziabili, che però non attribuiscono peso nell'amministrazione dell'emittente. Si tratta, dunque, di aziende di credito destinate a crescere mediante autofinanziamento finalizzato all'adeguamento patrimoniale, salvo interventi straordinari a carico di bilanci pubblici.Le banche di interesse nazionale, derivanti dai salvataggi operati dall'IRI all'inizio degli anni trenta, sono anch'esse istituzioni a controllo pubblico, che però possono raccogliere capitali privati di minoranza.
Se ben si osserva, nella logica del sistema giuridico ed economico le tre categorie indicate restano 'impermeabili' a un possibile mutamento di soggetto giuridico. La stessa deduzione può trarsi per le banche cooperative popolari e per le casse rurali, che possono accorparsi fra loro con operazioni di fusione, ma non essere oggetto di acquisto di pacchetti di controllo da parte di terzi. In conclusione, l'unica categoria acquisibile, ma non in grado di acquisire banche di altre categorie, è quella delle aziende ordinarie di credito.La struttura organizzativo-giuridica del sistema bancario italiano è quindi volta alla graduale pubblicizzazione del sistema medesimo o meglio a una composizione duale: banche a soggetto giuridico pubblico e banche cooperative.
Tale è la situazione allo stato dei fatti, ma tuttavia la prospettiva di mercati bancari e creditizi più aperti induce processi di ristrutturazione del sistema bancario, che possono modificarne la composizione.
Si aggiunga che gli istituti speciali di credito, in quanto controllati da banche o da enti pubblici, sono per la quasi totalità appartenenti alla mano pubblica, sì che il perfezionamento dei gruppi plurifunzionali non potrà giovare a una struttura meno pubblicistica.Il sistema creditizio si articola oggi, grosso modo, in tre settori: aziende di credito con prevalente vocazione per l'attività commerciale ordinaria, ma talora proprietarie di sezioni autonome di credito speciale; istituti di credito speciale controllati o da aziende di credito o da enti pubblici; istituzioni parabancarie in larga misura facenti capo ad aziende di credito.
Per questi motivi di organizzazione strutturale la vigilanza sulle aziende di credito tende a estendersi su base consolidata agli istituti speciali e al parabancario controllato da banche.
Nel campo degli istituti speciali e del parabancario possono sorgere iniziative non promosse da banche, e pertanto sono convenienti, nell'ambito della complessiva intermediazione creditizia, normative comuni di disciplina prudenziale.
La Comunità Economica Europea ha emanato direttive in ordine all'attività bancaria, da cui si desume la tendenza prevalente verso la banca universale, o il gruppo polifunzionale, e verso forme di vigilanza prudenziale, invero presenti anche in aree extraeuropee.
La funzione monetaria dei debiti bancari è di primaria importanza nella promozione di accordi di sistema bancario, e determina la necessità di controlli pubblici sull'attività bancaria, così come a suo tempo gli Stati dovettero controllare l'attività delle banche di emissione.I controlli pubblici esaltano il bisogno della raccolta a tempo e dell'acquisizione di attivi diversi da operazioni di credito commerciale strictu sensu. Si ha un progressivo ampliamento dell'attività bancaria verso la banca universale, operante nel campo del credito ordinario e in quello del credito finanziario. Il concetto di sistema bancario si estende così a quello di sistema creditizio e la nozione di banca si amplia fino a comprendere qualsiasi istituzione che operi nel campo dei regolamenti monetari, negozi sistematicamente credito attivo e passivo di varia durata, intervenga nel settore degli investimenti durevoli. Negli anni più recenti il concetto si è ancora ampliato all'attività parabancaria (leasing, factoring, gestione di fondi comuni, consulenza finanziaria, merchant banking, venture capital, e così via), imponendo forme di vigilanza su basi consolidate e mostrando i limiti del potere operativo delle banche centrali, che possono certo incidere maggiormente sull'attività bancaria ordinaria, che oggi, intesa strictu sensu, non è più prevalente.
Caratteristica comune di tutti gli intermediari creditizi è di avere debiti nettamente prevalenti, come valore, rispetto ai capitali di diretta pertinenza. Tuttavia l'adeguatezza patrimoniale dell'intermediario, in rapporto al mix di attivi e di passivi negoziati, è il crocevia di incontro delle esigenze di controllo e di ordinato funzionamento dei sistemi creditizi.Su quest'ultimo aspetto dell'adeguatezza patrimoniale si ritrova l'unità di interpretazione dell'attività bancaria moderna e dell'operare delle banche in sistema.
(V. anche Borsa; Credito; Finanza pubblica; Finanziari, intermediari; Finanziari, mercati; Moneta; Politica economica e finanziaria; Risparmio; Titoli di credito).
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di Guido Rossi
1. Le principali problematiche degli ordinamenti bancari vigenti
Per sistema bancario deve intendersi, sotto il profilo giuridico, l'insieme delle norme che disciplinano l'attività definita dal diritto positivo come bancaria, mentre per banca il centro d'imputazione di tale attività. L'ordinamento italiano configura come 'attività bancaria' quella in cui il soggetto attivo assume posizione debitoria nelle operazioni di raccolta del risparmio tra il pubblico e posizione creditoria nell'attività, funzionalmente connessa, di erogazione della liquidità. Più estesa e sistematica è invece la nozione contemplata in alcuni evoluti ordinamenti stranieri, quali il francese o il tedesco. Già la legge francese del 1941 definiva per banche le imprese che ricevono dal pubblico fondi, in forma di depositi o in qualunque altro modo, da impiegarsi in operazioni di sconto, di credito o finanziarie. Maggiore estensione, mediante la descrizione sistematica dei vari intermediari con riferimento tipologico all'attività, è presente nella normativa del 1984, costituita da un insieme di disposizioni comuni e da una disciplina separata per la soluzione dei problemi connessi alle diverse attività contemplate. Anche l'ordinamento tedesco preferisce descrivere, per tipologie differenziate, i modi di esercizio dell'impresa bancaria, estendendo la nozione in esame, nella legge del 1961, finanche alle ipotesi di operazioni su titoli o operazioni di garanzia.Il comune denominatore delle definizioni positive, o meglio il nucleo più rigorosamente regolato, è comunque costituito dall'attività di raccolta del risparmio tra il pubblico attraverso istituti giuridici ricollegabili al mutuo o al deposito irregolare e nella correlativa concessione del credito.
Da tale osservazione appare evidente che il fine degli ordinamenti bancari coincide con la tutela di un sistema che, per intrinseche peculiarità dell'attività esercitata, presenta particolari problemi di solvibilità e liquidità dei soggetti operanti e al contempo garantisce il perseguimento di un interesse generale meritevole di protezione giuridica. Attraverso l'attività bancaria si perviene infatti alla concentrazione di liquidità altrimenti dispersa nel patrimonio dei singoli depositanti e all'ottimale allocazione della stessa tra le imprese, nel tentativo di assicurare la massima produttività alla moneta e l'eliminazione parziale di tesaurizzazioni improduttive.
La crisi dell'attività o il suo venir meno determinerebbero, soprattutto laddove non fossero sviluppate altre forme di intermediazione finanziaria, crisi nell'intera economia, comportando periodi di stretta creditizia insostenibili per un settore industriale sviluppatosi prevalentemente attraverso l'indebitamento bancario. È perciò superfluo sottolineare che il più sofisticato sistema bancario si sviluppa col capitalismo, ancorché le banche abbiano costituito l'ossatura di più antichi e meno complessi regimi economici. La tutela del sistema si risolve dunque nel tentativo di garantire preventivamente solvibilità e stabilità agli enti creditizi, raggiungendo soltanto in via secondaria la tutela indiretta dei singoli depositanti.
Vi è tuttavia una ragione ulteriore, sempre connessa all'attività, che giustifica la specialità della disciplina. Le banche, attraverso i depositi a vista su cui possono essere emessi assegni bancari, creano liquidità e dunque, indirettamente, influenzano grandezze macroeconomiche rilevanti. Soprattutto dopo gli insegnamenti keynesiani, con una maggiore coscienza delle connessioni esistenti tra politica economica e politica monetaria, i sistemi bancari sono stati utilizzati come regolatori dell'intero sistema economico attraverso strumenti d'intervento (come le variazioni sulla percentuale di riserva obbligatoria) che permettono un controllo immediato sul volume della massa monetaria in circolazione.
Con queste premesse comuni e analogia di intenti, i vari ordinamenti hanno sviluppato strumenti operativi di controllo incidenti sull'intero settore bancario. Comune è dunque la previsione di un istituto di emissione avente la funzione primaria di 'banca delle banche', ovvero di prestatore di liquidità di ultima istanza ai singoli componenti del sistema e, in casi particolari, allo stesso Tesoro dello Stato. Così la banca centrale assume sovente anche il compito di utilizzare gli strumenti tecnici di cui dispone per la realizzazione delle linee di politica monetaria precedentemente predisposte dagli organi governativi competenti. Viene poi generalmente istituito un organo amministrativo, con funzioni precipue di sorveglianza sul sistema, a cui spettano poteri ispettivi, di informazione e anche di determinazione delle modalità delle operazioni dei singoli enti creditizi. Considerata inoltre la connessione funzionale tra sorveglianza e attuazione della politica monetaria e la duplicità di scopi dei singoli strumenti adottati, vi è spesso coincidenza tra l'istituto di emissione e il comitato di sorveglianza, salva la creazione di norme di coordinamento per il caso di una scissione organica.
Sotto il profilo strettamente giuridico è allora facile rilevare come l'intero sistema del credito abbia dato origine a un ordinamento giuridico settoriale, nel cui ambito gli operatori sono sottoposti alla direzione di un pubblico potere che detta norme interne particolari, alle quali gli operatori stessi debbono conformarsi. All'individuazione delle regole di accesso, di attività e di espulsione da tale ordinamento settoriale deve perciò far riferimento qualsivoglia ricerca sul sistema bancario. All'interno di schemi comunque simili le differenze di fondo degli ordinamenti creditizi nascono dalla maggiore fiducia riposta nei meccanismi di mercato e nel regime di concorrenza rispetto a visioni più strettamente garantistiche con ampie, e a volte ingiustificate, possibilità di controllo discrezionale sull'attività dei singoli operatori per mezzo dell'organo di vigilanza.
Da una parte dunque la fiducia in sistemi apertamente concorrenziali, a cui sembrano, ad esempio, ispirate le linee politiche della Comunità Economica Europea, si fonda sulla ricerca di una più efficiente allocazione delle risorse e sulla necessità dell'automatica esclusione dal mercato delle imprese inefficienti; dall'altra, l'impostazione più garantista tende a giustificarsi in base all'elevata instabilità dell'intero sistema e alla mutevolezza delle forme di intervento necessarie per l'attuazione della politica monetaria. Più in particolare, le maggiori differenze tra gli ordinamenti bancari provengono dalle diverse prospettive e soluzioni relative ai problemi connessi al principio di specializzazione delle imprese bancarie, al rapporto banca-industria e alla crisi dell'impresa.In ordine alla questione della specializzazione si è più volte posta in discussione la necessità di norme che assicurino la coincidenza nelle scadenze creditorie e debitorie e dunque si è sovente criticata la stessa separazione tra banche di credito ordinario e istituti a medio-lungo termine. Invero sono le operazioni di raccolta a vista o a breve termine che comportano i maggiori problemi, sia relativamente alla solvibilità e stabilità dell'ente creditizio sia in ordine alla possibile espansione della massa monetaria. La distinzione normativa che si ispira al principio della separazione funzionale dell'attività creditizia, derivata dall'esperienza della grande depressione economica del 1929, appare quindi del tutto giustificata. Del resto tale distinzione viene proposta in molteplici evoluti ordinamenti (ad esempio quelli statunitense e francese) e non sembra, viceversa, che la scelta meno limpida della cosiddetta banca universale, proposta dal sistema bancario tedesco, abbia comportato benefici al sistema economico, dimostrandosi al contrario generatrice di rilevanti fenomeni di instabilità.
È tuttavia nella vocazione espansionistica del sistema bancario a essere protagonista dell'intera gamma dei mercati finanziari che si annida la tentazione maggiore, spesso dichiarata ma altre volte sapientemente dissimulata, di spingersi verso tale soluzione, all'accoglimento della quale si oppone la più grave delle lacune dell'ordinamento settoriale: la mancanza di una rigorosa disciplina del conflitto di interessi nell'attività delle banche.Sempre in rapporto al problema della specializzazione è opportuno considerare inoltre la diversificazione normativa in relazione alla natura giuridica degli enti e, in particolare, sembra necessario prevedere, per la categoria degli enti creditizi pubblici, l'emanazione di regole precise che impongano comportamenti maggiormente rispettosi del principio di economicità e di parità di trattamento con le imprese private.
La questione dei rapporti banca-industria desta infine perplessità e genera rilevanti diversità di soluzioni. La partecipazione dell'industria, come azionista di controllo, negli enti creditizi determina l'insorgenza di situazioni di conflitto di interessi nella concessione dei crediti; analogo e speculare problema si pone nel caso di partecipazioni rilevanti delle banche nelle imprese industriali. Tali conflitti conducono, presumibilmente, a un impiego della liquidità raccolta a tassi del tutto indipendenti dal rischio dell'investimento, a danno del risparmiatore e dell'efficiente allocazione delle risorse. In relazione a tale problema l'ordinamento italiano ha stabilito limitazioni per la sola ipotesi di acquisto di partecipazioni azionarie da parte delle banche, mentre - a differenza di quanto avviene nell'ordinamento tedesco - dovrebbe essere altresì limitata la possibilità di partecipazione dell'industria nel sistema bancario: così avviene negli Stati Uniti, in cui l'indipendenza dell'ente creditizio viene tutelata imponendo ai soggetti che controllano le banche una limitazione alla partecipazione in settori extrabancari, e in Olanda, dove è posto un divieto al diritto di voto quando possa venir meno la correttezza della gestione, o in Francia, dove si impongono limitazioni ex ante all'acquisto delle suddette partecipazioni.Da ultimo, relativamente alla normativa sulla crisi degli enti creditizi, la tendenza in atto negli ordinamenti occidentali - sull'esperienza del fondo assicurativo obbligatorio istituito negli Stati Uniti - è rinvenibile nella predisposizione di procedure finalizzate a scaricare gli effetti negativi connessi alla crisi stessa sull'insieme dei componenti del sistema bancario, che soli dovrebbero sopportare il rischio derivante dall'attività esercitata, eliminando dunque quegli interventi i cui riflessi possano incidere direttamente sull'intera collettività.
Quanto più si andranno risolvendo, attraverso questa via, i problemi derivanti dall'insolvenza dei singoli enti, tutelando in prima istanza i risparmiatori, tanto maggiormente potranno essere aboliti vincoli e controlli amministrativi; quanto maggiore invece sarà la partecipazione nella crisi da parte dell'organo di vigilanza, tanto più quest'ultimo sarà giustificato nella predisposizione di vincoli amministrativi preventivi. La normativa di crisi determina e giustifica dunque le scelte di base dell'ordinamento bancario. In sintesi, l'evoluzione del sistema dovrebbe indirizzarsi verso una maggiore limitazione della discrezionalità dei provvedimenti amministrativi delle banche centrali, ispirati invero a un'antiquata e ormai inutile filosofia protezionistica. Appare inoltre quanto mai opportuna la predisposizione di una rigorosa disciplina sul conflitto di interessi: essa non può che costituire il nodo cruciale di ogni ordinamento creditizio, soprattutto qualora alla banca si voglia attribuire l'ambigua natura di operatore polifunzionale.
2. L'ordinamento bancario italiano
L'ordinamento bancario italiano si fonda sostanzialmente sulle disposizioni della legge n. 141 del 7 marzo 1938 (la cosiddetta legge bancaria). Essa ha innanzitutto deferito la sorveglianza e il controllo sul sistema creditizio all'autorità amministrativa di vigilanza, a cui sono state ulteriormente attribuite ampie funzioni discrezionali, esercitabili entro i limiti imposti dalla legge e dalle specifiche direttive impartite dagli organi politici competenti. In secondo luogo si è per la prima volta creato, attraverso tale normativa, un principio di specializzazione tra imprese bancarie, consistente nella sostanziale distinzione tra enti che raccolgono risparmio a vista o a breve termine ed enti che possono operare soltanto sul medio-lungo termine, con la predisposizione di norme più rigide e vincolanti per l'intera attività dei primi.
Una carenza sostanziale della legge bancaria consiste invece nella mancata identificazione dei fini verso il cui perseguimento debba essere svolta l'attività degli organi amministrativi di controllo. Il problema è stato risolto soltanto dall'intervento della Costituzione repubblicana, tramite il disposto dell'art. 47, per il quale compito della Repubblica, in ambito creditizio, è incoraggiare e tutelare il risparmio in tutte le sue forme, nonché disciplinare e controllare l'esercizio del credito. Appare allora evidente che il controllo amministrativo sull'attività bancaria può essere giustificato soltanto qualora tenda a garantire la solvibilità e la stabilità degli enti creditizi.
L'ulteriore evoluzione del sistema è andata attuandosi attraverso molteplici disposizioni, integrative del solido impianto della legge bancaria, che vengono qui di seguito sinteticamente riportate. Il d.l. n. 691 del 1947 istituisce il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR), a cui è stata attribuita l'alta vigilanza in materia creditizia e valutaria, conferendo nel contempo la funzione di sorveglianza sull'intero sistema alla Banca d'Italia, presieduta dal governatore. Il d.l. n. 544 del 1948 pone invece limiti alla possibilità di anticipazioni straordinarie da parte della Banca d'Italia al ministro del Tesoro, richiedendo per esse, in via preventiva, l'autorizzazione del Parlamento. Il d.l. n. 331 del 1945 attribuisce, per il sistema valutario, il monopolio del controllo e dell'attività all'Ufficio Italiano Cambi e assoggetta quest'ultimo alla congiunta vigilanza del ministro del Tesoro e della Banca d'Italia.
L'evoluzione del sistema sembra diventare maggiormente incisiva alla fine degli anni settanta per il maturare di forme di intermediazione finanziaria non tradizionali e concorrenziali rispetto allo stesso sistema bancario. Tale fenomeno ha reso inutile il perseguimento di una linea politica tesa a mantenere basso il livello di concorrenzialità tra gli stessi enti creditizi e ha fatto sorgere, al contrario, l'esigenza di garantire una maggiore efficienza abbandonando vincoli garantistici ingiustificati. Nel senso dell'aumento dell'efficienza, dell'abbandono della discrezionalità nelle funzioni amministrative e del rifiuto di una politica protezionistica sono altresì andate le direttive comunitarie, in specie la direttiva n. 780 del 1977. In questa direzione si è spinto pure il d.p.r. n. 350 del 1985, che ha decisamente limitato la discrezionalità della Banca d'Italia nella concessione di autorizzazioni.
In tema di trasparenza e di informazione sull'attività bancaria rilevano le norme di cui alle leggi n. 281 del 1985 e n. 144 del 1986 che dispongono, rispettivamente, l'obbligo di identificazione dei soci delle imprese creditizie per la verifica delle eventuali connessioni banca-industria e il potere, per la Banca d'Italia, di ottenere informazioni anche direttamente dalle società partecipate dalle singole banche.
Gli artt. 1 e 2 della legge bancaria sanciscono la definizione positiva di banca e di attività bancaria. In particolare l'art. 2 afferma che tale attività consiste nella "raccolta del risparmio tra il pubblico e nell'esercizio del credito", nozione ribadita, alla luce delle direttive comunitarie, dall'art. 1 del d.p.r. n. 350 del 1985. Dottrina e giurisprudenza affermano con esattezza la necessità di una connessione funzionale tra le attività di raccolta e di impiego della liquidità: tuttavia sono sorti contrasti e diversità di soluzioni nel definire le forme attraverso cui tali attività debbano esplicarsi. Sotto il profilo della raccolta si è sostenuto che essa debba necessariamente avvenire nelle forme stabilite dal Codice civile, nella sezione dedicata ai contratti bancari, ma questa limitazione comporterebbe l'esclusione ingiustificata dell'applicabilità della disciplina al caso di raccolta del risparmio attraverso istituti giuridici più tradizionali, come ad esempio il mutuo. Deve invece escludersi l'estensione all'ipotesi di raccolta del risparmio tramite l'emissione di titoli di partecipazione; in questo caso non si potrebbero infatti verificare quei peculiari problemi di instabilità che la disciplina bancaria tende a risolvere preventivamente.
Si può ritenere allora che la raccolta debba necessariamente avvenire attraverso forme giuridiche in cui l'ente creditizio assuma una posizione debitoria assimilabile a quella del mutuatario o del depositario. È inoltre evidente che non può esservi attività bancaria qualora si raccolga risparmio tra il pubblico, mediante emissione di obbligazioni, entro i limiti stabiliti dall'art. 2.410 del Codice civile, poiché in questo caso il rischio viene preventivamente contenuto attraverso la determinazione di rigidi rapporti tra valore delle obbligazioni emesse e capitale proprio.
Soluzioni diverse sembrano potersi ipotizzare per la connessa attività creditizia, anche se giurisprudenza e dottrina concordano nel sostenere che l'erogazione del credito debba avvenire in forme astrattamente riconducibili allo schema del mutuo, pur estendendo poi la nozione ai casi dei cosiddetti crediti di firma (fideiussioni, avalli, ecc.). Il problema non è però posto con sufficiente chiarezza. In realtà l'ordinamento interno pone innanzitutto un divieto generale per le operazioni di raccolta del risparmio tra il pubblico in forma d'impresa con l'assunzione, da parte dell'ente creditizio, di posizione debitoria: tale attività può essere esercitata unicamente da soggetti a ciò preventivamente autorizzati e, per ciò solo, definiti banche. Le forme e i modi d'impiego della liquidità raccolta vengono allora vincolati dall'insieme delle disposizioni degli organi competenti, in modi più o meno rigorosi in relazione alla natura dei rapporti di provvista.
Sotto il profilo dell'attività, la banca mantiene la configurazione giuridica di impresa, perfettamente inquadrabile nel 1° comma dell'art. 41 della Costituzione, mentre la legittimità dei controlli dell'autorità amministrativa può collegarsi al disposto del 2° comma dello stesso articolo. L'esercizio dell'impresa può avvenire utilizzando gli strumenti giuridici più vari, dei quali solo alcuni, i più ricorrenti nell'esperienza bancaria, sono stati tipizzati dal legislatore.
Le forme attraverso cui le banche provvedono alla raccolta del risparmio vengono definite operazioni bancarie passive, mentre quelle attive riguardano i modi giuridici di erogazione del credito. Le operazioni contrattuali passive si ricollegano spesso a istituti già conosciuti, quali il deposito, il deposito irregolare, il mutuo. I depositi bancari di denaro conferiscono alla banca la proprietà sulla somma depositata, obbligandola alla restituzione, trascorso un termine prefissato, della stessa somma maggiorata al più da un interesse. Il deposito può altresì essere regolato in conto corrente. In tal caso il correntista può esigere in ogni momento il pagamento dell'intera somma depositata, salva naturalmente l'eventualità dell'osservanza di un termine di preavviso stabilito tra le parti. L'apertura di credito, che rientra invece tra le operazioni bancarie attive, consiste nel contratto con cui la banca si obbliga a concedere credito al cliente, secondo le sue richieste, entro il limite massimo di una somma di denaro e fino a un termine temporale prestabilito. Nell'operazione di anticipazione bancaria viene eseguita un'anticipazione di liquidità al cliente controgarantita da pegno su titoli o merci. Nell'operazione di sconto la banca acquista dal cliente un credito mediante cessione, deducendone nel pagamento gli interessi e anticipando la somma corrispondente.
È comunque opportuno ricordare che le banche, per la sempre più sentita necessità di concorrere con altri tipi di intermediari finanziari, hanno continuato ad allargare il ventaglio della propria attività, compiendo operazioni accessorie rispetto alle tipiche attività bancarie e che, di per se stesse, non potrebbero comunque comportare per il soggetto operante la definizione di banca. Tra queste si ricordano, ad esempio, la gestione di titoli per conto della clientela, il servizio di deposito in cassette di sicurezza, le gestioni patrimoniali e molte altre ancora, che sono a volte ai confini dell'ordinamento e tendono a identificare la banca con l'operatore professionale sui mercati finanziari.
Distinzione fra i soggetti operanti. - Le banche possono essere suddivise secondo due criteri sostanziali: il principio di specializzazione, con riguardo all'attività svolta, e quello del pluralismo, con riferimento alla natura giuridica e alla struttura organizzativa. Sotto questo secondo aspetto si può innanzitutto introdurre la distinzione tra impresa pubblica e privata, da cui nasce l'interrogativo se, per il solo fatto della natura pubblica della banca, l'attività di questa possa ritenersi sempre funzionalizzata verso fini d'interesse generale: è un problema certamente non risolvibile in termini astratti, nonostante contraddittorie decisioni giurisprudenziali in materia, poiché dipende dalle specifiche regole statutarie disposte dalle leggi istitutive degli stessi enti pubblici creditizi.
Ma la suddivisione più rilevante, in base al principio di specializzazione, riguarda la distinzione normativa tra aziende e istituti di credito. La legge bancaria disciplina autonomamente le due fattispecie, né può dirsi che tale divisione non abbia più sostanziale rilevanza per il disposto di cui all'art. 14 della legge n. 23 del 1981. Nonostante che tale norma abbia abrogato esplicitamente gli artt. 41-46 della legge bancaria attribuendo agli istituti di credito la disciplina genericamente prevista per le aziende, essa ha tuttavia disapplicato per i soli istituti gli artt. 32, 33 e 35 della stessa legge bancaria, che sanciscono i controlli e i vincoli più rigorosi per l'esercizio dell'attività.
La differenza funzionale tra aziende e istituti di credito consiste nella circostanza che a questi ultimi è vietata l'attività di raccolta del risparmio a vista o a breve termine. Orbene, come abbiamo precedentemente osservato, la raccolta a vista genera maggiori problemi in ordine alla creazione di liquidità e pone questioni più rilevanti sulla stabilità e solvibilità del sistema, poiché in qualsiasi momento l'intera provvista può essere richiesta dai singoli depositanti. Tali considerazioni giustificano dunque appieno il permanere di una diversa disciplina.
Classificazione delle aziende e degli istituti di credito. - Nella categoria delle aziende e degli istituti di credito la legge e, soprattutto per questi ultimi, le norme statutarie hanno creato diverse tipologie organizzative, spesso influenti sull'esercizio dell'impresa bancaria.
Le aziende di credito sono suddivise, in base all'art. 5 della legge bancaria, in istituti di diritto pubblico, banche di interesse nazionale, casse di risparmio, monti di credito su pegno, aziende di credito ordinarie, banche popolari e casse rurali e artigiane. Le uniche norme generali che distinguono l'attività degli istituti di diritto pubblico dalle aziende di credito ordinarie consistono nella previsione, già nelle leggi istitutive di detti enti, di sezioni specializzate operanti nella raccolta del risparmio e nella connessa erogazione del credito oltre il breve termine.
Gli istituti di diritto pubblico hanno invece un regime autorizzatorio particolare, tanto per le modifiche statutarie, quanto per lo scioglimento o il trasferimento in mano privata degli stessi (art. 27 della legge bancaria). Le banche di interesse nazionale sono, ai sensi dell'art. 25, 2° comma, della legge bancaria, "aziende che, costituite nella forma di società per azioni ed aventi una vasta organizzazione territoriale, siano riconosciute tali" con decreto del ministro del Tesoro, sentito il Comitato Interministeriale (art. 6 del d.l. n. 691 del 1947). Per esse valgono, secondo il disposto dell'art. 2.461 del Codice civile, le norme generali sulle società per azioni, salva l'esistenza di leggi speciali.Le aziende di credito ordinarie sono imprese bancarie che, ai sensi dell'art. 30 della legge bancaria, dovranno costituirsi rivestendo la forma tipica delle società di capitali.
Le casse di risparmio hanno invece, in base al r.d. n. 967 del 1929, esplicita natura pubblica, presentando perciò molteplici elementi di similitudine con gli stessi istituti di diritto pubblico. Per esse è prevista l'esclusione effettiva dello scopo di lucro ed è dunque legislativamente imposta la destinazione di parte degli utili a fini di beneficenza o di pubblico interesse. Viene invece rimesso agli statuti delle casse, in base all'art. 32 della legge bancaria, il potere di prevedere autonomamente forme di raccolta e di impiego oltre il breve termine, ponendo così le stesse, sotto questo profilo, in una situazione privilegiata rispetto alle ordinarie aziende di credito.I monti di credito su pegno, soggetti di diritto pubblico, sono legislativamente distinti in due categorie differenziate in relazione all'attività da essi svolta (r.d. n. 967 del 1929, legge n. 745 del 1938), e hanno disciplina analoga a quella predisposta per le casse di risparmio. Le banche popolari sono invece disciplinate dal d.l. n. 105 del 1948 e, ai sensi dell'art. 1 di detto decreto, possono assumere esclusivamente la forma di società cooperativa a responsabilità limitata.
Le casse rurali e artigiane, infine, sono disciplinate dal r.d. n. 1.706 del 1937, integrato dalla legge bancaria nonché dalle norme ordinarie sulle cooperative. Esse hanno quindi disciplina analoga a quella prevista per le banche popolari, ad eccezione dell'esistenza di norme che limitano la possibilità della partecipazione societaria e degli investimenti della liquidità raccolta a specifiche categorie di soggetti (artigiani o agricoltori).
Relativamente agli istituti di credito appare più complesso procedere a una classificazione sistematica, in quanto le diversità sostanziali derivano principalmente da specifiche norme statutarie. Una prima distinzione nasce dalla natura giuridica pubblica o privata. Contrariamente alle aziende, la natura pubblica degli istituti è sorta storicamente per l'esigenza di un intervento diretto dello Stato nel settore del credito e dell'investimento industriale: per l'esigenza dunque di operare scelte di canalizzazione del credito di tipo politico, che ha determinato una maggiore possibilità di intervento pubblicistico nella gestione imprenditoriale.
Più rilevante appare tuttavia la distinzione tra istituti di credito tout court e istituti di credito speciale. Tale specialità consiste nella limitazione statutaria della direzione del credito verso settori determinati (agrario, edilizio, fondiario, ecc.) senza incidere, per il resto, sull'attività d'impresa. Si può effettuare un'ulteriore distinzione tra gli istituti di credito autonomi, aventi propria personalità giuridica pubblica o privata, e le cosiddette sezioni specializzate, ramificazioni di aziende di credito ordinarie con operatività estesa oltre il breve termine. Esse hanno autonomia patrimoniale e gestione differenziata rispetto all'azienda madre, che sembra comunque restare solidalmente responsabile nel caso di insolvenza delle stesse.
È stato detto che il compito principale dell'ordinamento bancario consiste nella prevenzione della crisi degli enti creditizi, assicurandone la solvibilità e la stabilità.Le norme che tendono ad assolvere il compito anzidetto possono essere distinte in tre nuclei differenziati. Una prima categoria è posta a garanzia del regolare svolgimento dell'attività bancaria, indipendentemente dalla differenziazione delle forme di raccolta, e trova dunque applicazione generale per qualsiasi ente creditizio. Una seconda, invece, pone limiti sull'attività in relazione alla diversità dei rischi connessi alle possibili modalità di raccolta, con applicazione differenziata per gli enti creditizi maggiormente soggetti a instabilità. Il terzo nucleo riguarda gli obblighi di informazione posti a carico dei partecipanti del sistema bancario nei confronti della Banca d'Italia e i connessi poteri di quest'ultima.
Norme comuni ad aziende e istituti di credito. - Nel primo gruppo di norme viene prevista una particolare disciplina per l'inizio dell'attività. Il precetto contenuto nell'art. 28 della legge bancaria ha recepito, sotto questo profilo, il regime previsto dalla previgente disciplina del 1928, lasciando ampia discrezionalità nell'emissione del provvedimento autorizzatorio all'organo amministrativo di vigilanza, entro i soli limiti discendenti dalle direttive del CICR. Una filosofia fortemente protezionistica degli organi politici ha condotto alla sostanziale chiusura del sistema, al fine di garantire la diminuzione del grado di concorrenza e dei rischi a questa connessi.
Tuttavia il costituirsi di nuove forme di intermediazione finanziaria antagoniste del sistema bancario e, soprattutto, la politica della concorrenza della CEE hanno comportato una modifica sostanziale della situazione approdata nell'emanazione del d.p.r. n. 350 del 1985, riflesso, peraltro, della precedente direttiva comunitaria, n. 780 del 1977. L'autorizzazione all'inizio dell'attività diviene così, in base all'art. 1 del testo normativo citato, atto dovuto in tutti i casi in cui l'organo di vigilanza riscontri i requisiti oggettivi individuati dalla legge (capitale, qualificazione dei soggetti che amministrano o dirigono l'attività dell'ente, programma d'attività).
L'art. 28 della legge bancaria prevede poi un analogo regime autorizzativo per l'istituzione di sedi, filiali, succursali, agenzie e dipendenze (i cosiddetti sportelli bancari), distaccate, a livello organizzativo, dalla sede legale dell'ente creditizio e mancanti di autonoma personalità giuridica. Anche la politica sugli sportelli è stata permeata fino agli anni settanta da una filosofia tesa a un'articolazione territoriale di bassa concentrazione, con riserva di zone protette per le casse rurali e le casse di risparmio. Dopo gli anni settanta, le delibere del CICR hanno però modificato la situazione, ma solo parzialmente, garantendo in misura più adeguata l'efficienza del sistema attraverso un maggiore grado di concorrenzialità.
Tuttavia il d.p.r. n. 350 del 1985 non ha esplicitamente risolto il problema della discrezionalità, avendo preso in considerazione unicamente l'autorizzazione all'inizio delle operazioni. Permane quindi un mancato adeguamento, sotto questo profilo, alla direttiva comunitaria: l'autorizzazione all'apertura di nuovi sportelli, anche automatici, rimane ancora oggi fortemente discrezionale.
Norme relative alle sole aziende di credito. - Le norme applicabili in modo esclusivo all'attività delle aziende di credito discendono dagli artt. 32, 33 e 35 della legge bancaria, disposizioni che pongono i maggiori vincoli all'attività d'impresa e attribuiscono al contempo agli organi politici e amministrativi un forte potere discrezionale nella specificazione delle regole di condotta.
In relazione al rapporto di provvista si è già osservato che le aziende di credito hanno l'ulteriore possibilità, rispetto agli istituti, di raccogliere liquidità a vista o a breve termine. Ciò non dovrebbe comunque comportare alcun vincolo per operazioni di raccolta oltre il breve termine, mancando per una simile limitazione qualsiasi ragione di carattere sostanziale. Le autorità competenti hanno invece espressamente affermato che la raccolta sul medio-lungo termine rimane operazione esclusiva degli istituti e che, come tale, può essere svolta dalle aziende di credito solo eccezionalmente e nelle sole forme espressamente autorizzate e previste.
I vincoli sulle modalità degli impieghi hanno invece un contenuto assai più rigido; essi si propongono di stabilire una coincidenza tra attività e passività, di evitare la concentrazione dei rischi e di garantire, più in generale, la solvibilità delle aziende.
Viene innanzitutto disposto che le forme di erogazione del credito oltre il breve termine siano attuate nei modi espressamente stabiliti dalla Banca d'Italia e che, in caso contrario, occorre richiedere la preventiva autorizzazione alla stessa, ai sensi dell'art. 33 della legge bancaria, salva l'ipotesi in cui il credito erogato in forme non previste risulti inferiore a una determinata percentuale della massa fiduciaria. Per gli investimenti immobiliari il limite massimo è costituito dal patrimonio aziendale.Le partecipazioni azionarie sono state oggetto di una particolare valutazione poiché la connessione delle banche con imprese extrabancarie potrebbe comportare, nel caso di dissesto di queste ultime, la crisi dell'intero sistema. È concessa in generale, pur con le opportune limitazioni, la partecipazione delle aziende in altre aziende o istituti di credito e viene altresì ammessa quella in società che gestiscono servizi collaterali o strumentali all'attività bancaria.
Le aziende di credito possono diventare socie di società finanziarie soltanto qualora queste ultime agiscano, nell'acquisto di azioni, in base a criteri di redditività, con un frazionamento del rischio di portafoglio complessivo, senza mai assumere, neppure di fatto, il controllo delle imprese partecipate. È comunque esclusa la partecipazione diretta delle aziende di credito nel capitale delle imprese industriali. Altri termini concernono la riserva obbligatoria (pari oggi al 23,5% della provvista, da versare in contanti all'istituto di emissione, oppure da utilizzare nell'acquisto di titoli di Stato) e l'ulteriore vincolo di portafoglio, secondo cui una parte determinata della provvista dovrà necessariamente essere detenuta in titoli indicati dall'autorità di vigilanza, in base al disposto dell'art. 32 della legge bancaria. Attraverso la riserva obbligatoria e il vincolo di portafoglio possono essere raggiunti sia obiettivi di stabilità dell'azienda di credito che funzioni politiche di selezione creditizia e di controllo della massa monetaria esistente. Ma i due istituti sono da tempo oggetto di critiche severe e sono invero ritenuti freni alla capacità concorrenziale del sistema bancario.
Ai sensi dell'art. 35 della legge bancaria, la Banca d'Italia può inoltre, su direttiva del CICR, determinare i limiti massimi dei fidi concedibili e i massimali sugli impieghi al fine di evitare la concentrazione dei rischi così come può imporre rigidi vincoli sui tassi attivi e passivi delle operazioni bancarie. Tuttavia le autorità creditizie hanno oggi soppresso ogni vincolo su tassi e massimali, preferendo lasciare la loro determinazione alle regole del mercato.
Norme relative ai soli istituti di credito. - Gli istituti di credito, non essendo soggetti alle disposizioni di cui agli artt. 32, 33 e 35 della legge bancaria, hanno maggiore libertà d'azione e vengono per contro vincolati e disciplinati, nell'esercizio dell'impresa, prevalentemente dalle proprie norme statutarie.Le poche limitazioni generali esistenti riguardano, in particolare, l'attività di raccolta che risulta esercitabile quantitativamente entro limiti rapportati al patrimonio netto dell'istituto e soltanto tramite operazioni sul medio-lungo termine. Ulteriori restrizioni riguardano gli impieghi e gli affidamenti, per il problema connesso alla concentrazione dei rischi. Inoltre i beni immobili e le partecipazioni azionarie detenibili devono risultare dalle norme statutarie dei singoli istituti di credito e non possono superare, complessivamente, il patrimonio netto di detti soggetti.
L'ordinamento italiano, ispirato a una filosofia protezionistica e di controllo amministrativo sull'intero settore del credito, non ha risolto il problema della crisi del sistema bancario attraverso la disciplina ordinaria dell'impresa, ma ha ritenuto opportuno predisporre strumenti di intervento volti a garantirne la vigilanza e il controllo istituzionale. Pertanto le imprese bancarie sono sottoposte a una particolare disciplina (amministrazione straordinaria, liquidazione coatta amministrativa e concordato preventivo, artt. 59 ss. della legge bancaria), che esclude la procedura ordinaria del fallimento, dell'amministrazione controllata e dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (artt. 2 e 3, 2° comma, della legge fallimentare, art. 1 della legge n. 95 del 1979).
L'esclusione della procedura fallimentare deriva dalla sua complementarietà con la liquidazione coatta amministrativa, scelta perché presuppone, diversamente dalla prima, un controllo diretto sulla procedura liquidativa da parte delle autorità di vigilanza. L'esclusione invece delle procedure di amministrazione controllata e amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi è stata giustamente dettata dal fatto che in esse viene data pubblicità allo stato di difficoltà finanziaria dell'impresa, con finalità di salvataggio. Finalità irraggiungibile entro il sistema bancario, poiché la pubblicità non potrebbe che determinare la corsa al ritiro dei depositi, aggravando irrimediabilmente la situazione dei singoli enti creditizi. Sono stati comunque previsti in alternativa anche strumenti che tendono a superare stati di difficoltà momentanea.
Metodi preventivi. - Uno dei metodi utilizzabili per risolvere crisi patrimoniali temporanee è costituito dai finanziamenti che la Banca d'Italia è libera di eseguire verso gli enti creditizi, sotto forma di sconto o di anticipazioni su titoli. In quest'ipotesi il tasso dell'operazione viene determinato sulla base del tasso ufficiale di sconto, mentre è lasciata alla discrezionalità della medesima autorità la decisione sull'opportunità dell'intervento, in conseguenza di un esame preliminare sulla reversibilità della crisi.
Un ulteriore strumento, di carattere privatistico, è costituito dall'incorporazione dell'impresa insolvente in altro ente creditizio; operazione spesso stimolata dagli stessi organi amministrativi con la promessa alle imprese interessate di vantaggi particolari, quali la concessione dell'autorizzazione all'apertura di nuovi sportelli.A eccezione che per le casse di risparmio e i monti di credito, non è invece prevista dal nostro ordinamento l'obbligatoria costituzione di un fondo di garanzia di tipo assicurativo per il caso di crisi dell'attività, ma la sua costituzione è rimessa alla libera iniziativa delle banche. Esse, su sollecitazione delle stesse autorità creditizie, stanno opportunamente progettandone la fondazione.
Sempre all'interno di interventi preventivi può configurarsi infine il potere della Banca d'Italia di effettuare anticipazioni su titoli, a interessi irrilevanti, a favore di aziende di credito che, surrogatesi ai depositanti di altre aziende di credito in liquidazione coatta, si trovino a dover ammortizzare la conseguente perdita della loro esposizione. Il provvedimento, pur assicurando tutela al depositante, scarica in realtà gli effetti negativi dell'espansione della massa monetaria sull'intera collettività e non sul solo sistema bancario; appare quindi auspicabile la sua eliminazione.
Le procedure successive. - Nelle procedure successive, che si instaurano, cioè, quando lo stato di crisi si rivela di non facile soluzione, rientrano l'amministrazione straordinaria, la liquidazione coatta amministrativa e il concordato preventivo.Il procedimento di amministrazione straordinaria si propone non solo il fine di tutelare preventivamente i creditori dell'ente bancario, ma anche quello di risanare l'impresa in crisi e comunque di ricondurla a una gestione sostanzialmente corretta. Esso ha inizio con il provvedimento di scioglimento degli organi amministrativi che può essere disposto, con ampia discrezionalità, dal ministro del Tesoro su proposta della Banca d'Italia e può concludersi con la liquidazione coatta, qualora non sia stato possibile il superamento della crisi, oppure, in caso di esito positivo, con la decadenza dal loro ufficio dei commissari e del comitato di sorveglianza precedentemente istituiti e con la nomina degli organi sociali ordinari.
La liquidazione coatta amministrativa determina invece, almeno generalmente, lo scioglimento dell'ente creditizio, assicurando nel contempo un controllo, da parte delle autorità di vigilanza, sulle modalità della liquidazione. Si può dunque sostenere che la procedura in esame, disciplinata dagli artt. 67-86 della legge bancaria e dalla legge fallimentare, consista in una sorta di fallimento amministrativizzato dell'impresa. Il procedimento si avvia con un decreto del ministro del Tesoro, al quale viene attribuita anche in questo caso un'ampia discrezionalità nel rilascio del provvedimento; infatti le irregolarità riscontrate devono essere di eccezionale gravità e spesso tali da non far ritenere possibile la reversibilità della crisi. Il riparto totale dell'attivo dell'impresa potrà eseguirsi solo dopo l'approvazione del bilancio finale di liquidazione, del piano di riparto e del conto della gestione da parte della Banca d'Italia.
Un'ultima possibile procedura è il concordato preventivo che ogni azienda o istituto, non avente natura giuridica pubblica, può richiedere al tribunale. La specialità di tale procedura rispetto a quella ordinaria, disciplinata dalla legge fallimentare, risiede nella circostanza che la proposta concordataria, sulla cui omologazione dovrà decidere l'autorità giudiziaria, deve necessariamente essere accompagnata da un preventivo parere positivo della Banca d'Italia. Anche in questo caso è dunque lasciato un controllo ampiamente discrezionale all'autorità di vigilanza, al fine di verificare se la richiesta di concordato possa accordarsi con le ragioni di tutela generale del credito.
È stato precedentemente osservato che una disciplina speciale per l'attività bancaria si giustifica sulla base del rilievo che dallo svolgimento della stessa discende il perseguimento indiretto di un interesse generale, e dell'ulteriore considerazione che, operando su questa, gli organi politico-amministrativi possono attuare gli indirizzi di politica monetaria.Ciò ha portato alla nascita, in ogni ordinamento, di due diverse strutture: l'una, di connotazione politica, con compiti di sorveglianza e controllo sull'intero sistema creditizio; l'altra, tecnico-amministrativa, per l'attuazione delle direttive e degli indirizzi generali indicati dagli organi di governo o esplicitati nella stessa legge. Nell'ordinamento italiano tali strutture sono costituite dal Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR), dal ministro del Tesoro, dalla Banca d'Italia e dal governatore della stessa.
Il CICR. - Il CICR è stato istituito con d.p.r. n. 691 del 1947 ed è oggi costituito dal ministro del Tesoro, che lo presiede e ne esplica i poteri di convocazione e proposta delle deliberazioni, nonché dall'insieme dei cosiddetti ministri economici.Le decisioni dell'organo a livello formale si manifestano attraverso due distinte categorie di atti: i decreti del ministro del Tesoro, con cui si formalizzano le deliberazioni del Comitato, e le direttive alla Banca d'Italia in materia creditizia, che la stessa deve tradurre in istruzioni rivolte alle imprese bancarie.
Le funzioni del Comitato vengono definite dal d.p.r. n. 691 del 1947 e consistono nell'alta vigilanza sul sistema creditizio e valutario, con esclusione del controllo sull'intero settore monetario, sul quale incide invece maggiormente il ministro del Tesoro. Si è vivamente discusso a proposito della natura amministrativa o politica del Comitato in relazione ai modi e alle finalità perseguibili nell'attuazione delle relative funzioni. A tale proposito è bene ricordare che la Costituzione determina esplicitamente, e in maniera tassativa, gli organi di governo, non ricomprendendo tra essi alcuna forma di comitato di ministri: da questa considerazione dovrebbe discendere, su un piano puramente formale, la natura strettamente amministrativa del Comitato Interministeriale, mentre rimane possibile l'imputazione di una responsabilità politica soltanto a ogni singolo ministro membro del Comitato stesso.
Il ministro del Tesoro. - Il ministro del Tesoro svolge compiti di particolare rilievo all'interno del CICR, connessi, come abbiamo già osservato, all'ufficio di presidenza. Inoltre, ai sensi della legge bancaria e delle normative speciali dell'ordinamento creditizio, gli vengono attribuite alcune funzioni in piena autonomia. Esse consistono principalmente nella nomina di una parte consistente dei titolari delle banche pubbliche, nell'approvazione degli statuti degli istituti di credito di diritto pubblico, delle casse o delle banche d'interesse nazionale e, infine, nella possibilità di prendere, in situazioni d'urgenza, tutti i provvedimenti normalmente attribuiti allo stesso Comitato Interministeriale.
Tuttavia i compiti di maggior rilievo assegnati istituzionalmente al Tesoro concernono l'attuazione della politica monetaria, attraverso cui è data la possibilità di incidere notevolmente sulla quantità di moneta in circolazione e, più in generale, sull'intero settore economico. Funzioni primarie, sotto questo profilo, riguardano i poteri di decidere l'emissione dei titoli pubblici e la fissazione del loro tasso di interesse (capace di influenzare la direzione generale degli investimenti), nonché la determinazione, su parere della Banca d'Italia, del tasso ufficiale di sconto, attraverso il quale si interviene direttamente sui rapporti creditizi tra le imprese bancarie e l'istituto di emissione.
La Banca d'Italia. - Alla Banca d'Italia, dapprima costituitasi in forma di società per azioni e come tale soggetto di diritto privato, è stata attribuita natura di ente pubblico per esplicito riconoscimento legislativo ai sensi degli artt. 5 e 20 della legge bancaria.La partecipazione al capitale è rappresentata da quote nominative, sottoscrivibili unicamente da casse di risparmio (che attualmente detengono la maggioranza del capitale), istituti di credito di diritto pubblico, banche d'interesse nazionale, nonché istituti di previdenza e d'assicurazione.
Gli organi sociali sono costituiti dall'Assemblea generale del Consiglio Superiore, dal Comitato del Consiglio e infine dal Direttorio, presieduto dal governatore. La nomina e la revoca dei componenti degli organi esecutivi della Banca, compreso il governatore, avvengono tramite una preventiva deliberazione del Consiglio Superiore, approvata con decreto presidenziale su proposta del presidente del Consiglio dei ministri di concerto con il ministro del Tesoro; le operazioni concernenti le cariche si effettuano dunque solo se c'è l'assenso tanto del Consiglio della Banca d'Italia quanto degli organi politici suddetti. La competenza funzionale per la tutela e la vigilanza in materia creditizia e valutaria, per quanto imputabile alla Banca d'Italia nel suo insieme, viene attribuita in via esclusiva all'ufficio del governatore, con impossibilità di intromissione del Consiglio Superiore nelle decisioni relative, mentre solo per le funzioni relative al settore monetario vi è collaborazione tra tutti gli organi sociali della Banca d'Italia, nelle forme e nei modi statutariamente contemplati.
Da un punto di vista generale le attribuzioni della Banca d'Italia possono essere divise in tre gruppi distinti e precisamente: il controllo e la vigilanza sul settore creditizio, l'erogazione di liquidità verso aziende e istituti di credito nonché verso il Tesoro, il controllo e la vigilanza sul sistema valutario.
Con riferimento al settore creditizio, la Banca d'Italia interviene attraverso provvedimenti amministrativi direttamente vincolanti e obbligatori o per le singole imprese bancarie (si pensi all'autorizzazione all'inizio delle operazioni) o per la generalità degli enti creditizi (si pensi ad esempio alle direttive in materia di vincoli di portafoglio). Il potere di emettere provvedimenti amministrativi in alcuni casi viene assegnato direttamente dalla legge alla Banca d'Italia, in piena autonomia nella determinazione del contenuto; altre volte invece l'attività svolta può dirsi meramente esecutiva, in quanto la Banca deve unicamente formalizzare, mediante istruzioni, le direttive impartite dal CICR senza modificarle.
Un particolare problema consiste allora nel verificare le limitazioni alla discrezionalità della banca centrale nell'emanazione di tali provvedimenti. Un primo vincolo a tale discrezionalità discende dall'art. 47 della Costituzione, dal quale si desume che l'attività dell'organo di vigilanza non può che essere finalizzata, in materia creditizia, alla tutela della stabilità e solvibilità del sistema, proiettata verso la generale difesa del risparmio. Un secondo limite deriva dalle eventuali direttive del CICR, che tuttavia non costituiscono un vincolo di carattere propriamente giuridico, permettendo dunque alla Banca d'Italia, sul piano operativo, una notevole libertà d'azione priva di autonoma sanzione.
È bene però ricordare che rimane aperta la possibilità di opposizione a un eventuale provvedimento discrezionale della Banca d'Italia contrastante con gli indirizzi indicati dalle direttive ministeriali. In base all'art. 19 della legge bancaria, infatti, le imprese interessate da detti provvedimenti possono proporre reclamo al CICR affinché effettui una valutazione di merito, anche se a posteriori. Dalle osservazioni svolte riguardo ai poteri in ambito creditizio della Banca d'Italia emerge l'esistenza di un'eccessiva discrezionalità nello svolgimento delle funzioni a questa riservate, derivante da una esasperata elasticità del dettato legislativo e da una debole connessione, sul piano giuridico, tra provvedimenti della banca centrale e direttive del Comitato Interministeriale.
Inoltre nella prassi la Banca d'Italia, pur non essendo politicamente rappresentativa, ha svolto il ruolo di ideatore della politica monetaria più generale, atteggiamento che diventa tanto più discutibile quanto più elevato è il grado di autonomia della stessa Banca rispetto agli organi politici. Si rende dunque opportuna, come tendenza evolutiva, una maggiore coordinazione con le strutture politiche attraverso l'attribuzione a queste ultime del potere di influire in modo più vincolante su quella parte dell'attività della Banca d'Italia che ha la capacità di influenzare la politica monetaria. In alternativa, se si vuole conservare l'ampia autonomia funzionale, è necessaria una maggiore determinazione dei vincoli all'attività, restringendo entro limiti precisi l'ambito di discrezionalità dell'organo.
Sotto il profilo dell'erogazione di liquidità, l'azione della Banca d'Italia viene svolta nei confronti di aziende, di istituti di credito e anche del Tesoro, prevalentemente per mezzo di negozi giuridici di diritto privato che consistono in operazioni di sconto, anticipazioni su titoli, o prestiti, anche sotto forma di mutuo. L'azione della Banca d'Italia è, relativamente a tali operazioni, assolutamente libera e discrezionale, salva l'obbligatoria applicazione del tasso ufficiale di sconto predeterminato dal ministro del Tesoro e la necessaria osservanza del vincolo di bilancio.
La funzione monetaria si esplica in modo particolare nei confronti del Tesoro, in rapporto al quale l'istituto di emissione assume il compito precipuo di prestatore di liquidità di ultima istanza per i bisogni dello Stato. Per assolvere tale compito il Tesoro intrattiene con la Banca d'Italia un conto corrente sul quale può essere addebitata una somma non superiore a una determinata percentuale rispetto all'ammontare delle spese correnti e di quelle in conto capitale risultanti dal bilancio d'esercizio di previsione dello Stato. Ulteriori anticipazioni straordinarie, solo in casi di eccezionale urgenza, dovranno invece essere preventivamente autorizzate dagli organi politici predeterminati dalla legge (Parlamento). La concessione di credito al Tesoro può tuttavia avvenire, in piena libertà d'azione, salvo i limiti generali sopra accennati, attraverso l'acquisto di titoli di Stato da parte dello stesso istituto di emissione.
Un'ultima funzione attribuita alla banca centrale, strettamente connessa al controllo sul settore creditizio e agli interventi in materia monetaria, è la vigilanza sul settore valutario. In realtà, nell'ordinamento italiano è stato attribuito il monopolio per tutte le operazioni di valuta all'Ufficio Italiano Cambi (UIC), cui sono ulteriormente stati accreditati i poteri di autorizzazione, originariamente di competenza del ministro del Tesoro. L'autonomia funzionale dell'UIC rispetto alla Banca d'Italia è peraltro alquanto limitata poiché lo stesso è presieduto dal governatore della banca centrale, ha un fondo di dotazione totalmente conferito da quest'ultima e si avvale, per l'esecuzione delle proprie decisioni, delle agenzie operative della medesima. Anche il sistema valutario, con coordinamento e cooperazione del ministro del Tesoro e del ministro per il Commercio con l'Estero, appare dunque centralizzato sulla banca centrale, o meglio, sul governatore della stessa.
Tuttavia, con l'introduzione del mercato senza frontiere nel 1992, a seguito dell'approvazione dell'Atto Unico Europeo (legge n. 909 del 23 dicembre 1986), il monopolio valutario è destinato a cessare.
3. Il diritto comunitario e l'ordinamento del credito
Le norme del Trattato di Roma, istitutivo della Comunità Economica Europea, nonché le direttive di integrazione dello stesso hanno influenzato notevolmente l'evoluzione degli ordinamenti bancari degli Stati membri. In un primo periodo la filosofia comunitaria, con poca attenzione al problema della stabilità degli intermediari finanziari, si ispirò rigidamente all'idea della salvaguardia di un'effettiva concorrenza a livello europeo anche nel settore del credito.Tale filosofia emerge già nel disposto dell'art. 3 del Trattato di Roma nel quale si sancisce l'eliminazione degli ostacoli, esistenti fra gli Stati membri, relativi alla circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali: un impegno specifico da attuarsi entro il 1992, secondo quanto previsto dall'Atto Unico Europeo. Nello stesso senso è indirizzato il disposto dell'art. 52 del Trattato, nel quale si tutela la libertà di stabilimento e la cui lettura, sotto il profilo dell'attività bancaria, deve essere coordinata con l'art. 61, che pone un collegamento funzionale tra la libera circolazione dei servizi delle banche e la liberalizzazione progressiva della circolazione dei capitali.
Ma le norme che maggiormente tutelano l'efficienza del sistema derivano dalle disposizioni di cui agli artt. 85 e 86, dalle quali scaturisce un divieto generale relativo alle pratiche distorsive della concorrenza, tramite la repressione delle intese e degli abusi di posizione dominante. In realtà, sotto questo profilo, è stata più volte affermata l'applicabilità all'attività bancaria dell'art. 90 del Trattato, secondo cui le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale sarebbero sottoposte alle regole di concorrenza nei soli limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento della specifica missione loro affidata dalla legge. Tuttavia la giurisprudenza della Corte di Giustizia, non ritenendo che l'attività bancaria possa essere considerata di interesse generale, l'ha sottoposta - senza alcuna esenzione - al disposto di cui agli artt. 85 e 86, attuando in modo estremamente rigoroso la tutela dell'efficienza del sistema più che della sua stabilità.
Questa primitiva filosofia, rigidamente concorrenziale, è andata attenuandosi soprattutto dopo le vicende relative alle crisi bancarie che intorno agli anni settanta colpirono rilevanti aziende di credito tedesche e italiane. Nacque allora l'esigenza di trovare un opportuno punto di equilibrio tra efficienza e stabilità nel settore del credito e, nel contempo, di reprimere l'accentuato livello di discrezionalità nell'emanazione dei provvedimenti, riservato in vari Stati agli organi settoriali di vigilanza. Frutto di questa più evoluta concezione è innanzitutto la direttiva comunitaria n. 780 del 1977, relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, riguardanti l'accesso all'attività degli enti creditizi e il suo esercizio, che è stata recepita nell'ordinamento italiano dal d.p.r. n. 350 del 27 giugno 1985. Un primo obiettivo di tale provvedimento, sulle orme di quella primitiva salvaguardia della concorrenza, è consistito nell'eliminazione della discrezionalità nell'eventuale rilascio dell'autorizzazione all'inizio delle operazioni bancarie.
Tuttavia, poiché al momento dell'emanazione della direttiva la maggior parte degli Stati membri non contemplava alcun obbligo di preventiva autorizzazione per l'esercizio dell'attività bancaria, appare ovvio che la direttiva stessa sia anche ispirata all'idea della necessità di un controllo preventivo sull'attività e dunque indirizzata esplicitamente alla tutela della stabilità del sistema. Tale lettura risulta ancora più evidente ove si consideri che il provvedimento non incide sull'apertura di nuovi sportelli, anche automatici, sui quali dunque gli organi di vigilanza nazionali possono ancora utilizzare la propria discrezionalità. Inoltre viene lasciata aperta l'ulteriore possibilità della valutazione delle condizioni generali del mercato, in funzione della concessione dell'autorizzazione medesima.
A un'analoga filosofia di tutela della stabilità del settore creditizio sembra ispirata anche la direttiva comunitaria del 13 giugno 1983 che, in seguito alle vicende del Banco Ambrosiano e sulle tracce del nuovo testo del Concordato di Basilea, impone alle competenti autorità amministrative il controllo del bilancio delle banche sotto forma di bilancio consolidato.Si può dunque affermare che il diritto bancario comunitario, sorto sull'idea della necessità di una rigida tutela della concorrenza nel settore del credito, ha sempre maggiormente sentito l'opportunità di risolvere il congiunto problema della stabilità e della solvibilità degli enti creditizi. Il tentativo di trovare un adeguato punto di equilibrio tra efficienza e stabilità sembra esplicito nelle ultime direttive degli organi comunitari in materia bancaria: nella ricerca di tale equilibrio si intravvede l'intero sviluppo della disciplina.
(V. anche Borsa).
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