Vedi Bangladesh dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La Repubblica popolare del Bangladesh è una repubblica democratica indipendente, facente parte del Commonwealth, nonché il terzo paese a maggioranza musulmana più popoloso al mondo, dopo Indonesia e Pakistan.
Regione orientale del Pakistan fino al 1971, ha raggiunto la piena indipendenza a seguito di una guerra di secessione combattuta con il sostegno dell’India e terminata il 16 dicembre 1971, che ha provocato circa 3 milioni di vittime. All’interno dei complessi equilibri politici dell’Asia meridionale, il Bangladesh ha costruito la sua politica estera principalmente sulle relazioni con l’India e con l’ex repubblica ‘gemella’ del Pakistan, inserendosi spesso nei varchi aperti dalla storica rivalità tra questi due paesi. All’iniziale vicinanza tra Bangladesh e India sono seguiti rapporti più instabili, spesso in coincidenza dell’alternanza degli esecutivi che hanno guidato il Bangladesh: dei due principali partiti nazionali, la Awami League (Al) è tradizionalmente filo-indiana, mentre il Bangladesh Nationalist Party (Bnp) è fautore di una linea di maggiore autonomia dall’influente vicino.
Il Bangladesh condivide con l’India la quasi totalità dei suoi confini terrestri e da ciò derivano i principali motivi di attrito tra i due paesi. Tali tensioni sono legate in parte alla demarcazione dei confini e alla gestione delle risorse idriche comuni – prima tra tutte quella del fiume Gange –, in parte ai problemi relativi alla sicurezza delle frontiere. Fonte di apprensioni è il rischio che il Bangladesh possa rappresentare un territorio franco per i gruppi separatisti attivi negli stati del nord-est dell’India. Su questo tema, negli ultimi anni, si è tuttavia registrata una collaborazione maggiore rispetto al passato, che ha portato all’arresto e all’estradizione di alcuni membri della formazione dello United Liberation Front of Asom. Infine, è grave il problema dell’immigrazione clandestina e dei traffici illeciti gestiti dalle reti transfrontaliere della criminalità organizzata e da gruppi fondamentalisti. Per far fronte a tale situazione, Nuova Delhi ha costruito una recinzione fortificata lungo i 4000 km di confine con il Bangladesh. Dopo un periodo di rafforzamento conseguente all’ascesa al potere, nel 2010, in Bangladesh della Awami League, le relazioni tra i due paesi hanno subito un nuovo raffreddamento nella primavera 2014, in seguito all’instaurazione in India del nuovo governo a guida Bharatiya Janata Party (Bjp). Dopo una fase di assestamento, però, i rapporti tra i due paesi sembrano avviati verso una più pacifica convivenza, come testimoniato dalla visita compiuta nel giugno 2015 dal primo ministro indiano Narendra Modi, durante la quale i due paesi hanno firmato numerosi contratti bilaterali.
I rapporti con il Pakistan sono stati caratterizzati da tensioni nella fase immediatamente successiva alla guerra di indipendenza – in particolare per i tentativi di Islamabad di ostacolare il riconoscimento internazionale del neonato stato – divenuto membro delle Nazioni Unite solo dal 1974. Le relazioni tra i due paesi sono andate tuttavia progressivamente migliorando, soprattutto dal punto di vista degli scambi commerciali e di quelli culturali. In particolare, la comune identità musulmana delle due popolazioni costituisce un elemento di rilevante vicinanza. La guerra di secessione, oltre ad aver lasciato alcune crepe sul fronte interno – per esempio la condanna a morte comminata nel settembre 2013 dalla Corte suprema del Bangladesh ad Abdul Quader Mollah, vice segretario generale del partito islamico Jamaat-e-Islami, per crimini contro l’umanità e in particolare per le stragi di civili durante il conflitto – pesa ancora molto sulle relazioni bilaterali con il Pakistan. Rimangono ancora aperte le questioni del riconoscimento e dell’accertamento delle responsabilità delle violenze commesse durante la guerra – per giudicare le quali è attivo nel paese un tribunale speciale – così come la rivendicazione del Bangladesh su quote di risorse nazionali pachistane, rimaste nelle mani di Islamabad dopo la scissione del 1971.
Anche le relazioni con la Cina hanno tradizionalmente rivestito una rilevanza strategica per Dacca, specie in funzione di un bilanciamento rispetto alla naturale influenza indiana. Con Pechino, negli ultimi anni, si è andata sviluppando una collaborazione sempre più intensa su diversi piani: dalle forniture militari agli scambi commerciali, passando per la realizzazione congiunta di importanti opere infrastrutturali, tra le quali lo sviluppo del porto di Chittagong e di quello sull’isola di Sonadia. Buoni anche i rapporti diplomatici con il vicino Myanmar, così come quelli con gli Usa, interessati alla stabilità politica di un paese dalla straordinaria posizione geo;strategica. Con Washington si registrano, in particolare, intensi scambi finanziari e commerciali, specie in relazione agli investimenti diretti nel settore energetico (gas naturale ed energia elettrica) favoriti anche da uno Special Partnership Agreement firmato tra i due governi nel novembre 2012 durante la visita nel paese dell’allora segretario di stato Usa Hillary Clinton. Dacca beneficia, inoltre, di un importante programma statunitense di aiuti, che nel 2012 ha raggiunto una somma totale di circa 195 milioni di dollari.
I primi quarant’anni di vita politica del paese sono stati caratterizzati tanto da periodi di stabilità quanto da fasi di forti tensioni, che hanno prodotto ripetuti tentativi di colpi di stato e l’assassinio di due presidenti in carica. Spartiacque per un deciso consolidamento democratico è stato il 1991, anno in cui venne rovesciato il regime del dittatore Hussain Mohammad Ershad e ristabilito un governo costituzionale. Da allora la scena politica del paese è stata caratterizzata da una sostanziale alternanza di governo tra i due maggiori partiti nazionali e dalla contrapposizione tra le due donne che ne sono a capo: da una parte Khaleda Zia (Bnp), vedova del generale Ziaur Rahman, che è stata a capo del governo dal 1991 al 1996 e dal 2001 al 2006; dall’altra, l’attuale primo ministro Sheikh Hasina Wajed (Al), figlia dell’ex presidente Sheikh Mujibur Rahaman, che aveva già guidato la legislatura dal 1996 al 2001. Tra il 2006 e il 2008 il paese è stato guidato da un governo provvisorio appoggiato dai militari, che ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale a seguito di un’ondata di attacchi terroristici di matrice fondamentalista (avvenuti soprattutto nel 2004-05) e di un’escalation di proteste violente, legate alla preparazione delle elezioni generali: si è trattato di un biennio che ha portato un giro di vite molto forte contro la corruzione e il nepotismo di un’intera élite politica. Le ultime elezioni, tenutesi nel gennaio 2014, sono state boicottate dal Bnp, che non dispone dunque attualmente di rappresentanti in parlamento e che continua la sua campagna di denuncia nei confronti del processo elettorale e dell’Al attraverso manifestazioni di piazza e atti di resistenza civile.
Nel paese è attivo un gruppo islamista, Ansarullah Bangla Team (Abt), responsabile di numerosi attacchi nei confronti di attivisti e scrittori laici. A partire dal 2014, poi, è stata segnalata la presenza di diverse persone accusate di fare parte del gruppo Stato Islamico (Is). Dal 2005, sono sei i gruppi islamisti messi fuori legge dalla polizia con l’accusa di compiere attività eversive.
Il Bangladesh è tra i primi paesi al mondo per densità demografica: il primo, se si escludono le città-stato con elevata urbanizzazione come Monaco, Singapore, Hong Kong o paesi a più alta densità ma con un territorio molto limitato, come Malta o le isole Bermuda. Il tasso di crescita della popolazione dal 2002 in avanti si è attestato intorno all’1,3% annuo. Tale percentuale, oggi in lieve diminuzione, segnala un sostanziale rallentamento rispetto ai preoccupanti tassi dei primi anni Novanta. Il contenimento della crescita demografica è stata, e rimane tutt’oggi, una delle priorità dell’agenda politica dei governi bengalesi degli ultimi anni, realizzata tramite numerosi progetti di controllo e riduzione delle nascite.
La capitale Dacca, che nella sua area metropolitana raggiunge quasi 27 milioni di abitanti, è una delle città più popolose al mondo. Insieme agli altri centri urbani – Chittagong, Khulna e Rajshahi – riceve un costante afflusso di persone che si spostano dalle aree rurali, determinando una crescita della popolazione urbana doppia rispetto a quella totale. La grande maggioranza della popolazione (il 90%) è di religione musulmana; il resto si suddivide tra un 9% di induisti e un 1% di buddisti e cristiani. Il tasso di scolarizzazione è in aumento. Sebbene rimangano marcate disparità tra popolazione rurale e urbana, oltre che forti discriminazioni di genere, il Bangladesh ha compiuto notevoli progressi in campo sociale, affermandosi come uno dei paesi che più si sono adoperati per raggiungere gli Obiettivi del Millennio fissati dalle Nazioni Unite nel 2000.
L’economia del Bangladesh dipende in larga misura dal settore agricolo, che pesa all’incirca per il 16% sul totale del prodotto interno lordo ma dà lavoro alla metà della popolazione attiva. Il settore agricolo è destinato a crescere ulteriormente a un tasso medio annuo del 3,7% nel quinquennio 2013-17, contro il 4,2% del periodo precedente.
Circa i due terzi del territorio del Bangladesh sono adibiti a coltivazione: iuta, tè, riso e senape sono i principali prodotti agricoli bengalesi. Il settore agricolo sconta tuttavia due deficit: una marcata frammentazione della proprietà fondiaria e un regime delle acque particolarmente irregolare, caratterizzato da una forte siccità durante la stagione più calda e da precipitazioni rovinose che producono spesso devastanti inondazioni nella stagione delle piogge.
Il comparto manifatturiero è dominato dalla produzione di abbigliamento. Si tratta di un settore in crescita costante, che negli ultimi vent’anni ha visto la proliferazione di numerose piccole e medie imprese, impegnate nell’esportazione di quei prodotti tessili (tra cui figurano soprattutto capi preconfezionati) che rappresentano la prima voce delle esportazioni nazionali, specie verso i mercati europei e statunitensi. Bassissime le tutele dei lavoratori, come si è visto in occasione del crollo di una fabbrica a Dacca, nell’aprile 2013, che ha provocato più di mille morti tra i lavoratori e indotto la chiusura di 200 stabilimenti a rischio.
Negli ultimi anni, il pil del Bangladesh è cresciuto a tassi prossimi al 6%: un risultato positivo in linea, perlopiù, con quello degli altri principali paesi della regione. La crescita del pil continuerà ad essere guidata da servizi e industria: il primo settore contribuisce per circa il 56% del pil, mentre il secondo rappresenta circa il 28%.
Ancora rilevante è la percentuale di popolazione che vive al di sotto della soglia di sussistenza: la capacità di armonizzare e diffondere gli effetti della crescita dell’economia nazionale resta una delle principali sfide con cui il governo di Dacca dovrà confrontarsi nel prossimo futuro.
Fondamentale per la stabilità macroeconomica del paese è infine la questione delle rimesse. Il numero di cittadini bengalesi che lavora all’estero ha registrato, negli ultimi due decenni, una crescita vertiginosa, passando dai 70.000 della metà degli anni Ottanta ai più di 4 milioni attuali. Un numero importante che genera ogni anno un afflusso costante di rimesse, arrivate a contare, nel 2013, quasi 14 miliardi di dollari – superiori al 10% del pil bengalese. Tali rimesse provengono principalmente dai paesi del Medio Oriente (in primis dall’Arabia Saudita), dagli Usa e da alcuni paesi europei.
Il Bangladesh intrattiene rapporti commerciali molto stretti con l’Unione Europea (Eu), in particolare con Germania, Regno Unito e Francia: se si aggregano i volumi di scambi dei 28 paesi membri, l’Eu si attesta come il primo partner commerciale del paese, assorbendo intorno alla metà delle sue esportazioni. Circa il 20% delle esportazioni sono destinate agli Usa mentre dal punto di vista delle importazioni i primi due partner sono Cina e India, le quali rappresentano quasi un terzo dell’import bengalese.
Il Bangladesh è inoltre presente nei meccanismi globali e regionali di cooperazione: è membro della Organizzazione mondiale del commercio (Wto) sin dalla sua fondazione ed è stato uno dei principali fautori dell’Associazione per la cooperazione regionale dell’Asia meridionale (Saarc).
La spesa militare in rapporto al pil è stata pari all’1,15% per l’anno fiscale 2014: una spesa dunque relativamente bassa, specie se paragonata con quelle sostenute dai principali paesi della regione dell’Asia meridionale, come India (2,41%), Pakistan (3,4%), Cina (2,09%) e Myanmar (3,69%).
Il comparto armato del Bangladesh conta poco più di 157.000 unità effettive, tra cui circa 126.000 impiegate nell’Esercito, all’incirca 17.000 nella Marina e 14.000 nell’Aeronautica. Vi sono inoltre circa 64.000 paramilitari, di cui circa un terzo fa parte del Bangladesh Ansar, un corpo impegnato a sostegno dell’esercito e della polizia nella funzione di controllo del territorio; 38.000 paramilitari sono invece impiegati nella Guardia di frontiera, responsabile del controllo dei confini, mentre 5000 elementi prestano servizio nella Polizia armata.
Con un contributo di circa 9400 soldati dispiegati, nel 2015 il Bangladesh si è confermato il primo paese al mondo in termini di numero di truppe impiegate nelle missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite: un coinvolgimento che ha conferito a Dacca un importante ruolo nella sicurezza multilaterale internazionale e che rappresenta una sostanziosa forma di entrata, pari a circa 200 milioni di dollari all’anno, per il settore della difesa nazionale. Attualmente, la gran parte dei soldati bangalesi impegnati in missioni delle Nazioni Unite si trova nel continente africano, con una presenza sostanziosa soprattutto nella Repubblica Democratica del Congo (con 2550 truppe), nella Costa d’Avorio (1682) e nel Mali (1471).