OBAMA, Barack (propr. Barack Hussein Obama II)
Uomo politico, nato a Honolulu il 4 agosto 1961. Primo presidente afroamericano nella storia degli Stati Uniti, è stato eletto per il primo mandato nel 2008 e confermato per il secondo nel 2012. Nel 2009 gli è stato assegnato il premio Nobel per la pace per i «suoi straordinari sforzi per rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli».
Il padre, Barack Obama Sr, era uno studente kenyano che aveva ottenuto una borsa di studio all’Università delle Hawaii, dove era iscritta anche la madre, Ann Dunham, originaria del Kansas. Barack Obama Sr abbandonò presto la famiglia, prima per un periodo di studi a Harvard, poi per tornare in Kenya, dove morì in un incidente automobilistico (1982). Dopo la sua partenza per l’Africa, O. incontrò il padre una sola volta, nel 1965, anche se la sua figura è al centro della prima riflessione autobiografica del futuro presidente: Dreams from my father: a story of race and inheritance (1995; trad. it. 2007).
Dopo aver trascorso quasi tutto il periodo delle scuole elementari a Giacarta, in Indonesia, dove la madre si era trasferita dopo il matrimonio con un altro studente straniero dell’Università delle Hawaii, Lolo Soetoro, all’età di dieci anni O. tornò a Honolulu per vivere con i nonni. La madre, separatasi una seconda volta, rientrò alle Hawaii per completare gli studi universitari in antropologia e poi tornò in Indonesia, dove trascorse gran parte della sua vita.
Rimasto a Honolulu per tutto il periodo liceale, O. si trasferì in California per studiare all’Occidental College di Los Angeles e, terminato il primo biennio di studi, ultimò l’università alla Columbia University di New York, dove si laureò in scienze politiche (1983). Dopo aver lavorato per un anno presso un’azienda di consulenza, O. accettò l’incarico di community organizer nel South Side di Chicago, una delle aree più povere e degradate della città. Nel 1988 si iscrisse alla scuola di legge di Harvard, dove eccelse e riuscì a farsi eleggere, primo afroamericano nella storia, alla guida della prestigiosa rivista «Harvard law review». Iniziò inoltre a collaborare con alcuni studi legali di Chicago, dove conobbe Michelle Robinson, che sposò nel 1992 e con la quale ha avuto due figlie, Malia (1998) e Natasha (2001).
Nei primi anni Novanta O. coordinò progetti finalizzati a promuovere la partecipazione al voto degli afroamericani e insegnò part-time alla scuola di legge dell’Università di Chicago. La sua prima esperienza politica si ebbe nel 1996, quando fu eletto senatore dello Stato dell’Illinois. Rieletto due volte alla stessa carica (1998 e 2002), nel 2000 partecipò alle primarie democratiche per un seggio alla Camera dei rappresentanti, dove subì l’unica sconfitta elettorale della sua carriera, ottenendo meno della metà dei voti del congressman democratico in carica, Bobby Rush.
Non ancora al Congresso, nell’ottobre del 2002 O. criticò il prossimo intervento militare degli Stati Uniti in ῾Irāq, presentandolo come affrettato e «stupido». Nel 2004 si candidò nuovamente per il Congresso, questa volta per un seggio senatoriale lasciato vacante, ottenendo un largo successo che lo consacrò come astro nascente del Partito democratico. Fu però la convention democratica dello stesso anno a trasformare O. in una figura di rilievo nazionale. Il giovane senatore dell’Illinois pronunciò un discorso molto apprezzato, nel quale invitava a superare le tante divisioni – politiche, sociali e razziali – che laceravano gli Stati Uniti. L’invito a riappropriarsi del sogno americano assunse una funzione centrale nella retorica di O. e contraddistinse il suo secondo libro: The audacity of hope: thoughts on reclaiming the American dream (2006; trad. it. 2008).
Durante i quattro anni trascorsi al Senato, O. non si distinse per il suo attivismo legislativo. Usò invece il seggio senatoriale, e la popolarità maturata, per lanciare la sua campagna per la presidenza, che fu annunciata nel febbraio 2007. Decisiva, durante le primarie democratiche, fu la sua precoce denuncia dell’intervento militare in ῾Irāq, che era stato invece appoggiato dagli altri principali candidati, inclusa la favorita Hillary Clinton. Dopo una competizione serrata e non di rado aspra, O. ottenne la nomination democratica, beneficiando di una generale richiesta di cambiamento alla quale contribuiva anche la pesante crisi economica iniziata nel 2007.
Nel novembre 2008 O. sconfisse nettamente il repubblicano John McCain e divenne il primo presidente afro americano nella storia degli Stati Uniti. Assai importante nel determinare l’esito delle elezioni fu la sua capacità di costruire un’ampia coalizione elettorale, nella quale un ruolo centrale era svolto da giovani, donne e minoranze. Questa coalizione si riattivò in occasione del voto del 2012, quando O. fu rieletto per un secondo mandato, ma disertò in larga misura le urne nelle elezioni di medio termine del 2010 e del 2014, che produssero disastrose sconfitte per il presidente e il suo partito. Infatti il Partito repubblicano riacquisì il controllo della Camera dei rappresentanti nel 2010 e conquistò la maggioranza al Senato nel 2014. Dopo il primo biennio di presidenza O. ha quindi dovuto convivere con una situazione di governo diviso, fronteggiando un’opposizione repubblicana capace di bloccare alcune delle sue iniziative legislative più ambiziose. E, a dispetto della retorica e delle intenzioni, si è rivelato essere un presidente divisivo e polarizzante, come evidenziato dai sondaggi sul suo operato, contraddistinti negli anni da una sostanziale (e costante) parità tra critici e sostenitori.
Durante la sua presidenza O. si è confrontato con due problemi principali: la pesante crisi economica iniziata nel 2007 e la necessità di ridurre l’esposizione internazionale degli Stati Uniti, ponendo termine in particolare all’intervento militare in ῾Irāq. Non appena insediata, la nuova amministrazione promosse un piano di aiuti straordinari all’economia dell’ammontare di circa 800 miliardi di dollari. La politica di sostegno e salvataggio degli istituti bancari già avviata con George Bush fu proseguita dal nuovo segretario del Tesoro, Timothy Geithner. In parallelo, dopo un aspro scontro con i repubblicani, O. riuscì a far approvare una radicale riforma del sistema sanitario, con il Patient protection and affordable care act (PPACA), altresì noto come Obamacare, che imponeva l’obbligo individuale di disporre di un’assicurazione medica e impediva alle assicurazioni di discriminare sulla base delle preesistenti condizioni di salute.
Gli avversari di O. denunciarono questi provvedimenti come lesivi delle libertà individuali e ne criticarono gli effetti sui conti pubblici. I dati sembrano però indicare un sostanziale successo delle politiche adottate: a partire dal 2010 il PIL del Paese è tornato a crescere al ritmo del 2% annuo; la disoccupazione è quasi dimezzata, attestandosi al 6%; circa 15 milioni di persone hanno ottenuto una copertura medica grazie a Obamacare; il rapporto tra debito e PIL è rimasto stabile; quello tra deficit e PIL è passato dal 10,7% del 2010 al 2,8% del 2015.
Per quanto riguarda la politica estera, O. ha accelerato il ritiro delle truppe statunitensi dall’Irāq e, dopo un loro iniziale aumento, anche dall’Afghānistān. Al contempo, ha cercato di dare risposta alle nuove priorità geopolitiche del Paese, riorientando l’impegno militare e diplomatico verso il teatro dell’Asia-Pacifico. Negli Stati Uniti l’iniziale apprezzamento per la politica estera di O. è però gradualmente scemato, soprattutto in seguito allo scontro con la Russia sulla questione dell’Ucraina e all’apparente incapacità di dare risposta alla sfida del nuovo Stato islamico in Siria e in ῾Irāq (v. IS).
Bibliografia: D. Remnick, The bridge: the life and rise of Barack Obama, New York 2010 (trad. it. Obama. Una storia della nuova America, Milano 2010); Th.J. Sugrue, Not even past: Barack Obama and the burden of race, Princeton 2010; J.T. Kloppenberg, Reading Obama: dreams, hope and the American political tradition, Princeton 2011; D. Maraniss, Barack Obama: the story, New York 2012; Th. Skocpol, Obama and America’s political future, Cambridge (Mass.) 2012; M.P. Jeffries, Paint the White House black: Barack Obama and the meaning of race in America, Stanford 2013; M. Keller, Obama’s time: a history, Oxford-New York 2015.