MANFREDI, Barbara
Figlia di Astorgio (II), signore di Faenza, e di Giovanna Vestri, figlia di Ludovico conte di Cunio, nacque il 3 apr. 1444.
Della sua infanzia e adolescenza abbiamo poche notizie: sappiamo che Astorgio, mentre assediava Castel San Pietro per conto del Comune di Bologna nel 1449, ricevette dalla moglie i ritratti delle due figlie, Elisabetta e la M., dipinti su tavola da Giovanni Recordati da Oriolo, pittore imolese, e accompagnati da due brevi carmi latini dell'umanista cesenate Angelo Lapi.
Il 2 marzo 1451 la M. fu promessa in moglie al quindicenne Pino Ordelaffi, secondogenito di Antonio (I), signore di Forlì in coreggenza con il fratello maggiore Francesco detto Cecco. Il legame matrimoniale con gli Ordelaffi era in realtà duplice: il 25 genn. 1456 infatti fu celebrato a Faenza il matrimonio fra Elisabetta, sorella maggiore della M., e Cecco Ordelaffi; nello stesso giorno la promessa di matrimonio che riguardava la M. fu reiterata e confermata. Nel febbraio 1457 la sorella Elisabetta si trasferì a Forlì.
In questi anni i rapporti fra le due corti vicine erano stretti e frequenti: si ha infatti notizia del susseguirsi di festeggiamenti comuni, cacce, giostre e inviti reciproci. Il duplice legame nuziale stringeva alleanza fra due dinastie confinanti i cui rapporti, fra '300 e '400, erano stati di volta in volta pacifici o conflittuali, in un momento - gli anni successivi alla pace di Lodi e alla stipulazione della Lega italica - di relativa quiete. Astorgio era di fatto il solo signore di Faenza e della Val di Lamone, dal momento che il fratello Gian Galeazzo (II) non era mai stato un antagonista per il potere sulla città e che il nipote Taddeo, figlio di Guido Antonio, dalla morte di questo nel 1448 aveva almeno formalmente rinunciato a ogni pretesa su Faenza in cambio della sua indisturbata successione al padre come signore della vicina Imola. Quanto a Pino (III) Ordelaffi, nato nel 1436, reggeva Forlì collegialmente con il fratello Cecco dalla morte del padre nel 1448: in questi anni Pino lasciava sovente al maggiore le cure dello Stato poiché, come condottiero, era per lo più lontano da Forlì. Il secondo '400 fu un periodo complesso per le vulnerabili signorie romagnole che operavano in uno spazio politico autonomo sempre più ristretto, prive di salde basi economiche anche per la relativa piccolezza delle città su cui facevano fondamento e per lo scollamento con i reciproci territori, spesso montuosi e dotati da tempo di radicate autonomie, garantite formalmente dal solo vicariato apostolico concesso dalla S. Sede, periodicamente rinnovato dietro pagamento di censi annuali sempre più onerosi e condizionato nelle prerogative sovrane da limitazioni giurisdizionali e fiscali non da poco. I piccoli signori romagnoli si dibattevano in questi anni fra pericolose alleanze e letali discordie interdinastiche, disarmati di fronte all'eventuale volontà del papa di assegnare la loro signoria ad altri, come per esempio a un nipote (la signoria degli Ordelaffi su Forlì fu spazzata via per allargare lo Stato del conte Gerolamo Riario, signore di una Imola già manfrediana e nipote di Sisto IV, e la stessa signoria dei Manfredi su Faenza sparì a opera di Cesare Borgia, figlio di Alessandro VI), innervati in una regione sempre più appetita dai poteri maggiori a causa della sua importanza strategica. Il doppio matrimonio Manfredi-Ordelaffi divenne ben presto esemplare della velleitarietà delle lotte interne alle singole dinastie signorili e degli interminabili dissidi con vicini animati da ambizioni territoriali di antica data, ma troppo fragili per consolidarne i risultati.
I rapporti fra Astorgio e il futuro genero Ordelaffi furono inizialmente saldi: quando, dopo un tentativo di Taddeo Manfredi di occupare Faenza nella notte fra il 5 e il 6 maggio 1460, in città erano scoppiati tumulti antimanfrediani a sfondo essenzialmente fiscale, Ordelaffi aveva subito inviato truppe a sostegno del suocero.
Il matrimonio della M. si celebrò il 16 maggio 1462: Astorgio, forte dell'alleanza con Forlì, riprese l'offensiva contro il nipote Taddeo nell'estate dello stesso anno.
Nel 1463 le vicende forlivesi iniziarono a complicarsi: la M. e il marito si recarono all'inizio dell'anno a Faenza, dove rimasero qualche tempo perché Pino era indisposto: si parlò di veleno somministrato dal fratello Cecco. L'indisposizione si risolse in poco tempo e, mentre Cecco si recava in Lombardia lasciando Forlì alla guida del fratello Pino, tornato in città con la M., accettava il 24 marzo la condotta offertagli da Bartolomeo Colleoni, capitano generale della Serenissima. A Forlì rimasero le due sorelle Manfredi e la suocera, Caterina Rangoni, donna di forte personalità, che le cronache coeve vogliono direttamente coinvolta nel governo della città.
Nel dicembre 1465 Pino era di nuovo a Forlì, dove trovò Cecco gravemente malato: un'epidemia era scoppiata in città, e grave era il malcontento dei Forlivesi, provati dai tributi e dalla pestilenza. Approfittando della debolezza di Cecco, nella notte del 4 genn. 1466 Pino rinchiuse il fratello infermo, la moglie di lui e i loro quattro figli nella torre dell'Orologio di Forlì. Le fonti e gli storici locali, sulle loro tracce, dicono che Pino, istigato dalla M., tentasse allora di avvelenare il fratello, senza riuscirvi: certo è che Cecco fu ucciso a pugnalate da ignoti sicari il 22 aprile, mentre la moglie e i figli rimanevano imprigionati a Forlì.
La M., a ventidue anni, morì di malattia il 7 ott. 1466, e anche in questo caso si parlò di veleno.
La M., colpevole di una relazione amorosa con Giovanni degli Orciuoli, podestà fiorentino di Forlì, e scoperta dal marito, sarebbe stata eliminata da costui con il veleno.
La figura della giovane M. - rimpianta dal padre che nel suo testamento volle che, con la restituzione della sua dote, venisse fondato a Faenza un monastero di clarisse intitolato a S. Barbara, e apparentemente anche dal marito che volle per lei una raffinata sepoltura nella chiesa forlivese dell'Osservanza dedicata a S. Gerolamo e ne commissionò la statua funebre allo scultore Francesco Ferrucci da Fiesole - passò alla storia con l'ambivalente fascino della giovinezza e di una fama oscura. Nel 1953 i resti della M. furono riesumati e sottoposti a indagini cliniche, da cui risultò che non erano rimaste tracce di veleno: con buona probabilità la M. morì per il riaccendersi della pestilenza del 1465.
Nonostante le voci, i rapporti tra i Manfredi e gli Ordelaffi non mutarono in modo repentino, per quanto Astorgio tentasse di tutelare contro il genero i diritti dell'altra figlia, la vedova Elisabetta. In ogni caso, Astorgio l'anno dopo nominò come suo esecutore testamentario, insieme con Ludovico Gonzaga e Borso d'Este, proprio il genero presunto uxoricida, Pino Ordelaffi, che a sua volta non si peritò di sposare nel 1470 in seconde nozze un'altra Manfredi, Zaffira figlia di Taddeo (morta anche lei di lì a poco, nel 1473, e prima del marito).
Fonti e Bibl.: Annales Forolivienses, a cura di G. Mazzatinti, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXII, 2, p. 99; G.C. Tonduzzi, Historie di Faenza, Faenza 1675, s.v.; G.B. Mittarelli, Ad scriptores rerum Italicarum accessiones, Venetiis 1771, Index septimus, s.v.; G. Panzavolta, I Manfredi signori di Faenza, Faenza 1884, pp. 71, 73; L. Rossi - A. Messeri - A. Calzi, Faenza nella storia e nell'arte, Faenza 1909, ad ind.; F. Giugni, B. M. fu avvelenata dal marito?, in Pensiero medico, 30 ag. 1953; Id., B. M.-Ordelaffi e la sua misteriosa vicenda, in Lugo nostra, I (1953); P. Reggiani, Osservazioni cliniche sulla probabile causa della morte di B. M., estr. da Romagna medica, V (1953); P. Zama, I Manfredi signori di Faenza, Faenza 1954, pp. 197, 199, 207 s., 216-219; G. Cattani, Politica e religione, in Faenza nell'età dei Manfredi, Faenza 1990, p. 28; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Ordelaffi di Forlì, tav. VI.