BARLETTA (A. T., 27-28-29)
Città della provincia di Bari, sul mare Adriatico, a 8 km. di distanza dal confine della Capitanata, che è per lungo tratto segnato dal fiume Ofanto, a SE. della cui foce sorge la città. Fino al 1927 è stata capoluogo di circondario; questo era costituito di soli 11 comuni, quasi tutti però con popolazione superiore ai 20.000 abitanti, e nel maggior numero (6) con oltre 30.000 ab. Barletta, che ne contava 27.000 nel 1861 e 33.000 nel 1881, salì a 42.000 nel 1901 e ha registrato 51.000 ab. nel 1921 quasi tutti (50.055) accentrati nella città, che, dopo Bari e Andria, è la città più popolata della Terra di Bari.
Durante gli ultimi quattro secoli lo sviluppo demografico di Barletta è caratterizzato da un progresso considerevole nel sec. XVI, da un arresto prima e da un forte regresso poi nel sec. XVII, da una lenta ripresa nel sec. XVIII, a cui seguono deboli ma costanti aumenti di popolazione fino alla metà del secolo scorso e un aumento di importanza considerevole negli ultimi ottant'anni. L'arresto del sec. XVII è comune alla popolazione di gran parte d'Italia in genere e di quasi tutta l'Italia meridionale in ispecie, e deriva dalle tristi condizioni economiche degli abitanti; il fortissimo regresso della metà di quel secolo fu determinato da una grave pestilenza che infierì specialmente nella Terra di Bari. Le cifre della popolazione, calcolate nei diversi anni sulla base delle numerazioni (purtroppo non sempre complete) dei fuochi prima e, dalla fine del secolo XVIII alla metà del XIX, più che altro sulla base dei registri tenuti dai parroci, sono per la città di Barletta le seguenti: 10.000 ab. nel 1532, I0.500 nel 1545, 14.150 nel 1561,16.150 nel 1595,16.700 nel 1648, 9540 (?) nel 1669, 16.000 verso il 1790, 19.929 nel 1828, 22.419 nel 1843.
Barletta ha molte vie larghe e rettilinee; ha ampie piazze e giardini; in seguito al risanamento di alcune aree paludose (la così detta Padula) in direzione di sud-est dell'abitato, la città. può oggi considerarsi anche libera dalla malaria, che fino a qualche decennio fa vi mieteva numerose vittime. È un ricco centro di produzione agricola, industriale e commerciale, lo sbocco naturale della valle inferiore del fiume Ofanto e del Tavoliere meridionale. È l'emporio maggiore di vini in Puglia e uno dei principali centri vinicoli di tutta l'Italia. Prima dell'invasione fillosserica in Puglia, l'area data a vite era nel territorio comunale di Barletta (il quale è di 14.739 ha.) più estesa che in qualsiasi altro comune della regione, oggi la ricostituzione dei vigneti su ceppo americano vi procede con intensità particolarmente notevole. Alla produzione vinicola si aggiunge una ricca produzione di cereali, specialmente nella zona prossima al corso dell'Ofanto (nella prima metà del secolo largamente coltivata a cotone), e si aggiunge ancora una molto alta produzione di ulive. È inoltre diventata molto estesa nel territorio di Barletta l'area data a ortaggi: oltre quella che sfruttava falde acquifere superficiali va ora ricordata l'area della Padula bonificata, in massima parte data a colture di ortaggi (è molto intensa la produzione dei pomodori). Su queste ricche produzioni del suolo s'innesta l'attività industriale di Barletta che produce, infatti, cremore di tartaro e acido tartarico, cloruro e allume di potassio, acido solforico e perfosfati, olî solforosi e saponi, alcoli, liquori e botti in legno; e produce pure cementi e mattoni, letti in ferro e mobili. Barletta ha, infine, un posto notevole fra le località di pesca dell'Adriatico meridionale. Alla ferrovia litoranea adriatica si innesta a Barletta un tronco, che risale la valle dell'Ofanto e si congiunge a Spinazzola con la ferrovia longitudinale Gioia del Colle-Rocchetta S. Antonio; ed ha pure origine a Barletta la linea tramviaria che raccorda i varî e popolatissimi centri abitati della serie collinosa del fianco adriatico delle Murge di nord-ovest e finisce col ricongiungersi a Bari alla stessa ferrovia litoranea; infine, la stazione centrale di Barletta è legata, mercé un breve tronco ferroviario, col suo porto.
Il porto di Barletta è uno dei più sicuri dell'Adriatico meridionale; è l'unico vero porto che s'incontri a sud di Ancona e il primo fra i portí baresi che si presenti a chi per l'appunto proviene da nord. A ciò deve la città probabilmente la sua origine; a ciò deve indubbiamente il suo rifiorire nel Medioevo.
Oggi Barletta è regolarmente legata con gli altri porti dell'Adriatico dai piroscafi della Società Puglia e con i porti della Sicilia e del Tirreno dai piroscafi della Società Adria, ed è, per movimento complessivo di merci, il secondo porto di tutta la regione pugliese. Nel triennio 1923-25 questo movimento raggiunse una media annua di 139.000 tonn., distinte in 120.000 per le merci sbarcate e 19.000 per le merci imbarcate. La cifra massima è stata dal porto di Barletta registrata nel 1914. con 190.000 tonn. (150.000 sbarcate e 40.000 imbarcate). Nel 1926 approdarono a Barletta 615 piroscafi e 314 velieri e vi svolsero un movimento di merci per 162.000 tonn., di cui 150.000 furono di merce sbarcata e 12.000 di merce imbarcata. Tra i principali prodotti importati figurano il carbon fossile, impiegato dalle industrie vinicole e olearie, il legname, il petrolio, il ferro e lo zolfo; tra i principali prodotti esportati figurano i prodotti agricoli provenienti dal retroterra e i prodotti industriali che il centro lavora. Il porto di Barletta ha uno specchio d'acqua di circa 62 ettari; a causa però degli scarsi fondali, di questa vasta area solo una parte è utilizzabile per la navigazione e per lo stazionamento delle navi. Contro i venti di greco-levante, che sono i venti dominanti, il porto è difeso da due lunghi moli. Il porto è tuttavia soggetto a un leggiero interramento per il materiale che, convogliato a mare dall'Ofanto, viene verso sud-est risospinto dall'azione combinata dei flutti e della corrente litoranea.
Bibl.: A. Bruni, Descrizione botanica delle campagne di Barletta, Napoli 1857; S. Loffredo, Storia della città di Barletta, Trani 1893, voll. 2; F. Casardi, Le condizioni idrologiche della prov. di Bari, Barletta 1909; S. Santaramo, Guida di Barletta, Bagnoregio 1926.
Monumenti. - Barletta vanta un complesso di monumenti della massima importanza. La cattedrale, o S. Maria Maggiore, iniziata dopo il 1139 risulta ora di tre periodi diversi con stili differenti, i quali, per la grande varietà negli effetti prospettici e il movimento delle linee e delle masse architettoniche, conferiscono al suo interno una fisionomia tutta particolare. La parte più antica, romanica, del sec. XII, comprende la facciata principale e le quattro campate anteriori. Sul principio del sec. XIV, innestando alla primitiva costruzione le forme del nuovo stile gotico-borgognone, si prolungarono le navate; ma l'attuale presbiterio ed il coro sono del sec. XV.
La facciata, tripartita da lesene, con la parte mediana molto rialzata, è decorata di archetti, di rosone con sottostante monofora, al centro, mentre ai lati, sopra le porte minori rimaste integre, si aprono due bifore con transenne marmoree a traforo geometrico nei timpani. Il portale maggiore fu rifatto nel '500.
L' interno di pianta basilicale a tre navate, divise da colonne, nella parte anteriore romanica presenta evidenti analogie con la basilica di S. Nicola in Bari; ma in luogo dei matronei veri non ha che bifore decorative, il rimanente del tempio ha pilastri a fascio con archi ogivali e vòlte a costoloni, e termina ad abside poligonale con deambulatorio.
Dal fianco nord, su voltone a botte, s'innalza il campanile dugentesco a quattro ordini, con monofore nei primi due piani, con bifore e trifore nei successivi la guglia ottagonale di copertura e la cella campanaria, sopra l'antica cornice di coronamento ad archetti, furono ricostruite dopo il terremoto del 1743. Il ciborio, della seconda metà del sec. XIII, affine alla maniera di Anseramo da Trani, ha l'architrave inscritto col nome d'un Alessandro, sconosciuto donatore. Dello stesso artista è l'ambone che, ricomposto nel sec. XVIII nella navata della chiesa, non conserva più la sua forma antica, forse esagona su sei colonne.
Nell'altare, al centro dell'abside, è collocata la tavola detta La Madonna della Disfida, opera firmata di Paolo Serafini da Modena e recante l'anno 1387: ha da un lato la Vergine col Bambino, dall'altro il Salvatore.
La data di fondazione o di consacrazione del S. Sepolcro è ignota, ma della chiesa si ha notizia fin dal 1138; e si sa che, prima esistente in un sobborgo di Barletta, nel 1162 già si trovava entro le mura della città. La fabbrica odierna, della fine del sec. XIII, è di stile gotico-borgognone con tre navate, tre absidi e transetto poco sporgente; ha le navi minori in vòlte a crociera, la maggiore e le due campate ai lati del transetto in vòlte a costoloni, sullo spazio centrale del presbiterio una cupola ottagona. Precede la chiesa un nartece, con tribuna ricavata nella parte superiore e in origine coperta da vòlte a costoloni, di cui restano le imposte.
La facciata, quasi completamente rifatta in periodo barocco, conserva ancora la piccola porta ogivale di destra e avanzi del campanile con arco a sesto acuto su colonne addossate allo spigolo di sinistra. Nell'interno, di mirabile armonia, sono resti di affreschi bizantineggianti dei secoli XII e XIII. Ricchissimo è il tesoro custodito nella chiesa.
Presso il lato settentrionale del S. Sepolcro si ammira la colossale statua di bronzo alta m. 5, detta di Eraclio, raffigurante un imperatore d'Oriente, probabilmente Valentiniano, e attribuito a scultore del sec. IV d. C. Ai caratteri di potente stilismo del torso, rivestito dalla corazza, e della testa rude, severamente espressiva, fanno sensibile contrasto le gambe e le mani, goffamente rifatte alla statua sullo scorcio del sec. XV. Della primitiva costruzione romanica la chiesa di S. Andrea conserva il portale, del sec. XIII, lavoro firmato da Simeone da Ragusa, abitante in Trani: Incola tranensis sculpsit Simeon Raguseus, Domine miserere. Nella lunetta, entro nicchie ad archetti centinati ed esili colonnine, a guisa di pentittico è un bassorilievo con la Deisis: Cristo benedicente seduto sul trono, tra la Vergine e S. Giovanni Battista mentre due angeli, inginocchiati ai lati, agitano gl'incensieri. Tra le molte opere d'arte che si trovano nell'interno della chiesa, assai pregevole è la Vergine col putto di Alvise Vivarini (1483), con evidente influsso antonelliano. La chiesa di S. Agostino vanta due eleganti porte ogivali a frontoni triangolari del sec. XIV.
Come altre città pugliesi sulle rive dell'Adriatico, Barletta possiede un grandioso castello entlo cortine con quattro bastioni a lancia costruiti negli angoli del quadrilatero tra il 1532 e il 1537: il tutto recinto da ampio fossato, subì in epoche successive varî rimaneggiamenti; ma dell'epoca sveva sono visibili ancora al giorno d'oggi nella corte interna tre finestre ogivali con aquile nei timpani.
Il Medioevo ha lasciato larga impronta nella città, tutta cosparsa di resti architettonici dei secoli XIII e XIV; e frequenti sono gli avanzi di portici ad arcate ogivali su pilastri. Oltre i portali ad arco acuto riquadrato del palazzo Santacroce, giova ricordare il palazzo Bonelli (secoli XIV e XV) con portico gotico e bugne lisce nella facciata, lungo la quale scendono caratteristiche docce a tubolatura di pietra.
Il palazzo Della Marra, costruito íntorno alla metà del '500, è il più bello della città, soprattutto per la ricchissima decorazione barocca del balcone nel centro della facciata con basamento rustico. Elegante è il suo cortile, con il lato di fronte a tre ordini di arcate sovrapposti. Nel prospetto posteriore, loggia a cinque archi con decorazione di sculture e belle statue allegoriche, offre splendida veduta sul mare. Del sec. XVI è pure il portale a tabernacolo del palazzo Affaitati.
Tra gli edifizî del periodo barocco risalta per fastosa decorazione e imponente mole il palazzo del Monte di Pietà, con annessa chiesa, costruito dai Gesuiti nella prima metà del sec. XVII. Il teatro Curci, di stile neoclassico, è uno dei più notevoli di Puglia.
Nel Museo si conservano, tra l'altro: una colonna miliare della via Traiana, un sarcofago dei primi tempi cristiani con bassorilievo raffigurante Cristo tra gli Apostoli, alcune sculture del Rinascimento, varie iscrizioni, e vasi italioti.
Particolare importanza ha la pinacoteca comunale, dove sono esposte opere di artisti moderni, tra le quali centotrentotto del pittore barlettano G. De Nittis (1846-1884): l'Autoritratto, Passa il treno, La colazione in giardino, studî per i quadri Alle corse di Longchamps e di Auteuil, Il Vesuvio, Il salotto della contessa Matilde, Dans le monde, vedute delle città di Parigi e di Londra, varî ritratti e paesaggi. (V. Tavv. XXIII e XXIV).
Bibl.: H. W. Schulz, Denkmäler der Kunst des Mittelalters in Unter-Italien, Dresda 1860; C. Enlart, Origines françaises de l'architecture gothique en Italie, Parigi 1894; A. Avena, Monumenti dell'Italia meridionale, Roma 1902; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, II e III, Milano 1902 e 1903; E. Bertaux, L'art dans l'Italie Méridionale, Parigi 1904; A. Colasanti, Opere d'arte ignote o poco note (Barletta-Cattedrale), in Boll. d'arte, 1910, pp. 184-88; A. Vinaccia, I mon. med. di Terra di Bari, Bari 1915; A. Haseloff, Die Bauten der Hohenstaufen in Unter-Italien, Lipsia 1920; M. Salmi, Il tesoro della chiesa del S. Sepolcro a Barletta, in Dedalo, IV (1923-24), pp. 87-98; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I, Il Medioevo, Torino 1927.
Storia. - Un primo ricordo dell'esistenza di Barletta, secondo Stefano Bizantino, si trova presso Teopompo (sec. III a. C.). I Latini la chiamarono Barulum, Strabone Baretum; in seguito fu denominata Barectye e fin dai primi tempi della lingua volgare Barletta. Era soprattutto, nell'età romana, il porto e la stazione balneare della sec. IV i Canosini iniziarono la costruzione del molo, le cui vestigia si conservano tuttora; da Canosa pure partì la propaganda cristiana, se pure tarda. Alla fine del sec. V infatti S. Lorenzo e S. Paolo, vescovi di Canosa, gettarono in Barletta le prime fondamenta di un tempio cristiano.
Caduto l'Impero romano, Barletta fu successivamente dominio dei Goti, dei Bizantini e dei Longobardi, che con Autari distrussero Canosa: parte degli abitanti per sfuggire all'eccidio cercarono rifugio a Barletta. In seguito, dominarono nuovamente per parecchi secoli i Greci, senza che però si sappia nulla delle vicende di quel tempo. Venuta in possesso dei Normanni, la città s'accrebbe per l'immigrazione degli abitanti di Canne, distrutta da Roberto il Guiscardo, i quali edificarono il borgo di S. Antonio Abate.
Sotto il dominio normanno, la regione fu travagliata per mezzo secolo da ribellioni e da scorrerie di avventurieri, che ne rovinarono l'economia; peggio successe quando papa Innocenzo II chiamò per la seconda volta Lotario imperatore contro Ruggero. Lotario infatti sconfisse i Canosini e i Barlettani che volevano contrastargli il passo verso Bari. Ma nel 1190 Barletta otteneva da re Tancredi il nome di città; nello stesso anno l'arcivescovo di Nazareth, sfuggendo alle persecuzioni dei musulmani, si ritirò a Barletta, dove pose la sua sede episcopale che venne poi abolita dopo 628 anni.
Sotto gli Hohenstaufen Barletta, onorata di privilegi e di concessioni particolari, e abbellita di monumenti, ebbe florida vita; e la prosperità continuò sotto gli Angioini, che protessero la città e la dotarono di parecchi importanti privilegi (Carlo d'Angiò, il 4 luglio 1294, univa al territorio di Barletta quello di Canne). La città, cinta di mura, era considerata una delle prime piazze forti del regno; era circondata da quattro grossi borghi e da vari villaggi posti sulla riva destra dell'Ofanto. Attivissimo ne era il commercio con l'Oriente, e la sua marina mercantile era fra le prime del regno.
Caduti gli Aragonesi, durante le lotte tra Francesi e Spagnoli, Barletta fu teatro di varî scontri: celebre la "disfida" dei 13 italiani contro i 13 francesi (v. sotto). Travagliata da spogliazioni e da ruberie di ogni genere, la città dovette subire gravissimi danni, ancora nel 1528, alla discesa del Lautrec. Questo stato di cose durò 15 mesi fino alla conclusione della pace di Cambrai. Le spogliazioni e i saccheggi di Francesi e Spagnoli, le carestie, i terremoti, la peste, il mal governo vicereale spagnolo condussero Barletta a rovina, tanto che la sua popolazione sulla fine del sec. XVII si ridusse a poco più di 8000 abitanti.
Il risollevamento cominciò solo con la seconda metà del secolo XVIII, e si fece più intenso, passata la bufera rivoluzionaria, specialmente durante i regni di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat. Molti figli di Barletta cospirarono nelle numerose vendite carbonare e nel 1848 patirono persecuzioni ed esilî.
Dal 1860 la citta ha fatto rapidi progressi: ha aperto scuole, ampliato il porto, creato industrie nuove, fondato istituzioni importanti, diffuso la coltivazione della vite e degli ulivi, aumentato i traffici e la ricchezza cittadina.
La disfida di Barletta. - Fatto d'armi famoso, avvenuto nel 1503, durante la guerra tra Francesi e Spagnoli per il possesso della Capitanata. Con gli Spagnoli combattevano valorosamente molti Italiani, guidati da Prospero Colonna. In uno scontro tra Ruvo e Corato fu fatto prigioniero il capitano francese La Motte, che fu condotto a Barletta dal vincitore Diego Mendoza e trattato cavallerescamente. Sorta una disputa sul valore dei combattenti, La Motte che, con altri prigionieri francesi, banchettava col Mendoza, trascese fino a oltraggiare gl'Italiani come codardi e fedifraghi, aggiungendo di essere pronto, lui e gli altri Francesi, a vincerli in campo, se avessero voluto una riparazione. La cosa fu riferita quella sera stessa al campo dove alloggiava il Colonna. Fu deciso di inviare per spiegazioni al La Motte due cavalieri, Gianni Capoccio e Gianni Bracalone che, se l'ingiuria non fosse stata ritirata, lo sfidassero e sfidassero con lui quanti Francesi volessero venire a combattimento con altrettanti Italiani. Il comandante francese, duca di Nemours, benché contrario dapprima alla sfida, finì con l'acconsentire. Lo scontro avvenne, fra tredici cavalieri francesi capitanati dal La Motte e altrettanti italiani capitanati da Ettore Fieramosca, nel campo designato fra Andria e Corato, il 13 febbraio 1503. Il gruppo italiano sostenne saldamente il primo attacco dei Francesi, i quali si dispersero poi senza più potersi ordinare: si difesero gagliardamente, ma alcuni furono scavalcati e fatti prigionieri, altri cacciati fuori del campo, come il La Motte, scavalcato da Ettore Fieramosca. Gli Italiani, dei quali due soltanto uscirono dal campo, furono proclamati vincitori, e ritornarono a Barletta con i prigionieri; vi furono accolti trionfalmente dagli Spagnoli e dalla popolazione, fra le salve delle artiglierie e il suono delle campane. Consalvo de Cordova, "il gran capitano", insignì i vincitori di decorazioni nobiliari, trasmissibili agli eredi. Ettore Fieramosca ebbe la conferma dei suoi feudi familiari e il titolo di conte di Miglionico e di signore d'Aquara; è pura leggenda, uscita dalla fantasia del D'Azeglio, che il Fieramosca morisse suicida, buttandosi dalle rocce del Gargano. Sul luogo dello scontro fu innalzato un monumento di pietra, alto 7 metri, con epigrafe, che i Francesi, di presidio ad Andria, abbatterono di notte, nel 1805, e che il Capitolo Metropolitano di Trani, rialzò nel 1846.
Il ricordo dell'epica tenzone tornò a vivere e divenne popolare per la penna di Massimo D'Azeglio.
Bibl.: S. Loffredo, Storia di Barletta, Trani 1893; Historia del combattimento di tredici italiani con altrettanti francesi, Napoli 1844; F. Abignente, la Disfida di Barletta, Trani 1903.