BARLETTA
(lat. Baruli, Barulum)
Centro costiero della Puglia, in prov. di Bari, al limite settentrionale della Terra di Bari, presso la foce dell'Ofanto. A detta di Guglielmo Appulo (RIS, V, 1724, coll. 253-278: 259), Baruli sarebbe stata fondata nel sec. 11°, insieme ad Andria, Bisceglie, Corato, da Pietro, conte di Trani. Probabilmente si dovette trattare della fortificazione in funzione difensiva e della organizzazione urbana di un nucleo preesistente, corrispondente grosso modo alla Bardulum già indicata nella Tabula Peutingeriana; la località dovette fungere sin da tempi remoti da approdo alle città romane di Canne, Salpi e Canosa, da essa equidistanti. Qui il vescovo di Canosa, Sabino, avrebbe eretto nel sec. 6° una chiesa (Anonimo Canosino; AASS, Februari II, 1864, pp. 324-329:325f), poi consacrata da papa Gelasio I. Nel sec. 9° vi si sarebbero rifugiati gli abitanti di Canosa devastata dai saraceni.La nuova città fortificata, situata in un punto strategico al limite delle aree di influenza di Canosa, Canne, Trani, Siponto e Salpi, assunse ben presto un importante ruolo di mediazione tra le fertili terre di Capitanata e la costa e la sua fortuna cresceva in relazione al declinare di quella delle città limitrofe, in particolare di Canosa e Canne.Roccaforte dei Normanni in Terra di Bari, soggetta dapprima alla signoria dei conti di Trani e poi dei duchi di Andria, B. assunse ben presto lo stato di città demaniale, ufficialmente riconosciutole da Tancredi (1190). Sul piano religioso il capitolo della chiesa matrice, formalmente soggetto all'archidiocesi di Trani, riuscì a mantenere a lungo la propria effettiva indipendenza. Questa particolare situazione, quasi di zona franca, da un lato favorì, fra i secc. 12° e 13°, l'afflusso di varie popolazioni, profughe da Canne - distrutta dal Guiscardo (1083) e poi definitivamente abbandonata (1277) - e da Bari, devastata da Guglielmo I (1156), nonché di gruppi etnici diversi, in particolare mercanti amalfitani e ravellesi che andarono a popolare i borghi aggregatisi via via al primitivo nucleo fortificato; dall'altro incoraggiò molti ordini religiosi e cavallereschi a stabilire nella città case, ospizi e ospedali, tanto da fare di B., tra i secc. 12° e 13°, quasi un lembo di Terra Santa sulla via dell'Occidente.Oltre ai Canonici del Santo Sepolcro, insediati nella chiesa omonima, è documentata la presenza dei Templari, dei Teutonici, dei Gerosolimitani, dei Cavalieri di S. Lazzaro, mentre la chiesa di S. Maria di Nazareth, già dipendente dall'omonimo vescovado d'Oltremare, accoglieva temporaneamente nel 1187 - per poi conservarne stabilmente, dal 1310, la sede episcopale - il presule nazareno profugo dalla Terra Santa. Accanto agli ordini cavallereschi e ospitalieri, la città accoglieva i Benedettini della Trinità di Monte Sacro, i Cistercensi e i Cavalieri Premonstratensi, cui si aggiunsero, dalla fine del Duecento, i Francescani e i Domenicani. A eccezione del Santo Sepolcro e delle chiese di S. Giacomo e di S. Maria Maddalena, dei Teutonici, quasi tutti gli edifici medievali appartenenti a questi ordini sono scomparsi, distrutti nella guerra del 1528 o travolti dalla trasformazione cinquecentesca del castello. Recenti scavi (1983) hanno riportato alla luce i resti della chiesa conventuale di S. Francesco, che con le sue ricche lastre sepolcrali offre importanti indicazioni sulla composizione della borghesia artigiana e mercantile barlettana.Come in tutte le città demaniali, particolare importanza andò assumendo, in età federiciana e angioina, il patriziato locale, dal quale emergono le famiglie Bonelli, Gentile, Della Marra, Pipino, Elefante, che con alterne fortune dominarono per secoli la città. A Giovanni Pipino, fedele di Carlo II e distruttore di Lucera, si deve il progetto di ampliamento della chiesa matrice; alla famiglia Bonelli appartiene il più imponente palazzo medievale barlettano, detto palazzo La Gloria. Allo scontro delle fazioni cittadine capeggiate da queste famiglie si devono però anche le violenze che alla fine del Trecento e poi nel 1528 si abbatterono su B. cancellando tanta parte dei segni della sua storia.Scarse sono le notizie e i resti riferibili ai primi tempi di vita della città. A parte la statua colossale bronzea di imperatore (di ancora incerta identificazione) che la tradizione vuole gettata a riva in seguito a un naufragio nel sec. 13° e a parte una lastra marmorea con Cristo e gli apostoli, del sec. 4° (Mus. Civ.), di probabile provenienza canosina, rimane un'aquila scolpita, sul tetto della chiesa benedettina di S. Stefano (poi S. Ruggero), che permette di collegare anche gli scultori barlettani alla grande scuola pugliese del sec. 11° che fa capo ad Accetto. Dopo la scomparsa di tanti edifici documentati, le maggiori testimonianze della tradizione plastica e costruttiva barlettana sono concentrate nella chiesa del Santo Sepolcro e nella chiesa matrice di S. Maria Maggiore che, pur se in sintonia con le cattedrali delle città vicine (Bari, Bitonto, Trani), appare dotata di una propria specificità e aperta ad apporti esterni, dall'area padana, dalla Sicilia (Cefalù), dalla Francia meridionale e dalla Terra Santa, cui rimandano anche le strutture e le decorazioni della chiesa del Santo Sepolcro.Nel sec. 13° anche B. fu investita dall'ondata di gusto islamico e goticheggiante insieme che fa capo alla 'scuola di Foggia'. Artigiani islamici operavano in città come nella vicina Lucera (alla caduta degli Svevi vennero richiamati a Napoli al servizio di Carlo d'Angiò). Una più decisa partecipazione alla cultura gotica francese rivela invece Lillo da B., che nel 1335 siglò il portale della cattedrale di Bitetto. Alla stessa epoca risalgono a B. la ristrutturazione del castello, in cui è documentato l'intervento di Pierre d'Angicourt, e il progetto di ampliamento della chiesa matrice secondo modelli gotici francesi. Qui la presenza della più raffinata cultura occidentale è attestata da una tavola con la Vergine e il Bambino e sul verso il Redentore, detta Madonna della Disfida o de Auxiliis (sec. 14°), firmata da Paolo Serafini da Modena, e da un Redentore attribuito allo stesso (D'Elia, 1964). Al filone tardo bizantino in rapporto con Cipro e la Terra Santa si possono riferire invece l'icona della Madonna dello Sterpeto, una tavola processionale con la Madonna e sul verso il Redentore, in S. Giacomo, una Madonna con il Bambino, in S. Ruggero, e alcuni affreschi nella cappella superiore del nartece del Santo Sepolcro, in rapporto con le decorazioni di tante chiese rupestri. Intensi furono i rapporti con la Dalmazia, da cui giunse a B. una vena di raffinato bizantinismo. Il raguseo Simeon firmò nel tardo Duecento il portale della chiesa del Salvatore (od. S. Andrea). A un Robertus de Barolo, maestro argentiere, sotto la direzione di Obrado da Cattaro, Uros di Serbia affidò nel 1319 l'esecuzione dell'altare d'argento di S. Nicola, nella basilica barese.Lo sviluppo della città si riflette con singolare chiarezza nel suo tracciato, nel quale si individuano tre nuclei principali di età medievale. Il più antico, detto della Marineria, si sviluppa attorno alla chiesa matrice e corrisponde probabilmente al borgo fortificato nell'11° secolo. Presenta una disposizione regolare di blocchi edilizi allineati su un asse viario con orientamento E-O, attraversati da una doppia serie di strade con orientamento N-S, ed è circondato da una strada forse corrispondente all'antica cerchia di mura. L'area libera tra la Marineria e il castello è il risultato delle demolizioni operate nel sec. 16° per consentire la costruzione dei bastioni e la ristrutturazione della vecchia fortezza normanno-sveva. I lavori travolsero, con numerose chiese e conventi, i borghi di S. Vitale e di S. Antonio Abate, esclusi dalla città murata.Il secondo nucleo corrisponde all'abitato sviluppatosi nel sec. 12° attorno alla chiesa del Santo Sepolcro, all'incrocio delle vie per Salpi e per Canosa. Tuttora riconoscibile, il borgo del Santo Sepolcro fu inglobato nella cerchia delle mura tra il 1156 e il 1162.Il terzo nucleo, detto borgo S. Giacomo, fu creato dagli abitanti profughi da Canne attorno al convento omonimo, dipendente dalla badia benedettina di Monte Sacro. Tra il borgo S. Giacomo e quello del Santo Sepolcro sorgeva la piazza del mercato, indicata con il termine greco di Paneiro del Sabato.L'area compresa tra il nucleo primitivo, il borgo del Santo Sepolcro e la strada costiera accolse, nel Trecento, le case del patriziato e dell'aristocrazia mercantile, allineate, secondo un piano organico, lungo sette strade (le 'sette rue') disposte con andamento N-S.La nuova cerchia muraria - progettata in età angioina, nell'ambito di un grandioso piano mai interamente realizzato, e completata da Ferdinando I d'Aragona - incluse, con il borgo S. Giacomo, un tratto della via per Trani (dove si installarono i cambiavalute) e a N la zona costiera in cui si allineavano una serie di conventi e ospedali (per es. quello benedettino di S. Stefano poi S. Ruggero, od. S. Giovanni di Dio, di cui stanno riemergendo i resti della pavimentazione), profondamente trasformati ma ancora riconoscibili, nonché, all'estremo S-O, il convento di S. Agostino, già S. Tommaso dei Teutonici.Nella sua complessa struttura, frutto di successive modificazioni e ampliamenti, la chiesa matrice di S. Maria Maggiore rispecchia la storia evolutiva della città. Il primitivo edificio romanico, una navata basilicale tripartita da colonne raccordate da archi lunati a doppia ghiera e conclusa con un transetto non aggettante su cui si aprivano tre absidi senza precoro (delle quali si sono rinvenute le fondazioni), fu eretto intorno alla metà del sec. 12°; lo attesta un'iscrizione sul capitello di un pilastro dell'arco trionfale, che commemora la donazione di 200 ducati veneziani fatta da un Muscatus nel 1153, quando capta est Scalonia. Un'altra epigrafe sulla porta minore sinistra di facciata ("+Impensis Richarde tuis/hec porta nitebit/ergo tibi merito celestis/leta patebit") celebra la munificenza di un Riccardo, forse conte di Andria (metà sec. 12°); inoltre a un documento del 1162 sono affidati i nomi di "Simiacca protomagister fabricae ecclesiae Sancte Marie" e di "Lucas magister filius eius".Alla semplicità di impianto della primitiva chiesa suppliva la ricca ornamentazione plastica, in buona parte conservata, che si è voluta interpretare nel contesto di un complesso programma iconografico (Santeramo, 1917). All'interno, mensole e capitelli figurati richiamano quelli della cattedrale di Bitonto; all'esterno, gli archivolti dei portali minori di facciata e una serie di mensole figurate che arricchiscono le fiancate testimoniano della presenza di maestranze in rapporto con l'area padana, attive anche nella fase rogeriana del duomo di Cefalù. I resti del portale, distrutto nel Settecento, murati all'interno presso la porta della sacrestia (Cristo tra gli apostoli, Entrata di Cristo in Gerusalemme), insieme con le cornici dei portali laterali (quello a S, ridotto alle dimensioni di una finestra, è stato rimontato all'esterno di una cappella seicentesca), appaiono invece in sintonia da un lato con i portali della cattedrale e della chiesa di Ognissanti a Trani, dall'altro con le sculture ornamentali superstiti di S. Maria di Pulsano e di S. Leonardo di Siponto, sculture tutte di raffinata qualità, nelle quali è preponderante la componente francese, tra Aquitania e Borgogna, insieme a derivazioni della miniatura anglo-normanna.In una seconda fase, databile alla fine del sec. 12° o agli inizi del 13°, fu rimaneggiato il primitivo transetto, suddiviso da pilastri in due campate, più tardi voltate a crociera. Al maturo Duecento risale la sopraelevazione della navata originaria con un finto matroneo e l'apertura del rosone in facciata. Contestualmente, fu addossata al fianco sud una torre campanaria forata alla base da un fornice, secondo un modello campano ripreso nella cattedrale di Trani. Raffinatissimo è il corredo plastico duecentesco: una bifora in facciata, sontuosamente ornata di intagli nei modi della 'scuola di Foggia'; i capitelli traforati del ciborio, eccezionali sculture in diretto rapporto con l'atelier gerosolimitano dell''area del Tempio', forse importati dalla Terra Santa e imitati in loco nei capitelli dell'ambone. La chiesa venne consacrata nel 1267, ma già nel 1280 si progettava un ampliamento, che fu poi attuato a partire dal 1307 con la costruzione di altre due campate delimitate da pilastri raccordati da archi acuti e concluse da un coro pentagonale con cinque cappelle radiali senza deambulatorio, di patronato delle maggiori famiglie cittadine. Il nuovo assetto - completato nel secolo successivo con la demolizione delle absidi, la congiunzione forzata dei due blocchi e la copertura di tutte le campate con crociere estradossate da piramidi a 'chiancarelle' - rivela una discreta conoscenza dei modelli gotici francesi, in particolare provenzali, che può giustificare l'ipotetica attribuzione del progetto a Pierre d'Angicourt.Il tesoro di S. Maria Maggiore (Duomo, Tesoro) raccoglie una serie di oggetti di manifattura araba o di gusto arabizzante, di provenienza originale incerta, fra i quali una lampada in bronzo traforato con decorazioni in caratteri pseudocufici, un cofanetto in avorio con disegni monocromi di tipo islamico, un cofano in bronzo con coperchio a scudo e borchie sovrammesse, ornato da un'iscrizione eulogica in caratteri cufici (D'Elia, 1964) e naskhī. Sempre nel Tesoro si conserva un messale in folio miniato del 13° secolo.La chiesa del Santo Sepolcro con l'annesso hospitium, ubicata inizialmente fuori delle mura ma già inserita nel 1162 nella nuova cerchia, fu eretta nel corso del sec. 12° e affidata ai Canonici regolari del Santo Sepolcro. L'edificio, più volte rimaneggiato, si presenta oggi come un'aula tripartita da pilastri di tipo borgognone, coperta da volte a crociera, preceduta da un porticato a due piani e conclusa da un corto transetto voltato a botte con torre mozzata all'intersezione. Tre absidi a vista senza precoro, percorse esternamente da arcatelle cieche, si aprono a filo della parete orientale del transetto; arcate di profilo acuto animano la fiancata nord.La costruzione, ritardata dagli autori locali ai secc. 13°-14°, fu avviata nella prima metà del sec. 12° (Ambrosi, 1976), contemporaneamente dal transetto e dal corpo occidentale, costituito da un portico sormontato da una cappella con absidiola pensile aggettante verso la navata. In seguito venne realizzata la navata, ispirata a modelli di Borgogna mediati dall'architettura di Terra Santa (Enlart, 1925-1928), con arcate acute rette da pilastri cruciformi e sormontate da un piano di monofore. Arcate trasverse sostenevano l'originaria copertura a capriate. Nel sec. 14° le tettoie furono sostituite da volte a crociera estradossate da piramidi, sul modello della cattedrale e delle chiese pugliesi a cupole. La decorazione plastica è costituita all'interno da capitelli con semplice ornato a fogliami carnosi con pigne e frutti penduli, all'esterno da mensole figurate assimilabili alcune a quelle di S. Maria Maggiore, in rapporto con il duomo di Cefalù, altre, più tarde, alla plastica di età federiciana e angioina delle cattedrali di Trani e Troia.Gli intensi rapporti con la Terra Santa sono confermati da un gruppo di oggetti liturgici conservati nel Tesoro, che si ritengono trasferiti a B. dopo il sacco di Tolemaide. Fra questi si ricordano: una colomba eucaristica, datata 1184, in rame e smalti champlevés, ritenuta per lo più opera limosina; un tabernacolo o reliquiario in forma di ciborio di ispirazione orientale, in rame dorato e smalti champlevés su struttura lignea, che, considerato da Salmi (1923) opera limosina del sec. 13°, è accostato da Braun (1924, p. 610) a prodotti siciliani; una stauroteca, in forma di croce a doppia traversa: la croce è generalmente inserita fra i reliquiari di manifattura bizantina, il piede è invece opera limosina del 13° secolo.In età angioina fu realizzata la decorazione a fresco dell'abside (resti di una Madonna in trono con donatrice, di impianto gotico, sono emersi in seguito al restauro) e della cappella superiore del nartece. Le immagini dell'Annunciazione e dei Ss. Sebastiano e Antonio Abate, accompagnate da scene della vita di questi, evidenti traduzioni di icone agiografiche, sono in rapporto con la coeva pittura rupestre e rientrano nell'area di diffusione mediterranea dei modelli bizantini.Il castello, di impianto quadrilatero con possenti baluardi pentagonali agli spigoli (sec. 16°), racchiude i resti dell'edificio normanno ampliato e rimaneggiato da Federico II e poi da Carlo I d'Angiò (1282-1291) con l'intervento di Pierre d'Angicourt. Tuttora in restauro, diverrà la nuova sede del Mus. Civ., importante raccolta che conserva frammenti e sculture medievali di primaria importanza. Tra queste un Cristo tra gli apostoli, altorilievo in marmo, forse di remota provenienza canosina, datato tra il sec. 4° (Salmi, 1918) e il 5° (Testini, 1964); un busto laureato in pietra, identificato con Federico II, di autore gotico, probabilmente oltremontano, del sec. 13° (Prandi, 1953); alcuni frammenti scultorei in marmo (angelo, arco trilobato, cornice), in diretto rapporto con l'atelier gerosolimitano dell''area del Tempio', provenienti dalla demolizione di un edificio sacro di pertinenza di un ordine crociato non identificato con sicurezza.
Bibl.:
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