Regione dell’Italia meridionale (19.540 km2 con 3.953.305 ab. nel 2020, ripartiti in 257 Comuni; densità 202 ab./km2). Si allunga da NO a SE, fra i mari Adriatico e Ionio, limitata a O dal Molise, dalla Campania e dalla Basilicata. I punti estremi sono: a N la Punta di Peschici nel Gargano, a E il Capo di Otranto, che è anche il punto più orientale d’Italia, a S la Punta Ristola, presso il Capo di Santa Maria di Leuca, e a O il gomito del Fortore. Il capoluogo di regione è Bari.
Il territorio mostra, per quanto riguarda l’elemento plastico, una relativa uniformità: prevalgono le forme piatte o lievemente ondulate, mentre rilievi di modesta altitudine (Subappennino Dauno) e un solco vallivo di una certa consistenza (Fossa Bradanica) sono situati in posizione periferica. A N l’aggetto del Gargano, altopiano calcareo fortemente carsificato nella parte interna (vi si contano più di 4000 doline), scende ripidamente verso il Tavoliere o precipita con bianche scogliere nell’Adriatico, mentre all’estremità nord-occidentale i Monti della Daunia, unica propaggine appenninica della regione, con forme arrotondate e instabili, chiudono il Tavoliere. Questa ampia pianura (ca. 3000 km2) si presenta come un piano inclinato con direzione O-E, con quote varianti dai 439 m della zona pedemontana ai 74 m della sezione centrale; presso il mare, un’esile fascia di dune costiere ha ostacolato il deflusso naturale delle acque (fiumi Candelaro, Cervaro, Carapelle), originando ampie aree paludose e repulsive che, bonificate, costituiscono un distretto agricolo tra i più vitali dell’intera regione. Il basso corso del fiume Ofanto separa il Tavoliere dalla Terra di Bari, che occupa la parte centrale della regione e si presenta come una vasta piana calcarea, priva di idrografia superficiale, articolata in tre gradini paralleli che, dalla costa, risalgono verso l’interno. Il primo, delimitato dall’isoipsa dei 100 m, costituisce la cimosa litoranea, pianeggiante e ricca di terreni fertili; il secondo gradino (la cosiddetta Premurgia), compreso tra i 100 e i 350 m, presenta forme tendenzialmente piatte e caratteri climatici che, risentendo ancora della benefica vicinanza del mare, favoriscono un’intensa arboricoltura; nel terzo gradino l’ossatura calcarea affiora quasi ovunque, mostrando forme tondeggianti quasi prive di terreno agrario e solchi in cui esso viceversa si è ben sviluppato (è questo il dominio della cerealicoltura, dell’allevamento ovino, del fenomeno carsico superficiale e sotterraneo). Un alto ciglione segna la fine dell’altopiano calcareo; a O, in territorio lucano, esso scende bruscamente nella Fossa Bradanica, mentre a S si dispone a ventaglio lungo l’arco ionico, originando l’Anfiteatro Tarantino. A sua volta, la cosiddetta Soglia Messapica (linea ideale tra Taranto e Brindisi) indica il passaggio nel Salento. Anche in questa parte della regione dominano le forme tabulari (Tavoliere di Lecce), interrotte, nella punta estrema, da modesti allineamenti collinari (Murge Salentine) che a stento raggiungono i 200 m. Le coste, prevalentemente basse e sabbiose sul fronte ionico, divengono alte e ripide nella sezione adriatica più meridionale, dove numerose grotte marine hanno conservato i segni di insediamenti preistorici.
La regione presenta quasi ovunque un clima di tipo mediterraneo, con la stagione estiva lunga, calda e scarsamente piovosa, e quella invernale mite, alquanto piovosa, ma con numerose giornate serene. Scarse le precipitazioni (700 mm in media), con minimi di 500 mm nel Tavoliere centrale e nell’arco ionico, e massimi di 1100 mm nelle aree più rilevate. Per la natura prevalentemente calcarea delle rocce, l’irregolarità e la scarsa quantità delle precipitazioni, l’idrografia superficiale è pressoché assente, salvo che nel Subappennino Dauno e nel Tavoliere. I due corsi d’acqua più importanti, il Fortore e l’Ofanto, caratterizzati comunque da modeste portate e regimi irregolari, interessano la regione in modo marginale, giacché nascono e scorrono altrove e attraversano la P. solo per pochi kilometri. Il quadro idrografico è completato dai laghi costieri di Lesina e Varano, nella parte settentrionale del Gargano, e dai due laghi Alimini (Grande e Piccolo) nel Salento.
Il quadro demografico della P. è stato caratterizzato, soprattutto dalla fine della Seconda guerra mondiale, da un intenso movimento migratorio, diretto sia verso le regioni del Nord Italia che oltreoceano. Fra i censimenti del 1981 e del 1991, si è invece verificata una rilevante crescita della popolazione, dovuta al saldo naturale positivo, al decremento del flusso emigratorio e a una consistente immigrazione di ritorno. Il dato demografico regionale ha poi presentato un modesto incremento nel corso della prima metà degli anni 1990 e, in seguito, ha manifestato condizioni di stabilizzazione. La copertura demografica appare fortemente disomogenea in relazione alla differenziazione fisica della regione, che contrappone zone costiere e aree pianeggianti a zone interne con caratteri montani e submontani. I centri urbani sono il motore della vita regionale, mentre le aree rurali appaiono caratterizzate da un’assai debole presenza antropica. La rete urbana, tuttavia, possiede caratteri di organicità e funzionalità solo nella Terra di Bari, dove al capoluogo, vero centro metropolitano, si affiancano città in grado di svolgere funzioni polarizzanti (Barletta, Trani, Andria, Bitonto, Monopoli). Altrove, sono solo le città maggiori a emergere da una frammentazione di piccoli centri (Salento) o dall’insieme scarsamente strutturato di ‘città contadine’ medio-grandi non sorrette da una dotazione sufficiente e diversificata di attività economiche (Tavoliere, Capitanata) (v. tab.).
Definita nei primi anni 1980 come il ‘Nord del Mezzogiorno’, la regione, pur evidenziando ancora ampi ritardi rispetto alle aree più progredite d’Italia, è stata interessata da significative trasformazioni strutturali che vedono il declino dell’occupazione agricola e la concomitante crescita del terziario. Il tasso di disoccupazione regionale ha manifestato, a partire dagli anni 1990, un andamento positivo, passando dal 17% del 1991 al 13,8 del 2004 e all’11,2 del 2008. Il reddito pro capite, invece, pur superiore a quello di Campania, Calabria e Sicilia, rimane nettamente inferiore a quello di altre regioni del Mezzogiorno, quali Abruzzo, Molise e Sardegna. All’interno della regione vi è un’elevata variabilità spaziale che evidenzia l’egemonia della provincia di Bari e, in genere, dei capoluoghi provinciali, dove gli scarti positivi rispetto ai valori medi assumono dimensioni consistenti. Settori trainanti dell’economia pugliese sono l’agricoltura (in particolare quella moderna ad alto reddito), i poli industriali associati alle maggiori aree urbane e il turismo.
L’agricoltura (8,8% della forza lavoro nel 2007) è caratterizzata da grandi aree di monocoltura: cerealicoltura (in particolare grano) nel Tavoliere, olivicoltura nel Salento e nelle Murge, viticoltura, orticoltura e alberi da frutto nella Terra di Bari. La regione è al primo posto in Italia nella produzione di olive, olio di oliva e uva da tavola, e al terzo posto, dopo Veneto e Emilia-Romagna, per la produzione di uva da vino. Altra attività del settore primario di grande rilevanza economica è la pesca, sia quella d’alto mare sia l’acquicoltura. Di lunga tradizione l’allevamento di crostacei e molluschi praticato nelle acque del Mare Piccolo presso Taranto. Le attività del settore secondario (26% della forza lavoro) sono concentrate principalmente nelle aree di Foggia e Bari-Modugno (industria meccanica), Brindisi (petrolchimica) e Taranto (siderurgica). I grandi impianti monoproduttivi di Taranto e Brindisi hanno mostrato negli ultimi anni segni di crisi, risentendo in misura più profonda degli effetti congiunturali negativi amplificati da problemi strutturali. Una discreta vitalità, pur soffrendo del calo delle esportazioni dovuto alla concorrenza dei paesi di nuova industrializzazione, mantengono le specializzazioni dell’industria locale che si sono affermate in alcuni centri minori: calzaturifici a Casarano (Lecce) e a Barletta, mobilifici a Santeramo in Colle e a Altamura (Bari). Il settore terziario (65% della forza lavoro) è andato assumendo negli ultimi due decenni un peso sempre più rilevante. Preponderante è la presenza della pubblica amministrazione e del commercio al minuto, quest’ultimo caratterizzato da una prevalenza di esercizi di modeste dimensioni e a conduzione familiare. Il comparto turistico è in espansione, sebbene la frammentazione dell’offerta e l’incapacità di stabilire relazioni consociate limitino il potere negoziale e le possibilità competitive nelle borse turistiche, con la conseguenza di convogliare nella regione modesti flussi internazionali. Le aree turistiche più importanti, dotate di rilevanti mete naturali e culturali, sono il Gargano e il Salento.
I servizi alle imprese si avvalgono di due affermate iniziative: Cittadella della ricerca, con sede a Mesagne (Brindisi) e Tecnopolis, a Bari. La prima ospita una serie di laboratori che studiano l’applicazione di nuovi materiali in diversi settori produttivi; la seconda, nata dal consorzio tra CNR, università e INFN, dispone di attrezzature scientifiche e tecnologie in grado di favorire l’innovazione, l’organizzazione dei processi produttivi, l’efficienza amministrativa e organizzativa delle imprese locali pubbliche e private.
Notevole il traffico portuale sia di merci che di passeggeri. Un ruolo egemone spetta al porto di Taranto, nonostante la diminuita attività dovuta al calo delle esportazioni del ramo siderurgico. I porti di Bari e Brindisi sono invece specializzati nel traffico passeggeri con i paesi dell’Europa sud-orientale (in particolare la Grecia) e del Vicino Oriente.
Il Paleolitico inferiore in P. è noto nel Gargano (strumenti su ciottolo e su schegge, bifacciali ecc.). Meglio conosciuto è il Paleolitico medio, noto sia in giacimenti di superficie sia in grotte e diffuso in tutta la Puglia. Il Paleolitico superiore, articolato in varie fasi, è associato a manifestazioni artistiche: statuette di ‘veneri’ di Parabita, pitture parietali della Grotta Paglicci e della Grotta Romanelli, incisioni e disegni su ciottoli, osso e frammenti di roccia.
Durante il Neolitico medio sembra verificarsi una vera esplosione demografica, testimoniata da centinaia di insediamenti, specie nella pianura di Foggia. Per la ceramica si distinguono varie facies regionali (culture di Masseria Passo di Corvo presso Foggia, della Scaloria e di Serra d’Alto). Del Neolitico superiore sono noti soprattutto i sepolcreti e lo sviluppo dell’industria litica detta campignana (picconcini, accette, scalpelli). Durante l’età del Bronzo si manifestano aspetti regionali (cultura di Cellino San Marco, Brindisi) e si intensificano i rapporti con l’ambiente padano e mediterraneo; compaiono sepolture a grotticella e di tipo megalitico. Si sviluppano gli abitati di Coppa Nevigata, Scoglio del Tonno, Porto Perone e si intensificano i rapporti con il mondo greco. Fioriscono numerosi insediamenti, nonché innovazioni nelle tecniche costruttive e un forte sviluppo della metallurgia.
Tra gli inizi dell’età del Ferro e la conquista romana, la P. fu abitata dal complesso di popolazioni indigene che vanno sotto il nome di Iapigi. Questi erano ripartiti territorialmente, da nord a sud, in tre grandi gruppi etnici: Dauni, Peucezi, Messapi. Sul finire dell’8° sec. a.C., con la fondazione della colonia dorica di Taranto, si ebbe pure la presenza greca. Dopo le guerre sannitiche e pirriche, conquistata Taranto (272 a.C.), Roma ridusse a città federate i centri della P., molti dei quali si ribellarono durante la guerra annibalica e poi durante la guerra sociale. Nell’ordinamento augusteo, l’odierna P. fu compresa nella 2ª regione, Apulia et Calabria. La P. raggiunse durante l’Impero un notevole grado di floridezza economica, soprattutto in quanto la sua posizione geografica ne fece un centro di comunicazioni di grandissima importanza, cui facevano capo, attraverso i porti, le grandi vie verso l’Oriente; Brindisi era al termine della via Appia, che, insieme alla Via Traiana, congiungeva la P. a Roma.
Con la caduta dell’Impero d’Occidente, la regione fu disputata da Bizantini, Longobardi e Franchi e insidiata dai Saraceni. Avviate verso un’autonoma organizzazione civile e militare, alcune città, con una grande insurrezione (11° sec.), tentarono di liberarsi dal dominio bizantino. Ma proprio l’aiuto di avventurieri normanni decise della loro sorte e, con Roberto il Guiscardo, tutta la P. entrò nell’orbita della nuova monarchia normanna (1071). Soprattutto con Guglielmo II i traffici commerciali con l’Oriente dettero alla P. un periodo di prosperità; con Federico II (1220-50) sorsero cattedrali e fortezze e furono favoriti gli scali alle navi veneziane e anche genovesi. Ma, durante il dominio degli Angioini, l’accresciuta pressione fiscale e l’ostilità per i vantaggi accordati alle flotte forestiere causarono diverse ribellioni da parte delle città pugliesi, soprattutto quando gli Aragonesi disputarono la P. agli Angioini. Dopo la vittoria aragonese, la speranza di sfuggire all’avidità dei baroni facendo parte del regio demanio mantenne fedeli le città, minacciate anche dai Turchi, che si impadronirono di Otranto (1479-80). Ma Ferrante II, per far fronte alla guerra contro Carlo VIII di Francia, dette in pegno alcune città a Venezia, che ben presto trasformò il temporaneo possesso in conquista.
La pace tra Francesi e Spagnoli (1529) riportò quasi tutta la P. sotto l’unico dominio spagnolo che stremò la P., ormai desolata da carestie, dalla malaria e dalla peste, dalla piaga di un inerte latifondismo e dalle speculazioni di avidi profittatori. Tuttavia, nel 18° sec., anche la P. contribuì al moto per il rinnovamento civile del regno, così come alla preparazione giacobina della rivoluzione napoletana. Dopo la dura occupazione militare del cardinale Ruffo, le riforme del decennio francese parvero migliorare le condizioni della regione, ma la restaurazione borbonica del 1815 vanificò la maggior parte dei risultati raggiunti. Il malcontento della popolazione si tradusse nella proliferazione di sette massoniche e carbonare.
Annessa all’Italia con il plebiscito del 1860, la P. vide ben presto deluse le aspettative alimentate dalla propaganda piemontese e garibaldina. La mancata ripartizione delle terre demaniali, l’imposizione della coscrizione militare, insieme alla propaganda legittimista e clericale, suscitarono una violenta ribellione contadina da cui prese le mosse il brigantaggio. La vendita dei beni dell’asse ecclesiastico non intaccò il latifondo e non si tradusse in un miglioramento delle colture. Durante il ventennio fascista, malgrado la creazione di alcune importanti infrastrutture, quali il porto di Bari, e l’incentivazione dei commerci con la costituzione della Fiera del Levante, crebbe il divario con le regioni del Nord e rimase sostanzialmente insoluta la questione agraria. Caratteri di depressione e arretratezza contraddistinsero anche nel dopoguerra l’economia della P., nonostante l’avvio di una politica di industrializzazione.
I dialetti della P. costituiscono un gruppo di tipo italiano centro-meridionale, diviso, per alcuni tratti del vocalismo, in pugliese settentrionale e pugliese meridionale. La fonetica appare scarsamente individuata rispetto agli altri dialetti meridionali per quanto riguarda il consonantismo, mentre nel vocalismo presenta molti caratteri particolari. Il gruppo meridionale continua la é e la ó con ì e ù (per es., kìstu «questo»), come i dialetti siciliani, mentre il gruppo settentrionale continua gli stessi suoni latini con é e con ó, come il toscano, salvo nei casi di metafonesi per -i e -u finali (quindi kìstu ma késta). Nei dialetti settentrionali, inoltre, le vocali finali atone sono indebolite in ë o scomparse, come nell’abruzzese. Caratteristici dei dialetti pugliesi sono infine la dittongazione dei lat. ì, é, ù, ó (nòeto «nido», pòeso «peso») e la palatalizzazione, simile a quella dei dialetti gallo-italici, di à in sillaba aperta in ä (la pronuncia barese di Bari ‹bä´ri›). Nella morfologia, sono caratteristici i plurali in -ora e la terminazione del perfetto in àu da -avit latino; nella sintassi l’estensione dell’imperfetto indicativo al valore di condizionale e di imperfetto congiuntivo e i costrutti perifrastici, di origine greca, del tipo èn’n’u ku čèrku, vòia ku te dìku «vengo a cercare, voglio dirti».
Contea e ducato di P. Stato normanno creato come contea da Guglielmo Braccio di Ferro, figlio di Tancredi d’Altavilla, nel 1042; divenne ducato con Roberto il Guiscardo, che nel 1059 ottenne regolare investitura dal papa Niccolò II come duca di P. e Calabria. Diviso nel 1088, dopo la morte di Roberto il Guiscardo, nel ducato di P. e Calabria e nel principato di Taranto, nel 1127 fu riunito, per eredità, nelle mani dei conti di Sicilia, con Ruggero II. Perduto per breve tempo da Ruggero, che nel 1130 si era proclamato re di P. e di Sicilia, e dato in feudo dal papa a Rainolfo d’Alife (1136), fu poi riconquistato dallo stesso Ruggero, e divenne da allora parte integrante del nuovo Regno di Sicilia e Puglia.