BARTOLO da Sassoferrato
Giurista, dei massimi che l'Italia abbia avuto, nato nel 1314 a Sassoferrato, morto nel 1357 a Perugia. Dei casi della sua vita poco sappiamo, e lo deriviamo dagli accenni autobiografici sparsi nelle sue opere. Dopo avere appreso in patria i primi rudimenti da un frate, Pietro di Assisi, iniziò a Perugia, tra i 14 e i 15 anni, gli studî di diritto, avendovi a maestro Cino da Pistoia, e li proseguì, poi, a Bologna, ove conseguì nel 1334 il grado dottorale. Tra i suoi maestri a Bologna furono Iacopo Buttrigario, Oldrado da Ponte, Rainerio da Forlì, e forse anche Iacopo da Belvisio.
Dopo essersi per qualche tempo, non sappiamo dove, ritirato a studiare fu, in epoca imprecisata, giudice a Todi e a Pisa, e forse in altri luoghi. Nel 1339, lo troviamo professore nello Studio di Pisa, ove rimase fino al 1343, quindi passò allo Studio di Perugia e vi restò sino alla morte. Durante i quattordici anni da lui trascorsi a Perugia, la sua fama di maestro e di interprete del diritto andò continuamente crescendo, in patria e fuori. Alla sua scuola accorrevano a frotte giovani da ogni parte d'Italia e d'Europa; e le sue decisioni si presero, non di rado, anche in qualche città straniera, a testo nei tribunali. I Perugini, a sanzione del lustro da lui conferito alla città, conferirono nel 1348, a lui e al fratello, la cittadinanza onoraria, e, nel 1355, lo inviarono, come loro rappresentante, presso l'imperatore Carlo IV, a Pisa. E Carlo IV lo onorò della nomina a proprio consigliere e della concessione, oltre che di uno stemma gentilizio, di alcuni iura reservata, quali il diritto di legittimare bastardi e il diritto di concedere la venia aetatis. Né la sua fama cessò con la sua morte immatura. Per qualche secolo, egli apparve ai giuristi, nonché d'Italia, d'Europa, come un Accursio redivivo, come una specie di genio della scienza giuridica, le cui opere facevan testo nelle scuole accanto alla glossa ordinaria, e alle cui dottrine parve necessario, ancora durante il sec. XVII, in qualche università, come a Padova, a Pavia e Napoli, dedicare cattedre apposite.
In tutta la produzione scientifica di Bartolo, veramente prodigiosa data la brevità della sua vita, possono riscontrarsi alcuni dei difetti o delle lacune comuni, si può dire, a tutta la letteratura giuridica del tempo: ma, accanto a quei difetti, rifulgono doti che giustificano l'unanime riconoscimento fattone dai contemporanei e dai posteri come di vero e proprio capo scuola. I suoi Commentarii sono in genere assai meno prolissi di quelli correnti nelle scuole e nella pratica, e insieme assai più solidi di struttura, meno infarciti di citazioni e allegazioni, meno guasti dall'abuso di una dialettica puramente formale, più aderenti alla realtà, e soprattutto, se non sempre, più originali. Questa originalità è dovuta tanto all'indipendenza che, di regola, Bartolo, pur rispettando la tradizione, conserva di fronte all'autorità della glossa, quanto al contatto, quasi sempre vigile, che egli mantiene con la pratica. E soprattutto da questo contatto deriva l'intensa vitalità che circola tra le righe del suo rozzo e spesso pesante latino di postglossatore, che, quasi ad ogni pagina, ci trasporta, direttamente o indirettamente, nel vivo della pratica quotidiana delle città italiane del sec. XIV. Così, mercé il continuo riferimento alla vita giuridica vissuta, riesce non di rado a Bartolo di dare, con una geniale e acuta orientazione teorica, sistemazione nuova e durevole a istituti o a materie che la glossa, per eccessiva aderenza al testo, aveva ignorato o trascurato: specialmente nel campo del diritto internazionale, privato e penale. Soprattutto famose, per l'azione esercitata sulla tradizione giuridica posteriore, furono le teoriche di Bartolo sugli statuti e i loro conflitti; sulle enfiteusi temporanee dei beni ecclesiastici; sulla destinazione come mezzo costitutivo di servitù; sulla validità dei testamenti cosiddetti mistici; sulla obbligatorietà dei patti nudi di fronte al diritto commerciale; sui marchi di fabbrica; sull'actio spolii; sull'esecuzione parata degli strumenti guarentigiati. E singolarmente interessante è, dal punto di vista storico, la traccia lasciata da Bartolo nel campo del diritto pubblico: nel quale, abbandonato per lo più, attraverso tutto il Medioevo, alla teologia o alla filosofia, egli fu uno dei primi ad applicare con coerenza i metodi proprî dell'indagine giuridica, così a proposito dei due vecchi e tradizionali istituti universalistici dell'impero e del papato, come a proposito delle nuove e recenti formazioni autonomistiche dei comuni e delle signorie, fissando universalmente il riconoscimento giuridico dell'autonoma esistenza di queste entro l'ambito di quelli con la formola universitas superiorem non recognoscens est sibi princeps. Alcuni dei suoi trattati pubblicistici, quali il De tyrannia e il De regimine civitatis, interessano poi direttamente, con la teoria della relatività delle forme di governo e con la distinzione delle due forme o specie di governo tirannico, ex defectu tituli o quoad exercitium, la storia del pensiero politico del Rinascimento, offrendo spunti e motivi che troveranno più ampio sviluppo nella letteratura pubblicistica dei secoli XV e XVI, o confluiranno poi nella corrente del giusnaturalismo.
Opere principali di B., e fondamento precipuo della sua fama, sono i voluminosi Commentarii, da lui dettati intorno alle singole parti del Corpus iuris (Digestum Vetus, Infortiatum, Digestum Novum, Codex, Tres Libri, Authenticum, Institutiones), diffusi con unanime successo per tutta Europa. Ma a lui si devono anche numerosi trattati monografici intorno ai più varî argomenti: di diritto privato (De substitutionibus, De successione ab intestato, De praescriptionibus, De fluminibus seu Tyberiadis); di diritto processuale (De iurisdictione, De arbitris, De natura actionis, De citatione, De praesumptionibus, De procuratoribus, De testibus, Quaestio inter Virginem Mariam et diabolum); di diritto penale (De quaestionibus, De percussionibus, De cicatricibus); di diritto canonico (De minoritis); di diritto pubblico (Tract. repressaliarum, De tyrannia, De regimine civitatis, De Guelphis et Ghibellinis, De statutis, De insigniis et armis), ecc. A queste opere sono da aggiungere numerose quaestiones, più volte raccolte, e una ricca serie di consilia universalmente pregiati.
Ediz.: Opere complete, Basilea 1588-89 (in 10 voll.); Venezia 1590, 1603 e 1615. Numerosissime edizioni dei Commentarii alle singole parti del Corpus iuris si ebbero in molte città italiane, specialmente a Venezia, Milano, Napoli, nella seconda metà del sec. XV; e sin dal sec. XV le tipografie veneziane avevano costituito un corpo completo dei Commentarii bartoliani; per altre notizie, v. E. Besta, in Storia del diritto italiano, sotto la direz. di P. del Giudice, I, ii, Milano 1925, p. 851, n. 6. La maggior parte dei trattati è edita in corpo a Venezia 1472; Milano 1475; Venezia 1487. Delle Quaestiones disputatae si hanno varie edizioni del sec. XV; raccolte di quaestiones, Venezia 1520-21,1585; Lione 1581; per i Consilia, oltre varie ediz. s. l. n. d., Venezia 1487,1495; Lione 1489, 1521, 1527, ecc.; cfr. anche E. Besta, op. cit., p. 852 segg.
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