L’opera di Bartolo ha rappresentato oggettivamente uno dei punti più alti del pensiero giuridico medievale, per la qualità e l’efficacia della riflessione offerta su un amplissimo novero di temi. La padronanza del metodo del commento e lo sviluppo delle sue potenzialità, la messa a frutto delle fonti romane, interrogate con perizia senza rimanerne tuttavia prigioniero, la capacità di dare sistemazioni di ampio respiro e teoricamente raffinate, il ricorso sapiente e creativo alla interpretatio, lo sguardo attento e spesso critico verso l’evoluzione politico-giuridica del 14° sec., in una parola la capacità di tradurre egregiamente nel linguaggio formalizzato della scienza del diritto gli aspetti salienti della realtà politico-sociale propria delle città italiane d’inizio Trecento: questi i caratteri salienti di una personalità scientifica che ha lasciato un’impronta indelebile nel diritto comune europeo.
Nato a Sassoferrato, presso Ancona, nel 1313 o nel 1314, Bartolo, dopo studi privati di buon livello in loco, si reca giovanissimo (1328) a Perugia, per frequentare lo studium di quella città. Diviene allievo di Cino da Pistoia, acquisendo così familiarità con il nuovo metodo scientifico e didattico del commento, di ascendenza orleanese (secondo la testimonianza dell’allievo Baldo degli Ubaldi, egli attribuiva a Cino il merito di avergli impartito una compiuta formazione giuridica, plasmandone l’ingegno). Passa poi a Bologna, dove segue le lezioni di Iacopo Butrigario e dove nel 1333 ottiene il baccellierato discutendo la quaestio detta Statuta civitatis Lucanae. Si addottora l’anno successivo, nel 1334, presentato dallo stesso Butrigario all’esame (sostenuto nel settembre; riceve poi le insegne dottorali nel novembre) davanti a una commissione presieduta da Giovanni Calderini e formata da giuristi di fama, tra cui Iacopo di Belviso, Pietro Cerniti, Raniero Arsendi.
Una volta laureato ricopre per brevi anni incarichi pubblici (assessore a Todi, avvocato generale a Macerata, assessore a Pisa), per poi divenire professore di diritto civile nello studium pisano nel 1339 e non abbandonare più l’insegnamento universitario, svolto a Pisa fino al 1342, poi a Perugia dal 1343 senza interruzioni fino alla morte precoce, ivi sopraggiunta nel 1357 (il suo radicamento nella città umbra è dimostrato dalla concessione della cittadinanza perugina nel 1348).
La fama di Bartolo è già grande negli ultimi anni della sua vita, cosicché, inviato nel 1355 dal Comune di Perugia a Pisa in ambasceria davanti all'imperatore Carlo IV di Lussemburgo, egli viene da questi insignito della carica di suo consigliere e del potere di legittimare i propri allievi (mentre pare infondata la notizia dell’attribuzione di un blasone nobiliare).
Dopo la morte, Bartolo assurge in breve tempo a modello e prototipo del giurista di diritto comune, assunto a nume tutelare dell’intero ceto, circonfuso da un’aura di infallibilità, sino all’affermarsi tra Quattro e Cinquecento di un movimento scientifico che si identifica nella sua imitazione e che da lui prende il nome di bartolismo.
Un'importante tappa nella messa a punto delle vicende biografiche del nostro deve considerarsi la Bartoli vita di Tommaso Diplovatazio (o Diplovataccio), già contenuta nel suo De claris iurisconsultis (incompiuto, scritto tra il 1500 e il 1511 come IX libro del Tractatus de praestantia doctorum) e poi riprodotta (con molte più imprecisioni) in avvio della sua edizione delle opere di Bartolo e quindi in molte delle innumerevoli edizioni standard recanti l’opera omnia del grande marchigiano.
Tra le varie forme nelle quali si è espressa la formidabile attitudine sistematica bartoliana, la preminenza va forse accordata alla stesura di commentaria, connessa all’attività didattica; i frutti dei corsi universitari (pisani e poi perugini) sono infatti stati raccolti in ponderosi volumi che hanno avuto diffusione vastissima e credito enorme: tanto da spingere nei secoli successivi per ragioni commerciali editori e curatori senza scrupoli a diffondere sotto il nome di Bartolo commenti a intere sezioni del Corpus iuris che invece possiamo oggi affermare con discreta sicurezza non appartenergli. Sicuramente spuri paiono oggi gran parte del commento al I libro del Digesto – da attribuire piuttosto, in buona parte almeno, a Cino – come notato già da Alessandro Tartagni e accolto da Giasone del Maino; il commento alle Istituzioni; forse anche quello all’Authenticum – già secondo Tartagni, seguito da Giasone, però senza ragioni del tutto convincenti, cosicché Friedrich Karl von Savigny lo attribuiva comunque a Bartolo –; mentre per il commento ai Tres libri Angelo degli Ubaldi asserisce che Bartolo è giunto solo fino a Cod. 11, 35 escluso.
Giovandosi dell’autonomia conquistata rispetto al testo romano, il giurista coglie l’occasione per impostare e risolvere le questioni relative agli ordinamenti particolari (iura propria), di matrice squisitamente medievale, con grande libertà ricostruttiva, mostrando i limiti dell’impostazione tradizionale, tipica dei glossatori, che riconduceva l’opera del giurista entro la cornice formale dell'attività d’interpretazione del diritto giustinianeo. L’insufficienza ormai palese di tale approccio, rispetto alla rilevanza dei problemi scaturiti dalla prassi medievale, si rileva con tutta evidenza con riguardo a teorie profondamente innovative (rispetto al diritto romano) come quelle relative al dominio diviso (offerta a partire dalla inedita definizione di dominio, imperniata sulla autonomia di poteri sul bene, potenzialmente rilevabile in capo a più soggetti), o alla potestà di emanare statuti da parte delle città italiane (sulla base della nozione di iurisdictio, tema sviluppato nella celebre repetitio sulla l. omnes populi, ff. de iustitia et iure [Dig. 1, 1, 9], datata Perugia, 3 novembre 1343), per citare due esempi molto rilevanti e ben noti alla storiografia.
Dal punto di vista del metodo, la pagina bartoliana esprime forse nel modo più compiuto ed equilibrato caratteri e pregi del genere del commento, sfruttando al meglio la profonda padronanza dello strumentario tecnico romanistico e insieme l’oggettivo distacco acquisito dal testo romano, ormai esibito senza timore. La norma antica infatti è assai spesso una pura occasione contingente per consentire al giurista d’innescare la riflessione sui problemi giuridici attinenti al diritto del suo tempo, e Bartolo propone il più delle volte soluzioni elaborate in proprio, che si giovano dei materiali grezzi forniti dai glossatori per costruire nuove e complesse architetture teoriche. Il risultato è una riflessione misurata, salda nella convinzione di poter giungere all'enucleazione di teorie articolate e compiute, al fine di colmare le numerose lacune normative e risolvere i mille dubbi interpretativi che non possono trovare risposta immediata nel diritto romano.
Una riprova dell’attenzione rivolta alla prassi si ricava dall'attività consulente, cui Bartolo si dedica senza remore intellettualistiche, dimostrando di credere nell’importanza di una costante e vitale osmosi tra scienza e pratica; l’apprezzato professore sa bene, infatti, che anche le più sofisticate teorie abbisognano di un riscontro della loro bontà ‘sul campo’, cioè nelle aule dei tribunali, e la stesura di consilia da offrire al giudice (direttamente o per mezzo delle parti che li commissionano), indicando la migliore soluzione della controversia in punto di diritto, rappresenta un modo efficacissimo di testarne in concreto la ragionevolezza e l’equità. I pareri conservatisi ci restituiscono un giurista che si cimenta con quesiti relativi ai temi più vari, sempre attento a valorizzare la finalità pratica del responso, conservando però un approccio rigorosamente scientifico nell’inquadramento dei problemi, secondo un modello equilibrato e deontologicamente corretto che sarà invece travisato e tradito nell’epoca successiva, tanto da provocare la celebre denuncia di Andrea Alciato nei Parerga (pubblicati a partire dal 1538).
Nella concezione bartoliana, che si riflette fedelmente nei caratteri della sua produzione ed anche nel rapporto quantitativo tra i diversi generi usati, il primato spetta ancora alla dimensione teorica su quella applicativa e, nonostante la sostanziale omogeneità di metodo e di contenuti, le lecturae universitarie raccolgono la parte più originale e significativa del suo pensiero, rispetto ai consilia: la fase della pragmatizzazione della scienza giuridica che sarà prevalente nel pieno Quattrocento ancora non si profila, e il giurista gode di un rilevante spazio di libertà nella elaborazione di nuove teorie, sottoposte anzitutto al vaglio critico degli altri doctores, oltre che alla prova dell’applicazione pratica.
Bartolo non vanta un’opera altrettanto ricca e poliedrica di quella dell’allievo Baldo, ma i suoi interessi spaziano ugualmente su un orizzonte assai vasto e si rivolgono ad ambiti diversificati, non riconducibili soltanto al campo del diritto privato, che pure rappresenta la parte centrale e la più consistente del suo lavoro di doctor iuris, volto al ripensamento e alla sistemazione degli istituti giuridici alla luce delle peculiarità dell’esperienza giuridica medievale e in piena e consapevole autonomia rispetto alle coordinate culturali e socio-politiche che sostanziano l’esperienza romana, anche se in connessione dialettica con lo strumentario tecnico romanistico.
La forza della riflessione di Bartolo risiede nella capacità di dare soluzione ai singoli quesiti particolari senza mai perdere di vista la complessiva disciplina dell’istituto, entro la cui cornice l’interprete si sforza di restare, cimentandosi nel dare ordine alla materia con le uniche armi del rigore argomentativo e del corretto impiego degli strumenti conoscitivi propri della scienza giuridica, senza l’ausilio potente – ancorché limitante per il giurista – dell’obbligato rimando a scelte normative di marca legale, data la perdurante assenza dalla scena del diritto tardomedievale di un legislatore che sappia e voglia adottarle e imporle al corpo sociale. Il risultato, tanto più notevole in quanto raggiunto perlopiù a partire da grezzi e lacunosi materiali consuetudinari, consiste nel delineare per via di interpretatio una compiuta fisionomia dei diversi istituti giuridici considerati, dando una valida dimostrazione delle potenzialità ordinanti della scientia iuris.
L’interesse per la vita del diritto contemporanea e l’insoddisfazione per i limiti consustanziali alle fonti romane, appartenenti a un mondo ormai lontano e per tanti versi non riproponibile né interamente rivalutabile neppure ricorrendo a un'interpretazione intrinsecamente creativa, si manifestano in modo chiaro negli anni della maturità scientifica di Bartolo (che saranno anche gli ultimi della sua vita). Egli mostra infatti un acuito interesse verso l’ambito disciplinare che oggi definiremmo del diritto pubblico, dedicandosi alla messa a fuoco di alcuni istituti giuridici a forte connotazione politica, centrali nella vita politico-istituzionale delle città italiane dell’epoca, mediante la stesura di una serie di tractatus, scritti tutti tra il 1354 e il 1357, anno della morte.
Vengono composti così il De regimine civitatis, sulle forme di governo della civitas, il De guelphis et ghibellinis, sulla divisione in fazioni del corpo politico cittadino e la sua influenza diretta sulla vita istituzionale dei comuni, il De bannitis, sul bando (conseguenza della concezione della titolarità dei diritti civili e politici basata sulla dialettica inclusione-esclusione rispetto alla civitas), il De tyranno, sulle forme di tirannide (intesa come usurpazione senza titolo valido di poteri pubblicistici da parte di privati ovvero come superamento dei limiti prescritti all’esercizio legittimo dei poteri spettanti ai magistrati).
Non meno rilevante il commento svolto in forma di glosse (divenuto infatti glossa ordinaria alla XI Collatio delle Novellae, oltre ad aver circolato a guisa di trattati autonomi) a due costituzioni dell'imperatore Enrico VII di Lussemburgo, di grosso significato politico: la const. Qui sint rebelles (1312), in cui Bartolo mette a punto i connotati giuridici del ribelle al sovrano e la const. Ad reprimendum (1313), dove riflette sul contenuto minimo del diritto di difesa spettante all’imputato, a fronte del procedimento sommario fondato sull’accusa di crimen laesae maiestatis.
Accanto a tali temi ne troviamo altri, di non immediato rilievo politico, ma ugualmente ispirati dalla necessità di dare sistemazione complessiva a materie di spiccato tecnicismo e di notevole complessità, che non trovano una disciplina adeguata nell’anacronistico diritto romano né nel lacunoso diritto consuetudinario o statutario: il De testibus riguarda l’istituto della testimonianza, cruciale in ambito processuale; il De fluminibus il tema delle accessioni fluviali e in genere del regime giuridico dei corsi d’acqua (risorsa naturale di primaria importanza sul piano economico); il De insigniis et armis la disciplina giuridica dei segni di riconoscimento (dai cognomi alle ditte, dai marchi di fabbrica alle insegne araldiche); il De repraesaliis l’istituto della rappresaglia (segno tangibile della frammentazione territoriale e ordinamentale del mondo medievale); il Tractatus minoricarum decisionum la capacità successoria dei frati minori, votati all'assoluta povertà, in presenza di testamenti che li istituiscano eredi o legatari.
In tale contesto Bartolo mette così a punto, non ultimo dei suoi meriti, un 'nuovo' genere letterario, quello del trattato, destinato a grandi fortune nella letteratura giuridica quattro-cinquecentesca. Precorritore della moderna monografia, esso consente di svolgere compiutamente e in modo organico l’analisi relativa a un istituto giuridico, senza alcun vincolo dato dall’esegesi dei testi normativi romani, configurandone in extenso la disciplina giuridica sulla base di un metodo di lavoro scientifico applicato ai problemi nascenti dalla prassi.
Le opere di Bartolo hanno avuto, com’è comprensibile data l’importanza del suo pensiero, un'amplissima diffusione già in forma manoscritta, accresciuta poi con l’avvento della stampa a caratteri mobili. Al di là di una (a tutt’oggi parziale) ricognizione del materiale manoscritto presente nelle biblioteche di tutta Europa, non è tuttavia possibile indicare testimoni dotati di speciale attendibilità né ricostruire una stemmatica dei manoscritti recanti i commentari bartoliani; analogamente per i consilia: per essi era invalso nella seconda metà del 15° sec. il cosidetto ordine perugino, frutto del riordino effettuato dal pronipote di Bartolo, Tindaro Alfani (che aveva selezionato 244 pezzi, ripartiti in tre gruppi ratione materiae: sentenze, contratti, testamenti), poi però superato nelle edizioni a stampa, anche a fronte dell’aggiunta cospicua di altri consilia a opera di Diplovatazio (in numero di 117, riuniti in un libro II).
Strumenti ancor oggi preziosi sono le indagini sistematiche condotte nelle biblioteche tedesche da Emanuele Casamassima e in quelle spagnole da Antonio García y García, e pubblicate in Codices operum Bartoli a Saxoferrato recensiti (rispettivamente nel 1° vol., Iter Germanicum, 1971, e nel 2°, Iter hispanicum, 1973), oltre all’elenco di manoscritti contenuto in Robert Feenstra, Bartole dans les Pays-Bas (anciens et modernes) avec additions bibliographiques à l’ouvrage de J.L.J. van de Kamp, e in Bruno Paradisi, La diffusione europea del pensiero di Bartolo e le esigenze attuali della sua conoscenza, entrambi in Università degli studi di Perugia, Bartolo da Sassoferrato: studi e documenti per il VI centenario, 1962, rispettivamente alle pp. 173-281 (in partic. 203-81) e 395-472 (in partic. 427-70).
Sorte migliore, anche per il minor numero di manoscritti superstiti, hanno avuto alcuni trattati, quali quelli 'politici', oggi disponibili in edizione critica: Diego Quaglioni, Politica e diritto nel Trecento italiano. Il 'De tyranno' di Bartolo da Sassoferrato (1314-1357). Con l’edizione critica dei trattati 'De Guelphis et Gebellinis', 'De regimine civitatis' e 'De tyranno', 1983. Recentemente si è avuta l’edizione critica anche del trattato sulla testimonianza: Susanne Lepsius, Der Richter und die Zeugen. Eine Untersuchung anhand des 'Tractatus testimoniorum' des Bartolus von Sassoferrato, mit Edition, 2003.
Edizioni non critiche ma comunque affidabili si hanno ora pure per il De insigniis et armis e per una parte del De fluminibus: Osvaldo Cavallar, Susanne Degenring, Julius Kirshner, A grammar of signs. Bartolo da Sassoferrato’s tract on insignia and coats of arms, 1995; Osvaldo Cavallar, River of law. Bartolus’s Tiberiadis (De alluvione), in A Renaissance of conflicts. Visions and revisions of law and society in Italy and Spain, ed. John A. Marino, Thomas Kuehn, 2004, pp. 31-129 (alle pp. 84-116 l’edizione della parte iniziale del trattato De fluminibus). In verità i trattati attribuiti in passato a Bartolo erano assai numerosi, e tutt’oggi ne vengono riconosciuti come autentici circa una trentina, di argomento molto vario, per i quali occorre usare le antiche edizioni a stampa e i manoscritti.
Rinunciando a fornire un elenco, giocoforza lacunoso e comunque non significativo, delle numerose edizioni degli opera omnia bartoliani (senza contare le edizioni parziali, di singole repetitiones su titoli o leggi del Corpus iuris e di quaestiones), precedute dalla stampa separata dei commentari alle singole parti dei libri legales già nei primi anni Settanta del 15° sec. (cfr. Lepsius 2004), citiamo però almeno la famosa (e rarissima, disponibile dal 1996 in ristampa anastatica) edizione curata da Diplovatazio, uscita a Venezia in 9 tomi complessivi per i tipi di Battista Torti tra il 1520 (anno di uscita dei commentari alle diverse parti del Corpus iuris – quelli al Volumen, però, non a cura di Diplovatazio, ma recuperati da altre edizioni e aggregati da Torti –, ristampati poi nel 1527) e il 1530 (l’ultimo tomo con i consilia, le questiones, i trattati e anche i due sermoni per il dottorato del fratello Bonaccorso e di un altro parente).
C.N.S. Woolf, Bartolus of Sassoferrato. His position in the history of medieval political thought, Cambridge 1913.
F. Ercole, Da Bartolo all’Althusio. Saggi sulla storia del pensiero pubblicistico del Rinascimento italiano, Firenze 1932.
J.L.J. van de Kamp, Bartolus de Saxoferrato 1313-1357. Leven, werken, invloed, beteekenis, Amsterdam 1936 (trad. ital. parziale Bartolo da Sassoferrato, «Studi urbinati», 1935, 1-2, pp. 3-165).
A.T. Sheedy, Bartolus on social conditions in the fourteenth century, New York 1942.
Università degli studi di Perugia, Bartolo da Sassoferrato: studi e documenti per il VI centenario, 2 voll., Milano 1962 (in partic. F. Calasso, L’eredità di Bartolo, 1° vol., pp. 1-21; D. Segoloni, Bartolo da Sassoferrato e la 'civitas Perusina', 2° vol., pp. 513-671).
F. Calasso, Bartolo da Sassoferrato, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 6° vol., Roma 1964, ad vocem, nonché, ampliato, «Annali di storia del diritto», 1965, pp. 472-520.
B. Paradisi, Le glosse di Bartolo da Sassoferrato, in La critica del testo, Atti del secondo Congresso internazionale della Società italiana di storia del diritto, 2° vol., Firenze 1971, pp. 575-618, ora in Id., Studi sul Medioevo giuridico, Roma 1987, pp. 855-96.
D. Segoloni, 'Practica', 'practicus', 'practicare' in Bartolo e in Baldo, in L’educazione giuridica, 2° vol., Profili storici, a cura di A. Giuliani, N. Picardi, Perugia 1979, pp. 52-103.
D. Segoloni, Aspetti del pensiero giuridico e politico di Bartolo da Sassoferrato, in Il diritto comune e la tradizione giuridica europea. Atti del Convegno di studi in onore di Giuseppe Ermini, 30-31 ottobre 1976, a cura di D. Segoloni, Perugia 1980, pp. 353-415.
M. Ascheri, The formation of the consilia collection of Bartolus of Sassoferrato and some of his autographs, in The two laws. Studies in medieval legal history dedicated to Stephan Kuttner, ed. L. Mayali, S.A.J. Tibbets, Washington (D.C.) 1990, pp. 188-201.
E. Brizio, Una indicizzazione 'automatica' dei consilia di Bartolo da Sassoferrato, «Studi senesi», 1991, pp. 101-169, 283-349.
S. Lepsius, Von Zweifeln zur Überzeugung. Der Zeugenbeweis im gelehrten Recht ausgehend von der Abhandlung des Bartolus von Sassoferrato, Frankfurt a.M. 2003.
O. Cavallar, Personaggi in cerca di ‘editore’. Una proposta di lettura per alcuni degli ultimi trattati bartoliani, «Rivista internazionale di diritto comune», 2004, pp. 97-142.
S. Lepsius, Bartolus de Saxoferrato, in C.A.L.M.A.: Compendium Auctorum Latinorum Medii Aevi (500-1500), curantibus M. Lapidge, G.C. Garfagnini, C. Leonardi, 2° vol., t. 1, Bartholomaeus Fracancianus-Bartolus de Saxoferrato, Tavarnuzze (Impruneta) 2004, ad vocem.
F. Treggiari, Le ossa di Bartolo. Contributo alla storia della tradizione giuridica perugina, Perugia 2009.