CORIOLANO (Coriolani), Bartolomeo
Secondo la tradizione era figlio di Cristoforo e fratello di Giovanni Battista, intagliatori. Nato a Bologna sul finire del XVI secolo (nell'anno 1599 secondo i più), egli apprese l'arte della xilografia dal padre; completò in seguito la sua formazione, e si perfezionò nel disegno alla scuola di G. Reni, del quale si farà sensibile interprete in molte opere. La sua attività, svolta fra Bologna e Roma, appare documentata a partire dal 1627: a tale data risale, infatti, la prima versione dell'Allegoria dell'alleanza tra la Pace e l'Abbondanza, d'invenzione reniana, intagliata in Roma secondo i modi tradizionali della xilografia lineare (ovvero con matrice unica). Su tale pezzo il C. tornerà nel 1642, in Bologna, per aggiungervi una tavola di colore (sono note, del chiaroscuro, quattro prove). Ma già l'esemplare del 1627 rivela le qualità di contenuta e raffinata eleganza che contraddistinguono generalmente la sua produzione, accanto a un abile uso della tecnica.
Probabilmente nel 1630, se non anche prima, il C. dovette essere insignito del titolo di cavaliere lauretano e gratificato con una pensione annua per aver offerto al papa Urbano VIII diverse sue stampe e per avergli dedicato una Madonna. Al 1630 è infatti datata la prima incisione recante l'acquisito titolo, col quale firmerà poi buona parte della sua produzione. Si tratta di un'opera realizzata a Bologna, la Vergine col Bambino Gesù entro un ovale riquadrato, che il C. affrontò, con risultati invero non troppo lontani da un freddo convenzionalismo, guardando al Reni e servendosi, secondo la pratica cinquecentesca del chiaroscuro dettata da Ugo da Carpi, di tre matrici sovrapposte, per i contorni, per le mezzetinte, per i lumi.
Lo stesso disegno (del quale si conoscono esemplari anche a due legni, di seconda e terza prova) fu eseguito una seconda volta a tre legni, però in controparte, e con l'aggiunta di rose negli spazi prima lasciati vuoti fuori dell'ovale. Vi è, di questo pezzo, una replica con talune modifiche nelle vesti della Vergine, nelle iscrizioni, nonché nell'omissione delle rose. Altra replica sembra essere, per i non pochi punti comuni con l'originale in controparte, il chiaroscuro a tre tavole, inciso sempre in Bologna nel 1631.
Del 1631 è anche una scialba Salomè, in più prove a tre e a due legni, tratta da Guido Reni. Analoga derivazione mostra un S. Girolamo penitente, chiaroscuro a tre legni inciso in Bologna nel 1637, che si discosta tuttavia dal modello del Reni (un disegno ora nella coll. della Royal Library di Windsor) per un certo maggior vigore che, in una con un gusto preminente per la linea, collega quella del C., come è stato più volte osservato, con la maniera tedesca (ciò che fa pensare, altresì, all'influenza del padre, che, secondo la tradizione, era originario di Norimberga). Dell'incisione (nota anche in versioni a due sole matrici) alcune prove recano, oltre alla data, in nero, del 1637, quella, in bianco, del 1640.
Nel 1638 il C., avvalendosi di tre legni, incise la figura di un Gigante con masso sulle spalle, studio preparatorio a quella che costituisce senza dubbio la sua opera di maggior rilievo: la grandiosa, non foss'altro che per le proporzioni, Caduta dei Giganti, d'invenzione reniana.
Il C. ne pubblicò nel 1638 una prima edizione, dedicata a Francesco I duca di Modena, a tre legni e su quattro fogli componibili; ma decisamente migliore riuscì l'edizione successiva, stampata a Bologna nel 1641 (ristampata poi nel 1647), che il C., oltre a variare nell'iscrizione, fece più ricca nei particolari e più ferma nell'impianto compositivo. La Caduta dei Giganti, di richiamo michelangiolesco nei poderosi titani precipitati dall'ira di Giove fra le rocce, è prova indiscussa di forte impegno e di padronanza del mestiere. Ma è anche prova dei limiti del chiaroscuro usato dal C., che spesso mortifica i valori pittorici nel gioco della linea con risultanze di un piatto decorativismo affatto estraneo alla lezione di Ugo da Carpi. Particolare è, del resto, nei chiaroscuri del C., l'impiego delle tavole, in numero di tre al massimo, là dove a quella dei contorni, netti e decisi, le tavole di colore, in toni sobri (per lo più del blu-grigio, del verde, del rossastro-bruno), vengono ad aggiungersi col solo fine d'accennare lo sfondo o d'invigorire il modellato. Caratteristico, e peraltro non privo d'efficacia, l'intaglio a tratti larghi e incrociati.
Dal Reni il C. deriverà, più o meno liberamente, ancora altre opere. Fra queste una serie di quattro Sibille variamente atteggiate a pose di respiro classico e di maestosa compostezza (se ne conoscono esemplari a tre e a due legni, tutti senza iscrizione alcuna); un Busto di Amore dormiente intagliato a largo tratteggio in due legni; un Busto della Vergine entro un ovale riquadrato, altro chiaroscuro a due legni senza iscrizione, come il precedente; la Vergine col Bambino e s. Giovannino, anche in ovale riquadrato, chiaroscuro datato 1647, a tre legni (ma ne esiste una seconda prova a due legni, e il Bartsch [1811] menziona altresì una prova, forse unica, col solo legno nero, allora nella collezione del conte di Fries); una tesi, chiaroscuro a due legni per Giacomo Gotti, il figlio d'un discepolo del Reni, pezzo recante la data 1640; una Fortuna, senza iscrizione, dal Reni, ma con presumibile mediazione del Cantarini, chiaroscuro a due legni, del quale c'è un esemplare in controparte, probabilmente anche del C. (Sopher, 1978, n. 179). Sembra che dal Reni il C. derivasse ancora Amore fra due ninfe, incisione a due legni, senza marca, attribuitagli dallo Zanetti (1837).
Oltre al Reni il C. ebbe presenti anche altri modelli. È da un disegno di D. Brizio che incise una tesi destinata alla discussione il 28 marzo 1653, in chiaroscuro a tre legni; sempre da un disegno del Brizio è una xilografia raffigurante l'Arco trionfale in onore del re di Spagna, opera per la quale si ricava la data, almeno, del 1655 (il C. continuò dunque a lavorare almeno sino a questa data, e non sino al 1653, come già si credeva). Su disegno proprio, invece, incise due chiaroscuri, entrambi a due legni, che si discostano dalla tematica ufficiale, raffigurando l'uno una Marina con roccia a picco sulla riva (Gaeta Bertelà, 1973, n. 364), l'altro un Paesaggio con una fattoria (ibid., n. 365): il secondo reca la scritta "Bart: Coriolano F."; il primo aggiunge a tale firma, del pari priva di titoli, luogo e data di esecuzione (Bologna 1632). Su disegno proprio, o da anonimo, sono, fra l'altro, anche la S. Maria del Paradiso (1636 nel Bartsch, 1803-21, p. 10), chiaroscuro a tre legni; una Giovane martire che il Nagler (1860, II, n. 492, 4) annovera fra le stampe di Giovanni Battista Coriolano, ma ritiene del C. per la presenza del titolo di cavaliere nella firma.
A una tematica trattata dal padre (illustratore dell'Ornithologia dell'Aldrovandi) si riallacciano, sempre che il C. ne sia l'autore, non recando i singoli pezzi firma alcuna, tre serie di xilografie raffiguranti varie specie di uccelli e gallinacei, nonché nidi (Gaeta Bertelà, 1973, nn. 371-373). Esse, rispettivamente di 82, 54 e 66 stampe, sono distribuite in tre volumi (Bologna, Pinacoteca naz., Gabinetto delle stampe, inv. vol. 91, stampe inv. 12.474-12_555; 92, stampe inv. 12.5 5 6-12.609; 93, stampe inv. 12.610-12.675) recanti tutti sul frontespizio la scritta a stampatello Stampe bolognese [sic] di Bartolomeo Coriolani.
Di incerta attribuzione sono ancora, fra non poche altre, le seguenti stampe: Due Amorini in lotta, xilografia del 1642 senza firma, forse dal Reni (Gaeta Bertelà, n. 367); Madonna col Bambino, xilografia firmata "Corio f.", dal Reni (Gaeta Bertelà, n. 368); Ecce Agnus Dei, chiaroscuro a due legni (Bologna 1651) d'invenzione di Giuliano Dinarelli firmato "Coriolanus Eq. Sculp." (Gaeta Bertelà,n. 366; in questo caso l'attribuzione è quasi certa, per la presenza del titolo equestre). Il Nagler (1858, I, n. 1726) è propenso ad assegnare al C. anche un Ritratto di G. Reni eseguito dopo la morte del maestro (1642), segnato dal monogramma BC. Lo stesso (ibid.), con altri, assegna al C. anche una xilografia rappresentante due figure, indicate l'una come Sacerdote, l'altra come Donzela.
È incerta la data di morte; gli scrittori più recenti concordano sul 1676.
Il C. godé in vita di indubbia fama, ma forse non in tutto rispondente ai suoi meriti reali. Se in lui sicura fu la padronanza della tecnica, non altrettanto salda fu l'ispirazione. Con lui sembra, pur su un nobile livello, spegnersi la tradizione del chiaroscuro italiano, fors'anche per un mal realizzato compromesso fra la maniera d'Oltralpe e la tendenza della locale pittura secentesca. D'altronde la stagione del chiaroscuro italiano iniziata da Ugo da Carpi s'avviava già da sé, per un interno processo, al declino.
Teresa Maria, figlia del C., fu nota anche come Coriolana; fu attiva come pittrice e incisore in Bologna, dove sembra sia nata intorno al 1620. Studiò pittura alla scuola di Elisabetta Sirani (Malvasia [1678], 1841, II, p. 487), apprese dal padre l'arte dell'incisione. Della sua produzione, peraltro limitata, nel campo dell'incisione è nota soltanto una piccola stampa ad acquaforte raffigurante una Madonna seduta col Bambino (mezza figura). Eseguì invece numerosi quadri - ritratti e soggetti religiosi -, anche per committenti modenesi e romani, conseguendo in vita una certa notorietà. La sua opera fu in seguito pressoché dimenticata né è possibile documentare oggi le sue pitture. Di alcune di queste resta solo la menzione nel Crespi (1769: un Figliol prodigo, un S. Ignazio, un S. Girolamo, varie immagini della Vergine, vari ritratti, questi ultimi particolarmente lodati; un Giuseppe Ebreo, un Crocifisso e una Madonna della Rosa). P. Zani (Enciclopedia metodica critico-ragionata delle Belle Arti, Parma 1821, I, 7, p. 45) la dà come ancora vivente nel 1670.
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