NAZARI, Bartolomeo
Nacque a Clusone, nel Bergamasco, il 31 maggio 1693 da Nazario e da Giacomina; quarto di sei fratelli, all’età di sei anni restò orfano della madre, morta di parto, mentre a quindici perse anche il padre (Noris, 1982, p. 203).
I documenti smentiscono le date prodotte dalle Vite di Francesco Maria Tassi, biografo e protettore di Nazari, che restano comunque una fonte imprescindibile per le vicende del pittore (Tassi, 1793).
Le condizioni economiche della famiglia non dovettero essere particolarmente agiate, poiché a Bartolomeo fu assegnato il legato di Ventura Fanzago – dal 26 marzo 1714 al 21 febbraio 1717 – istituito a sovvenzione dei giovani più meritevoli nello studio delle arti per un periodo di tre anni; non restano altre informazioni in merito, ma è probabile che la formazione del giovane avvenisse in ambito bergamasco. Gli studi tendono ormai a escludere un alunnato di Nazari presso Fra Galgario, al secolo Giuseppe Ghislandi; alcune indubbie affinità, soprattutto nei primi lavori (G. Valagussa, in Fra’ Galgario, 2008, p. 107), lasciano tuttavia pensare che Bartolomeo fosse almeno un habitué della bottega di Ghislandi, che amava circondarsi di giovani pittori, in quella che sembra configurarsi come una bottega aperta, con pochi allievi ma tanti frequentatori.
Sulla formazione del giovane Bartolomeo influirono anche altri fattori: la vivacità artistica della nativa Clusone; i contatti che venivano garantiti ai vincitori di un legato; il contesto della Lombardia orientale e la sua tradizione ritrattistica; la conoscenza diretta della pittura veneta, attraverso le frequentazioni bergamasche di pittori veneziani; la concreta possibilità per i cittadini delle province di Terraferma di godere di appoggi nella capitale.
Tale periodo fruttò al clusonese una discreta fama, se già nel marzo dello stesso 1717 si trasferì a Venezia come collaboratore del pittore Angelo Trevisani, non certo come allievo, essendo ormai ventiquattrenne.
Nel giro di un biennio sono documentate le nozze con Giannetta Ferigo (1722) e la nascita dei primi due figli, Nazario (1723) e Giacomina (1724), futuri pittori. Sarebbero seguiti altri quattro figli (Noris, 1982, p. 203): Maria Cherubina (1726), Apollonia (1729), Giovanni Antonio, famoso violinista (1733), e Giovanni Maria (1735).
Il prestigio della prima opera ricordata dalle fonti – un perduto Ritratto di Eleonora Gonzaga per il conte Giambattista IV Colloredo, eseguito a Mantova nel 1721 – sembra suffragare l’ipotesi di una posizione autonoma tra i pittori, nel cui Collegio fu ammesso nel 1726.
Sul giudizio delle prime opere è sempre pesato il confronto con i ritratti di Fra Galgario, mentre il loro pregio risiede nel tentativo di mediazione fra tradizioni e gusti differenti. Nel precoce Ritratto di Luca Carlevarijs (1724, Oxford, Ashmolean Museum), il senso realistico che traspare nella resa del volto – il sorriso trattenuto e quasi imbarazzato – è legato alla tradizione bergamasca, ma l’esibizione di molti strumenti prospettici asseconda la tradizione celebrativa della ritrattistica lagunare. Il contemporaneo Ritratto del provveditore generale Francesco Correr (1724, Venezia, Fondazione Giorgio Cini) è meno intimistico rispetto ai modelli lombardi, dovendo adeguarsi a una consolidata tipologia ufficiale.
Influenzato dai modi di Sebastiano Bombelli, attraverso la cui mediazione emergono certi spunti francesi rilevati dagli studi (Pallucchini, 1995), il dipinto riuscì a definire il ritratto veneziano ‘da parata’ per i decenni centrali del XVIII secolo: la figura in azione entro un palco arredato, il volto sereno – ma mai stereotipato – nella consapevolezza del proprio ruolo.
Un viaggio a Roma, compiuto tra il 1724 e il 1727 a seguito dei pittori Benedetto Luti e Francesco Trevisani, fratello di Angelo, fu certamente meno lungo dei tre anni dichiarati da Tassi ma gli fruttò contatti con la famiglia Querini di S. Maria Formosa, in particolare con Angelo Maria: rientrato a Venezia nel 1726 ed eletto cardinale e vescovo di Brescia (1727), Querini iniziò una politica di celebrazione personale e dinastica di ampia portata. Forse a lui si deve la commissione della perduta Vergine della Cintura con i ss. Monica, Agostino e Antonio, realizzata a Roma ma destinata alla parrocchiale di Capodistria, presso cui fu vescovo un illustre avo del prelato, il beato Francesco. Nazari realizzò anche il grandioso Ritratto di Angelo Maria Querini (1727, Venezia, Fondazione Querini Stampalia): di Bombelli e di Pietro Uberti non resta che qualche spunto formale, mentre il pittore amplifica i dati d’ambiente; la stesura è un poco più liscia e trattenuta, compiaciuta nei dettagli; forse ad attrarre Nazari furono quelle istanze accademizzanti che lo stesso cardinale promuoveva nella propria cerchia romana e lagunare.
Nazari ripropose queste formule sempre con maggiore consapevolezza e con uno stile in grado di adeguarsi al carattere della committenza, non di rado scegliendo registri stilistici diversi tra dipinti a figura intera e di formato più contenuto.
Le esperienze del barocchetto più tenebroso di Giovanni Battista Piazzetta e dello stesso Trevisani lo resero abile modulatore di piani luminosi, mentre lo studio del rococò chiarista di Iacopo Amigoni e di Rosalba Carriera gli consentirono di fondere meglio le figure con il loro ambiente. Così, se nel proprio Autoritratto (1730 circa, Marano di Castenaso, nel Bolognese, collezione Molinari Pradelli) è ancora presente una certa vena lombarda e ghislandiana, nella pittura solida e corposa, nel Ritratto di Sebastiano Ricci (1733, Hannover, Landesmuseum) e in quello più tardo di Francesco Polazzo (1735-40, Bergamo, Accademia Carrara) i colori luminosi e la stesura spumeggiante sono coerenti con l’evoluzione in senso rococò di questi anni.
Soltanto in questo momento, con l’avvenuta ‘sprovincializzazione’ del proprio stile, il clusonese poté finalmente tentare il lancio internazionale, con tre prestigiose commissioni inglesi.
Il Ritratto di Samuel Egerton (1732, Londra, The National Trust Organisation; il vivace bozzetto è al Museo Correr di Venezia), giovanissimo segretario del futuro console Joseph Smith, rappresenta una prima evoluzione in senso internazionale dei ritratti Correr e Querini: una dignità cordiale e consapevole cancella certe rigidità formali di Uberti ma anche l’esuberanza pittorica di Bombelli. Agli stessi anni risalgono il Ritratto di lord Boyne nella cabina della sua nave (1732 circa, West Wycombe, Buckinghamshire, sir John Dashwood collection) – già attribuito a William Hogarth e di cui Inghilterra furono tratte ben trenta copie (Tassi, 1793, p. 89) – e il Ritratto di tre cavalieri inglesi (1734, già Londra, Watson collection), che propongono il modello figurativo di matrice fiamminga del ritratto di gruppo.
Pur privo dello humour britannico, Nazari riuscì nell’intento di autopromuoversi all’estero, continuando una ritrattistica più ufficiale per i committenti veneziani, come parrebbero essere anche i perduti ritratti dei procuratori Zaccaria Canal, Nicolò Venier, Alvise Mocenigo, Lorenzo Morosini (ibid., p. 85). Disegnò anche molti ritratti di figure eminenti destinati all’incisione, avviando una fruttuosa collaborazione soprattutto con Pietro Monaco.
A partire da questo gruppo di dipinti, i ritratti di Nazari si caricarono di un’atmosfera sospesa che viene generalmente giudicata un limite dagli studi; l’artista, invece, ne fece un valore primario, abbandonando definitivamente i ricordi ghislandiani e sperimentando una mediazione fra la ritrattistica rococò europea e certe istanze idealizzanti che, conosciute a Roma negli ambienti dei Querini, stavano prendendo piede anche a Venezia, corroborate dalla presenza dell’erudito Marco Foscarini, committente di Pompeo Batoni e futuro doge, del quale Nazari dipinse anche un perduto ritratto (ibid.).
La personalità del ritratto emerge da piccoli dettagli nella posa e, soprattutto, dagli oggetti che lo circondano, come sintesi del suo mondo, espressione di una sottile vitalità interna.
Questi molteplici stimoli conferirono ai ritratti successivi una freschezza e una cordialità sempre un poco trattenuta, una volumetria solida e plastica ma mai rigida, affidata alla modulazione della luce, più delicata nelle tele, più forte nei disegni; al medesimo momento – forse uno dei più felici – appartengono il Ritratto del cantante Farinelli (firmato e datato 1734, Londra, Royal College of Music), commissionato da William Cappel III conte di Essex; il Ritratto di Faustina Bordoni, favorita di Georg Friedrich Händel (1734 circa, Londra, Händel House Museum); il Ritratto di Vincenzo Querini (1735 circa, Venezia, Museo Correr); l’intenso Ritratto di giovane gentiluomo (1735-40, Padova, Musei civici), forse un inglese (Magani, 1997, p. 250).
In questa luce possono essere interpretate le affermazioni del pittore contenute in due lettere inviate al conte Giacomo Carrara di Bergamo, in cui Nazari espresse chiaramente la propria insofferenza verso l’obbligo di una somiglianza troppo stretta, ma anche nei confronti di colori troppo accesi (Noris, 1982, p. 204).
Nel 1733, tale sforzo venne premiato dall’interesse suscitato nel più grande mecenate dell’epoca, il maresciallo Johann Matthias von der Schulenburg: questi acquistò per la propria collezione a Hannover il Ritratto di Sebastiano Ricci e commissionò al pittore un proprio ritratto equestre (perduto) e sei Teste di carattere (tre delle quali sopravvivono a Hannover, nel Landesmuseum).
Nazari dimostrò interesse per questo genere grazie alle acqueforti di Rembrandt e Grechetto che giravano abitualmente nelle collezioni lagunari di Schulenburg e di Smith (Dimitrio, 2000). Le teste del 1730-35 rivelano una maggiore solidità e risultano più coerenti con i ritratti coevi, forse vincolate ai modi un po’ convenzionali della miniatura veneziana. Una più decisa adesione ai modi rembrandtiani si registra dopo il 1735, quando, pur partendo da modelli reali e studiandoli in varie posture, realizzò disegni e dipinti d’impronta olandese, seguendo una parabola che parte dalle teste dell’Accademia Carrara di Bergamo (1737; Accademia Carrara, 1989, p. 149) – ancora intrise di impasti ghislandiani e di certe puntigliosità lombarde – e culmina con quei capolavori che sono le due Teste di anziani della Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda (1745 circa). I modi rembrandtiani, talvolta, sconfinano anche nei ritratti veri e propri, come nel Ritratto di gentiluomo in collezione privata milanese (1745 circa; G. Valagussa, in Fra’ Galgario, 2008, pp. 146 s.).
Nei disegni e nelle incisioni prodotte da Nazari, l’esperienza rembrandtiana si fonde con lo studio della grafica di Giambattista Tiepolo e di Piazzetta. Lo stesso foglio con Tre figure dell’Accademia Carrara – disegno firmato da cui partì la ricostruzione del corpus grafico dell’artista (F. Baccanelli, in Fra’ Galgario, 2008, pp. 150 s.) – mescola suggestioni rembrandtiane con volti che paiono copiare le figure femminili che Tiepolo dipinse nel 1733 per le lunette della cappella Colleoni di Bergamo.
Questa versatilità figurativa, unita alla capacità di rielaborare modelli più antichi, fornì a Nazari un repertorio da riutilizzare nelle figure delle pale d’altare e nei ritratti post mortem, come in quelli di Giovanni Bonifacio e di Gerolamo Fracchetta, eseguiti per l’Accademia dei Concordi di Rovigo durante il breve soggiorno del 1735, o in quello di Francesco Morosini (Venezia, Museo Correr), dei primi anni Trenta. A Rovigo lasciò anche un Ritratto del doge Alvise Pisani, d’impostazione canonica. Da quest’ultimo derivò evidentemente il Ritratto del doge Pietro Grimani (Venezia, Gallerie dell’Accademia), dipinto nei primi anni Cinquanta come omaggio del pittore alla neonata Accademia. Al 1741 apparterrebbe invece il perduto ritratto del doge Grimani a figura intera (Tassi, 1793, p. 90).
Rientrato a Bergamo per qualche mese nel 1736, con il collega Francesco Zuccarelli fu ospite dal conte Francesco Maria Tassi, nella tenuta di Celadina. La nobiltà locale, attratta dalla formula ritrattistica sostanzialmente nuova e dal sapore internazionale, frutto del compromesso tra realtà, nobiltà, grazia e autocontrollo, gli ordinò numerosi ritratti, tra cui ricordiamo i due Ritratti di Domenico e Barbara Angelini (1736, Bergamo, collezione privata) e il Ritratto del conte Leonino Secco Suardo di Miasca (1736, Bergamo, collezione privata). Nazari divenne la più appetibile alternativa a Fra Galgario, ancora operosissimo, cogliendo le esigenze di una committenza che non necessariamente si voleva riconoscere nella moda naturalistica; inoltre, divenne punto di riferimento per diversi giovani artisti bergamaschi, quali Cristoforo Ambiveri – accolto anche nella bottega veneziana – e Cesare Femi (Colombo, 2003, pp. 91 s.).
Il pittore avviò inoltre un’amicizia e una fitta corrispondenza con il conte Giacomo Carrara; il nobile collezionista acquistò da Nazari numerosi disegni (Dimitrio, 2001), due Teste di carattere (1737, Bergamo, Accademia Carrara) e, vent’anni dopo essersi fatto ritrarre da Ghislandi, si sarebbe rivolto al clusonese per un ritratto (1757, Bergamo, Accademia Carrara) che costituisce un manifesto di stile nella cordiale formalità, dove solo certi impasti caldi e rossi ricordano le famose lacche del frate.
Per il territorio bergamasco ricevette la commissione di alcune pale d’altare, compiute poi in periodi diversi, per le parrocchiali di Sotto il Monte (1736), Cologno al Serio (1747) e Terno d’Isola (1751).
Si tratta di tele aggiornate al nuovo tipo di pittura accademica che prendeva piede in laguna, fondata su una stesura levigata e dal pathos stereotipato, su un piazzettismo rischiarato, piegato alla chiarezza devozionale di un palcoscenico sacro.
Rientrato a Venezia, Nazari mantenne costanti i rapporti con la committenza bergamasca guadagnandosi sempre maggior credito presso gli intenditori d’arte; lo stesso Schulenburg lo invitò a seguirlo in un viaggio alla corte imperiale di Carlo VII a Francoforte, dove rimase tra l’agosto e il dicembre del 1744, il tempo di ritrarre la coppia imperiale, alcuni dignitari tedeschi e di eseguire alcune tele a soggetto sacro, di cui conosciamo solo il Cristo coronato di spine e la Maddalena dolente per la contessa Thurn und Taxis (1744, Francoforte sul Meno, Historisches Museum), decisamente piazzetteschi.
Tornato a Venezia, continuò la sua attività di ritrattista per la nobiltà, ormai in grado di assecondare le molteplici sfumature del ritratto ufficiale e cogliendo, seppure formalmente, qualche spunto dai fortunati ritratti di Pietro Longhi, soprattutto dopo il 1744. L’impostazione più tradizionale è alla base del Ritratto di Gian Rinaldo Carlo di Capodistria (1749, Venezia, Museo Correr; Delorenzi, 2012); di quello, a figura intera, del provveditore generale da Mar Giorgio Grimani (Venezia, collezione Sorlini); di quelli di Giambattista Molin (Venezia, S. Simeone; Lucchese, 2006, p. 291), dei primi anni Quaranta, e di Apostolo Zeno (Venezia, Biblioteca nazionale Marciana; La Biblioteca Marciana, 1906, p. 105); uno sguardo più ironico, nel cogliere il lieve impaccio del personaggio, si legge invece nel bel Ritratto di gentiluomo (1745 circa, Cambridge, Massachusetts, Fogg Art Museum). Nazari sperimentò anche il conversation piece di matrice anglosassone nel Ritratto di Pietro Gabrielli e la sua famiglia, dei primi anni Trenta, capolavoro recentemente ritrovato in collezione privata (Frascarelli, 2009) e nel Ritratto di famiglia a Chambéry (1745, Chambéry, Musées d’art et d’histoire), dalle notevoli declinazioni longhiane (Bajou, 2001). Curioso del lavoro dell’amico Zuccarelli, si provò nel ritratto in paesaggio con la cosiddetta Conversazione della famiglia Pisani e in altri due Paesaggi con figure (1745-50, Stra, villa Pisani).
Membro fondatore dell’Accademia veneziana (1756), non riuscì a frequentarla a causa dei molti viaggi.
È difficile individuare l’entità della collaborazione di Bartolomeo con il figlio, Nazario, e ancora meno con la figlia, Giacomina, attivi nella sua bottega a partire dalla metà degli anni Quaranta; il rapporto problematico con il primogenito – ne sono testimonianza alcune lettere al conte Carrara (Noris, 1982, p. 205) – non invalidò la buona opinione verso l’arte del figlio, che venne chiamato a dirigere la bottega di famiglia durante le frequenti assenze.
L’ultima fase della vita di Nazari si svolse tra Genova – dove si recò per eseguire il perduto Ritratto del doge Grimani – e Milano. Non è chiaro cosa spinse l’artista a spostare l’asse delle proprie committenze e a trasferirsi, anche se non ufficialmente, nel capoluogo lombardo, dove restò con maggiore continuità a partire dal 1755. Dipinse ritratti per i conti d’Este di S. Caterina, per i marchesi Visconti, per i Somaglia e per i Fornari, tutti perduti. Produsse disegni e incisioni per grandi collezionisti.
Non sono più considerati autografi i circa 200 ritratti a matita del canonico Giuseppe Candido Agudio – ne restano un centinaio, smembrati tra numerosi musei (Milano, Washington, Amsterdam) e in collezioni private –, ma alcuni di questi dovrebbero essergli restituiti, per il caratteristico senso della posa e dell’ombreggiatura; la serie rivela almeno, nelle sue affinità con Nazari (Aikema, 1985, p. 113), quanto il clusonese fosse consentaneo alle istanze celebrative della nobiltà lombarda.
La morte di Ghislandi, Filippo Abbiati, Andrea Porta e Antonio Lucini aveva privato l’aristocrazia milanese di una generazione di ritrattisti in costante confronto con il naturalismo locale. Nazari poté colmare parte di questo vuoto grazie a un mestiere solido, a un’indubbia versatilità e a quelle sfumature internazionali di cui, forse, la Milano illuminista sentiva di aver bisogno. Non ci dovettero essere sostanziali ripensamenti nelle ultime opere di Nazari, sempre coerente con se stesso, se accettiamo come autografo il Ritratto di gentiluomo della Pinacoteca Ambrosiana (1755-58), di possibile provenienza milanese (Consadori, 2007). Una fisionomia molto più coerente risulta dopo l’espunzione di alcuni lavori dal catalogo dell’artista: alcune teste un po’ acerbe, un ritratto marcatamente riccesco (Padova, Musei civici; Magani, 1997) e il Ritratto di Pier Antonio Serassi (Plebani, 2003).
Nazari morì improvvisamente il 24 agosto 1758, «assalito da veemente flusso di sangue» (Tassi, 1793, p. 94).
F.M. Tassi, Vite de’ pittori, scultori e architetti bergamaschi, II, Bergamo 1793, pp. 82-97; La Biblioteca Marciana nella sua nuova sede. XXVII aprile MDCCCCV, Venezia 1906, p. 105; M. Azzi Visentini, Un’eminente figura del Settecento veneziano in una serie di ritratti di Bartolomeo Nazzari, in Arte Veneta, 1980, n. 34, pp. 195-199; F. Noris, B. N., in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il Settecento, I, Bergamo 1982, pp. 197-268; B. Aikema, in Disegni veneti di collezioni olandesi (catal., Venezia), a cura di B. Aikema - B.W. Meijer, Vicenza 1985, pp. 113 s.; Accademia Carrara. Catalogo dei dipinti, sec. 17.-18., a cura di F. Rossi, Bergamo 1989, p. 149; M. Carminati, N. B., in La pittura in Italia. Il Settecento, II, Milano 1990, p. 808; A. Barigozzi Brini, B. N., in Settecento lombardo (catal.), a cura di R. Bossaglia - V. Terraroli, Milano 1991, pp. 260 s.; R. Pallucchini, La Pittura nel Veneto. Il Settecento, I, Milano 1995, pp. 269-280; F. Magani, in Da Padovanino a Tiepolo... (catal., Padova), a cura di D. Banzato - A. Mariuz - G. Pavanello, Milano 1997, pp. 247, 250, 488; E. Martini, Due ritratti di B. N. con alcune considerazioni sulla sua opera, in Per sovrana risoluzione..., a cura di G.M. Pilo et al., Monfalcone 1998, pp. 551-554; L. Dimitrio, Echi rembrandtiani nella produzione artistica di Bortolo Nazari, in Artes, 2000, n. 7, pp. 107-113; T. Bajou, Portrait. Le portrait dans les collections des musées Rhône-Alpes (catal., Bourg-en-Bresse - Chambéry - Valenza), Paris 2001, p. 306; L. Dimitrio, Dalla collezione del conte Giacomo Carrara: le lettere e i disegni di Bortolo Nazari, Francesco Capella e Bartolomeo Bargnani, in Atti dell’Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti di Bergamo, 2001, vol. 62, pp. 185-205; S. Colombo, La scuola del Galgario, in Fra’ Galgario. Le seduzioni del ritratto nel ’700 europeo (catal., Bergamo), a cura di F. Rossi, Milano 2003, pp. 87-97; F. Magani, Bartolomeo Nazzari, ibid., p. 377; P. Plebani, Un’opera «fuori contesto»: il Ritratto di Pier Antonio Serassi della Civica Biblioteca di Bergamo, in Bergomum, XCVIII (2003), 1-2, pp. 105-116; E. Lucchese, Gaspare Negri vescovo di Cittanova e Parenzo, in Saggi e Memorie di storia dell’arte, 2006, n. 30, pp. 289-303; M. Consadori, in Pinacoteca ambrosiana, III, Dipinti dalla metà del Seicento alla fine del Settecento: ritratti, Milano 2007, pp. 146 s.; Fra’ Galgario e la ritrattistica della realtà nel ’700 (catal., Varese), a cura di F. Rossi - G. Valagussa, Milano 2008 (in particolare G. Valagussa, Intorno a Fra’ Galgario, pp. 103-107; Id., pp. 146 s.; F. Baccanelli, pp. 150 s.); D. Frascarelli, Per B. N.: il ‘Ritratto di Pietro Gabrielli e la sua famiglia’, in Arte Veneta, 2009, n. 66, pp. 179-182; P. Delorenzi, Il professore e l’ereditiera. Gian Rinaldo Carli e Paolina Rubbi in due ritratti di B. N., in Bollettino dei Musei Civici Veneziani, s. 3, 2012, n. 7, pp. 68-71.