PACCA, Bartolomeo
PACCA, Bartolomeo. – Nacque a Benevento il 25 dicembre 1756, secondogenito di Orazio, marchese della Matrice, e di Cristina Malaspina dei marchesi di Lunigiana.
Compì i suoi studi presso i gesuiti al collegio dei Nobili di Napoli e, dopo l’espulsione della Compagnia dal Regno (1767), al collegio Clementino di Roma, retto dai somaschi, nella cui colonia d’Arcadia fu ascritto nel 1773 con il nome di Abretano Perizio e dove nel 1777 difese delle Praelectiones mechanicae practicae (Roma).
Avviato alla carriera ecclesiastica nell’ambito della strategia di ascesa sociale della famiglia, ascritta al patriziato beneventano dal 1721, conseguì la laurea in utroque iure alla Sapienza nell’aprile 1775. Dal 1778 al 1784 frequentò l’Accademia dei nobili ecclesiastici, da poco riaperta da Pio VI, assieme ad altri giovani destinati al servizio diplomatico fra cui Annibale della Genga, Antonio Gabriele Severoli ed Ercole Consalvi; nella Pasqua 1782 pronunciò in Vaticano una De Jesu Christi ascensione ad coelum oratio (Roma). Consalvi (1950, p. 11) probabilmente si riferiva anche a lui nel ricordare i propri «compagni» che dovettero «la loro fortuna» alle «relazioni favorevoli» presentate al papa da uno dei professori, l’intransigente polemista ex gesuita Francesco Antonio Zaccaria.
La sua carriera fu rapidissima: cameriere segreto nel maggio 1785, subito dopo prelato domestico e referendario, quando nell’agosto fu ordinato prete era già stato designato nunzio a Colonia da Pio VI. Consacrato vescovo di Damiata in partibus, ricevette la nomina il 24 aprile 1786 e arrivò in Germania agli inizi di giugno.
La nunziatura copriva gran parte della Germania e dei Paesi Bassi; Pacca si trovò a operare in un contesto difficile per la diffusione del febronianesimo e dalla politica regalista dell’imperatore Giuseppe II che il viaggio di Pio VI a Vienna (1782) non aveva attenuato. Nel giugno 1784 l’erezione di una nuova nunziatura a Monaco aveva suscitato la protesta degli arcivescovi elettori di Colonia, Treviri, Magonza e dell’arcivescovo di Salisburgo, che sottoscrissero nell’agosto 1786 la puntuazione di Ems in cui rivendicavano un’ampia autonomia dalla S. Sede. Il Nuntiaturstreit investì direttamente Pacca: l’arcivescovo di Colonia Massimiliano Francesco, fratello dell’imperatore, rifiutò di riceverlo se non avesse rinunciato a esercitare la giurisdizione e gli contestò la concessione di una dispensa matrimoniale al principe Ludwig Aloys von Hohenloe Bartenstein. Pacca rispose con una circolare ai parroci in cui annullava alcune dispense concesse dai vescovi e ribadiva le competenze del nunzio in materia, confermate nel gennaio 1787 da un breve di Pio VI, il quale definì poi la controversia, di cui era stata investita anche la dieta imperiale, nella Responsio ad metropolitanos Moguntinum, Trevirensem, Coloniensem et Salisburgensem super Nunciaturis apostolicis (Roma 1790), redatta da Giuseppe Garampi e da Zaccaria, che rigettava le tesi di Ems e difendeva l’operato di Pacca.
Su un’altra questione delicata, suscitata nel 1787 dal tentativo di introdurre il culto protestante a Colonia con il beneplacito dell’imperatore, Pacca assunse un atteggiamento più prudente lasciando che fossero le autorità cittadine a opporvisi. Del tema della tolleranza, questa volta verso i cattolici, tornò a occuparsi in occasione dell’udienza ricevuta il 9 giugno 1788 dal re di Prussia Federico Guglielmo in visita in Westfalia, mentre una successiva missione presso Gustavo di Svezia non ebbe luogo per la morte del monarca.
Lo scoppio della Rivoluzione francese e la morte di Giuseppe II (20 febbraio 1790) attenuarono i conflitti. Pacca presenziò alla dieta di Francoforte ma non fu ammesso ai lavori e non ebbe alcun ruolo nell’elezione di Leopoldo II.
La posizione di confine in cui si trovava ne fece un osservatore privilegiato delle vicende rivoluzionarie. Sin dall’agosto 1789 si era trovato ad affrontare la rivolta di Liegi, nel territorio della nunziatura; nel luglio 1791 avrebbe dovuto consegnare a Luigi XVI in fuga dalla Francia una lettera di felicitazioni del papa, ma la missione fu vanificata dalla cattura del re a Varennes.
Promosso nel febbraio 1794 alla nunziatura di Lisbona, lasciò Colonia agli inizi di ottobre poco prima dell’ingresso dei francesi. Giunse alla nuova destinazione nell’aprile 1795, passando per Augusta – dove incontrò della Genga, suo successore – e per Roma.
Nelle sue memorie avrebbe descritto la situazione religiosa del Portogallo in termini più gravi di quella tedesca, lamentando il predominio delle posizioni gianseniste ed episcopaliste insegnate all’Università di Coimbra e il perdurare della politica anticuriale inaugurata dal marchese di Pombal, che lasciava poco spazio all’esercizio della giurisdizione del nunzio e delle sue competenze in materia di dispense matrimoniali e di sovrintendenza sugli ordini regolari. Il suo atto più solenne fu, nel settembre 1798, la presentazione del dono pontificio per la nascita dell’erede al trono.
Già da febbraio, con la proclamazione della Repubblica romana, era iniziato l’esilio di Pio VI, che si concluse l’anno seguente con la sua morte in Francia. Resasi necessaria la concessione alle chiese locali delle facoltà necessarie a trattare le materie riservate in assenza di comunicazioni con il papa, Pacca chiese che fossero indirizzate ai nunzi e non ai vescovi, di cui temeva le tendenze autonomiste.
Nominato cardinale dal nuovo pontefice, Pio VII, con il titolo di S. Vincenzo in Capite (23 febbraio 1801), ricevette la berretta dal nipote Tiberio, che lo assisteva nella nunziatura. Arrivò a Roma nel maggio 1802 e nei mesi successivi entrò a far parte di diverse congregazioni.
I suoi appunti dell’epoca (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 840-841) testimoniano letture che spaziavano dai padri della Chiesa alla pubblicistica contemporanea, anche tedesca e francese, da cui già emergono le linee generali delle sue posizioni: alla preoccupazione per gli sviluppi del protestantesimo, del giansenismo, delle ‘sette’ massoniche e della filosofia dei Lumi, ritenuti responsabili della Rivoluzione e della crisi della Chiesa, Pacca accompagnava forti critiche alla condotta recente della corte di Roma, a suo avviso troppo cedevole, e un’attenzione particolare per le vicende dei gesuiti.
Nella congregazione cardinalizia istituita nel gennaio 1803 per discutere il progetto di concordato tedesco si oppose alla costituzione di una Chiesa unitaria proposta dal vescovo di Ratisbona Karl Theodor Dalberg; sostenne invece, con Consalvi e della Genga, una politica di mediazione con i singoli sovrani, inclusi i protestanti.
La ripresa del conflitto fra Pio VII e Napoleone – che, di fronte al rifiuto del papa di aderire al blocco continentale e di conferire l’investitura canonica ai vescovi di nomina imperiale, occupò nuovamente Roma nel febbraio 1808 – proiettò Pacca al vertice della gerarchia ecclesiastica. Il 19 giugno Pio VII lo nominò prosegretario di Stato in seguito all’arresto del cardinale Giulio Gabrielli, il quale sostituiva il segretario Consalvi, costretto alle dimissioni. Considerato uno dei fautori della resistenza del pontefice nei confronti della politica napoleonica e delle iniziative delle autorità francesi a Roma, Pacca fu arrestato a sua volta il 6 settembre e solo l’intervento di Pio VII gli evitò l’esilio a Benevento. Rimase confinato negli appartamenti pontifici, dove redasse, insieme a Michele Di Pietro, la bolla Quam memorandum (10 giugno 1809) con cui Pio VII scomunicava, senza nominarlo, Napoleone in risposta all’annessione degli Stati romani all’Impero francese. Nella notte fra il 5 e il 6 luglio, quando il generale Étienne Radet occupò il Quirinale, fu prelevato insieme al papa e lo seguì in esilio fino a Grenoble per poi essere internato, su ordine di Napoleone, nella fortezza di Fenestrelle in Piemonte, in un isolamento che non gli impedì, fra l’altro, di dettare le sue memorie al nipote Tiberio.
Fu liberato il 30 gennaio 1813 in virtù del cosiddetto concordato di Fontainebleau, con cui Pio VII rinunciava alla prerogativa dell’investitura dei vescovi. Raggiunse il papa a Fontainebleau, dove si erano radunati i cardinali ‘neri’, incorsi nella relegazione per aver rifiutato di assistere alle nozze di Napoleone, che ora lo accolse benevolmente in udienza a Parigi insieme a Consalvi.
Nelle sue memorie descrisse i rimorsi di Pio VII per le concessioni fatte e – con un rilievo apparso eccessivo alla luce della documentazione archivistica (Páztor, 1962) – il proprio ruolo nella stesura della ritrattazione inviata all’imperatore il 24 marzo, che provocò di nuovo l’isolamento del pontefice.
Sconfitti i francesi a Lipsia, nel gennaio 1814 Pio VII fu trasferito a Savona e Pacca relegato a Uzès, in Provenza. Liberato in aprile, poco dopo l’abdicazione di Napoleone, raggiunse a Senigallia, il papa che nel frattempo aveva restituito la segreteria di Stato a Consalvi. Dovendo però questi partire in missione diplomatica per Parigi, Pacca, che fra le cariche offertegli aveva optato per quella di camerlengo, riassunse le funzioni di prosegretario e in questa veste entrò trionfalmente a Roma accanto al pontefice il 24 maggio.
A Roma il delegato apostolico Agostino Rivarola aveva improntato la restaurazione del governo pontificio all’abolizione della legislazione napoleonica, al ripristino delle istituzioni di antico regime e a un atteggiamento severo nei confronti di quanti, soprattutto ecclesiastici, si fossero compromessi con i francesi. Pacca proseguì, con alcune correzioni, nella stessa linea: affermò di essersi adoperato per arginare lo «zelo quasi vandalico di alcuni, che senza distinguere nelle cose fatte dal Governo Francese il buono dal cattivo, avrebbero voluto tutto abolito e tolto» (in Quacquarelli, 1954, pp. 172 s.), ma il fittissimo carteggio con Consalvi, che seguiva i lavori del Congresso di Vienna, testimonia l’irritazione del segretario di Stato per provvedimenti di cui non disapprovava generalmente i contenuti, ma che riteneva intempestivi poiché destavano malumore nelle Corti europee e rischiavano (insieme all’atteggiamento intransigente assunto da Roma sulle nomine episcopali) di compromettere gli sforzi per la restituzione al papa delle Legazioni e delle Marche.
Lo stesso indulto promulgato il 27 luglio fu accolto negativamente per la durezza dei toni e per le discriminazioni nei confronti dei funzionari e degli impiegati napoleonici, cui pure non erano preclusi gli uffici pubblici; Pacca, che affermò di averlo ottenuto malgrado le resistenze di Pio VII, in una lettera a Consalvi del 19 settembre difese la necessità di anteporre «i buoni ai pessimi» anche per rispondere alle aspettative popolari, e la clemenza del papa verso i responsabili della sua deposizione che «poteva e doveva [fare] impiccare» (La missione Consalvi, I, 1970, p. 499). Suscitarono critiche anche il ristabilimento dei diritti feudali, la condanna della massoneria e della carboneria, e soprattutto il ripristino della Compagnia di Gesù (7 agosto), suggello simbolico della Restaurazione, di cui Pacca si attribuì l’iniziativa.
Pacca fu inoltre accusato di un atteggiamento irresoluto nei confronti del Re di Napoli, Gioacchino Murat, che con il permesso dell’Austria aveva occupato le Marche. Quando, nel corso dei Cento giorni, Murat invase i territori pontifici, Pacca fu favorevole all’allontanamento del papa e nel marzo 1815 lo accompagnò a Genova. Tornato a Roma a giugno, il 5 luglio rassegnò le funzioni di prosegretario nelle mani di Consalvi, a sua volta rientrato da Vienna.
La carica di camerlengo e il prestigio acquisito nelle vicende napoleoniche ne fecero uno dei principali esponenti del variegato partito ‘zelante’ che si opponeva alle riforme amministrative e ai programmi di riforma consalviani. Approvò invece, pur sconsigliandone la pubblicazione, il piano di riforme proposto da Giuseppe Antonio Sala, di cui forse aveva discusso una bozza insieme al fratello di questi, Domenico, nella prigionia di Fenestrelle. Fu fortemente critico nei confronti del motu proprio del 6 luglio 1816, che rinnovava profondamente la struttura amministrativa tradizionale dello Stato pontificio, uniformandola e razionalizzandola sul modello dell’esperienza francese.
Oltre a entrare in diverse congregazioni permanenti (di quella dei vescovi e regolari assunse la prefettura nel 1818) fu chiamato a far parte dei principali organismi incaricati della riforma legislativa e amministrativa dello Stato.
In quella per la redazione del nuovo codice civile, istituita nel 1818, contribuì ad affossare il progetto promosso da Vincenzo Bartolucci (il giurista già consigliere di Stato di Napoleone di cui disapprovava la riabilitazione), ritenendolo un cedimento alla moda della Rivoluzione che avrebbe indebolito il prestigio delle leggi antiche. Più propositivo fu il suo contributo alla commissione per la riforma del sistema universitario i cui lavori, iniziati nel 1816, condussero nel 1824 alla promulgazione della bolla Quod divina sapientia.
Continuò inoltre a occuparsi dei rapporti internazionali della S. Sede all’interno della Congregazione per gli affari ecclesiastici straordinari, che aveva formato nel luglio 1814 e di cui fece parte fino alla morte. Nel 1818 fu traslato prima al titolo di S. Lorenzo in Lucina, poi alla diocesi suburbicaria di Frascati; nel 1821 passò a quella di Porto e S. Rufina e assunse la carica di vicedecano; l’anno successivo fu nominato prefetto degli studi al Collegio romano, mentre dal maggio 1820 fu protettore dell’Accademia dei nobili ecclesiastici.
Particolarmente rilevanti furono le iniziative di Pacca nel settore del patrimonio culturale e artistico, che rientrava fra le attribuzioni del camerlengo e in cui ebbe fra i collaboratori Carlo Fea e Antonio Canova. Già nel 1814 l’istituzione della carica di ispettore delle pitture, affidata a Vincenzo Camuccini, inaugurava una campagna di restauri in un settore a lungo trascurato. A un editto del marzo 1819 che regolava le vendite di archivi e manoscritti seguì, il 7 aprile 1820, il più noto ‘editto Pacca’ sulle antichità e gli scavi. Riprendendo una legislazione del 1802 alla luce dell’esperienza amministrativa francese, esso istituiva una rete amministrativa territoriale alle dipendenze della Commissione di belle arti romana, e sottoponeva a un rigido controllo sia il commercio delle antichità e delle opere d’arte sia gli scavi archeologici. Il documento, definito un’«affermazione degli interessi culturali pubblici sull’utile privato» in cui per la prima volta in Italia si saldavano «intuizione scientifica e politica amministrativa» (Emiliani, 1973, p. 1616), ispirò ancora la legislazione unitaria. Fra gli scavi promossi da Pacca si segnalano quelli dell’Arco di Tito, ritenuti dai suoi avversari troppo invasivi.
Il 7 aprile 1820 è anche la data di un episodio che minacciò seriamente di compromettere il prestigio di Pacca: il nipote Tiberio, divenuto governatore di Roma e direttore generale di Polizia, sospettato di malversazioni fuggì dalla città. Sebbene egli godesse dell’appoggio dello stesso Consalvi, la vicenda fu letta anche alla luce dei contrasti fra il camerlengo e il segretario di Stato. Tali contrasti non risparmiarono il campo della politica artistica e culturale, ma il loro oggetto principale furono le riforme economiche e finanziarie, in cui Pacca era direttamente coinvolto sia come membro della Congregazione economica, sia soprattutto per le estese competenze del camerlengato in materia, in virtù delle quali emanò, fra gli altri, gli editti che regolavano l’importazione e l’esportazione dei cereali (1818, 1823) e quello che promuoveva con un sistema di premi le manifatture tessili (1821).
Nel novembre 1820 stampò e minacciò di diffondere una lunga Difesa ... dei diritti del Cardinal Camerlengo ... contro le pretensioni del Tesorierato (Arch. di Stato di Roma, Camerale II, Camerlengato e tesorierato, b. 4, f. 31), ove denunciava la prolungata violazione delle sue prerogative a opera in particolare dei tesorieri generali e dei loro subalterni e lamentava di dover sottoscrivere provvedimenti che non aveva formulato e disapprovava. Nel febbraio seguente fu sull’orlo della destituzione per aver rifiutato di pubblicare un bando che liberalizzava la coltivazione e il commercio del tabacco (Arch. segreto Vaticano, Segr. Stato, Spogli Curia, B. Pacca, bb. 1D, 2A).
L’aspro scambio di lettere dell’agosto 1821 (Colapietra, 1963, pp. 50-52), in cui Consalvi e Pacca si accusavano di intralciare i piani di riforma e, rispettivamente, di essersi avvalsi della fiducia del pontefice per esautorare le altre autorità e porre in atto una politica economica e finanziaria che avrebbe depauperato lo Stato e i sudditi a vantaggio di pochi appaltatori, fu dunque il culmine di una lunga controversia.
Il giudizio sul «misoneismo conservatore» (ibid., p. 53) e sugli elementi personalistici delle polemiche di Pacca, in sé condivisibile, non sembra tuttavia coglierne la dimensione politica prima ancora che economica, esplicita già in una memoria presentata al segretario di Stato nel 1818, al ritorno da un viaggio nelle Marche e nell’Umbria, in cui Pacca individuava nell’aggravarsi della pressione fiscale una causa del crescente malcontento dei ceti popolari (Arch. segreto Vaticano, Segr. Stato, Spogli Curia, B. Pacca, b. 1D, f. L). Anch’egli, del resto, fu accusato di sostenere gli interessi di un ristretto gruppo di imprenditori delle manifatture tessili.
Alla morte di Pio VII (20 agosto 1823), nel fronte maggioritario ma disunito degli avversari di Consalvi che si opponevano alla candidatura di Francesco Saverio Castiglioni, Pacca ebbe i voti di alcuni cardinali conservatori più moderati, quali Giuseppe Albani e della Genga, ma finì per appoggiare l’elezione al soglio di quest’ultimo (28 settembre), sul cui nome era confluito il partito zelante dopo l’esclusiva dell’Austria nei confronti di Severoli, sostenuto dalla fazione più intransigente.
Entrato a far parte della Congregazione di Stato, composta dei principali avversari di Consalvi e incaricata di consigliare il papa negli affari politici e religiosi, Pacca non riuscì a influenzare come avrebbe sperato la politica di Leone XII che, pur segnando una svolta in senso conservatore, evitò di allinearsi pienamente alle richieste degli zelanti.
Già in una memoria dell’ottobre 1823 (ibid., b. 1A, f. B) esprimeva l’intenzione di rinunciare alla carica di camerlengo, di cui proseguì l’esercizio, emanando incentivi alle esportazioni di grano e alla produzione laniera, fino al novembre 1824, quando passò a quella – più redditizia ma politicamente meno rilevante – di prodatario, che mantenne nei successivi pontificati.
In un Memoriale al papa dell’aprile 1825 (l’anno delle celebrazioni giubilari, cui partecipò aprendo e chiudendo la Porta Santa), edito postumo (Perali, 1928), Pacca giudicava prematuro il progetto di un concilio romano lamentando la scarsa preparazione nelle scienze sacre dei cardinali, dei vescovi dello Stato pontificio e dei teologi romani e proponendo di elevare alla porpora e chiamare a Roma ecclesiastici stranieri distintisi per dottrina o per la condotta tenuta nelle vicende napoleoniche.
Sulla perdita di prestigio e sulla debolezza politica della Curia tornava più ampiamente in un manoscritto di Considerazioni sullo Stato della Santa Sede, e della Corte di Roma indirizzato allo stesso pontefice nel febbraio 1827 (Arch. segreto Vaticano, Segr. Stato, Spogli Curia, B. Pacca, b. 1A, f. B), attribuendole ai mutamenti nella composizione della prelatura e del collegio cardinalizio e alla condiscendenza eccessiva verso le richieste dei sovrani. La prospettiva conservatrice alla base del conflitto con Consalvi si fonda in queste pagine su una lettura articolata dei mutamenti nei rapporti fra il papato e le potenze europee e delle loro ripercussioni economiche e sociali.
Malgrado l’età, nel conclave seguito alla morte di Leone XII (10 febbraio 1829) raccolse una parte dei voti zelanti ed ebbe un ruolo di primo piano insieme a Emanuele De Gregorio – sostenuto dal segretario di Stato uscente Tommaso Bernetti e dal rappresentante francese René de Chateaubriand – e a Castiglioni, appoggiato dall’Austria, che risultò eletto il 3 marzo 1829.
Nel breve pontificato di Pio VIII Pacca fu nominato segretario del S. Uffizio, prefetto della Congregazione del cerimoniale e arciprete di S. Giovanni in Laterano. Alla morte di Giulio Maria della Somaglia assunse la carica di cardinal decano e il 5 luglio 1830 fu pertanto traslato alla sede di Ostia e Velletri, dove abolì subito alcuni dazi e liberalizzò il commercio del vino. Con l’istituzione della provincia di Marittima (1832) assunse il titolo di legato al posto di quello di governatore di Velletri tradizionalmente appannaggio del decano pro tempore.
In tale veste promosse i restauri della cattedrale veliterna e nel 1833 inaugurò una campagna di scavi a Ostia Antica, i cui reperti andarono ad arricchire la collezione del suo casino di Bravetta, poi dispersa insieme alla ricca biblioteca.
Nel successivo conclave, protrattosi dal 14 dicembre 1830 al 2 febbraio 1831, le aspirazioni al soglio da parte di Pacca, sostenuto dal segretario di Stato Albani, parvero vicine a realizzarsi: mantenne a lungo i 19 voti che aveva già raggiunto nell’elezione precedente e contese la tiara prima a De Gregorio, poi a Giacomo Giustiniani, infine a Mauro Cappellari, sul cui nome, di fronte a uno stallo reso insostenibile dalle circostanze politiche, lo stesso Albani accettò infine di convergere.
Fra le due elezioni aveva iniziato la stampa delle sue memorie con le Notizie sul ministero del card. Bartolomeo Pacca ... dalli 18 giugno 1808 alli 6 luglio 1809 (Civitavecchia 1829) e la Relazione dei due viaggi fatti in Francia dal card. Bartolomeo Pacca negli anni 1809, e 1813, e della sua prigionia nel forte di S. Carlo in Fenestrelle dal dì 6. agosto 1809 fino al 5 febrajo 1813 (I-II, ibid. 1829). I due testi, raccolti l’anno successivo in un volume (Memorie storiche del ministero de’ due viaggi in Francia e della prigionia nel forte di S. Carlo in Fenestrelle, Roma 1830), più volte riediti e tradotti in tedesco e in francese come del resto gli scritti successivi, raggiunsero un’enorme diffusione inserendosi in un filone pubblicistico che rievocava l’esperienza dell’età napoleonica per esaltare l’autorità della S. Sede. Sebbene espungesse dai manoscritti i giudizi più severi nei confronti dei suoi colleghi e quelli sulla mancanza di carattere di Pio VII, le sue memorie, a differenza di quelle assai più misurate di Consalvi, lasciano trasparire il temperamento e le posizioni dell’autore, ne testimoniano l’arretramento delle ambizioni politiche all’indomani del conclave del 1829 e non passarono sotto silenzio nel corso del successivo. A segnare la distanza di Pacca nei confronti di altri cardinali conservatori come Luigi Lambruschini è soprattutto lo sviluppo della sua riflessione sulla debolezza del governo della Chiesa che giungeva a prospettare i vantaggi di una fine del potere temporale considerata imminente.
La diffidenza nei confronti di un’identificazione troppo stretta fra le posizioni della Chiesa e quelle delle corti europee, caratteristica del suo intransigentismo politico-religioso e risalente forse alla sua esperienza diplomatica, può contribuire a chiarire il ruolo di Pacca – che nel Memoriale del 1825 aveva condiviso tiepidamente la stima di Leone XII per l’abate bretone – nelle vicende che ebbero per protagonista Félicité de Lamennais, arrivato a Roma agli inizi del 1832, assieme a Charles de Montalembert e Jean-Baptiste Lacordaire, per giustificare l’orientamento cattolico-liberale assunto dal suo ultramontanismo.
Pacca, cui Lamennais era stato raccomandato dal vicario generale di Marsiglia Charles-Joseph de Mazenod, fu il tramite principale fra i tre redattori de L’Avenir e Gregorio XVI: trasmise al papa la loro memoria; espose a Lamennais la condanna implicita nell’enciclica Mirari vos (15 agosto 1832); raccolse il suo atto di sottomissione (11 dicembre 1833) e quello di Montalembert (8 dicembre 1834). Secondo una testimonianza di Emmanuel d’Alzon (Lamennais, VI [1977], p. 715), accolta scetticamente dallo stesso Montalembert (ibid., p. 744), avrebbe criticato la successiva enciclica Singulari nos (25 giugno 1834), che condannava le proposizioni democratiche espresse da Lamennais nelle Paroles d’un croyant, osservando che la religione non doveva intervenire nei conflitti fra i popoli e i sovrani. Lacordaire, tornato a Roma nel 1839, sottopose a Pacca, in qualità di segretario del S. Uffizio, il suo progetto di restaurazione dei domenicani in Francia del quale, nella sua corrispondenza, lo descrisse entusiasta.
Nel frattempo Pacca aveva proseguito la pubblicazione delle sue memorie con quelle delle nunziature tedesca (Memorie storiche di monsignor Bartolomeo Pacca ... sul di lui soggiorno in Germania dall’anno 1786 al 1794, in qualità di Nunzio Apostolico …, Roma 1832, poi integrate da De’ grandi meriti verso la chiesa cattolica del clero, dell’università e de’ magistrati di Colonia nel secolo XVI,Velletri 1839) e portoghese (Notizie sul Portogallo con una breve relazione della nunziatura di Lisbona dall’anno 1795 fino all’anno 1802, Velletri 1835). Nel 1833 aveva anche pubblicato la Relazione del viaggio di Pio papa VII a Genova nella primavera dell’anno 1815, e del suo ritorno in Roma (Roma). Apparvero invece postume (in Quacquarelli, 1954) le memorie relative al «secondo ministero» degli anni 1814-1815, cui il conflitto con Consalvi e le alterne fortune al cospetto di Pio VII conferiscono un tono più amaro e polemico.
Malgrado l’esplicito intento apologetico nei riguardi del proprio operato e di quello della Chiesa, gli scritti autobiografici di Pacca si segnalano per la qualità letteraria e per l’ampiezza della documentazione con cui integra i ricordi personali, e rappresentano una fonte di primaria importanza per la storia della Chiesa fra la fine del XVIII secolo e l’età napoleonica. Le successive Notizie storiche intorno alla vita ed agli scritti di monsignor Francesco Pacca (Velletri 1837), in cui delinea la biografia dello zio paterno (1692-1763), arcivescovo di Benevento dal 1752, testimoniano un interesse non ristretto all’ambito memorialistico oltre che i legami persistenti con il contesto d’origine.
Nel 1838, come già al tempo della Restaurazione, Pacca si oppose alle trattative per la cessione di Benevento al Regno di Napoli. Contemporaneamente seguiva i progressi del pronipote Bartolomeo al quale, dopo la caduta in disgrazia di Tiberio, erano affidate le speranze della famiglia di mantenere un esponente al vertice della Curia romana.
Bartolomeo Pacca jr. (Benevento 1817 - Grottaferrata 1880) fu anch’egli allievo dell’Accademia dei nobili ecclesiastici; pubblicò una De cathedra romana sancti Petri oratio (Roma 1836); entrò in prelatura nel 1841 e percorse una carriera nei tribunali romani e nelle congregazioni preposte al governo dello Stato che lo portò alla nomina a maestro di camera (1853), maggiordomo e prefetto dei Palazzi apostolici (1868) e infine a cardinale (1875).
Il discorso, pronunciato il 27 aprile 1843, Nella solenne apertura dell’anno XLIII dell’Accademia di religione cattolica (Velletri 1843) rappresenta il testamento spirituale dell’anziano cardinale che, ripercorrendo le vicende cui aveva assistito in gioventù, descriveva lo stato presente della religione cattolica nei diversi paesi d’Europa, sottoposta agli attacchi degli scismatici e degli eretici, e ne segnalava con fiducia i progressi in particolare in Germania, in Francia e nelle missioni.
Morì a Roma il 19 aprile 1844.
Fu sepolto a S. Maria in Campitelli. L’anno successivo uscivano a Parigi i due volumi delle sue Œuvres complètes.
Fonti e Bibl.: Abbondante documentazione sull’attività di Bartolomeo Pacca è reperibile negli archivi dei dicasteri da lui presieduti, fra cui i fondi: Arch. di Stato di Roma, Camerlengato e Camerale II; Città del Vaticano, Arch. della Congregazione per gli affari ecclesiastici straordinari; Arch. segreto Vaticano, Segreteria di Stato (in part.: Nunziatura di Colonia; Nunziatura di Lisbona; Interni). Cfr. inoltre, ibid., Spogli curia (22 buste di sua documentazione pubblica e personale). Corrispondenza di Pacca ai familiari è conservata presso l’Arch. diocesano di Benevento. A. Artaud de Montor, Notice historique sur le cardinal B. P., Paris 1844; G. Moroni, Diz. di erudizione storico-ecclesiastica, L, Venezia 1851, pp. 85-89; P. Dardano, Diario dei conclavi del 1829 e del 1830-31, Firenze 1879, pp. 23 s., 38-41, 43-45, 50, 53, 66 s., 70, 73-91; I. Rinieri, Corrisponenza inedita dei Cardinali Consalvi e P. nel tempo del Congresso di Vienna (1814-1815), Torino 1903; P. Dudon, Lamennais et le Saint-Siège, Paris 1911, ad ind.; R. de Chateaubriand, Journal d’un Conclave, Paris 1914, pp. 4, 6, 69 s., 72, 76 s., 79, 96; P. Perali, Memoriale del cardinal P. a Leone XII, dell’11 aprile dell’anno santo 1825, sul progetto di convocare un concilio romano, Roma 1928; M. Moscarini, La restaurazione pontificia nelle province di “prima recupera”, Roma 1933, pp. 33-74, 78-92, 97-106, 139 s. e passim; L. von Pastor, Storia dei papi, XVI, Roma 1933-34, ad ind.; J. Schmidlin, Papstgeschichte der neuesten Zeit, I, München 1933, ad ind.; E. Consalvi, Memorie, a cura di M. Nasalli Rocca, Roma 1950, p. 11; La pontificia Accademia ecclesiastica. 1701-1951, Città del Vaticano 1951, pp. 85-91, 133, 145, 150; A. Quacquarelli, La Ricostruzione dello Stato Pontificio. Con una memoria inedita su “il mio secondo ministero” del card. Pacca, Città di Castello 1954; G. Cacciamanni, Storia del Conclave di Gregorio XVI, Fano 1960, p. 19, 24-29, 31-38; J. Leflon - Ch. Perrat, Les suppressions et édulcorations qu’a fait subir à ses “Memoires” le cardinal P., in Chiesa e Stato nell’Ottocento. Miscellanea in onore di Pietro Pirri, II, Padova 1962, pp. 355-381; L. Pásztor, Per la storia del «Concordato» di Fontainebleau, ibid., pp. 597-606; R. Colapietra, La Chiesa tra Lamennais e Metternich, Brescia 1963, passim; Id., La formazione diplomatica di Leone XII, Roma 1966, adind.; Id., La politica economica della Restaurazione romana, Napoli 1966, ad ind.; L. Pásztor, La Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari tra il 1814 e il 1850, inArchivum historiae pontificiæ, VI (1968), pp. 191-318; A. Omodeo, Studi sul’età della Restaurazione, Torino 1970, ad ind.; La missione Consalvi e il Congresso di Vienna, I-II, a cura di A. Roveri, III, a cura di A. Roveri - M. Fatica - F. Cantù, Roma 1970-73, passim; J. Leflon, Crisi rivoluzionaria e liberale (1789-1846), I, Torino 1971, pp. 429-432, 459-462; II, pp. 557-566, 585, 597, 644, 649, 691-693, 743, 746, 748, 786 s., 824, 826; B. P., in A. Zazo, Dizionario biografico del Sannio, Napoli 1973, ad vocem; F. de Lamennais, Correspondance générale, III-VI, Paris 1971-81, ad ind.; A. Emiliani, Musei e museologia nella storia d’Italia, in Storia d’Italia, V, Documenti, Torino 1973, pp. 1614-1655; Id. Una politica dei beni culturali, Torino 1974, pp. 40 s.; G. Pignatelli, Aspetti e momenti della propaganda cattolica a Roma da Pio VI a Leone XII, Roma 1974, ad ind.; Gli arcadi dal 1690 al 1800, a cura di A.M. Giorgetti Vicchi, Roma 1977, p. 3; D. Cecchi, L’amministrazione pontificia nella 2a Restaurazione (1814-1823), Roma 1978, passim; S.J. Miller, Portugal and Rome, c. 1748-1830, Roma 1978, ad ind.; A. van de Sande, La Curie romaine au début de la Réstauration, La Haye 1979, ad ind.; M.J. Le Guillou - L. 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Boutry, Souverain et pontife, cit., p. 607; J. Le Blanc, Dictionnaire biographique des cardinaux du XIXe siècle, cit., pp. 707 s.