Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Spinoza elabora un sistema panteistico fondato sul concetto dell’assoluta necessità. Tale sistema (che presenta differenze notevoli rispetto al panteismo di matrice neoplatonica) copre una pluralità di temi filosofici: un’ontologia della sostanza, la teoria della conoscenza, la teoria delle passioni, la filosofia della politica.
Baruch Spinoza (1632-1677) è profondamente influenzato dalla tradizione giudaico-cristiana e dalla tradizione neoplatonica rinascimentale e, alla luce di queste influenze, critica e riformula i problemi che gli pone il razionalismo di Cartesio.
Discendente da una famiglia di ebrei sefarditi (che erano stati costretti ad abbandonare prima la Spagna e poi il Portogallo a causa dell’intolleranza religiosa cattolica), Spinoza riceve la sua prima formazione nella sinagoga di Amsterdam, dove studia la Bibbia e il Talmud, sotto la guida dei rabbini Saul Levi Morteira e Menasseh ben Israel. Studia anche con Franz van den Enden, un cattolico di Anversa noto come libero pensatore.
Accanto agli studi teologico-religiosi, coltiva il latino, la matematica, la fisica e la medicina. Studia la tradizione scolastica (da cui accoglie il pensiero dell’infinità divina), il naturalismo e il panteismo rinascimentale (da cui riceve l’idea della infinità del mondo), filosofi come Bacon, Hobbes e Cartesio, e scienziati come Galilei e Keplero.
Le sue posizioni spregiudicate nei confronti della tradizione religiosa ebraica lo portano a una scomunica per eresia nel 1656.
In seguito a questo incidente abbandona Amsterdam. Soggiorna a Rijnsburg presso i gruppi cristiani dei Collegiati (derivati daiMennoniti), a Voorburg, e si stabilisce infine a l’Aia.
Per tutta la vita Spinoza si dedica alla libera speculazione filosofica, sostenendosi economicamente col suo lavoro (intrapreso a Rijsburg) di fabbricante e molatore di lenti per strumenti ottici, e rifiutando benefici che potrebbero compromettere la sua libertà, compresa l’offerta di un prestigioso e vantaggioso insegnamento a Heidelberg. Muore di tubercolosi all’età di 44 anni.
Le vicissitudini dell’opera spinoziana dimostrano sia il lento percorso intellettuale che lo porta a definire i propri temi e il proprio sistema, sia le difficoltà che il suo pensiero incontra per affermarsi liberamente.
La prima opera a cui Spinoza attende è un Breve trattato su Dio, l’uomo e la sua felicità che però non vedrà mai la luce, sino a che il manoscritto, dato per perduto, sarà ritrovato e pubblicato nel XIX secolo. In quest’opera Spinoza anticipa molti dei temi che saranno poi sviluppati nell’Etica.
Anche uno scritto successivo, il Trattato sull’emendazione dell’intelletto, benché sia già probabilmente citato (come un integrum opusculum) in una lettera a Oldenburg del 1661, apparirà postumo insieme all’Etica. Il solo volume di Spinoza apparso durante la sua vita e sotto il suo nome contiene due opere diverse, i Principi della filosofia di Renato Cartesio e i Pensieri metafisici. Un’altra delle sue opere più famose, il Trattato teologico-politico, appare nel 1670 in forma anonima e con luogo di edizione e nome dell’editore falsi, per sfuggire a censure e persecuzioni.
La sua opera principale, l’Etica, viene probabilmente scritta tra il 1661 e il 1665 e rielaborata in forma definitiva dopo la pubblicazione del Trattato teologico-politico, tra il 1670 e il 1675. Il manoscritto circola riservatamente tra alcuni amici di Spinoza, ma è solo nell’anno della sua morte che, senza il nome dell’autore (salvo le iniziali B.D.S., Benedictus de Spinoza), sotto il titolo generale di Opera postuma, appaiono a stampa sia l’Etica sia un altro Trattato politico, il Trattato sull’emendazione dell’intelletto, una serie di lettere e una Grammatica ebraica.
Le posizioni religiose, filosofiche e politiche di Spinoza gli attirano (sia in vita sia, per lungo tempo, dopo la sua morte) non solo accuse di eresia, ma anche di materialismo e ateismo, persino da parte di autori come Pierre Bayle, che pure gli riconoscono un’assoluta purezza di costumi e una profonda dedizione alla ricerca filosofica. La rivalutazione di Spinoza inizierà solo alla fine del XVIII secolo e continuerà per tutto il XIX secolo, specie nell’ambiente romantico e idealistico. Schelling dirà, nelle Lezioni Monachensi, che “nessuno può sperare di pervenire al vero e al perfetto in filosofia, se non si è sprofondato almeno una volta in vita sua nello spinozismo”; secondo Hegel con Spinoza “per la prima volta l’intuizione orientale dell’identità assoluta è stata accostata immediatamente al modo di pensare europeo”.
Cartesio aveva lasciato insoluto il problema dei rapporti tra sostanza pensante (res cogitans) e sostanza estesa (res extensa).
La sostanza estesa era per Cartesio il dominio della necessità meccanica, mentre la sostanza pensante era il regno della libertà. Inoltre il pensiero cartesiano proponeva una differenza tra la sostanza pensante divina, che non ha bisogno di nessuna altra realtà per esistere, e la sostanza pensante umana. L’originalità di Spinoza consiste nell’elaborare una filosofia dell’unicità della sostanza, che sarà definita “monismo”. Esiste un’unica sostanza, un’unica realtà, che si manifesta attraverso infiniti attributi, di cui noi riusciamo a riconoscere solo il pensiero e l’estensione, i quali danno luogo a una infinita molteplicità di modi. L’essere nella sua interezza, da Dio all’infima delle realtà naturali, obbedisce alle stesse leggi, dominato dalla necessità.
Nel concetto di sostanza si identificano e fondono le nozioni di Dio e di Natura. Per questo il pensiero spinoziano è stato qualificato come “panteistico”. Ma il panteismo spinoziano non è quello della tradizione neoplatonica. Per il neoplatonismo esiste un Uno che sta all’origine di tutte le cose e di cui non si può predicare nulla; questa unità divina si diffonde poi (ovvero “si emana”) nel creato, sino alla materia infima, ma attraverso un processo di successiva degenerazione. Per Spinoza invece ogni aspetto della realtà è divino allo stesso titolo, e Dio non sta all’origine dell’essere, né ne rimane separato: Dio è l’insieme di tutto ciò che è.
Tale sostanza è causa di se stessa, la sua essenza implica la sua esistenza. In tal senso Spinoza accetta l’argomento ontologico, che per dimostrare l’esistenza di Dio si fonda esclusivamente sull’idea stessa che l’uomo ha di Dio come essere perfetto: “Per causa di sé intendo ciò la cui essenza implica l’esistenza, ossia ciò la cui natura non può essere concepita se non come esistente” (Etica, I, Def. 1).
Non vi è creazione: la sostanza è natura naturante che si manifesta come natura naturata attraverso i suoi modi; essi possono essere modi dell’attributo del pensiero (e cioè le idee) e modi dell’estensione, tra i quali il corpo umano.
La sostanza è retta da un ordine necessario: come già Spinoza dice nei Pensieri metafisici, non vi è nulla di contingente, nulla cioè che potrebbe essere diverso da ciò che è. Ciò che ci appare contingente è effetto della deficienza del nostro intelletto, che non riesce a comprendere come ogni cosa sia legata causalmente a tutte le altre, e tutte insieme a Dio. Spinoza critica ogni forma di finalismo: nulla si muove in vista di qualche fine. Tutto ciò che è, e che accade, si sviluppa per una necessità di tipo geometrico, nello stesso modo in cui in un sistema matematico teoremi, corollari e lemmi si generano l’uno dall’altro. Il rapporto tra Dio e le cose che ne dipendono è lo stesso che esiste tra un triangolo e le sue proprietà.
Influenzato dal pensiero scientifico del suo secolo, e dall’idea galileiana che il mondo sia scritto in caratteri matematici, Spinoza intende la sostanza come regolata da leggi appunto di tipo matematico. Certamente questa influenza scientifica si traduce nel suo pensiero in forme metafisiche, per cui la “geometricità” del suo metodo non dovrebbe essere intesa in senso letterale; ma così la intende Spinoza, e l’Etica è strutturata per definizioni, assiomi, proposizioni e dimostrazioni.
Se le idee sono i modi del pensiero e i corpi i modi dell’estensione, si spiega anche il problema della conoscenza: pensiero ed estensione seguono lo stesso ordine necessario e pertanto “l’ordine e la connessione delle cose è lo stesso che l’ordine e la connessione delle idee” (Etica, II, prop. 7). Questa dottrina è stata definita come parallelismo psico-fisico, e spiega il modo in cui la mente umana può giungere alla conoscenza vera della realtà se riesce a comprendere la necessità che regola e dirige la vita stessa dell’unica sostanza universale.
Siccome però la mente umana non conosce se stessa se non in quanto percepisce le idee delle affezioni del corpo, e non percepisce il proprio corpo se non per mezzo delle idee delle affezioni mediante le quali percepisce i corpi esterni, la nostra conoscenza è inizialmente confusa (Etica, II prop. 29, corollario). Ma anche le idee confuse sono necessarie, ed è necessario l’errore, perché anche le idee confuse e inadeguate sono modi della sostanza divina. La conoscenza inizia come percezione sensibile e immaginazione, prosegue come conoscenza razionale individuando quelle idee universali o comuni che ci permettono di definire la natura delle cose, e diventa infine scienza intuitiva, ovvero conoscenza adeguata degli attributi e dei modi divini (per cui giunge a vedere le cose come le vede Dio stesso). A questo punto la conoscenza diventa la concezione delle idee sotto specie di eternità, vale a dire come necessaria manifestazione di Dio.
Il criterio di verità ci permette di distinguere tra questi diversi modi di conoscenza.
Spinoza è cosciente che la nostra mente concepisce la realtà in modo prospettico (ancorata com’è a un corpo e alle sue passioni). Uomini diversi possono essere affetti differentemente da uno stesso oggetto (Etica, III, prop. 51); un soldato associa all’idea di cavallo quella di guerra, un contadino quella di campo e di aratro (Etica, II, prop. 18, scolio); alcuni intendono per uomo un animale eretto, altri un bipede implume (Etica, II, prop. 41, scolio 1). La conoscenza vera è una lunga e faticosa conquista, che parte dalla nostra condizione di esseri umani dominati dalle passioni.
Conoscendo la necessità divina, l’uomo si appaga nella tranquilla accettazione del corso delle cose. È interessante notare come questa dottrina della necessità, e del suo pacificato e religioso riconoscimento, preveda una teoria delle emozioni o degli affetti (Etica, III). Ma anche le emozioni sono deducibili geometricamente dai presupposti della teoria.
Baruch Spinoza
Prefazione - Della Natura e della origine degli affetti
Etica, Parte III
Della Natura e della origine degli affetti
Prefazione
La maggior parte di coloro che hanno scritto sugli affetti e sul modo di vivere degli uomini danno l’impressione di trattare non di cose naturali che seguono le comuni leggi della natura, ma di cose che sono al di fuori della natura. Sembra anzi che concepiscano l’uomo nella natura come un dominio all’interno di un dominio. Credono, infatti, che l’uomo turbi l’ordine della natura più che seguirlo e che abbia un potere assoluto sulle proprie azioni e che non sia determinato da altro che da se stesso. Attribuiscono, inoltre, la causa dell’impotenza e dell’incostanza umane non alla comune potenza della natura, ma a non so qual vizio della natura umana, che pertanto piangono, deridono, disprezzano o, il che avviene per lo più, detestano; e colui il quale sa denigrare più argutamente o eloquentemente l’impotenza della Mente umana è considerato come divino. Non mancarono tuttavia uomini insigni (al cui lavoro e alla cui operosità confessiamo di dovere molto), che hanno scritto molte cose eccellenti sul giusto modo di vivere e hanno dato consigli pieni di saggezza ai mortali; in verità però nessuno, che io sappia, ha determinato la natura e la forza degli Affetti e cosa al contrario la Mente possa nel moderarli. So, certamente, che il celeberrimo Cartesio, benché credesse anche che la Mente abbia un potere assoluto sulle proprie azioni, si è tuttavia sforzato di spiegare gli Affetti umani mediante le loro prime cause e di mostrare, contemporaneamente, la via seguendo la quale la Mente può acquistare un dominio assoluto sugli Affetti; ma, come mostrerò a suo luogo, almeno a mio giudizio, non ha mostrato altro che l’acume del suo grande ingegno. Adesso, desidero tornare a coloro i quali preferiscono detestare o deridere gli Affetti e le azioni umane, piuttosto che comprenderle. A costoro, senza dubbio, sembrerà strano che io intraprenda a trattare i vizi e le stoltezze degli uomini secondo il metodo Geometrico e che io voglia dimostrare mediante ragione certa le cose che essi dichiarano a gran voce essere ripugnanti alla ragione e vane, assurde e orrende.mia convinzione è, invece, questa: in natura nulla accade che possa essere attribuito ad un suo vizio; la natura, infatti, è sempre la stessa e la sua virtù e potenza di agire è ovunque una e identica, cioè le leggi e regole della natura secondo le quali tutte le cose avvengono e si mutano da una forma in un’altra sono ovunque e sempre le stesse, e perciò uno e identico deve anche essere il metodo per intendere la natura di qualunque cosa, e cioè per mezzo delle leggi e regole universali della natura. Gli effetti dunque dell’odio, dell’ira, dell’invidia ecc., considerati in sé, conseguono dalla stessa necessità e virtù della natura dalla quale conseguono le altre cose singolari; e perciò riconoscono cause certe, mediante le quali sono compresi, e hanno certe proprietà, degne della nostra conoscenza a pari titolo che le proprietà di qualunque altra cosa, dalla cui sola contemplazione traiamo diletto. Tratterò dunque della natura e delle forze degli Affetti, come anche del potere della Mente su di essi con lo stesso Metodo con il quale nelle parti precedenti ho trattato di Dio e della Mente, e considererò le azioni e gli appetiti umani come se fosse Questione di linee, di superfici o di corpi.
B. Spinoza, Etica, a cura di E. Giancotti, Roma, Editori Riuniti, 1993
Ogni cosa si sforza di perseverare nel suo essere, nella forma della volontà quando questo sforzo riguarda la mente, e dell’appetito quando riguarda il corpo. La cupidigia è la passione per cui l’uomo desidera qualcosa e per ciò stesso ritiene buono quel che desidera. La gioia è la passione connessa alla conservazione e al perfezionamento del proprio essere, e la tristezza quella connessa a una sua diminuzione. Quando gioia e tristezza sono connesse a una causa esterna che le produce, si generano amore e odio. Da queste passioni fondamentali Spinoza deduce secondo il suo metodo geometrico tutte le altre, realizzando nel contempo una analisi di grande finezza psicologica.
Ma se così fosse, la teoria spinoziana non permetterebbe l’elaborazione di una vera teoria morale, perché l’uomo sarebbe portato a fare solo ciò che gli procura gioia e tristezza, indipendentemente da ogni giudizio etico. Anche qui interviene la teoria della necessità: solo quando l’uomo comprende quale sia la legge che governa l’universo, saprà scegliere ciò che maggiormente corrisponde a questo disegno. Comprese la natura delle emozioni e la loro necessità, saprà agire indipendentemente da esse e l’affermazione della sua libertà consisterà nell’affermazione dell’Amore Intellettuale di Dio (Etica, V, prop. 32) da cui consegue la gioia serena e pacata del filosofo che ha riconosciuto la necessità universale. Diventa libero chi riesce a riconoscere la necessità e a svincolarsi da qualsiasi causa. Per esempio, il filosofo riconosce la necessità della morte, ma non ne soffre la paura (Etica, IV, prop. 67).
Sugli stessi presupposti si fonda la teoria politica di Spinoza. Gli uomini sono guidati per temperamento da passioni contrastanti, e debbono quindi eleggere a guida la ragione mirando a realizzare ciò che è essenziale alla natura umana e quindi identico per tutti, cercando come proprio utile l’utilità reciproca (Etica, IV prop. 73). Le norme del diritto naturale, che per Hobbes e i giusnaturalisti erano fondate sulla ragione, sono per Spinoza basate sulla necessità.
Il diritto naturale, espressione della necessità cosmica, stabilisce che l’uomo non è libero di agire secondo la propria natura, ma (per evitare la guerra di tutti contro tutti) cerca di stabilire un ordine sociale, un diritto comune, che si esprime nella forma di un governo. Solo all’interno di questo patto sociale che decide regole e leggi, prendono significato le idee di bene e di male, o di giusto e ingiusto.
Su queste idee politiche Spinoza fonda la sua teoria della libertà filosofica e religiosa dell’uomo.
È singolare, e in parte contraddittorio, che questa teoria della necessità (per cui le cose sono così come sono e nessuna azione umana può modificare l’ordine del mondo) generi al proprio interno una delle più appassionate difese della libertà di pensiero concepita nel XVII secolo.
L’affermazione del diritto alla libertà di pensiero si fonda sulla dottrina della fede. Nel Trattato teologico-politico si sostiene che le Sacre Scritture non affermano alcuna verità, ma soltanto il principio dell’obbedienza a Dio e il precetto dell’amore per il prossimo. Ridotto quindi il problema della fede a pochi principi essenziali, cade ogni conflitto tra fede e ragione. La fede consente a ciascuno la massima libertà nel ricercare la verità filosofica. Il dovere dello Stato è di garantire tale libertà.