BASILICATA
(IV, p. 308; App. II, I, p. 365; III, I, p. 207; IV, I, p. 231)
Al censimento della popolazione del 1981 la regione ha fatto registrare 610.186 residenti con un incremento di circa 7000 unità rispetto al 1971: aumento modesto, ma di notevole significato in quanto ha segnato la fine del grande esodo che a partire dal secondo dopoguerra ha colpito la popolazione lucana (tra il 1951 e il 1974 gli emigrati sono stati circa 217.000). La causa di tale inversione di tendenza è da ricercarsi soprattutto nella crisi e nella ristrutturazione delle economie industriali dell'Europa occidentale e dell'Italia settentrionale, che hanno indirettamente favorito il formarsi di un cospicuo flusso di rientri, i quali contribuiscono a contenere quelli persistenti in uscita, orientati oggi verso le regioni dell'Italia centrale in più rapida crescita. A tale riguardo è interessante notare come tra i giovani emigranti si trovino oggi numerosi diplomati e laureati, il che contrasta nettamente con la tradizionale immagine dell'emigrato contadino e spesso analfabeta.
A determinare il modesto incremento della popolazione contribuisce altresì il rallentamento della crescita demografica grazie al progressivo contrarsi del quoziente di natalità, sceso all'inizio degli anni Ottanta al di sotto del 9‰ annuo. Ciò è la conseguenza, in parte, della modifica dei costumi ma, soprattutto, del lungo periodo di emigrazione che, coinvolgendo numerosi giovani, ha provocato l'invecchiamento della popolazione residente. La popolazione presente risulta, da parte sua, inferiore del 5% alla residente, con un riavvicinamento dei due valori pari a circa 2 punti percentuali nel corso del decennio scorso.
La densità di popolazione ha registrato anch'essa una lieve ripresa (+5%) attestandosi attualmente intorno al valore di 65 ab. per km2, che resta pur sempre il più basso fra le regioni dell'Italia meridionale. In particola re, mentre la provincia di Potenza presenta la stessa densità (62) registra ta nel 1971, quella di Matera segna un incremento di 3 punti, per un va lore di 59 ab. per km2.
L'incremento demografico ha interessato complessivamente 37 comu ni, di cui 10 in provincia di Matera e 27 in quella di Potenza. A esso hanno contribuito in misura più rilevante i comuni con una popolazione compresa tra i 5000 e i 10.000 residenti, passati dai 18 del 1971 agli attuali 22. Per contro, i centri più piccoli registrano un ulteriore calo demografico; quelli al di sotto dei 2000 abitanti sono infatti passati, nel corso dell'ultimo quindicennio, da 29 a 37. Si tratta nella maggior parte dei casi di comunità che sembrano destinate a un'irreversibile estinzione e le cui risorse dipendono totalmente da proventi esterni sotto forma di pensioni e di rimesse; non a caso la loro vita si anima quasi esclusivamente in concomitanza con i rientri estivi dei lavoratori all'estero.
Questo ininterrotto processo di ridimensionamento demografico non solo rischia di cancellare definitivamente testimonianze storiche e culturali di grande interesse (si pensi alle comunità albanesi del Vulture e del Pollino), ma incide sfavorevolmente sulla possibilità di garantire la salvaguardia del territorio attraverso la presenza attiva nei campi e la realizzazione delle necessarie opere di manutenzione: non a caso nella regione continua la triste tradizione di dissesti idrogeologici (vedi la luttuosa frana di Senise del 1986). A ciò si aggiunga l'elevata sismicità di molte di queste terre che si è ancora una volta manifestata, nel novembre del 1980, con un violento terremoto che ha devastato il settore nord-occidentale della regione, coinvolgendo lo stesso capoluogo lucano.
Incrementi di popolazione si registrano nei due capoluoghi provinciali e nei maggiori comuni, tra i quali spiccano gli insiemi di Lavello-Melfi-Rionero e di Lagonegro-Lauria, oltre che i centri di Pisticci, Policoro e Maratea. In generale, mentre la provincia di Potenza segna nel periodo intercensuario 1971-81 ancora un modesto saldo negativo (−0,4%), determinato soprattutto dal comprensorio del Vulture, quella di Matera registra un incremento dell'1,5%: tali valori stanno a indicare una generale redistribuzione della popolazione tra le due province, tanto che il Materano conta ora un terzo della popolazione contro il 29% di trent'anni addietro.
Dietro tali incrementi di popolazione è possibile intravedere un processo, seppur molto cauto, di rafforzamento di alcuni capisaldi urbani che, arricchitisi di funzioni direzionali e di servizio, si pongono come i poli dello sviluppo regionale. Siamo indubbiamente ben lontani dalla definizione di una trama urbana intesa in senso moderno, ma l'accresciuta mobilità interna alla regione − tra alcuni centri che esprimono funzioni complementari − offre buone prospettive per il futuro. Un ruolo positivo in questa direzione è svolto dall'avvio dell'esperienza di autonomia regionale che qui è risultata più positiva che nel resto del Mezzogiorno. Ancora molto forte resta comunque l'attrazione esercitata da Napoli e Bari, da sempre referenti urbani privilegiati per i Lucani.
Il prodotto lordo pro capite nel 1988 è risultato pari a circa 10,7 milioni annui, valore inferiore di quasi il 40% alla media nazionale: i comuni più ricchi sono Potenza e Matera, mentre la prov. di Matera ha un prodotto pro capite superiore a quello della prov. di Potenza (tab. 4).
L'agricoltura ha ulteriormente ridimensionato il suo contributo alla produzione del reddito regionale; l'occupazione del settore, tra il 1971 e il 1981, si è ridotta dal 40 al 20% della popolazione attiva. L'abbandono dei campi ha inciso sulla stessa struttura occupazionale (per il 75% rappresentata oggi da donne) e sulla proprietà, caratterizzata da una forte contrazione della piccola proprietà contadina. Si è molto diffusa la meccanizzazione che trova, però, un ostacolo nella tormentata morfologia di molti terreni oltre che nell'eccessiva frammentazione delle maggiori aziende agricole.
Al censimento del settore del 1982 sono risultati circa 390.000 ha di seminativi, soprattutto a grano; in diminuzione risultano i prati e i pascoli permanenti e le colture boschive, mentre si espan dono ulteriormente le coltivazioni legnose. Il patrimonio zootecni co segna un forte regresso: bovini e suini ammontano a meno di 100.000 capi.
L'industria, dopo l'iniziale euforia che ha accompagnato l'avvio dei nuclei d'industrializzazione di Potenza e Valbasento, è stata investita da una grave crisi che ha costretto alla chiusura tutte le maggiori aziende afferenti a gruppi esterni e operanti soprattutto nel settore chimico. Dalla seconda metà degli anni Settanta è stato avviato un difficile processo di riconversione produttiva, del quale il recente piano Enichem costituisce la proposta più avanzata: si tratta della realizzazione in Valbasento di una dozzina di unità produttive a forte contenuto innovativo (tecnopolimeri, resine speciali, ecc.). Alla riconversione si è affiancato un processo di diffusione territoriale dell'industria, grazie alla creazione, dopo il sisma del 1980, di alcuni nuovi agglomerati presso Pescopagano, a Balvano, fra Satriano e Sant'Angelo Le Fratte e a San Nicola di Melfi.
Attività industriale prevalente è quella delle costruzioni edilizie continuamente alimentata dalla domanda di alloggi, specie nei capoluoghi, e fortemente dipendente dai flussi della spesa pubblica. Un cospicuo sviluppo hanno avuto nell'ultimo decennio le attività turistiche, grazie a una politica regionale finora attenta a evitare, diversamente che in molte altre zone del Sud, il degrado del territorio: ne sono esempi, seppur per vie diverse, la fascia costiera metapontina e Maratea, uno dei centri di maggior fascino e ambientalmente intatti del Tirreno.
Carenze più o meno vistose persistono nell'ambito delle dotazioni sociali: la viabilità soffre ancora di una inadeguata rete intercomunale; i sistemi scolastico e sanitario presentano una distribuzione territoriale piuttosto disomogenea. Nel 1983 è stata inaugurata l'università di Potenza, la quale conta 4 facoltà (Lettere e filosofia, Agraria, Ingegneria e Scienze matematiche).
Tra i servizi alla produzione, piuttosto diffusa è la presenza degli sportelli bancari, passati da 113 nel 1974 a 135 nel 1986, mentre molto scarsa è quella delle unità del terziario superiore, per il quale la regione continua a essere dipendente dall'esterno.
Nel complesso, gli eventi dell'ultimo quindicennio hanno prodotto una attenuazione del tradizionale isolamento della regione e un interessante processo di modernizzazione delle strutture produttive, pur persistendo una serie di squilibri sul piano economico, sociale e territoriale.
Bibl.: Le regioni del Mezzogiorno, a cura di V. Cao Pinna, Bologna 1979; A. Collidà, La Campania e la Basilicata negli anni Settanta, in Inchiesta, 1981; E. Iotti, Gli squilibri interni regionali, in Boll. Ibres, 3 (1981), pp. 3-12; P. Coppola, La latitanza urbana, in Bollettino della società geografica italiana, suppl. vol. ix, 1982, pp. 245-64; L'Italia emergente, a cura di C. Cencini, G. Dematteis, B. Menegatti, Milano 1983; D. D'Errico, Dimensioni e ruolo del settore terziario, in Basilicata, 25 (1983); L. Cuoco, La Basilicata allo specchio, in Delta, 32 (1988).
Archeologia. - Per le fasi più antiche meritano un cenno i rinvenimenti avvenuti sia nella zona di Melfi (Rendina, Toppo Daguzzo), che lungo la costa ionica e nelle valli retrostanti (grotta di Latronico), databili dal Neolitico al Bronzo, e la scoperta di cospicue importazioni egee a Termitito (presso Metaponto), dove il contatto con i navigatori orientali sembra dare avvio a una produzione locale.
Per la prima età del Ferro, le ricerche hanno posto in chiaro sia la differenza di densità fra area costiera ed entroterra, sia il pre coce comparire di un'articolazione etnico-culturale: alla Fossakultur tirrenica con inumazioni in posizione distesa appartengono le gen ti della parte più interna delle valli dell'Agri e del Sinni e della sovrastante Lucania occidentale (ora provincia di Salerno), identifi cabili con gli Enotri.
A un gruppo che inuma in posizione rannicchiata, legato ai confinanti Iapyges, vanno invece ascritti gli abitati della valle del Basento, del versante destro di quella del Bradano e di un tratto della costa ionica, con villaggi molto popolosi, quali San Teodoro-Incoronata alle spalle di Metaponto e Santa Maria d'Anglona-Valle Sorigliano nel primo entroterra di Siris-Polieion (forse il sito principale dei Chones: Strabone 6, 1, 4 = C 255); per essi è documentata l'esistenza di contatti con i Greci di tipo ''precoloniale''.
Lo stanziarsi diretto di questi ultimi produce conseguenze rilevanti; nel caso dei Colofoni di Siris, si possiedono ora i dati relativi a più zone-campione; mentre l'insediamento di Santa Maria d'Anglona si spegne rapidamente, più a Nord-Est si sviluppa invece quello dell'Incoronata, con chiara funzione emporica.
Notevolmente diverso il quadro relativo al retroterra enotrio, dove la progressiva crescita demografica indica lo svilupparsi di una situazione favorevole, comprovata anche dal processo di articolazione sociale, come mostrano i casi di Aliano e di Chiaromonte (nelle valli dell'Agri e del Sinni), con le numerose sepolture di individui di condizione privilegiata.
In entrambi i siti, le tombe femminili uniscono all'esibizione di ricchissime parures ornamentali la presenza di ceramiche greche e greco-coloniali e di vasellame in bronzo di origine etrusca; a Chiaromonte le sepolture maschili dalla fine del 70 sec. documentano anche l'ulteriore sviluppo dell'organizzazione sociale e militare (rituale del banchetto e panoplia da oplita a cavallo), sempre con acquisizioni da entrambi i versanti.
La particolare intensità di queste relazioni si giustifica con la funzione di tramite fra il polo greco e quello etrusco-campano svolta dagli Enotri, indiziato in val d'Agri anche dall'avvio di una produzione di imitazioni del bucchero.
Benché la città continui a vivere (come indicano le aree di culto, inducendo a ritenere certa la coincidenza con la successiva Herakleia), le fortune di Siris non durano molto oltre la fase iniziale del 60 sec., allorché s'interrompe la documentazione (necropoli e lembi di abitato) rimessa in luce a Policoro. Appare molto probabile una subalternità nei confronti soprattutto di Sibari, alla cui distruzione sembra legarsi il crollo di questa parte del mondo indigeno.
Del resto, a partire dal tardo 70 sec., la funzione di tramite inizia a essere svolta dalle genti dell'area centro-settentrionale della B., fino al corso dell'Ofanto (dal quale è agevole il transito nella valle del Sele), in grado di assicurare le relazioni fra le due città achee di Poseidonia sul Tirreno e di Metaponto sullo Ionio. Anche la nascita di questa nuova polis (che pure provoca la scomparsa dell'insediamento dell'Incoronata) determina reazioni positive nell'entroterra; come nel caso di Serra di Vaglio. Lungo questo itinerario si convogliano anche i traffici con la Campania, come provano i bronzi tardo-arcaici a fusione trovati nel Nord della B. (per es. a Ruvo del Monte) e nell'area daunia adiacente, con i siti di Melfi, Lavello e Banzi.
La crisi di questa organizzazione sopravviene nel corso della seconda metà del 50 sec., in conseguenza del processo di etnogenesi della compagine lucana, sulla cui organizzazione territoriale e sulla cui vicenda storico-culturale i nuovi rinvenimenti (per es. a Sant'Arcangelo, nel retroterra di Herakleia) non portano elementi di novità. Egualmente immutato nella sostanza si presenta il quadro della successiva fase romana; se i recentissimi scavi di Venusia ci forniscono i primi dati relativi alle fasi iniziali della colonia (dedotta nel 291 a. C.), l'esplorazione del complesso di San Giovanni (Ruoti) documenta la capacità di sopravvivenza fino oltre il termine dell'età antica del sistema di grandi villae sorto soprattutto a partire dall'età di Augusto.
Il sistema museale della B. è in corso di profonda riorganizzazione dopo la riapertura del museo di Melfi (che sarà ampliato in modo sostanziale al completamento dei lavori nel castello normanno che lo ospita); per la fine del 1990 è prevista l'inaugurazione del nuovo museo di Metaponto, sostitutivo dell'antiquarium esistente, e per il 1991 di quello di Venosa. Nel contempo è in via di ulteriore allargamento il museo ''D. Ridola'' di Matera e in allestimento quello di Grumentum.
Al termine di questo ampio panorama di interventi, la B. disporrà dunque di una rete di 6 musei nazionali oltre a quello provinciale di Potenza, riservato alle collezioni di più antica formazione. Vedi tav. f. t.
Bibl.: E. Lissi Caronna, Oppido Lucano. Rapporto prel. sulla prima campagna di scavo (1967), in Not. Scavi, 1972, p. 488 ss.; D. Adamesteanu, D. Mertens, F. D'Andria, Metaponto I, ibid., 1975, suppl.; AA. VV., Metaponto II, ibid., 1977, suppl.; Istituto It. Preistoria e Protostoria, Atti 20ª riunione in Basilicata, 1976, Firenze 1978; D. Adamesteanu, H. Dilthey, Siris. Nuovi contributi archeologici, in Mél. Ecole Franç. de Rome, 90, 2 (1978), p. 515 ss.; F. G. Lo Porto, Una tomba metapontina e l'elmo di St.-Louis nel Missouri, in Atti e Mem. Soc. Magna Grecia, 18-20 (1977-79), p. 171 ss.; D. Adamesteanu, Dios agora a Metaponto, in La Parola del Passato, 187 (1979), p. 296 ss.; AA. VV., Attività archeologica in Basilicata 1964-1977 (scritti in on. di D. Adamesteanu), Matera 1980; M. T. Giannotta, Metaponto ellenistico-romana, Galatina 1980; M. Lejeune, Inscriptions de Rossano de Vaglio 1974-1979, in Rend. Acc. Lincei, s. viii, 35, 7-12 (1980), p. 445 ss.; E. Lissi Caronna, Oppido Lucano. Rapporto prel. sulla seconda campagna di scavo (1968), in Not. Scavi, 1980, p. 309 ss.; S. Bianco, Aspetti culturali dell'Eneolitico e della prima età del Bronzo sulla costa ionica della Basilicata, in Studi di Antichità, 2 (1981), p. 13 ss.; A. Bottini, Ruvo del Monte. Necropoli in contr. S. Antonio: scavi 1977, in Not. Scavi, 1981, p. 183 ss.; Id., Principi guerrieri della Daunia del VII secolo, Bari 1982; M. Cipolloni Sampò, Gli scavi nel villaggio neolitico di Rendina (1970-'76). Relazione prel., in Origini 11 (1977-82), p. 7 ss.; G. Greco, Lo sviluppo di Serra di Vaglio nel V e IV sec. a.C., in Mél. Ecole Franç. de Rome, 98 (1982), p. 67 ss.; D. Mertens, Metaponto: il teatro-ekklesiasterion, i, in Boll. Arte, 67 (1982), p. 1 ss.; A. Pontrandolfo, I Lucani, Milano 1982; Lo scavo di S. Giovanni di Ruoti ed il periodo tardoantico in Basilicata (Atti tav. rotonda, Roma 1981), Bari 1983; E. Lissi Caronna, Oppido Lucano. Rapporto prel. sulla terza campagna di scavo (1969), in Not. Scavi, 1983, p. 216 ss.; Id., Oppido Lucano: case di IV e III sec. a.C., in Atti e Mem. Soc. Magna Grecia, 24-25 (1983-84), p. 193 ss; I Greci sul Basento - Mostra degli scavi archeologici all'Incoronata di Metaponto 1971-1984 (Milano 1984), Como 1984; AA. VV., Il museo nazionale della Siritide di Policoro, Bari 1985; Siris-Polieion. Fonti letterarie e nuova documentazione archeologica (incontro di studi Policoro 1984), Galatina 1986; M. Cipolloni Sampò, La tomba tre dell'acropoli di Toppo Daguzzo. Elementi per uno studio prel., in Annali Ist. Univ. Orientale Napoli - Archeologia e Storia Antica, 8 (1986), p. 1 ss.; A. Bottini, P. G. Guzzo, in Popoli e civiltà dell'Italia antica, vol. 8, Roma 19882.
Arte. - L'attività di catalogazione e di restauro promossa dalla Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici, e confluita nella mostra di opere d'arte restaurate del 1979 (catalogo 1981), ha subito un duro colpo per effetto del terremoto del 1980, in seguito al quale grandissima parte degli arredi mobili collocati in chiese pericolanti sono stati rimossi e trasportati al sicuro nei depositi della Soprintendenza. Le conseguenti operazioni di restauro hanno preso avvio nel 1981, grazie ai finanziamenti previsti dalla legge 219, e sono ancora in corso. Laddove le condizioni statiche delle chiese lo permettevano, sono stati effettuati restauri di affreschi, come nel caso di quelli deuterobizantini della chiesa di Santa Maria d'Anglona presso Tursi; del ciclo di Pietro Antonio Ferro nella chiesa del Carmine a Tricarico, e di quello dello Sciarra e dei suoi seguaci nel chiostro di San Francesco nella stessa città; degli affreschi trecenteschi nella cripta della chiesa di San Francesco e di quelli nella Cappella dell'Episcopio, a Irsina; del ciclo di Giovanni Todisco nel convento di Sant'Antonio a Oppido Lucano, di quello vetero e neotestamentario in San Donato a Ripacandida. Nella cattedrale di Matera è da segnalare la fortuita messa in luce, a seguito della rimozione di un altare, di un consistente brano di un affresco trecentesco raffigurante l'Inferno (parte di un Giudizio finale) e di altri quattrocenteschi raffiguranti la Madonna con bambino e Santi.
Accompagnati da una nutrita serie di mostre, i restauri hanno permesso nuove acquisizioni agli studi (per la scultura citiamo una Madonna in trono nella cattedrale di Muro Lucano e un San Sebastiano nel castello di Melfi, attribuiti a Giovanni da Nola, nonché un cospicuo nucleo di opere di Giacomo Colombo; per la pittura, dipinti di Silvestro Buono, Teodoro d'Errico, Francesco Curia, Carlo Sellitto, Luca Giordano, Paolo De Matteis, oltre all'ampliamento del catalogo di maestri locali, come Pietro Antonio Ferro e il Pietrafesa), o aggiustamenti attributivi (per es., il polittico della chiesa di San Francesco a Matera, restituito a Lazzaro Bastiani). Da segnalare, infine, l'istituzione (anche se l'allestimento è ancora in fase di completamento) dei musei diocesani di Acerenza, Irsina e Melfi.
Bibl.: Arte in Basilicata. Rinvenimenti e restauri, a cura di A. Grelle Iusco, Roma 1981; Opere d'arte restaurate a Matera 1982-83. Catalogo della mostra (Matera, Palazzo Lanfranchi, luglio-sett. 1985), Matera 1985; Corrispondenza dalle Soprintendenze. Matera, Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici, in Bollettino d'Arte, 29 (1985), pp. 125-47; L'Antico nascosto. Catalogo della mostra (Matera, Palazzo Lanfranchi, genn.-febbr. 1987), Matera 1986; Ferrandina. Recupero di una identità culturale, a cura di N. Barbone Pugliese e F. Lisanti. Catalogo della Mostra (Ferrandina, maggio-luglio 1987), Galatina 1987; Insediamenti francescani in Basilicata. Catalogo della Mostra (Avigliano, Castello di Lagopesole, estate 1988), Matera 1988. Si veda inoltre N. Barbone Pugliese, Contributo alla pittura napoletana del Seicento in Basilicata, in Napoli nobilissima, 22 (1983), fasc. 3-4, pp. 81-99.
Tutela e restauro dei beni architettonici. - La tutela dei beni architettonici nella regione B. s'inizia nei tardi anni Sessanta con restauri conservativi. Precedentemente l'azione di valorizzazione del patrimonio architettonico lucano veniva spesso disattesa, prevalendo a opera del Genio Civile interventi per lo più estranei al restauro. L'attività di salvaguardia della Soprintendenza dei Beni architettonici si è rivolta successivamente al recupero di emergenze significative, testimonianze di una storia artistica regionale che non ha una precisa e omogenea identità, pur presentando una serie di episodi notevoli per originalità e pregio. Tra questi, soprattutto la cospicua serie di castelli che segnano il territorio, indicandone il percorso storico. Due dei più importanti restauri degli anni Settanta, e ancora in corso di ultimazione, sono il castello Doria di Melfi e il castello medievale di Lagopesole, entrambi destinati a divenire musei: il primo Museo nazionale archeologico del Melfese, il secondo per ospitare mostre permanenti e temporanee, oltre a un centro di ricerca del CNR. Il castello di Melfi venne costruito in epoca angioina, sui resti di un'antica rocca normanna, ed ebbe pesanti rimaneggiamenti dopo il sisma del 1930, in seguito a un restauro ordinato dai Doria, proprietari del castello dal 1500.
Il progetto di restauro e di allestimento è stato redatto dalla Soprintendenza ai Beni architettonici, mentre quello di consolidamento dagli ingegneri Cestelli-Guidi, Rocchi e Morabito, ed è finanziato con fondi FIO. Alla funzione espositiva è destinato il nucleo centrale normanno su tre piani (di cui il piano terra è già attivo), mentre il piano dei sottotetti verrà adibito a laboratorio di restauro archeologico. Il progetto di consolidamento del Castello di Lagopesole (anch'esso di origine normanna e ampliato da Federico II), è stato redatto dall'ing. De Tommasi e finanziato con fondi ex CASMEZ.
In questi ultimi anni, superata la prima drammatica fase di emergenza seguita al terremoto del 1980, si sta attuando una diffusa opera di 'recupero' (con l'apertura contemporanea di centinaia di cantieri, sparsi sul territorio), attraverso interventi programmati di restauro e/o consolidamento regolati e finanziati dalle leggi 219/81 e 449/87. Come in altre regioni italiane, nella fase di attuazione si è avuta una sovrapposizione di competenze, per l'applicazione delle norme della legge sulle calamità naturali, tra la Soprintendenza ai Beni architettonici e il Provveditorato Regionale alle opere pubbliche, spettando alla prima la supervisione e controllo delle opere di restauro sui monumenti eseguite dall'altro. Gli interventi più significativi, ancora in corso di realizzazione, sono: il complesso conventuale di S. Maria d'Orsoleo a Sant'Arcangelo; la cattedrale e la chiesa della Trinità a Venosa; il recupero del borgo e del castello di Brienza; la chiesa di S. Angelo a Monte Raparo. In molti casi, comunque, si è operato su monumenti in estremo stato di fatiscenza e ciò ha portato la Soprintendenza, affiancata da una équipe di tecnici esterni, a una vasta sperimentazione sulla statica delle murature, che ha dato notevoli risultati utilizzati per il consolidamento.
Tutela dei beni ambientali. - Nella redazione dei piani paesistici, in attuazione della legge 431/85 ("legge Galasso") la Regione B. si è rivolta alla formazione di piani territoriali di "area vasta", dapprima estesi alle zone vincolate ai sensi del D.M. 18 maggio 1985, e da estendersi successivamente all'intero territorio regionale. La formazione e l'approvazione dei piani (regolate dalla legge regionale 20/85 di modifica e integrazione della L.R. 9/91, che definisce le premesse concettuali della pianificazione e la normativa per le procedure) vengono formulate da un gruppo di coordinamento formato da funzionari dell'Ufficio urbanistica e ambiente del Dipartimento assetto del territorio, e da due consulenti esterni (G. Nigro e A. Restucci).
I territori sottoposti a pianificazione paesistica di "area vasta" sono: il Metapontino (comprendente la fascia costiera ionica e l'entroterra limitrofo); Gallipoli-Cognato e le piccole Dolomiti Lucane; il massiccio del Sirino e fondovalle del fiume Noce; Sellata-Volturino (che comprende il massiccio montuoso e i tre bacini idrografici del Basento, dell'Agri e del Melandro); Maratea (comprendente la zona costiera tirrenica e il territorio interno limitrofo); il Vulture (area costituita dal complesso del Vulture e dai due laghi di Montecchio). Il Piano del Parco del Pollino, redatto con P.T.C., è già vigente.
La metodologia dei piani è finalizzata alla costruzione di uno strumento che verifichi le condizioni di compatibilità delle scelte di pianificazione e progettazione rispetto alle qualità territoriali, avendo l'obiettivo di creare una griglia di possibilità di trasformazione del suolo, che funzioni da base per le scelte di pianificazione urbanistica. Vedi tav. f. t.