IACONELLI, Battista Alessandro
Uomo politico e volgarizzatore vissuto lungamente a L'Aquila nel XV secolo, nacque a Rieti da cittadini reatini poi esiliati, Pietro Paolo e Flora de Alfanis. Lo I. fu avviato dal padre, insieme con uno dei suoi quattro fratelli, Giovanni Giorgio, al commercio di tessuti: alcuni protocolli notarili mostrano nel 1464 i fratelli nel pieno della loro attività che si estese nel tempo anche alla compravendita di zafferano e di lana e all'acquisto di terreni; nel 1465 i fratelli Iaconelli costituirono una società per impiantare un lanificio. Lo I. si sposò due volte: rimasto vedovo di Clara, figlia di Giovanni di Bianco di Porcinaro, si unì in matrimonio con Angelella di Angeluccio di Pizzoli. Nel 1467 ricopriva la carica di cancelliere del Comune; nel 1473 e nel 1474, con questa qualifica, fu inviato a Napoli presso Ferdinando I d'Aragona per questioni legate al censimento (gli Aquilani tentavano di evitare un nuovo computo dei fuochi) e all'arte della lana; nel 1476 rivestiva ancora altri incarichi nella città; nel 1482 si era già ritirato dall'attività pubblica, anche se da una lettera di Alfonso duca di Calabria datata 9 giugno 1491 sembra che lo I., ormai anziano, fosse stato inviato in missione a Napoli. Si ignora la data della sua morte.
Nel 1689 un ritratto realizzato da Cesare Fantitto, posto nella quarta sala del municipio, ricordava la presenza dello I. a L'Aquila.
Oltre all'attività politica lo I. si dedicò anche a quella letteraria lavorando a un volgarizzamento delle Vite di Plutarco pubblicato nel 1482 a L'Aquila dal tedesco Adamo di Rotwill; questa edizione assomma in sé più di un primato: è il più antico volgarizzamento delle vite plutarchee mai stampato e il primo libro impresso da Adamo di Rotwill a L'Aquila, città in cui introdusse l'arte tipografica.
Il volgarizzamento vero e proprio (doveva essere costituito da due parti, ma ne fu stampata solo la prima) è preceduto nella princeps dalla Tabula, cioè dall'indice delle ventisei vite tradotte da I., cui seguono due sonetti caudati: il primo (inc.: Lo excelso ingegno et fantasia sublime) è dedicato a "misser Iacobo de Peccatori de Aquila Iudice della vicaria integerrimo" e costituisce l'argumentum; il secondo (inc.: Foron le muse al tucto già sbandite) è composto in lode di Cosimo de' Medici "restauratore della lingua latina et per cui favore queste vite forono translate de greco in latino" ma nel nome "Laurentio", affiancato tipograficamente alla coda del sonetto (Tal chel bel nome humano / Cha di laude et reverenza gran thesoro / Habiancho gratia chal sacrato alloro) è chiara l'allusione a Lorenzo il Magnifico. I due sonetti sono seguiti dalla dedicatoria a Ludovico Torti (o de Tortis), nipote del conte di Montorio, Pietro Lalle Camponeschi, nella quale lo I. - ricorrendo a un topos - spiega come, essendosi ritirato "dal publico giogo" per "godere tranquilla pace de una mia instituita agricultura, ove sequitando i vestigii de y magiori era recuperato como in porto tranquillo", abbia infine ceduto alle insistenze dell'amico decidendo "de far vulgari le vite de Plutarcho: ardua impresa senza dubio alchuno"; oltre a Ludovico, nell'explicit sono ricordati anche Domenico da Montorio e Ludovico de Camillis da Ascoli "ciptadino de Aquila".
Dopo la dedica inizia il volgarizzamento con le vite di Teseo e Romolo; chiudono la serie le vite di Focione e Catone, cui tengono dietro altri due sonetti caudati: con il primo (inc.: Qui Theseo vive et con Romol contende) lo I. nomina tutti i personaggi delle vite nell'ordine in cui compaiono nel testo, affidando alla coda l'annuncio della seconda parte (Ne con multa dimora / Hor cresce in herba el resto de Plutarcho / Tal che integro verra nel vulgar uarcho); nel secondo sonetto (inc.: Plutarcho io non son tal per cui se accenda) l'autore si rivolge a Plutarco: pur confessando di non poterne eguagliare lo splendore dello stile, confida tuttavia che la sua buona intenzione lo scusi, avendo voluto egli rivolgersi non a coloro che hanno dimestichezza con le Muse ma a "ogni huom vulgar". Si segnala che alcuni esemplari della princeps, come risulta sia dalle descrizioni dei repertori, sia dall'ispezione diretta, differiscono nella distribuzione dei paratesti, presentando i quattro sonetti alla fine dell'opera, prima del registro; ciò è da attribuire a una ristampa del testo, che documenti pubblicati solo in anni recenti attestano essere avvenuta, nella misura di 812 copie, il 16 sett. 1482, circa una settimana dopo la prima impressione.
Lo I. nel suo lavoro non ebbe presente il testo greco, bensì le traduzioni "spicciolate" in latino eseguite nella prima metà del Quattrocento dai più importanti umanisti, perlopiù fiorentini o toscani; va quindi corretta l'informazione che lo I. trasferisse in volgare le traduzioni di Lapo da Castiglionchio il Giovane il cui numero è ben inferiore a quello delle vite tradotte da I., che si servì evidentemente anche di altre fonti; molto probabilmente egli utilizzò l'edizione latina delle Vite, curata da Giovanni Antonio Campano e dedicata a Francesco Todeschini Piccolomini, futuro Pio III, stampata in due parti a Roma nel 1470 da Ulrich Han (Hain, Repertorium bibliographicum, 13125; Indice generale degli incunaboli, 7920), nella quale erano state raccolte le traduzioni di Leonardo Bruni, Francesco Filelfo, Guarino Guarini, Lapo da Castiglionchio il Giovane, Francesco Barbaro e altri.
L'intento divulgativo, ovvio in un volgarizzamento, è esplicitato nella dedicatoria: lo I. scrive che ha impiegato lo "stil materno" per rendere note le vite di Plutarco anche alle persone non dotte; egli poi aggiunge alcune riflessioni sulla "fedeltà" della sua versione: spiega infatti che non ha tradotto ad verbum - metodo che, oltre a provocare "una inconcinna prolixita et fastidiosa", ritiene più adatto a chi trasferisce un'opera dal greco al latino - ma ha preferito piuttosto restituire il senso del testo latino. Una simile giustificazione del proprio operato segnala che lo I. partecipava del dibattito sulla traduzione, che, pur incentrato sul rapporto greco-latino, non era estraneo anche ai volgarizzamenti.
Il volgarizzamento dello I. fu ristampato più volte: la prima nel 1518 a Venezia da Giorgio de' Rusconi, il quale riprodusse fedelmente la princeps; a partire dal 1525 (Venezia, Niccolò Zoppino) al testo dello I. fu affiancata la seconda parte delle Vite, tradotta dal padovano Giulio Bordone.
Allo I. è stata inoltre attribuita una Cronicha de sancto Isidoro menore stampata da Adamo di Rotwill a L'Aquila nel 1482; se però si tiene conto che nel titolo e nel colophon dell'ed. aquilana si legge "correcta et revista per Baptista Alexandro Iaconello", è da ritenere valida l'ipotesi di Santander che si tratti della ristampa di un volgarizzamento edito senza il nome dell'autore ad Ascoli Piceno nel 1477 e a Cividale del Friuli nel 1480.
Fonti e Bibl.: J.M. Paitoni, Biblioteca degli autori antichi greci, e latini volgarizzati, III, Venezia 1767, pp. 147-151; C.A. de La Serne Santander, Dictionnaire bibliographique choisi du quinzième siècle, III, Bruxelles 1807, p. 58; R. Carli, Vita di Serafino Cimino Aquilano, L'Aquila 1826, p. 73; A. Dragonetti, Le vite degli illustri aquilani, L'Aquila 1847, pp. 143-145; G. Pansa, La tipografia in Abruzzo dal sec. XV al sec. XVIII, Lanciano 1891, pp. 1-7; E. Teza, Plutarco nella traduzione italiana di B.A. Iaconello, Venezia 1905; G. Resta, Le epitomi di Plutarco nel Quattrocento, Padova 1962, pp. 36 n., 92 n.; C. Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, Torino 1967, pp. 159-161; P. D'Achille, La "Cronaca Volgare" isidoriana. Testo tre-quattrocentesco di area abruzzese, L'Aquila 1982, ad ind.; T. Mannetti, La presenza a L'Aquila dei Iaconelli di Rieti, in Cultura umanistica nel Meridione e la stampa in Abruzzo. Atti del Convegno… 1982, L'Aquila 1984, pp. 201-227; L. Cesarini Martinelli, Plutarco e gli umanisti, suppl. a Schede umanistiche, n.s., XIII (2000), p. 33; J.-C. Brunet, Manuel du libraire, IV, col. 742; L. Hain, Repertorium bibliographicum, nn. 9309, 13132; Indice generale degli incunaboli, n. 7926.