GUARINI, Battista
Nacque a Ferrara, molto probabilmente alla fine del 1434, dall'illustre umanista veronese Guarino e da Taddea Cendrata.
La data di nascita del G. è stata molto dibattuta. Infatti, mentre per i primi figli di Guarino Veronese l'epistolario ricostruito da R. Sabbadini fornisce dati certi e circostanziati, per la maggior parte delle figlie e per alcuni maschi ci mancano le lettere che ne annunciavano (com'era solito fare Guarino, scrivendo ad amici e parenti) la nascita. La notizia che il G. fosse nato addirittura a Verona nel 1425 (dovuta agli eruditi del Settecento) si spiega facilmente leggendo le lettere n. 545 (settembre 1429) e 548 (9 ott. 1429), scritte a Giacomo Zilioli, nelle quali l'umanista veronese chiede accoratamente notizie di un "Baptista puer dulcissimus", forse un suo figlio di quel nome morto in tenera età, dato che di lui nell'epistolario non vi è più traccia. Sabbadini ipotizzò che Battista fosse nato nel corso del 1438 (Guarini, 1915-19, III, pp. 359, 490), ma l'ipotesi non convince. Quello che è certo è che fra il novembre 1434 e l'agosto 1438 nacquero a Guarino il decimo, l'undicesimo e il dodicesimo figlio (lettere n. 649, dell'ottobre 1434, e 735, del 26 sett. 1438, unitamente alla testimonianza di Leonardo Giustinian in una lettera a Guarino dell'ottobre 1439). Uno di questi tre, probabilmente il primo, fu proprio il G., l'ultimo dei figli maschi di Guarino (e non l'ultimo dei suoi figli, come spesso si legge).
Il G. ebbe per maestri il padre e i fratelli maggiori, ai quali Guarino chiedeva fin da giovani di collaborare alla sua intensa attività di insegnamento. La prima uscita pubblica del G. avvenne il 15 maggio 1452, in occasione della visita ufficiale dell'imperatore Federico III a Ferrara per il conferimento a Borso d'Este del titolo ducale di Modena e Reggio. Collaborò poi al progetto paterno di una raccolta di scritti in onore di Manuele Crisolora con un'epistola indirizzata al padre (datata 15 ott. 1452), nella quale esaltava la grande umanità del dotto bizantino, secondo quanto ne aveva sentito raccontare dal padre stesso. Il 18 ott. 1453, il G. tenne l'orazione inaugurale al corso del padre, De septem artibus liberalibus in incohando felici Ferrariensi Gymnasio, che trattava, con dovizia di citazioni e sottile argomentare, della filosofia e della scienza, della loro suddivisione e del loro uso come base di un serio discorso pedagogico.
Opera fortunata, dalla ricca tradizione manoscritta, presenta molti punti di contatto con l'Oratio Guarini Veronensis quam recitavit in principio Studii Ferrariae coram marchione Leonello et aliis famosis viris (1442; edita dal Müllner nel 1896), e perciò si è da più parti ipotizzato che vi abbia messo mano anche Guarino. Molto elegante dal punto di vista stilistico, l'orazione si occupa di disporre le scienze e le arti in un quadro ben ordinato, tripartendo la filosofia in teorica (suddivisa in teologia, matematica e fisica), etica e logica, in ciò seguendo da vicino la classificazione albiniana (II secolo d.C.), che univa la tripartizione stoica e la bipartizione aristotelica delle scienze. Il lavoro fu molto diffuso nella scuola di Guarino, e nel 1476 l'umanista olandese Rodolfo Agricola compose, sulla falsariga di quella del G., la sua Oratio in laudem philosophiae et reliquarum artium per l'apertura dell'anno accademico.
Dal 1455 al 1457 il G. fu lettore di retorica e poesia nell'Università di Bologna, e per l'occasione tenne una prolusione al corso del 1455 che risulta, a confronto con quella del 1453, più superficiale e schematica. Anche questa però riscosse elogi e ammirazione, come risulta da una lettera indirizzatagli l'8 dicembre da Filippo Tifernate. Una lettera di Guarino a Poggio Bracciolini del 1° nov. 1455 ci informa della necessità del G. di avere in prestito un codice dei Problemata di Aristotele. Studiava anche il commento a Virgilio di Donato: Poggio, cui l'aveva richiesto in prestito, gli ribadisce però la superiorità del commento serviano (lettera del 14 febbr. 1456).
Nel 1456 il G. incontrò (probabilmente a Bologna) Ottaviano Ubaldini, letterato al seguito di Federico da Montefeltro, e ne ebbe in prestito un codice di Catullo che emendò con l'esemplare in suo possesso. È questa la più antica attestazione di un G. attento studioso del testo catulliano, lavoro che lo accompagnerà per tutta la vita: i termini cronologici sicuri sono la lettera dell'Ubaldini del 26 luglio 1456 e il carme di Ludovico Pittorio Bigi al G. (Tumultuariorum carminum libri septem, Mutinae 1492, cc. 2v-3r), nel quale si dice che il G. è ancora occupato a emendare Catullo. Il lavoro verrà pubblicato solo nel 1521, a Venezia, dal figlio del G., Alessandro, il quale aggiungerà al testo emendato dal padre le proprie Expositiones.
Al 1456 risale anche la morte, di peste, del fratello del G., Nicolò, mentre a Treviso svolgeva il ruolo di segretario di Carlo Gonzaga; il G. gli fece erigere un monumento in loco e compose un epitaffio In Nicolaum Guarinum ill. Caroli Gonzagae ductoris scribam Tarvisii sepultum, pubblicato nel 1496 nell'edizione modenese delle sue poesie. Forse nello stesso anno prese in moglie Bettina Brutturi, che in 16 anni di matrimonio darà alla luce 11 figli, solo 5 dei quali, un maschio e quattro femmine, erano ancora vivi intorno al 1472. Verso la fine del 1457 il G. lasciò Bologna, probabilmente per Verona, dove si trovava alla fine del gennaio 1458, quando pronunciò l'orazione di commiato per il podestà Niccolò Marcello, Oratio ad insignem ac patricium virum Nicolaum Marcellum functum pretura Veronensi habita III kal. febr. MCCCCLVIII.
Nel 1458-59 tradusse in latino l'Agesilao di Senofonte, dedicandolo al vescovo di Verona Ermolao Barbaro, con lo scopo (come scrive nel prologo) di tenere in esercizio la sua conoscenza del greco, amorevolmente insegnatogli dal padre. Ma la traduzione sembra più che altro un esercizio scolastico, non riuscendo al G. se non faticosamente la resa della chiarezza espressiva dell'originale greco. A ridosso di essa si pone l'opera più importante del G., il De ordine docendi ac studendi, un manuale di didattica che illustra il metodo di insegnamento e di apprendimento delle discipline umanistiche in uso presso la scuola del padre.
Terminato il 15 febbr. 1459 a Verona, come risulta dalla data apposta alla fine del manoscritto, fu composto in un tempo molto breve, utilizzando anche appunti e note prese dal G. durante le lezioni del padre, ed è dedicato a un suo scolaro, il bresciano Maffeo Gambara. Il trattatello, suddiviso dall'editore moderno in 18 paragrafi, si apre con l'attribuzione della sua paternità morale al vecchio Guarino, dal quale procedono tutti gli insegnamenti e la loro pratica sperimentazione in anni di didattica. Dopo avere esortato i giovani allo studio e avere auspicato per loro l'incontro con un maestro che sia non soltanto uomo dotto ma anche figura patris, secondo l'insegnamento degli antichi, inizia la prima parte del trattato (paragrafi 3-11), dedicata al metodo rigoroso e ordinato di insegnamento. Si parta, raccomanda il G., dalla pronuncia e dalla grammatica e si dedichi molta importanza alla memorizzazione, abituando il discente al Latine loqui. Poi si apprendano con sicurezza i fondamenti della grammatica metodica al fine di raggiungere l'eleganza dello stile. Non si trascuri la metrica, importantissima, la cui comprensione verrà molto aiutata dalla conoscenza del greco. A questo punto, in una piccola digressione, il G. sottolinea con forza l'importanza dello studio del greco per la formazione di una cultura completa e per la maggior comprensione del latino stesso. Fornisce poi l'elenco ordinato degli autori da studiare, invita allo studio del lessico e a utilizzare le traduzioni latine di opere greche per impratichirsi in entrambe le lingue. Passa poi allo studio della grammatica storica, dove invita a leggere le sintesi storiche e le storie universali, poi i poeti in quanto fonte di cultura geografica e nozionistica: di essi dà l'ordine in cui vanno studiati (Virgilio, Lucano, Stazio, Ovidio, Seneca, Terenzio, Giovenale, Plauto, Orazio, Persio). Infine, allo stesso scopo, invita a leggere gli scrittori di cose geografiche (Pomponio Mela, Igino, Solino, Strabone e Tolomeo). Invita da ultimo a far studiare la retorica e il diritto civile.
Comincia a questo punto la seconda parte del trattato (paragrafi 12-16), dove è illustrato l'ordine con cui vanno fatti gli studi da parte dei discenti. Il G. invita allo studio soprattutto allo scopo di trasferire poi il proprio bagaglio di conoscenze ad altri, esortando a non studiare solo per se stessi e a esporre continuamente come esercizio le nozioni già apprese, a leggere più volte e a prendere nota con ordine delle notizie più rare e degne di ricordo, a memorizzare ogni sera questi appunti e una volta al mese un sunto di essi. Raccomanda poi di fare una lettura non trasportata dal sentimento, ma razionale e distaccata e giustifica l'empietà e la turpitudine presenti nei poeti con l'eccellenza dell'arte. Chiude il testo una calda esortazione allo studio.
Il De ordine, sicuramente letto e forse rivisto dal vecchio Guarino (che scrisse al figlio una lettera di elogio, in Guarini, 1915-19, n. 911, 17 apr. 1459), malgrado lo stile non sempre chiaro e scorrevole ebbe notevole diffusione. Pubblicato a Ferrara da A. Belfort nel 1474 circa e nel 1490 circa, a Heidelberg nel 1489 da H. Knoblochtzer e a Strasburgo nel 1514 da M. Schurer, è conservato anche in diversi manoscritti. Un'edizione moderna fu curata da B.G. Struve, Baptistae Guarini, De ordine docendi et studendi libellus… addita praefationede formandorum studiorum scriptoribus (Jena 1704).
Il 4 dic. 1460 morì il vecchio Guarino, e due giorni dopo il Consiglio dei dodici savi di Ferrara diede al G. la cattedra che era stata del padre (senza tenere conto di una pressante sollecitatoria indirizzata dall'umanista Ludovico Carbone al duca Borso al fine di ottenere la cattedra), probabilmente con lo stipendio di 50 lire marchesane, accresciute a 100 nel 1467. Alla fine dello stesso anno il G. si recò dal duca Borso per chiedergli di erigere un monumento al padre a spese pubbliche. Il 24 dicembre la proposta fu portata in Senato da Paolo Costabile e approvata, a patto che i figli si accollassero parte della spesa. Nell'ottobre 1468 il monumento era collocato a sinistra dell'altare maggiore, nella chiesa dei carmelitani di S. Paolo; tuttavia, chiesa e monumento crollarono nel 1570 a causa di un terremoto.
Dal 1460, diversamente dal padre, il G. insegnò sempre a Ferrara, portando avanti la fama e il buon nome della scuola ferrarese. Fra i molti suoi allievi illustri, si ricordano il Regiomontano (Johan Müller) nel 1462-63, Rodolfo Agricola (Roelof Huusman) nel 1475-79, l'ungherese Peter Garázda intorno al 1469, Giovanni Pico della Mirandola e Aldo Manuzio dal 1479, Celio Calcagnini e Lilio Gregorio Giraldi alla fine del secolo, e ancora Iacopo Costanzi, Daniele Fini, Bartolomeo Fonzio, Ercole Strozzi, Tebaldo Tebaldi.
Fitta l'attività del G. a latere dell'insegnamento. Tra la fine del 1460 e l'inizio del 1461 va posta l'orazione inaugurale al suo primo corso ferrarese, Pro incohanda lectione Ferrariae post clarissimi patris interitum oratio (Arezzo, Biblioteca della Fraternita dei laici, Mss., 459, cc. 99r-108v). Del 1461-63 è una consolatio a Iacopo Antonio Marcello per la morte del giovane figlio Valerio. Nell'estate 1463 il G. tradusse un frammento dalla Storia romana di Cassio Dione, il discorso di Marco Antonio ai funerali di Cesare (l. XLIV, capp. 36-49): Oratio M. Antonii in C. Caesaris funere habita ex Dione in Latinum per Baptistam Guarinum conversa. Il testo, tramandatoci in due versioni piuttosto diverse fra loro (Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat., 2930, cc. 22v-30v; e Budapest, Biblioteca naz. Széchényi, Codd. Lat. Medii aevi, 423 [già Vindobon., 109], cc. 10v-17r: cfr. P.O. Kristeller, Iter Italicum, IV, p. 295), testimonia un accurato labor limae. Altra traduzione in latino, da ascriversi agli anni 1464-70, è quella dell'orazione di Demostene contro Eschine De praevaricata legatione, preceduta da una lettera non datata al segretario della Repubblica veneta Marco Aurelio, che gli aveva commissionato il lavoro. Purtroppo il testo è giunto incompleto per la mancanza di diversi fogli al manoscritto che l'ha tradito, il Vindob. Palat. 3512 della Österreichische Nationalbibliothek di Vienna (cc. 6-35).
Nel 1465 il G. rivide a Ferrara un vecchio compagno di studi alla scuola del padre, Giano Pannonio, venuto in Italia con una delegazione di magnati ungheresi per rendere omaggio al nuovo papa Paolo II. Due anni più tardi, in una lettera a Giovanni Bertuccio (in alcuni manoscritti intitolata Iani Pannoni episcopi Quinquecclesiensis de vita et laudibus epistola), il G. lo difenderà con forza dalle accuse dei suoi detrattori e ne elogerà la poesia. Nel dicembre 1469 il Pannonio spedì al G. il suo Panegyricus in Guarinum Veronensem e l'amicizia con l'umanista ungherese continuò fino alla sua morte, alla quale il G. accennerà con tristezza nella lettera a Niccolò Bendidio del 22 giugno 1472.
Al luglio 1467 risale una Interpretatio del G. sopra il De senectute di Cicerone (Bologna, Biblioteca universitaria, Mss., 1433 [già 2719], cc. 85-134). Nel 1471 uscì il commento di Servio a Virgilio: In Vergilii carmina commentarius a Baptista Guarino emendatus (Venezia, C. Valdarfer); la redazione era quella del vecchio Guarino, ma il G. la rivide integralmente e ne ampliò il testo, che il padre aveva in parte antologizzato.
Nello stesso anno e dallo stesso tipografo uscì anche una seconda emissione, in tutto uguale alla prima tranne l'aggiunta finale di una parte mancante nell'edizione guariniana (il commento ai versi 933-952 dell'ultimo libro dell'Eneide) e il cambiamento del colophon, che attribuiva (con vistoso tentativo di plagio) l'accurata emendazione a Ludovico Carbone.
Alcuni lutti colpirono il G. in questi anni. Nell'aprile 1469 vi fu la morte di Ludovico Casella, referendario del duca di Ferrara e suo amico, per il quale compose un epigramma funebre (poi incluso nella sua raccolta del 1496) e un discorso commemorativo ufficiale; il 19 ag. 1471 quella del duca Borso, dal quale il G., che aveva già ricevuto segni tangibili di stima e benevolenza, si aspettava aiuti e donazioni. Per conto del duca si era recato in ambasceria in Francia; nel 1466 Borso gli aveva fatto aumentare per decreto di 10 lire al mese lo stipendio e nel 1469 lo aveva fatto esentare dal pagamento di certe gabelle per un acquisto di terreni; infine, nel 1470, insieme con il fratello Leonello, lo aveva investito di un feudo in Mellara. Sempre nel 1471 si ammalò gravemente alle gambe l'unico figlio maschio del G. ancora vivo, Alessandro. L'anno seguente gli morì prematuramente la moglie Bettina (in seguito si risposò con Leucia Zendrati).
Tornò agli studi occupandosi soprattutto di Cicerone. Sono del 1474 due manoscritti, uno con note marginali alle Filippiche attribuite al G., contenute nel cod. 440 (già 748) della Biblioteca universitaria di Bologna, l'altro con dodici orazioni ciceroniane annotate a margine da una mano che è stata identificata con quella del G., nel ms. 277 (già 466) della stessa biblioteca. Negli anni 1475-79 fu impegnato nella stesura dell'ampio e sistematico commento della retorica ciceroniana, conservato presso la Biblioteca nazionale di Firenze (Commentarii in Rhetoricos Ciceronis sub Guarino collecti, Mss., II.I.67 [già Magl., VI.25], cc. 1-179). Si occupò anche delle Satire di Giovenale, scrivendone una Expositio, parzialmente conservataci nel ms. II.103 della Biblioteca comunale di Ferrara, insieme con una sua Vita di Giovenale.
Nel 1472 il G. scrisse una lettera al duca Ercole I per protestare contro una deliberazione del 1462 secondo la quale il Comune doveva applicare alcune trattenute dallo stipendio dei suoi ufficiali, compresi i professori dello Studio. Alla delibera si era già opposto con successo Carbone nel 1469 e, citando tale precedente, anche il G. riuscì a evitare la tassazione. Nel 1474 raggiunse lo stipendio di 500 lire marchesane per la sua attività allo Studio. I suoi continui rapporti con colleghi umanisti ci vengono restituiti dalle poche lettere di lui sopravvissute, dalle quali ricostruiamo il circolo letterario ferrarese, del quale facevano parte, oltre al G., anche Antonio Cittadini, Niccolò Leoniceno, Pietrobono Avogario, Ludovico Carbone, Luca Ripa, Aristofilo Manfredi, Beltramo Costabili, Girolamo Castelli e Ludovico Pittorio Bigi.
Probabilmente fra il 1477 e il 1487, il G. fu impegnato nella traduzione in latino di un testo in volgare, il terzo dei Memoriali di Diomede Carafa, precettore di Eleonora d'Aragona, intitolato nei manoscritti De regentis et boni principis officiis, che la duchessa di Ferrara volle commissionargli allo scopo di favorirne la diffusione presso gli ambienti letterari più elevati. Del 22 sett. 1477 è una consolatoria all'amico Ludovico Parisi, per la morte del padre Alberto, e dell'agosto 1478 un'altra al mantovano Giovan Francesco Genesso per la morte del fratello Ludovico, nella quale gli ricorda la propria dolorosa sequela di lutti: a lui sono infatti morti, in pochi anni, ben quattro fratelli versati in studi umanistici, due sorelle, molti nipoti e soprattutto la propria moglie e nove figli. All'inizio dell'anno seguente va registrato un nuovo evento luttuoso per il G., la morte della figlia Paola, legata da rapporto di amicizia con la duchessa Eleonora. Spettò a Tito Vespasiano Strozzi consolare l'amico in un'epistola datata 1° febbr. 1479.
È in questi anni che comincia l'attività di traduttore in volgare di testi del teatro classico, che il G. intraprese per conto del duca Ercole I.
Del febbraio 1479 è la traduzione del Curculio plautino, mentre già era stata composta quella dell'Aulularia (e forse di altre commedie, delle quali non è pervenuta notizia). Nel 1486 si colloca la traduzione dei Menaechmi (la traduzione, intitolata Menechini e conservata in due redazioni databili 1486 e ante 1491, è stata di recente di nuovo attribuita al G.: sarebbe dunque l'unica sua traduzione plautina giunta fino a noi). Infine, nel gennaio 1498 e nel settembre 1499 furono tradotti il Trinummus e lo Pseudolus. Dalle lettere del G. al duca Ercole e a Isabella d'Este rimasteci, scritte in volgare, si coglie una matura ricerca stilistica, che tende ad abbandonare la resa letterale per una traduzione che colga il senso del teatro plautino e cerchi di rendere, anche con ardite modernizzazioni lessicali, vivo e realizzabile il senso della scena e la loro ancora efficace teatralità. Significativi sono, a questo proposito, i rimproveri rivoltigli dal duca Ercole, che dimostrò di non apprezzare la mancata aderenza al testo latino e di non curarsi della destinazione scenica dei testi in questione, rappresentati durante i festeggiamenti della corte ferrarese.
La situazione finanziaria del G. non era però delle migliori, se in una lettera del 5 sett. 1481 al referendario ducale Paolo Antonio Trotti lamentò le proprie ristrettezze economiche e gravi violazioni alle sue proprietà in territorio ferrarese. Allo stesso Trotti, l'anno seguente, il G. chiese che fosse assegnato al fratello Leonello l'ufficio di capitano della cittadella di Sassuolo al posto di Filippo Calefino. Intorno al 1481-82 il G. fu nominato precettore di Isabella d'Este, figlia del duca Ercole e di Eleonora d'Aragona, e nel 1482 ricevette l'incarico, da parte del marchese di Mantova Federico Gonzaga, di comporre alcuni epitaffi per la morte (avvenuta nel 1479) della moglie Margherita di Baviera.
Intanto si profilavano tempi bui per Ferrara. Nel 1483, disgustato dal clima imposto dalla guerra tra Ferrara e Venezia, non potendo continuare a insegnare allo Studio e lamentando anche la perdita di alcune sue possessioni nel Ferrarese, il G. chiese licenza al duca Ercole e si mise di nuovo in contatto con il Gonzaga, offrendogli i suoi servigi come precettore dei figli (lettera al Gonzaga del 4 maggio 1483). La risposta, qualche giorno dopo, fu però negativa, soprattutto per le intollerabili spese che affliggevano il Gonzaga in quel periodo. L'anno seguente la situazione non migliorò per il G., costretto a chiedere a P.A. Trotti di intercedere presso il duca "che io habia lo salario intiero de l'officio", perché già da due anni lo affliggevano problemi finanziari, e anche il fratello Leonello si trovava nella stessa situazione (lettera dell'11 genn. 1484 da Sassuolo). Ma anche l'appoggio del Trotti gli venne a mancare pochi anni dopo, con la morte del referendario, l'8 luglio 1487.
Nel 1489 alcune lettere testimoniano uno scambio epistolare fra il G., Pico della Mirandola e il Poliziano, circa giudizi sulle loro rispettive opere e problemi di linguistica, ortografia e metrica.
Da una lettera in risposta a Pico del dicembre 1489, nella quale il G. dice di non avere il tempo per preparare il catalogo dei libri della propria biblioteca, e da una visita di Giano Lascaris nel 1490, colpito dai diversi codici di opere rare visti fra i suoi scaffali, abbiamo conferma del fatto che la biblioteca del G. era stimata fra le più interessanti dell'epoca per la qualità e rarità dei testi. Nel 1892 H. Omont ha pubblicato una lista di 54 titoli (dal ms. Collection Dupuy, 651, cc. 254-255, della Bibliothèque nationale di Parigi), credendo che alludesse alla biblioteca di Guarino, ma in seguito è stata riconosciuta come l'elenco dei libri del G., stilato forse dopo la sua morte.
I problemi finanziari continuarono ad assillare il G. ancora nel 1490, quando supplicò il duca Ercole di far sì che egli fosse pagato di mese in mese, o al massimo ogni due mesi, per evitare che le difficoltà finanziarie lo distogliessero dagli studi. Nel 1491 lo troviamo, come precettore, a fianco del giovane principe Alfonso, figlio di Ercole e di Eleonora d'Aragona, che nel 1492 accompagnò in un viaggio diplomatico-culturale lungo l'Italia, fermandosi anche a Milano, a Genova e a Roma. Del 1492-93 restano non poche lettere a Eleonora d'Aragona e alla di lei figlia Isabella d'Este. In una di queste (del 28 genn. 1493) tesse le lodi del suo allievo Niccolò Panizzato.
La duchessa Eleonora d'Aragona morì l'11 ott. 1493 e il giorno dopo il G. recitò l'Oratio funebris in excellentissimam reginam Elleanoram Aragoniam, incliti ducis Herculis Estensis coniugem, pubblicata a Ferrara, probabilmente dal Belfort, alla fine di ottobre dello stesso anno. Pochi giorni dopo, il 17 ottobre, il G. scrisse a Isabella una lettera consolatoria, mentre il 2 novembre le inviò copia dell'incunabolo appena stampato. Non è invece facile stabilire se, intorno al 1494, il G. fece realmente un viaggio a Venezia con Alfonso d'Este, partecipando poi a un dibattito sulla rinascita della lingua latina con Ermolao Barbaro, Gerolamo Donato, Marco Dandolo, Sebastiano Priuli, Nicola Lipanano, Daniele Rainero e Benedetto Brugnoli. La notizia è riportata da M.A. Sabellico nel suo De linguae Latinae reparatione, in cui viene trascritto un lungo testo, la Baptistae Guarini dissertatio, che secondo Piacente potrebbe corrispondere, se non stilisticamente almeno sotto il profilo contenutistico, a un reale testo guariniano. Al 1493-94 data la polemica fra il G. e Filippo Beroaldo senior, autore di un commento a Svetonio, sul quale anche il G. stava lavorando in quel periodo. Nel 1495 Aldo Manuzio dedicò al G., suo vecchio maestro, la sua edizione di Teocrito (stampato insieme con opere minori di Esiodo e altri poeti greci), elogiandone nella prefazione l'alto magistero. È significativo che sia proprio un'edizione di Teocrito, quasi a riconoscere al G. il merito di avere avviato, con la sua attività didattica e poetica, la circolazione del poeta greco, contribuendo alla restaurazione della poesia pastorale in Italia. A conferma di ciò, il 18 sett. 1496, uscì a Modena, per i tipi di D. Rocociolo, la raccolta di poesie latine del G., Poema divo Herculi Ferrariensium duci dicatum. Bucolicum carmen.
Il Poema è suddiviso in quattro libri, in prevalenza distici elegiaci, tre di poesie varie e il quarto di epigrammi, per un totale di circa 5000 versi, con poesie per la maggior parte brevi; il Bucolicum carmen è composto da tre ecloghe in esametri, per un totale di 270 versi, con protagonisti i pastori Corydon e Tyrus, Tragilus e Tytilus, Battus e Maemalus. Fra i vari testi vi è anche la traduzione in latino di un'opera di Mosco, il Carmen in amorem fugitivum ex graeco Luciano sive Moscho.
Ancora molto controversa resta l'attribuzione al G. della poesia elegiaca Alda, per lungo tempo attribuita al padre (anche da W.H.D. Suringer nella sua edizione dell'opera, Leida 1867), la cui composizione dovrebbe essere di non molto anteriore al 1464. Altre poesie latine del G., escluse dall'incunabolo, sono contenute in un manoscritto autografo conservato a Venezia (Biblioteca naz. Marciana, Mss. lat., cl. XII, 135).
Nel settembre 1496 Isabella d'Este ammise, con atto pubblico, il G. fra i suoi nobili domestici, e gli concesse esenzione di dazi e gabelle entro il territorio del Ducato (altre esenzioni gli erano state concesse per decreto da Ercole I il 20 genn. 1487). Anche grazie a ciò, la situazione finanziaria del G. migliorò, al punto da convincerlo a utilizzare un terreno sito in Ferrara, sulla via degli Angeli, donatogli all'inizio del 1497 dal duca Ercole, per la costruzione di una nuova casa, per la quale chiederà anticipi sui suoi salari del 1497 e del 1498 (ma nell'ottobre 1498 la costruzione non era ancora finita).
Nulla si sa degli ultimi anni del G., ma l'assenza di notizie su sue attività di studio fa pensare che ne fosse distolto a causa di problemi finanziari e di salute.
Il G. morì a Ferrara in una data collocabile tra il 22 luglio e il 4 ag. 1503.
L'allievo Niccolò Panizzato chiese (proprio come aveva fatto Carbone alla morte del vecchio Guarino) di succedergli alla cattedra dello Studio ferrarese, ma anche in questo caso il successore fu un Guarini, cioè il figlio del G., Alessandro.
Opere. De ordine docendi ac studendi, a cura di L. Piacente, Bari 1975; Opuscula, a cura di L. Piacente, ibid. 1995 (contiene, oltre al De ordine, 25 epistole, 5 orazioni, 3 epitalami, il testo del Sabellico sulla rinascita del latino, 5 traduzioni in latino, 10 versi extravagantes non inclusi nell'incunabolo né nella silloge marciana e 10 epistole al G.); La didattica del greco e del latino: De ordine docendi ac studendi e altri scritti, a cura di L. Piacente, ibid. 2002; traduzione inglese antologica del De ordine in W.H. Woodward, Vittorino da Feltre and other humanist educators: essays and versions, Cambridge 1897, pp. 159-178; più recente e completa, con il titolo A program of teaching and learning, in Humanist educational treatises, a cura di C.W. Kallendorf, Cambridge, MA, 2002, pp. 260-310.
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