BECCARIA
. Antica famiglia di Pavia, tuttora vivente, d'origine incerta. Personaggi storici di questa famiglia appaiono solo nel sec. XII. Nel 1180, un Lanfranco B. è podestà di Tortona. Un Murro (altri Moro) verso la metà del '200 sostiene la suprema magistratura di Pavia e organizza la difesa della città contro Manfredo Lancia Malaspina, podestà di Milano; poi è podestà di Bergamo (1251-52) e di Piacenza (1258). Morì nel 1259, secondo altri nel 1262. È di questo stesso tempo l'abate Tesauro di Vallombrosa "gentileuomo dei signori da Beccheria di Pavia in Lombardia" (Giov. Villani, Ist. fior., VI, c. 65), accusato di favorire i ghibellini; ricordato da Dante (Inf., c. XXXII, v. 118 segg.). Questo abate sanzionò gli statuti abbaziali di Vallombrosa nel 1253. Zannone o Giovannone, figlio di Murro, podestà di Alessandria nel 1258, di Voghera l'anno dopo, e capitano del popolo a Pavia, nel 1267, afferma in Pavia la potenza della famiglia, come capo incontrastato dei ghibellini popolani. Delineatosi verso il 1290 il contrasto fra le due famiglie B. e Langosco, contrasto aggravato dalla rivalità quasi perenne fra Pavia e Milano, fedele quella all'Impero, ostile ad esso questa, il conflitto delle due parti per la supremazia locale doveva provocare l'alternarsi, nel dominio, delle due famiglie. Prima, dal 1290, dominò quella dei B., con Manfredi I, figlio di Zannone, ritenuto non inferiore in potenza ai Visconti, che sostenne l'urto dell'espansione di questi, appoggiandosi ai marchesi di Monferrato e di Saluzzo. Venuto alla signoria nel 1300 Filippone, conte di Langosco, i B. dovettero esulare. La discesa di Enrico VII, ristabilendo i Visconti a Milano, procurò un appoggio ai B. fautori dell'impero, e Manfredi rientrò in patria nel 1315, dopo aver concluso con i Visconti un patto d'amicizia che rasentava il vassallaggio. Morì il 22 marzo 1322 e gli successe il figliuolo Musso, che mantenne verso i Visconti le stesse relazionî iniziate da suo padre. Pertanto, durante la lotta tra Giovanni XXII e i Visconti, i Beccaria furono coinvolti nelle stesse censure dei Visconti, e più volte scomunicati. Fra essi, il più notevole fu Beccario, cavaliere imperiale, giureconsulto di chiara fama, vicario di Monza (1315), podestà di Savona e di Como per due volte, di Milano (1325), di Bergamo, di Mantova, di Vercelli, di Lucca, di Genova, di Asti. Di lui rimane un codice dantesco, il cod. Beccario, in Piacenza. Nel 1336, fece allestire e ornare la cappella del Sacramento, nel duomo di Pavia, dove poi fu tumulato (1356). Per tutto questo periodo, il più glorioso dei B., essi vissero, come dice M. Villani, "parenti stretti e dimestichi della mensa dei Visconti". Dai Visconti, i B. ebbero aiuti contro Giovanni di Boemia e contro Ludovico il Bavaro, per mantenere o per ricuperare il dominio di Pavia, ma soprattutto per estendere i proprî possessi nell'ampia zona dell'Oltrepò e della Lomellina. I B. la munirono tutta di fortezze e la governarono con piena giurisdizione e con autorità di conti palatini. Tanta potenza illuse i B., dopo la rovina di Giovanni di Boemia, di poter costituire una signoria indipendente a cavaliere del Po, tra la Sesia e il Lambro e sui fianchi dell'Appennino. Un primo vano tentativo (1342) ricollocò Pavia sotto la doppia supremazia dei Visconti e dei B., ma con una più stretta dipendenza verso Milano. Quando, nel 1354, l'arcivescovo Giovanni Visconti fece conoscere il proposito di assumere il diretto dominio di Pavia, i B. sentirono crescere attorno a loro l'opposizione, già delineatasi, degli eremitani dî S. Agostino, che predicavano e volevano la restaurazione della vecchia autonomia comunale e un regime democratico. Le condizioni economiche create alla popolazione dai B., e la predicazione di fra' Iacopo Bussolari (1356), costrinsero i B. a lasciare Pavia. Con l'assoluto dominio della città acquistato da Galeazzo II nel 1359, mediante l'aiuto di Giorello B., figlio di Musso, i B. furono riammessi in Pavia e riconfermati nei loro possessi e nei vecchi privilegi: ma vissero come semplici cittadini, ansiosi soltanto di ricuperare il primato politico di un tempo, che tentarono invano di riavere dopo il 1402, durante la minorità dei due figli di Gian Galeazzo. Filippo Maria, come fu proclamato duca di Milano, volle spegnere nei B. ogni aspirazione di dominio e mandò a morte Lancellotto e Castellino B. accusati di cospirare contro di lui (1415-18). Fu la fine del vecchio feudalesimo pavese, che di poi si volse allo studio e ad opere di chiesa. Un Francesco B., già condottiero dei cavalli del duca Filippo Maria Visconti, e soldato del re di Francia, si ritirò nel convento francescano di Monteluco presso Spoleto ove morì il 16 agosto 1454. Altri B. quali Ludovico e Pietro si trovano lettori di giure nell'Università di Pavia, l'uno nel 1431, l'altro nel 1443. Il Robolini afferma che Cesare B. ha tratto origine dai B. del ceppo pavese.
Insegna di questa famiglia è un'aquila bicipite coronata, sotto cui sono partiti in cinque piani i 13 monticelli rossi in campo d'oro. Lo stemma dei B. si vede nell'esergo della rara moneta aurea dei B., detta zecchino, di cui un solo esemplare esiste ora in Pavia, e su cui leggesi: Mus(ius) Beca(ria) Pav(ie) Prin(cipes).
Bibl.: G. A. Boni, Beccariae gentis Monumenta, Papiae 1580; S. Marini, Beccariae gentis immagines, Ticini 1585; F. Sansovino, Della origine... delle famiglie illustri, Venezia 1609; G. Robolini, Notizie apartenenti alla storia della sua patria, Pavia 1823-1834; Testoni e Saladini, Teatro araldico, Lodi 1841; G. Romano, I Pavesi nella lotta fra Giovanni XXII e M. e G. Visconti, Pavia 1889; id., Eremitani e canonici regolari in Pavia, in Arch. St. Lomb., 1895; M. Caffè, Beccario Beccaria, ibid., 1881, pp. 522-527; A. Cerioli, Pietra de' Giorgi nell'Oltrepò Pavese, Milano 1907, II, pp. 267 segg.