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BELISARIO

di Angelo Pernice - Enciclopedia Italiana (1930)
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BELISARIO

Angelo Pernice

. Nacque circa il 500 d. C. in un luogo al confine fra la Tracia e l'Illiria. Fece le sue prime armi sotto Giustino (v.) in Armenia e in Mesopotamia contro i Persiani; raggiunse allora il grado di comandante della fortezza di Dara, distinguendosi per il suo coraggio e per l'ascendente sulle truppe. Salito al trono Giustiniano, B. che gli era da lungo tempo amico, fu nominato magister militum per Orientem, ed ebbe il compito di por fine alla guerra coi Persiani. Pur disponendo di forze inferiori alle nemiche, egli riuscì a sconfiggere i Persiani presso Dara, grazie soprattutto alla sapiente disposizione tattica delle sue milizie (giugno 530). La vittoria, tuttavia, non fu decisiva; e l'anno seguente, quando i Persiani tornarono all'offensiva, B. dovette oltrepassare l'Eufrate per tagliare al nemico la via per Antiochia. Data la sproporzione delle forze, egli aveva deciso di evitare una battaglia campale; ma scontratosi con l'esercito persiano presso Sura, pare per iniziativa dei suoi generali in disaccordo con lui, dovette impegnarsi a fondo. L'esito della battaglia fu disastroso: fu una fortuna se B., con sapiente e pericolosa manovra, poté trarre in salvo a Callinicum, al di là del fiume, i superstiti del suo esercito. Richiamato a Costantinopoli, fu destituito (fine del 531).

Ma non rimase a lungo nell'ombra. Il 13 gennaio 532, scoppiò a Costantinopoli, nell'ippodromo, una terribile rivolta contro Giustiniano. B., per volontà di Teodora, ebbe l'incarico di domare la rivolta. Egli assolse l'incarico con un'azione estremamente energica. La repressione fu spaventevole, se è vero, come ci riferiscono gli storici contemporanei, che non meno di trentamila persone giacquero al suolo. In ricompensa della sua fedeltà, B. fu prima reintegrato nel suo grado e quindi messo a capo d'un esercito che Giustiniano destinava alla riconquista dell'Africa (v. giustiniano). B. partì per la conquista di quel regno il 22 giugno 533, con un piccolo esercito di circa 15.000 uomini. Egli aveva il titolo di generalissimo (στρατηγός αὐτοκράτωρ) e di magister militum per Orientem. Sbarcato ai primi di settembre a Caput Vada, località quasi deserta, il generale bizantino sgominò l'esercito nemico nelle due battaglie di Decimum (13 settembre) e Tricamarum (dicembre 533), inseguendo di luogo in luogo Gelimero, re dei Vandali, fino a costringerlo alla resa (marzo 534). In meno di sette mesi il regno dei Vandali era abbattuto e l'impero riportava il confine alle Colonne d'Ercole. Compiuta la conquista, B. fu richiamato alla capitale, e per volere di Giustiniano gli furono tributati con grande sfarzo, nell'ippodromo, gli onori del trionfo, che da secoli nessun privato aveva più ottenuti. L'anno seguente B. fu creato console.

Ma prima che spirasse il termine del suo consolato, egli ebbe l'incarico di muovere alla conquista dell'Italia, impresa che si presentava più rischiosa, poiché gli Ostrogoti avevano forze e disciplina ben più salde che i Vandali. B. decise di attaccare il nemico in due punti: nella Dalmazia e in Sicilia, per dividerne le forze. Contemporaneamente la diplomazia bizantina induceva i Franchi ad assalire i Goti nella Liguria. La campagna si aprì sotto i migliori auspici. Mentre Mundus assaliva la Dalmazia, avanzandosi fino a Salona, B. sbarcava a Catania e in breve tempo s'impadroniva di tutta la Sicilia (fine del 535). I negoziati che il re Teodato condusse con Giustiniano per un accordo, e più che altro un'insurrezione di Berberi e di milizie barbariche in Africa, insurrezione che costrinse B. ad accorrere a Cartagine, portarono a una sospensione delle ostilità nell'inverno. Ma nel giugno seguente (536) la campagna fu ripresa per essere condotta a fondo. L'anno precedente B. era partito con un esercito che si aggirava intorno ai 10.000 uomini: è presumibile che questo contingente fosse ora piuttosto diminuito che accresciuto per le guarnigioni stabilite a presidio dell'isola e per le milizie inviate in Africa. Col tempo, senza dubbio, egli ricevette rinforzi; ma essi furono sempre inadeguati alle esigenze della guerra, e a ciò si deve principalmente se la campagna si prolungò per quattro anni. Gl'inizî, ad ogni modo, furono fortunati. Sbarcato nel maggio del 536 in Reggio, B. poté avanzare senza ostacolo fino a Napoli. Le popolazioni, avverse ai Goti ariani, lo accoglievano come liberatore; le poche guarnigioni gotiche o si ritiravano o deponevano le armi senza combattere. La prima seria difesa fu tentata in Napoli, ma senza successo: la città, assediata per terra e per mare, dopo tre settimane fu espugnata.

Di fronte alla rapida avanzata di B., Teodato si mostrò così irresoluto, che una parte del suo esercito insorse contro di lui e l'uccise. A re dei Goti fu acclamato Vitige. Ma i Goti perdettero allora un tempo prezioso: e B. ne approfittò per occupare Roma e metterla in stato di difesa con febbrile energia, sì che quando nel marzo successivo Vitige comparve dinnanzi alla città con un esercito formidabile (150.000 uomini secondo Procopio), convinto d'impadronirsi di Roma al primo assalto, la sua speranza fu delusa dalla sagacia del generale bizantino.

Durante l'assedio Belisario depose ed esiliò il papa Silverio (v.), sotto l'accusa di essere in relazione col re dei Goti, ma in realtà per compiacere all'imperatrice Teodora, la quale sul seggio episcopale di Roma desiderava un papa meno ostile alla sua azione favorevole ai monofisiti.

L'assedio si prolungò per oltre un anno, finché, nel marzo 538, Vitige fu costretto a ritirarsi per provvedere alla difesa di Ravenna e del Piceno, minacciati da altre milizie imperiali, sbarcate nell'ínverno sulla costa adriatica. Poco dopo anche B. lasciò Roma per congiungersi con un nuovo esercito che Giustiniano mandava in Italia sotto il comando di Narsete.

Il disaccordo fra i due generali rese per lungo tempo impossibile l'attuazione di un piano organico ideato da B., sì che la guerra si svolse con esito vario. Finalmente Giustiniano richiamò in oriente Narsete, lasciando a B. tutto il comando delle truppe che operavano in Italia. La guerra allora volse rapidamente al suo epilogo: per la difesa della Liguria fu stabilito un campo trincerato presso Tortona; furono espugnate Fiesole e Osimo; furono indotti i Franchi, divenuti troppo pericolosi, oltre che per i Goti, per gli stessi Bizantini, a ripassare al di là delle Alpi. Vitige stretto da ogni parte si ridusse a Ravenna, dove alla fine del 539 B. venne ad assediarlo. Il re goto non seppe o non poté a lungo prolungare la difesa; e dopo alcuni mesi di resistenza offrì la resa, a condizione che fosse riservato ai Goti il possesso dell'Italia settentrionale transpadana. Giustiniano, in quel momento minacciato da un'invasione slava sul Danubio e dai Persiani sul confine mesopotamico, si mostrò disposto alla soluzione proposta da Vitige. B., al contrario, era sicuro del successo finale e non voleva arrestarsi a metà. Fu questa l'unica volta che il generale oppose la volontà propria a quella dell'imperatore; e ciò, senza dubbio, dovette provocare il risentimento di Giustiniano e dar corpo ai sospetti che cortigiani malevoli gli sussurravano sulla fedeltà del suo generale. I Goti, ammirando il coraggio e il valore di B. e interpretando forse la sua resistenza agli ordini dell'imperatore come segno di un'alta ambizione, gli proposero di divenire loro re e di ricostituire a suo profitto e con le loro forze l'impero d'Occidente. B. finse di accettare e domandò che gli si aprissero le porte di Ravenna; ma quando fu padrone della città, egli dichiarò che nulla desiderava per sé, e vi proclamò l'autorità dell'imperatore (maggio 540). Poco dopo, richiamato da Giustiniano, B. partiva per Costantinopoli conducendo seco Vitige, i principali dei Goti, e il tesoro di Teodorico. Ma per quanto gloriosa fosse stata la sua impresa, egli non ebbe questa volta l'onore del trionfo: troppa ombra davano all'imperatore e la sua gloria e la sua immensa popolarità. Poco dopo, anche per questa ragione, fu allontanato da Costantinopoli e inviato sul confine mesopotamico, ove era scoppiata la guerra con la Persia.

Da questo momento la fortuna di B. comincia a declinare, non certo per l'indebolirsi delle sue capacità militari, ma per l'invidia del sovrano, che lo cacciò in imprese rischiose e difficili negandogli i mezzi indispensabili per compierle con onore, per la sorda ostilità degli altri comandanti. Al comando dell'esercito orientale egli stette due anni, dibattendosi in continue difficoltà e in lotta con la moglie Antonina, che, sostenuta da Teodora, non faceva mistero dei suoi amori con un certo Teodosio. Nonostante ciò, B. liberò il territorio dell'impero dai Persiani e costrinse Cosroe alla pace. In ricompensa egli fu privato del comando (542) sotto l'accusa di avere, durante una grave malattia di Giustiniano, dichiarato in un consiglio di generali che, se l'imperatore fosse morto, l'elezione del suo successore non avrebbe potuto farsi se non in accordo con i capi dell'esercito; ma in realtà perché la sua potenza dava troppa ombra. Ma la corte non poteva fare a meno di lui e nel 544, reintegrato nel comando, fu spedito nuovamente in Italia.

Qui, dopo la sua partenza da Ravenna, la situazione si era mutata rapidamente. I Goti erano stati vinti ma non domati del tutto: e dopo il richiamo di B., l'Italia era divenuta nuovamente loro preda. Guidati da Totila, i Goti erano riusciti fra il 541 e il 544 a rioccuparla quasi del tutto. Per B. si trattava ora di una nuova conquista, ma in più difficili condizioni che otto anni innanzi, poiché le popolazioni italiche, oppresse dalla lunga guerra e dalle gravezze fiscali che il governo imperiale aveva già loro imposto, non erano più favorevoli ai Bizantini e perché i Goti erano ora guidati da un capo di grandi capacità militari. Inoltre egli era inviato in Italia con forze scarsissime, e senza mezzi finanziarî che gli consentissero l'arruolamento di un nuovo esercito. Ed egli, appena arrivato in Italia, dopo aver tentato di raccogliere a proprie spese soldati in Dalmazia, si rese ben conto delle difficoltà dell'impresa e scrisse all'imperatore una lettera, in cui gli prospettava tutta la gravità della situazione (Procopio, Guerra gotica, ed. Comparetti, II, pp. 278-9). Ma alle sue richieste o non si rispose oppure si rispose con l'invio di piccoli riparti del tutto insufficienti anche a una tattica difensiva: così fu lasciato per quattro anni a logorarsi in vani tentativi. Corse da Ravenna a Roma, che riuscì a occupare solo perché era stata abbandonata da Totila, da Roma a Messina, da Messina a Rossano senza ottenere alcun sensibile successo; in ultimo, sfiduciato, ammalato per le fatiche e i dispiaceri, ottenne di essere esonerato dal comando e richiamato nella capitale (548). L'ultima impresa militare di B. fu la difesa di Costantinopoli nel 559 contro gli attacchi dei Bulgaro-Slavi. Gl'invasori furono ricacciati con gravi perdite.

Il resto della sua vita B. lo trascorse in Costantinopoli. Non però nell'abbandono e nella miseria, come una tarda leggenda favoleggiò; ma fra gli agi che le sue immense ricchezze, accumulate con mezzi non del tutto leciti durante le sue spedizioni, gli consentivano, e gli onori che Giustiniano gli conferì fino all'altimo. Tuttavia nemmeno allora egli fu al riparo dai colpi dei suoi rivali: nel 562 fu accusato di essere stato a conoscenza e forse complice di una congiura che allora si ordì contro Giustiniano, e cadde per la terza volta in disgrazia. Anche questa volta tuttavia si rilevò; dopo alcuni mesi di arresto, caduto il suo più accanito avversario, il prefetto della città Procopio, B. fu riconosciuto innocente dell'accusa e reintegrato negli onori e negli averi. Morì tre anni dopo, nel marzo del 565.

Bibl.: La principale fonte d'informazioni della vita e delle imprese di Belisario sono le opere di Procopio di Cesarea, suo segretario: De bello persiano, De bello vandalico, De bello gothico, Historia arcana, pubblicate nel Corpus script. hist. byz. di Bonn. Della Guerra gotica e della Hist. arcana (Le inedite) esiste una edizione critica con un'eccellente traduzione in italiano del Comparetti (Fonti per la storia d'Italia). Intorno alla leggenda di Belisario vedi Krumbacher, Gesch. der byz. Literatur, 2ª ed., p. 825 seg. Fra gli storici moderni ricordiamo l'ampio e documentato articolo di L. M. Hartmann, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III, coll. 210-240; Gibbons, Declin and Fall of the Roman Empire, capp. XLI-XLIII; Diehl, Justinien et la civilisation byz. au VIe siècle, Parigi 1901, pp. 158-167 e passim; G. Romano, Le dominazioni barbariche in Italia, Milano s. a. p. 195 segg.

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