BELLONA
. Antica divinità romana, strettamente connessa a Marte; anzi, in origine, nulla più che la rappresentazione concreta della principale forma d'attività di quel dio, cioè del bellum, della guerra. Verso la metà del sec. IV, essa compare già come una figura divina del tutto indipendente e compiuta in sé (p. es., nella formula di devotio di P. Decio Mure, Liv., VIII, 9, 6): come tale, le fu dedicato un tempio, nella critica contingenza della guerra contro Etruschi e Sanniti, nel 296 a. C., da Appio Claudio Cieco, fuori del pomerio, in prossimità dell'antica ara Martis. Speciale importanza ebbe e conservò questo tempio, come sede del ben noto rito simbolico celebrato dai feziali per dichiarare la guerra ai nemici di Roma (cfr. Liv., I, 32, 12 segg., e v. feziali). Tale rito consisteva principalmente nel gettare una lancia insanguinata, attraverso il confine, dal territorio romano in quello nemico: quando ciò non fu più materialmente possibile, il feziale scagliava la lancia stando presso la cosiddetta columna bellica, eretta dinnanzi al tempio di Bellona e riguardata come segno di confine, in modo che l'arma andasse a cadere in un appezzamento di terreno, presso il Circo Flaminio, trasformato, con apposito procedimento giuridico, in territorio nemico. Questa cerimonia si praticava ancora al tempo di Marco Aurelio (Cass. Dio, L, 4, 5; LXXI, 33, 3).
Negli ultimi decennî della repubblica fu identificata con una divinità orientale che i soldati di Silla avevano imparato a conoscere e a venerare in Asia Minore. Nell'anno 92 a. C., l'esercito di Silla, penetrando nella valle di Comana, in Cappadocia, vi trovò tutto un piccolo stato votato al servizio di una dea, abbastanza simile alla Gran Madre di Pessinunte, ma nel culto della quale l'estasi e l'orgia entravano in misura anche maggiore. Non soltanto i semplici soldati, ma lo stesso Silla fu fortemente colpito da quello spettacolo; tanto più che, mentre si apprestava a ritornare in Italia dove tante difficoltà e tante lotte l'aspettavano, la dea di Comana gli apparve in sogno e gl'infuse coraggio. Così la dea entrò in Roma insieme con le legioni di Silla. Il nome originario della dea era Mã; i Greci già l'avevano assimilata alla loro Enyo, divinità delle contese e delle guerre; per i Romani non poteva esser dubbia la identificazione con Bellona. E allora, benché l'antica divinità abbia seguitato a sussistere col suo tempio e il suo culto, il suo nome servì anche a designare la nuova dea orientale, arrivata a Roma con i suoi strani riti e con i suoi sacerdoti. Si videro allora in Roma le impressionanti processioni, nelle quali i sacerdoti della dea, i bellonarii, si abbandonavano a danze forsennate, ferendosi a sangue con una bipenne le braccia e le cosce e, nell'estasi del delirio, pronunziando profezie (Tibull., I, 6, v. 43 segg.; Horat., Sat., II, 3, v. 223, ecc.). Una lapide sepolcrale conserva l'immagine di uno di essi, con due asce e un ramo d'alloro nelle mani; ha in testa una corona d'alloro e porta una collana a forma di serpente a due teste.
Peraltro la nuova divinità non fu ammessa nel novero degli dei dello stato, e i suoi sacerdoti furono, per lungo tempo, reclutati fra gl'immigrati dalla Cappadocia: soltanto nel sec. III d. C. il culto di Mā-Bellona ebbe riconoscimento ufficiale, e alla dea fu eretta un'aedes Bellonae Pulvinensis, i cui addetti portavano il nome di fanatici (Corp. Inscr. Lat., VI, 490, 2232, 2235).
Bibl.: C. Tiesler, De Bellonae cultu et sacris, Berlino 1842; E. Aust, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. der class. Altertumswiss., III, col. 255 segg.; D. Vaglieri, in De Ruggiero, Dizionario epigrafico, I, 987 segg.; Drexler, in Roscher, Lexikon d. griech. und röm. Mythologie, II, col. 2215 segg.; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., pp. 151 seg., 348 segg.