ANTELAMI, Benedetto
Il nome dell'A. appare per la prima volta, con la data 1178, sul rilievo della Deposizione di croce nel duomo di Parma ("anno milleno centeno septuagesimo octavo scultor patuit mense secundo antelami dictus sculptor fuit hic benedictus"), e una seconda volta, con la data 1196, sull'architrave del portale maggiore del battistero di Parma ("bis binis demptis annis de mille ducentis incepit dictus opus hoc scultor benedictus"). Le due opere così accertate hanno permesso, malgrado l'assenza di altre notizie, di ricostruire con un ampio catalogo l'operosità del maestro.
Il "cognome" Antelami (cioè Intelvi, valle comasca, patria di una corporazione genovese di costruttori, i "magistri antelami") accerta che l'A., poi rivelatosi (patuit) scultore, era di professione architetto e proveniva da Genova. Le strette relazioni commerciali della città ligure con Narbona, Saint-Gilles ed Arles rendono storicamente comprensibile l'educazione provenzale del maestro: questi dové formarsi nel cantiere del chiostro di St.Trophime ad Arles, dove almeno un capitello del lato orientale - databile per altre ragioni intorno al 1170/75 - può essergli attribuito. Invero, molti tratti particolari e molti caratteri stilistici generali, non meno di svariati motivi iconografici, indicano nell'autore della Deposizione del duomo di Parma la diretta esperienza del romanico provenzale: dalla decorazione a niello del fondo a particolari ornamentali delle vesti, dalla tipologia dei volti al ritmo e alla fattura delle pieghe nei panneggi; ma soprattutto la concezione statuaria della forma, propria in grado superlativo alla scultura provenzale, in contrasto con la visione plastica che caratterizza la scultura romanica lombarda ed emiliana. Mentre in questa, infatti, la forma conserva col piano di fondo un rapporto dialettico, sicché, anche quando è robusta e possente, par sempre emergerne con fatica, nella scultura provenzale e nelle sue derivazioni italiane la forma, anziché essere colta nel suo nascere, è fissata in una sua tranquilla e ferma esistenza: essa tende pertanto all'isolamento volumetrico e al tuttotondo.
Nella Deposizione l'accentuazione della rigida geometricità della forma, il ritmo sostenuto delle serie verticali e la durezza dell'intaglio richiamano in particolare alle sculture della zona inferiore della facciata di St.-Trophime e ai capitelli del lato orientale del chiostro. E tuttavia, di fronte all'ormai manierata eleganza che nelle sculture di Arles ha riassorbito l'intensità pittorica e il patetico fuoco di St.-Gilles, l'A. riafferma l'originalità della propria personalità artistica. Alle quasi dissanguate immagini dei suoi esemplari arlesiani egli restituisce uno spirito di autentica arcaicità. Ogni durezza si riscatta nel gusto cristallino della forma geometrica, la schematicità del ritmo si rianima, anche attraverso un recupero di cultura bizantina, nel ritmo musicalissimo che governa il ripetersi dei gesti da figura a figura, proponendo una suggestione sacrale. La continuità del ritmo va dissolvendosi poi nel progressivo distaccarsi delle figure, fermamente isolate come volumi entro la guaina delle vesti serrate, e nel rallentando del centro, dove la curva dolentissima del corpo del Cristo, accarezzato da una modellazione trepidamente pittorica delle superfici, si inserisce teneramente fra le due rette oblique del Nicodemo e dell'uomo sulla scala. Anche a destra, sul ritmo uniforme ed astratto della teoria dei soldati si inserisce con un giuoco di curve modulatissime il gruppo degli sgherri in atto di spartirsi le vesti. Il dramma si proietta pertanto in una sfera di severa malinconia, dove una solennità da cerimonia si scalda di teneri accenti umani. La poesia dell'A. sgorga dunque da uno stato d'animo di commosso raccoglimento e trova il suo linguaggio più proprio nella tensione fra l'arcaico e il nuovo, fra la tradizionale inerzia della massa e il nuovo affinarsi di questa in una percezione delicatamente pittorica della forma e nell'animazione sottilmente lineare del volume.
È ormai assodato che il rilievo della Deposizione faceva parte del parapetto di un pontile, simile a quello del duomo di Modena. Ne rimangono ancora, nel Museo di antichità di Parma, oltre ad una seconda lastra, danneggiatissima, tre capitelli istoriati e, nella cappella Berneri in duomo, i quattro leoni stilofori. Derivati da quelli della facciata di St.-Trophime, questi ultimi rinnovano tuttavia il gusto dei loro esemplari provenzali attraverso un modellato vivissimo e una forza scattante che si pongono in un perfettamente intuito rapporto dialettico con la stilizzata geometria dei volumi e sono ben degni della mano del maestro. I capitelli appaiono invece opera di un notevole compagno di lavoro dell'A., da lui influenzato, ma memore anche della tradizione emiliana Wiligelmo-Niccolò: caratteristiche che fanno pensare alla "scuola di Piacenza". Nel duomo di Parma va ritenuta opera un poco più tarda dell'A. anche la cattedra vescovile con due rilievi sugli specchi laterali (S. Giorgio e Conversione di s. Paolo).
Nella cattedra l'artista raggiunge nell'ideazione architettonica dell'insieme e nel rapporto fra architettura e scultura, come nel modellato stesso delle figure e dei rilievi, una forza compatta, e repressa e una fermezza di volumi che in qualche modo lo accostano al gusto della scuola campionese, riassorbendo in espressioni di grande novità e potenza il sustrato provenzale del suo linguaggio.
Assai piano è il passaggio stilistico dalla cattedra di Parma alle poche sculture (le statue dei profeti David ed Ezechiele, in due nicchie ai lati del portale maggiore, i due rilievi con i Pellegrini e i sottostanti animali fantastici in quattro formelle, il rilievo del Grifo col cervo nella volta del protiro destro e forse l'Ercole col leone nemeo, oltre ai due splendidi leoni stilofori del portale centrale) che sulla facciata del duomo di Borgo San Donnino (oggi Fidenza) si possono attribuire alla mano stessa del maestro. Nei solchi profondi delle pieghe e nell'accentuazione del carattere statuario delle immagini si rileva nei due profeti una rinnovata presa di posizione di fronte alla scultura arlesiana, la quale porta all'espressione di una possanza più raccolta e più rude. Strettamente compresse fra due piani paralleli, entro i quali la figura sembra volgersi inquieta, le due immagini si caricano di un'energia latente che superbamente riscatta l'inerzia della massa. Non possono questi capolavori - come vuole il de Francovich - appartenere ad un periodo posteriore al compimento del battistero, di Parma, cioè dopo il 1212 o il 1216, poiché qui non è traccia di quell'influenza dell'Ile-de-France e di quel generale affinarsi della visione del maestro che caratterizza il suo opus magnum nel battistero parmense. Bisogna dunque ammettere che nel decennio 1180-90, o forse subito dopo il 1188 (rimanendo incerto dalle vaghe notizie documentarie se la nuova cattedrale di Borgo sia stata iniziata già nel 1179 o soltanto dopo il 1188), l'A. non si sia limitato a dare il disegno della facciata e dell'intera chiesa, ma abbia subito posto mano anche alla decorazione plastica, pur lasciando a schiere di discepoli e di compagni - alcuni dei quali di educazione più arcaica - la maggior parte della fatica.
Serie ragioni stilistiche inducono invece ad accogliere la tesi del de Francovich circa la paternità antelamica dell'architettura della chiesa di Borgo e la sua datazione in epoca anteriore al battistero di Parma. La facciata, anzitutto, differisce profondamente da quella di qualsiasi altro edificio lombardo-emiliano, mentre presenta profonde analogie, specie nella struttura dei portali, col battistero parmense: e come questo, benché in forma più accentuata, essa reca l'impronta dell'influenza provenzale; ed anzi "rappresenta un singolare compromesso tra il tipo della facciata romanica lombarda e quella provenzale di Saint-Gilles". La difettosa organicità del risultato e l'assenza di quei tratti ispirati all'architettura dell'Ile-de-France che si riscontrano nel battistero di Parma accertano che essa fu ideata - in accordo con quanto risulta dall'esame delle sculture - prima del capolavoro parmense. Numerose corrispondenze di particolari architettonico-ornamentali dimostrano che oltre alla facciata l'A. dové progettare l'intera cattedrale fidentina. Ma i lavori procedettero lentamente, attraverso interruzioni e riprese, dovute anche alle alteme vicende politico-militari della città nelle guerre comunali fra Parma e Piacenza. Se dunque la progettazione generale risale al 1180 o 1190 circa, l'esecuzione della parte alta delle navate, con le volte ormai gotiche, e di gran parte del coro va posta nel secondo decennio del sec. XIII, quando l'A. si andava ormai disimpegnando dai lavori del battistero di Parma. A questo secondo momento appartengono le poche altre sculture all'intemo e all'estemo dell'edificio che, accanto alle molte dovute ai discepoli, si possono attribuire al maestro: il Redentore nel catino absidale e la Madonna col Bambino nella nicchia del campanile, la quale svolge un motivo iconografico-stilistico già attuato nel battistero parmense.
L'azione che sull'architrave del portale maggiore nel battistero di Parma dichiara che nel 1196 l'A. cominciò quest'opera non può, ad evidenza, riferirsi al solo portale, ma almeno all'intera decorazione plastica dell'edificio, anzi all'architettura stessa del tempio. Che scultore e architetto siano stati la stessa persona è d'altronde provato dal fatto che le forme architettoniche dell'edificio rivelano nel suo ideatore una formazione perfettamente analoga a quella dello scultore. Molti particolari omamentali, l'insistenza sul motivo delle colonne architravate eil timbro stesso del classicismo di quelle forme sono elementi di origine provenzale che si innestano su uno schema e su un ritmo generale derivanti dalla tradizione lombarda. Il basamento dei portali e qualche capitello nella parte alta, all'estemo, e il sottile slancio delle membrature all'interno, richiamano d'altronde all'architettura tardoromanica e protogotica dell'Ile-de-France, così come motivi stilistici della Francia del nord si riscontrano, come diremo, nelle sculture. Ma l'insieme raggiunge un'alta coerenza, indicando ormai la perfetta maturazione della personalità dell'A. architetto, rispetto al linguaggio composito ed alquanto incerto della cattedrale di Borgo. La geometrica compattezza della massa ottagona si articola e si nobilita attraverso il classicheggiante rivestimento ad arcate cieche e a sistemi di colonne trabeate, alternate ai profondi portali, nella zona inferiore, e attraverso la serie di logge architravate nei piani superiori. Così la rude massa lombarda si affina assumendo cristallina nitidezza e, nel suo pacato ritmo orizzontale, acquista un'elasticità sottile e uno slancio potenziale, che si liberano all'interno culminando nell'agilità della cupola costolonata a sedici spicchi.
L'attività dell'A. al battistero di Parma dové protrarsi dal 1196 fin verso il 1216, quando risulta che già nella chiesa si amministrava il battesimo, e comprende anche l'esecuzione di gran parte della decorazione plastica. Questa si ispira, come del resto il pontile del duomo, ad un preciso ed ampio programma iconografico, denso di significati allegorici e di tale profondità e coerenza da poter sostenere il confronto con i cicli figurati di Francia (per i problemi connessi con l'iconografia del ciclo parmense si rimanda all'esauriente monografia del de Francovich). Prima di intraprendere la sua opera, l'A. dové di nuovo traversare le Alpi. Non solo infatti le sculture del battistero dimostrano una nuova presa di contatto e un approfondimento della giovanile esperienza provenzale (accanto ai ricordi di Arles si accrescono gli elementi derivati da St.-Gilles), ma presuppongono anche una certa conoscenza della scultura tardoromanica dell'Ile-de-France, puntualizzata dal de Francovich nella facciata occidentale del duomo di Chartres, anteriore al 1194, e in particolare nei fregi dell'architrave del portale sinistro, ossia nelle più arcaiche fra le sculture chartresi.
La poesia dei maestro è sempre altamente personale e sorge ancora una volta dalla dialettica fra l'arcaico e il nuovo, fra lo spirito d'astrazione e l'intensità tutta potenziale, e in certo senso predrammatica, del sentimento. Così nella lunetta esterna del portale nord con la Adorazione dei Magi, la Madonna è solenne sul trono, ma è animata nel taglio netto del volume e nel tratteggio incisivo delle linee dei panneggi da una tensione che si traduce in energia spirituale, e il s. Giuseppe e i Magi sono ancora più tesi entro quei loro contorni acuti e sfrecciati. Ma le immagini vivono, al tempo stesso, in un loro splendido isolamento, staccando nitide da un fondo privo di allusioni ambientali e di ogni naturalistica concretezza: donde il tono profondamente religioso di quest'arte, che risolve in una visione orientata verso la trascendenza ogni palpito di umanità. E nella Presentazione al tempio nella lunetta interna dei portale sud, detto della Vita, le figure si adattano perfettamente, nelle dimensioni, allo spazio concesso dal semicerchio della lunetta, isolandosi nei loro volumi nitidi ma tenui entro il ritmo astratto segnato dalle archeggiature intorno alle teste. Le linee acute e ricorrenti delle pieghe sottolineano tuttavia le proporzioni slanciate dei corpi, animando le immagini di una commozione trepida e contenuta. V'è insomma una percezione nuova della vita interiore, che tuttavia non si dispiega intera, ma si offre al nostro sguardo velata da non so quale pudica riservatezza.
La mano stessa dei maestro appare linipidamente nelle lunette esterne dei tre portali (oltre a quella già citata, il Giudizio finale nel portale ovest; la Leggenda di Barlaam come allegoria della vita, nel portale sud), nei rispettivi archivolti, architravi e stipiti, nelle corrispondenti lunette interne (oltre a quella già citata: portale nord Fuga in Egitto; portale ovest, David che suona il salterio) e nelle quattro statue all'estemo - i due Profeti seduti, Salomone e la Regina di Saba -, mentre tutto il resto - compresi i due Angeli sopra il portale nord (alla cui attribuzione al maestro, sostenuta dal de Francovich, osta il marcatissimo accento tardoprovenzale e "pirenaico", estraneo in tal grado alla cultura dell'A.) e la serie bellissima delle Stagioni e dei Mesi (rivendicati come autografi dal Quintavalle, ma soltanto ideati dal maestro) - si deve all'esecuzione di scolari.
Le citate quattro statue all'estemo sono fra i capolavori più alti dell'A.: vivono queste immagini del contrasto dialettico fra il senso della massa inerte, espressa dal rapporto che le figure conservano coi blocco da cui sono ricavate, e la trepida sensibilità dei modellato nella modulazione tenera delle superfici, nella vibrazione delle pieghe sottili, nella quasi celata prevalenza, in tutto, di un movimento diagonale che si accompagna al lieve eppure sensibile scarto dalla frontalità. Immagini inconcepibili senza la conoscenza della scultura chartrese, ma che tuttavia conservano una terraneità più aderente sia alla tradizione plastica emiliana sia a quella provenzale, e anche si distinguono per una interpretazione più testuale degli esempî classici.
L'ultima fatica dell'A., dopo la ripresa della sua opera di architetto e di scultore a Borgo S. Donnino e dopo un nuovo viaggio - che ragioni stilistiche obbligano a supporre - nella Francia del nord, fu - nonostante il diverso parere di alcuni studiosi - la costruzione e la decorazione scultorea (lunetta dei portale maggiore e ambone, oggi in frammenti nel Museo Leone a Vercelli) della chiesa e dell'abbazia di S. Andrea a Vercelli, rapidamente edificate dal 1219 al 1225. L'influenza delle chiese francesi di Braisne (ca. 1180-1216), di Laon (cc. 1205-1210) e di Vaticelles (ca. 1190-1216), fondendosi, all'esterno, con elementi di tradizione lombarda, dà luogo ad un'architettura di grande nitore e sensibilità, e all'intemo a un capolavoro del primo gotico italiano, mentre le luminose e conimosse sculture dei timpano e del pergamo coronano degnamente, con accenti di più abbandonata tenerezza, l'attività dell'A. scultore.
Bibl.: A. O. Quintavalle, Antelami sculptor, Milano 1947; G. de Francovich, B. A., Milano-Firenze 1952 (con completa bibl. prec.); G. Rosati, A. B., in Encicl. univ. dell'Arte, I, Venezia-Roma s. d. [ma 19581, coll. 429-436 (con ulteriore bibl.); G. P. Bognetti, Una rettifica epigr. a proposito, dei limiti cronol. dell'opera dell'A.,in Sitzungsberichte der Boyerischen Akademie der Wissenschaften, 1959, 4-5, p. 12; L. Cochetti Pratesi, Contributi alla scultura venez. del duecento. Le altre realizzazioni della corrente antelamica, in Commentari, XI (1960), pp. 202-219.