Croce, Benedetto
Alla personalità e alla poesia di D., a situazioni e immagini della Commedia, ai suoi critici e in particolare al De Sanctis il C. fa più di un riferimento nel corso della sua opera; ma per la prima volta nel volume del 1921, La poesia di D., ha affrontato di proposito quel tema non soltanto per l'occasione contingente della celebrazione centenaria, in cui gli parve opportuno fare il punto su antiche e recenti interpretazioni dantesche e prevenire col suo spirito loico il persistere o il risorgere di un generico e oratorio dantismo o il ripullulare di problemi mal posti e fuorvianti, ma per la medesima ragione che lo aveva portato in quel momento della sua attività critico-estetica, posteriore alla Letteratura della nuova Italia, a porsi di fronte a poeti massimi, quali l'Ariosto, lo Shakespeare, il Goethe, contemporaneamente alla formulazione del più maturo concetto del " carattere di totalità dell'espressione artistica ".
Alla Commedia, anzi alla " poesia della Commedia " si appunta il pensiero del critico, che perciò trascorre forse troppo rapidamente sul D. giovanile, non senza qualche osservazione suggestiva, ma risolutamente negando che le opere minori " rappresentino l'inizio della futura sintesi e nemmeno offrano tutti gli sparsi o almeno i principali elementi sui quali essa si formò ": viene a porsi perciò nella sua critica un forte iato tra quelle opere e il poema; gli antecedenti del quale si ritroverebbero, a suo credere, " guardando a più largo campo e riportandosi a quel periodo dell'ultimo Medioevo, in cui la civiltà moderna cresceva in tutte le sue forme e pur tuttavia la concezione medievale del mondo non era tramontata ". Di qui una breve efficace sintesi, che egli delinea, del mondo entro cui D. visse e operò, non già " semplice rappresentante e quasi specchio e riflesso dell'età sua, ma anzi uno dei fattori e non dei meno potenti di questa ". Ne viene la natura complessa e pur così energicamente unitaria della personalità del poeta, la coesistenza d'interessi e tendenze che sembrerebbero contrastanti, il teologo, a tacer d'altro, e il vario e sensibilissimo poeta: " due forze gagliarde e parimenti sincere che sono il precedente vero e la materia del poema di gran lunga più ricca molteplice e complessa di quella che appare involuta o solo in talune sue parti delle opere minori ".
È in queste pagine conclusive del primo capitolo, che di per sé varrebbero a smentire una concezione del tutto astorica attribuita al C. (e sarà pure da tener presente quel che si legge poco più innanzi sull'accostamento della Commedia al gotico più tardo, in cui, come rilevarono critici delle arti figurative, " parti architettoniche determinate dallo spirito dell'edificio cominciarono ad ottenere rilievo ed importanza per sè "), la premessa del capitolo seguente, La struttura della Commedia e la poesia, che costituisce il centro vero del libro e in cui talora non senza ragione si è riconosciuta la sostanza della critica dantesca del C., oggetto d'insistenti discussioni e polemiche. Ma quel che queste pagine e il libro siano in effetti e l'apporto che La poesia di D. rechi nella storia della critica dantesca non s'intende, se non la si consideri entro lo sviluppo del pensiero estetico crociano nella sua caratteristica connessione di speculazione teorica e riflessione critica, sulla linea che dall'Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale l'ha condotto alla Poesia, " Introduzione alla critica e alla storia della poesia e della letteratura ", vale a dire da un'indagine sul concetto universale dell'arte a una summa metodologica del vario e lungo lavoro del critico, da una rigorosa definizione categoriale all'elaborazione di uno strumento più aderente alla multiforme vita dell'arte. Di qui l'importanza capitale dell'incontro con D. o più precisamente con la Commedia, un'opera che per il suo carattere complesso e ben possiamo dire composito imponeva un'impostazione diversa dalla pura puntuale constatazione dell'esistenza o non esistenza della poesia; e che appunto per lo studio recente di poeti di tutt'altra natura e civiltà, l'Ariosto e lo Shakespeare, i cui capolavori gli erano apparsi allora tutta e sola poesia, rivelava a così chiari segni l'esistenza accanto ad accenti di eccelsa inconfondibile poesia, non per questo sminuita o limitata, di un elemento diverso che alla pura poesia sembra irriducibile.
Certo a dare un così forte rilievo alla dualità di poesia e di struttura, a sottolineare l'eterogeneità assoluta della prima rispetto alla seconda, sino a legittimare una lettura che mettesse sistematicamente da parte l'elemento strutturale, dovette contribuire l'esperienza di quei due tanto diversi poeti, e l'altra non meno importante del poeta fra tutti diletto, Goethe, alla cui ammirazione non aveva ostato fin dagli anni giovanili il riconoscimento entro la struttura del Faust di unità poetiche ben distinte per tema, motivo, tono. Né forse si va lontani dal vero pensando che quella sua risoluzione del Faust, opera laboriosamente composta attraverso stati di spirito e tempi diversi, in tanti singoli poemi, e il cui valore non gli sembrava per tal via disconosciuto, anzi messo nella sua giusta luce, gli abbia suggerito una soluzione per certi aspetti simile del problema dell'unità della Commedia, anche se, ed egli ne era ben conscio, così salda e unitaria nella sua struttura intellettuale, anzi nella sua concezione, in cui vengono a collocarsi tanti diversi elementi di una molteplice esperienza, rispetto alla moderna Commedia del poeta tedesco.
Nell'un caso e nell'altro gli era offerta la possibilità di una lettura spregiudicata della poesia, a cui era particolarmente incline, e per la quale gli era dato mettere in risalto la varietà degli accenti e dei toni al di fuori di schemi obbligati e spesso convenzionali, e per D. poi, riconoscerne la multiforme ricchezza, più evidente, gli sembrava, una volta che quella poesia non fosse stata di forza ricondotta in ognuno dei suoi aspetti o momenti nel quadro dell'oltretomba, delle sue partizioni o subpartizioni. E questa lettura, con la distinzione preliminare che le è sottintesa fra struttura e poesia, gli si presentava non già come un privato esercizio di gusto, bensì come un portato necessario della storia della critica dantesca, e in particolare nella forma più matura e pregnante, vale a dire dell'interpretazione desanctisiana quale si era spiegata nel libro incompiuto su D., nei Saggi, nei capitoli della Storia. Era in quell'interpretazione, tuttora suggestiva nel suo dinamismo, un fondamentale contrasto fra quel che D. aveva voluto fare e quel che aveva fatto, fra l'assunto antipoetico e la poesia realizzata, fra la materia in sé stessa più o meno poetica, quale era offerta all'artista dalla concezione dell'oltretomba, dei singoli peccati, delle singole pene, e la fantasia dantesca ora vittoriosa, ora fatalmente limitata se non pure soccombente. Ora la dualità così drammaticamente accentuata dal De Sanctis assumeva nel C. altro aspetto, risolta com'era nella constatazione della coesistenza nel poema di un elemento non già negativo, bensì esteticamente " adiaforo " e pur necessario, che gli piacque chiamare " romanzo teologico " o " struttura ", e per contro dei molti personaggi, episodi, momenti d'intensa poesia che attestano la ricchezza inesausta della fantasia dantesca e bene s'inseriscono senza dissonanza entro quel mondo così sapientemente costruito. Veniva meno con questa proposta e nella lettura dei capitoli seguenti, che ne era una continuata esemplificazione, la caratteristica tensione del D. desanctisiano; potevano anche farsi valere motivi, aspetti dello spirito dantesco dal De Sanctis lasciati in ombra, e in particolare essere rivendicate alla poesia di pieno diritto le parti didascaliche che il De Sanctis era stato incerto se relegare tra la materia fatalmente impoetica o riconoscerne a tratti, quasi con sorpresa, la virtù fantastica. A un tempo era fatta giustizia, così pareva al C., di tutt'altra letteratura critica che non quella desanctisiana, voglio dire la letteratura dei dantisti con le sue innumeri " questioni ", della quale per lui l'esponente per eccellenza era Francesco D'Ovidio, una volta che entro ben definiti limiti era ricondotta la descrizione dello stato delle anime, e tanto più fuor di luogo appariva quella varia e spesso oziosa problematica, estranea non pure alla poesia ma a un autentico interesse storico. Al quale il C. non è certo indifferente, anche se col termine riuscito ostico di " allotrio " definisce le ricerche estranee alla poesia, e che pur indirettamente giovano alla comprensione della personalità storica di D. e quindi della sua poesia. Né di fatto senza precedenti era la sua lettura della Commedia nelle pagine degli stessi " dantisti ", di uno sopra gli altri, Ernesto Giacomo Parodi, che a tacer d'altro in un memorabile articolo-recensione sul comico nella Divina Commedia aveva dato un saggio di critica aperta e spregiudicata, libera da certe stretture della critica desanctisiana e dei rigidi schemi di quella che il C. chiamerà " struttura ", tanto più suggestiva e aderente della complicata costruzione del Vossler, che il C. ha forse di troppo sopravalutato (tacendo del Parodi e di altri contributi italiani), e il cui merito se mai è stato quello di stimolarlo, appunto per l'artificiosità di quel connubio di costruzione e poesia, a formulare la sua concezione tanto più limpida, e per ciò stesso tale da invitare a una discussione proficua, che dalla pubblicazione del libro, anzi dai primi saggi di esso, si è proseguita sino ai nostri giorni.
La difficoltà ad accettare la tesi crociana nasceva non tanto dalla proposta in sé stessa, che attendeva un ulteriore svolgimento, da quel concetto di unità dialettica dei due elementi, che ben risponde alla complessità dell'opera dantesca, a quel suo respiro per cui la creazione poetica si compie in una costruzione intellettuale, e questa a sua volta viene a essere un supporto alla poesia, quanto dall'avere il C. asserita inizialmente quell'unità e averla poi posta da parte nel corso della lettura delle tre cantiche isolando le singole " liriche " da quel " romanzo teologico ", a cui pure egli le aveva sentite strettamente congiunte e per ciò stesso da quello spirito, da cui con perenne vicenda si generano poesia e struttura. Il titolo stesso del libro, polemico come sarà il titolo di Poesia e non poesia, veniva a giustificare una lettura del poema che del tutto prescindesse da quell'altro elemento, struttura o romanzo teologico, pur riconosciuto preliminarmente necessario. Anzi lo stesso concetto di unità dialettica poteva sembrare esser dimenticato o addirittura disconosciuto quando il critico lo traduceva nell'immagine di una massiccia " struttura tutta coperta da tenace e fiorente vegetazione ", ammonendo di guardare a questa verde vita di rami e foglie e fiori e non alle pietre che vi stanno sotto - immagine di per sé rigida e statica.
Vero è che lo stesso C. per rispondere alle obiezioni del Russo alla distinzione di momento strutturale e momento poetico, di didascalica e lirica, negherà che essa " rompa l'unità dialettica dello spirito dantesco " poiché " per contrario senza quella distinzione... l'unità dialettica non si svolgerebbe ". " In Dante " egli scrive " il didascalo ora prende il disopra sul poeta, ora, e più frequente, ne viene soverchiato; e questa lotta appartiene allo spirito dantesco nel suo effettivo unificarsi, dividersi e riunificarsi. Il poeta D. attua via via le sue sintesi poetiche ed è quello che è, perchè ha di fronte quel D. didascalo, e il didascalo è quello che è perchè ha di fronte quel commosso poeta; e l'uno è altrettanto positivo e serio quanto l'altro ". Ma proprio questo ulteriore chiarimento con la conseguente ammonizione a non " materializzare " i concetti di " struttura " e di " poesia " e a non pretendere di separare l'uno dall'altro elemento nella Commedia, definendoli per segni esterni, se non rinnega la lettura poetica perseguita nel libro, ce ne fa sentire in certo qual modo il limite suggerendoci d'integrarla in altra più aderente al dinamismo di un'opera in fieri, a cui sono parimenti essenziali e il didascalo e il poeta, " l'uno altrettanto positivo e serio quanto l'altro ".
Poiché per quanto evidente la struttura intellettuale dei tre mondi e delle loro partizioni, e tanto più ricca e varia la vita poetica che in essa si accoglie, non si può non tener conto del valore che ha per D. l'oltretomba per sé stesso, quel piano di assolutezza e di eternità che è il luogo ideale della sua mente e per ciò stesso della sua fantasia. Così soltanto era concesso a D. di recare in atto la missione di cui si sentiva investito, di un giudizio sul mondo o più esattamente sul mondo presente: e il lettore, per quanto consapevole della disparità dei due momenti e mal disposto ad accettare un indiscriminato unitarismo, assai poco conforme alla mentalità dantesca e fondamentalmente estetizzante, non può non aver presente sempre quel punto focale della Commedia, che per esso si sviluppa in quel suo caratteristico moto dialettico.
Ora, se più d'una volta il C. nella semplicità voluta, anzi talora di proposito accentuata, del suo stile, ci offre interpretazioni accolte dalla critica più recente o suscettibili di sviluppi entro un discorso che non può non risentire di un'esperienza ulteriore di studi, resta l'impressione che più d'uno di quei giudizi, anche felici, siano come disancorati e in qualche modo svigoriti appunto per l'isolamento del singolo motivo poetico dallo sfondo da cui emerge o, se vogliamo usare altra metafora, in cui affonda le sue radici.
Così nella pagina del C. la tragedia di Pier delle Vigne, del giusto ingiustamente perseguitato, del fedele all'imperatore che fu d'onor sì degno, anche dopo la disgrazia, la condanna, la dannazione, è staccata dal contesto di uno sfondo più che mai presente e anche potentemente drammatico della selva dei suicidi. In questo caso ambiente e personaggio intimamente connessi appartengono pur nella loro diversità come momenti complementari al mondo della poesia: altra volta maggiore sarà lo stacco tra sfondo ed episodio, tra la cornice teologica e il motivo poetico, ma questo è il ritmo stesso della Commedia, per cui possono alternarsi canti come quello dei seminatori di discordia, più palesemente contesto di veri e propri exempla di peccatori e di pene, aderendo qui del tutto struttura teologica e didascalica e la poesia che le è ancella, e altri in cui lo schema strutturale si ritrae in certo qual modo o si attenua per l'affermarsi di un motivo che ha una sua individua ragion d'essere, permanendo sempre però come sottinteso poetico quello sfondo di assolutezza e di eternità, che conferisce, com'ebbe a osservare lo Hegel, ai personaggi danteschi il loro caratteristico risalto.
Più appropriata per questi episodi si direbbe la critica individualizzante del C., se non fosse che essi pure nella sua lettura finiscono per apparire come in sé chiusi e in certo qual modo occasionali nell'organismo del poema, una " lirica " affatto autonoma e perciò privata delle tante implicazioni con la poesia tutta e la personalità del poeta e disgiunta da altri episodi e accenti a cui essi rimandano reciprocamente illuminandosi. Se ad esempio mal si può ricondurre nonostante ogni sforzo l'episodio e il personaggio di Ulisse sotto il segno dei cosidetti consiglieri frodolenti, da cui l'impresa ardimentosa e pur vana decisamente si stacca, insufficiente risulta pure la definizione crociana che Ulisse esalta come peccaminoso di sublime peccato, disforme dal sentire di D. e dalla stessa definizione che dell'ethos e del pathos dantesco il C. altrove ha dato e del tutto isolato nelle sue pagine quell'episodio che invece s'inquadra nella concezione e nell'ispirazione del poema, ricollegandosi al viaggio stesso di Dante. Così ancora, checché ne sia stato detto e ingegnosamente escogitato, mal si riesce a rinserrare entro le categorie degli eretici e dei sodomiti i cosidetti episodi di Farinata e di Brunetto: qui più che mai le partizioni necessarie dell'oltremondo dantesco rivelano a chiari segni un carattere strutturale, e vorremmo dire strumentale, e siamo indotti a cercare altrove l'accento più autentico di poesia, anche se come sfondo tragico o pietoso è presente pur qui l'oltretomba nell'eternità di una condanna e di un tormento, motivo complementare e subordinato di altra e più complessa poesia. La quale è poi un'altra pagina autobiografica e drammatica, intimamente congiunta con l'ispirazione prima dell'opera e con l'immagine nell'Inferno più insistente di Firenze amata e odiata, persecutrice e vittima. Siccome più innanzi sarà della scena di D. e Brunetto, che diversamente intonata ne è l'ideale prosecuzione, venendo entrambe insieme con altri episodi e con sparsi accenti a svolgere un tema essenziale del poema, e in particolare dell'Inferno, a cui lo schema teologico offre poco più di un appoggio.
Non si può dire che manchino nel C. riferimenti all'affinità di temi o di toni fra questo e quell'episodio. Senonché la sua lettura rapsodica tende talvolta a conferire ai singoli episodi o alle singole " liriche " un carattere quasi di casualità nella trama della narrazione, sì che taluno meno avveduto sarebbe anche indotto a ritenere che questa o quella pagina, questo o quello accento potrebbe non comparire nel poema o almeno in quel luogo, e non abbia invece, come ha, nell'organismo della Commedia siccome nell'architettura e nell'intonazione del canto, carattere di necessità. Tipico a tal proposito quanto il C. osserva sulle " sentenze ", così care al poeta, che sembrano staccarsi dal passo in cui compaiono per imprimersi nella nostra memoria; e l'osservazione sporadica e incidentale sembra inadeguata all'importanza che esse hanno nel tessuto della Commedia, conformi come sono a una tradizione retorica fatta propria dal poeta e, ben più, connaturata al suo sentire, alla struttura intima (intendendo struttura in tutt'altro senso da quello crociano) della sua mente e del suo discorso. Lo stesso sarà da dire di un personaggio fondamentale, Catone, in cui struttura e poesia meno che in altri forse si possono disgiungere (e per cui mi basti rimandare, oltreché al mio articolo citato in bibliografia, alla voce omonima di questa Enciclopedia): troppo evidente risulta pur nella perspicua definizione crociana del personaggio, consonante per più rispetti con quella di Benvenuto da Imola, l'isolamento della figura dal C. descritta, dall'ambiente in cui compare e di cui è parte necessaria, non pur concettualmente ma poeticamente. E così sarà di Piccarda, oggetto di una bella pagina antologica del nostro critico, che tende però a riportare quella figura agli spiriti e all'ambiente del Purgatorio, trascurando lo spirito dell'episodio e di tutto il canto, vero e proprio preludio del Paradiso, in cui non altri che questa monacella, che nemmeno poté adempiere sino alla fine i suoi voti, viene a rivelare il segreto della beatitudine, la sommissione totale e gaudiosa della volontà propria alla volontà divina. Per questo il poeta ha taciuto in questo canto dell'ordinamento delle anime e della ragione della loro apparizione nelle singole sfere celesti: una spiegazione che avrebbe dissolto l'aura poetica di quella prima apparizione di uno spirito paradisiaco, della rivelazione di quel mondo in cui D. è asceso, e che si dispiegherà poi in tutto il suo fulgore. E questo, occorre ripeterlo?, è il ritmo stesso del poema, col vario rapporto che di volta in volta si stabilisce fra struttura e poesia, rapporto evidentemente non rigido, ma perennemente mutevole come di opera che si viene via via costituendo e in cui perciò i diversi elementi han di luogo in luogo diversa funzione. E che altro può essere il significato di unità dialettica? Quale altro compito per quanti a D. son tornati dopo il libro del C. se non quello di riprendere approfondendo la lettura del poema senza rinnegare quel che di vitale era nella proposta crociana?
Di vitale non soltanto nel campo dell'interpretazione dantesca, ma in quello più ampio dell'esperienza e della teoria critica, perché due sembrano essere gli apporti non disconoscibili, anche dopo tutte le riserve che si son fatte, dello studio dantesco del C.: la risposta a quesiti lasciati aperti dal De Sanctis (e il libro del C. non si può intendere se non nell'ambito storico di questo colloquio, come taluno ha preteso relegando addirittura il C. fra gli epigoni del Bettinelli e a dispetto della cronologia, della cronologia sola?, facendo iniziare dal De Sanctis e dal De Sanctis solo la critica dantesca contemporanea, oppure come con ingegnoso sforzo ha tentato Mario Rossi, contaminando l'interpretazione crociana con quella desanctisiana) e l'avviamento a una considerazione, come si è detto, non della pura poesia ma dell'opera poetica entro la vita dell'espressione. Il C. riconoscerà in seguito nel vol. La poesia come non nella Commedia sola ma in altri componimenti poetici e in certo senso in tutti esista un elemento strutturale (per esempio gl'intrecci di opere drammatiche preesistenti alla poesia del poeta che variamente se ne giova, le convenzioni teatrali o narrative, ecc.), che con la poesia variamente si compone. Non per questo vien meno l'importanza della concezione che dallo studio della Commedia gli era stata suggerita, e che non lo porterà, né dovrebbe portare noi, a un'indiscriminata perequazione di ogni opera poetica per la constatata presenza in tutte di quei due diversi elementi, bensì a una considerazione più particolareggiata del diverso carattere e del diverso peso che nella singola opera viene ad assumere quell'ineliminabile parte strutturale. Lo afferma a chiare note in una pagina del libro La poesia, rivelando la condizione per questo aspetto singolarissima della Commedia, e con essa del Faust, " due opere, in cui i diversi elementi ora si intrecciano e ora si staccano ed ora contrastano fra loro e che, nondimeno, sono tra le più grandiose che lo spirito umano abbia prodotte ". E se vi ribadisce la necessità di quella distinzione per il retto intendimento della poesia, sente il bisogno di avvertire " che la struttura per quegli spiriti così energici, non solo poeticamente ma anche intellettualmente e moralmente, non era la trama indifferente che si è vista in altri poeti unicamente poeti, ma era parte vitale dell'anima loro, e distinta e congiunta insieme alla poesia, che ne traeva nutrimento, in unità non già statica ma dialettica ". " Né può essere indifferente a noi " egli conclude, " per intendere la loro anima e neppure per intendere la fisionomia della loro poesia; ma indifferente dev'essere, come tutte le altre strutture, in quanto non propriamente in essa la loro poesia canta ".
È qui, per quanto l'autore energicamente riaffermi i criteri del suo libro dantesco, un'apertura a un'indagine più articolata e aderente dell'opera dantesca, di quel caratteristico rapporto, se vogliamo usare ancora le sue parole, di struttura e poesia, nella quale abbia tanto maggior parte lo studio del mondo spirituale e intellettuale dantesco, e del suo configurarsi nell'architettura delle tre cantiche e insieme nel progressivo disvelarsi della poesia una e diversa, nel comporsi di un'opera, che proprio per questo carattere resta unica nella storia della poesia e richiede perciò una critica che le sia appropriata. Né a caso il passo che si è citato compare nel libro sulla Poesia, che raccoglie, come si è detto, e teorizza decenni di esperienza critica, e presuppone fra i suoi precedenti più importanti La poesia di D. e le discussioni a cui aveva dato origine, ma a un tempo apre prospettive nuove per la comprensione anche della poesia dantesca. Avrebbe il C. scritto il libro sulla Poesia di D. dopo questa sua " poetica " del 1936? La domanda può parere, ed è di fatto, oziosa o assurda; d'altra parte il C. stesso tornando posteriormente su questa o quella pagina dantesca è parso tuttora legato all'impostazione di quel libro, per uno sceveramento forse ancor più puntuale delle parti poetiche. Di fatto il libro appartiene a un momento determinato della storia del suo pensiero estetico, così come della critica dantesca, né da quel momento lo si può astrarre coi suoi pregi e coi suoi limiti (e tanto meno disconoscerne l'importanza fondamentale per l'una e per l'altra storia): e le pagine della Poesia come le più recenti d'argomento dantesco han valore per noi più ancora che per le singole notazioni sulla poesia di D., per la tendenza che vi si afferma e che ci sembra tuttora operante nei nostri studi. Non una conclusione nemmeno questa, ma un invito a procedere oltre le sue stesse conclusioni.
" È stato notato ", si legge in una delle ultime Schede a proposito di una lettura dell'ultimo canto del Paradiso " che i momenti didascalici in una poesia sono intimamente connessi alla poesia, e non possono essere disgiunti da quelli poetici se si vuole intenderli. Sono perfettamente dello stesso avviso; il venire riducendo a frammenti una poesia è niente altro che il rilievo che si dà ai momenti puramente poetici su quelli didascalici, oratori, affettivi o altri che siano; ma tutti, se il poeta è anche un valente artista, formano un'unità che è impossibile spezzare ". Pagina per più rispetti notevole, fra l'altro per quell'inciso " se il poeta è anche un valente artista ", ossia per l'ammissione di un' " arte " che concilierebbe quegli elementi diversi e a cui si deve se non soltanto esistono l'uno accanto all'altro senza dissonanze, ma sono l'un per l'altro necessari nell'unità estetica del poema, in cui già altra volta egli aveva riconosciuto nell'elemento strutturale non un impedimento della poesia ma uno dei limiti che in varia forma s'impongono a ogni opera poetica e non sono quindi rispetto ad essa qualcosa di puramente negativo. " Né si potrebbe dire, salvo in qualche caso particolare, che la struttura del viaggio oltramondano abbia compresso o impedito la pienezza della rappresentazione; perché quei limiti che D. si era imposto, erano come tutti i limiti, che tolgono e nell'atto stesso accrescono, rendendola più intensa, la libertà creatrice ".
Sarebbe dunque l' " arte " la mediatrice tra elemento strutturale ed elemento poetico: per essa si attuerebbe il passaggio dall'uno all'altro, si raggiungerebbe pur nella maggiore o minore intensità poetica una sostanziale coerenza di tono, che è compito del critico rilevare nell'esame dell'episodio singolo, del singolo canto, della singola sezione (Malebolge ad esempio, o l'Antipurgatorio) di ciascuna cantica. Più facile così sarebbe l'accoglimento della primitiva tesi del C., superata quella sorta di incomunicabilità fra struttura e poesia e superata appunto con la proposta teorizzazione del concetto di " letteratura ", che ben può essere assimilata all'" arte " del passo su ricordato (e il termine di " letteratura " si viene a collocare accanto a quello di " struttura " in un altro articolo del C. su questo argomento, là ove si dice di aver " richiamato l'attenzione sul caso particolare dei due grandi poemi di D. e di Goethe unicamente per rammentare che la struttura o letteratura in quelle opere di un D. o di un Goethe ebbe una serietà e un'importanza che la distanziano dagli ordinari e convenzionali espedienti che si notano in altre poesie ") e che ci porta al di là della mera constatazione del poetico o dell'impoetico, conforme a una determinazione categoriale della poesia, per farci partecipi nel vario suo ritmo della vita espressiva. In questa considerazione, che importa una prospettiva diversa del fatto poetico, ci sembra di poter meglio comprendere il poema dantesco e ci sentiamo dal C. stesso incoraggiati a un modo di lettura che non isoli nei singoli canti puri momenti di bellezza, bensì riconosca quella compatta costruzione d'arte onde essi risultano ed entro cui si spiegano anche i più eccelsi momenti lirici.
Ma sarà pure da riportare per concludere un'altra citazione del C., anche questa di uno scritto dei suoi anni più tardi (1949), in cui, a mortificazione di ogni velleità estetistica mal ispirata o dedotta da qualche suo pensiero, egli ammonisce a non convertire una distinzione ideale nella scissione di quel che è strettamente connesso, disconoscendo di conseguenza l'unità di capolavori come quelli di Omero, di Shakespeare, di D.: " Perché sta bene che solo in quella trasfigurazione del sentimento in intuizione sia la poesia o l'arte, e perciò che solo in essa bisogni cercarla e riporla nelle opere che si dicono di arte e poesia e che sempre, dal più al meno, sono composite, e distinguerla dall'altro che ad essa s'interpone o si aggrega e che appartiene all'uomo nelle altre sue attività... Senza di questo discernimento non si ha né godimento né gusto né giudizio di poesia e di arte. Ma tutto quell'altro, che viene all'uomo nel suo complesso, è pure indispensabile al poeta o al pittore o all'artista, perché l'arte suppone l'uomo intero come l'humus sul quale il germe di lei si schiude e spunta il suo fiore; e non si può avere Omero senza le sue rassegne di combattenti e le sue alquanto monotone raffigurazioni di battaglie, né D. senza tutta la sua teologia, la sua politica, le sue passioni irruenti, delle quali è piena la Commedia, né Shakespeare senza quanto vi è in lui di autore da teatro ed attore esso stesso. L'avvertenza è doverosa, perché convertendo la distinzione ideale, propria del godimento, del gusto e del giudizio estetico, in uno sceveramento e purgamento di fatto, si osserva sciaguratamente quel che ora si osserva e che bisogna chiamare la tendenza del poeta e dell'artista puro a diventare imbecille puro, senza pensiero, senza cultura, praticamente incapace, moralmente indifferente, politicamente docile... ".
Contradice questa pagina la critica condotta dal C. intorno a D. e alla Commedia? Essa ne è, almeno a me sembra, piuttosto un corollario o la conclusione: né sfuggirà come, dopo aver corretto o tentato di correggere le aporie della critica dantesca del De Sanctis, all'ideale desanctisiano e risorgimentale del poeta e del critico egli qui torni, riaffermandolo con convinzione fatta più salda anche da questa esperienza critica.
Rimane comunque della sua speculazione intorno a D., al di là di queste affermazioni ultime, al di là di singoli giudizi, il concetto essenziale e, corretto in quel che è da correggere e limitare, tuttora valido di dualità, di struttura e poesia. Lo ha riaffermato con energia Gianfranco Contini, anche se ad altro fine istituiva la sua dicotomia e ribadiva le riserve su certi aspetti della lettura poetica del C.: " Non si può tergiversare a riconoscere che chi pratica una qualsiasi dicotomia entro la Commedia rende omaggio alla problematica crociana di " struttura " e " poesia ". La molesta valanga di interpretazioni avvocatesche che ne è stata preterintenzionalmente smossa (volte per lo più a riannettere alla poesia la cosidetta struttura) non può far dimenticare che il saggio crociano è stato il primo richiamo all'intelligenza moderna dell'opera, più pertinente, non esito a dirlo, di tutta la secolare ermeneutica messa assieme ".
Bibl. - B. Croce, La poesia di D., Bari 1921; Conversazioni critiche, ibid. 19512; II 209-214; III 187-215; V 96-105; La poesia, ibid. 1936, 265-278; Poesia antica e moderna, ibid. 1941, 151-161 (L'ultimo canto della Commedia); Letture di poeti, ibid. 1950, 3-20; Pagine sparse, ibid. 19602; II 166-168, 171; III 256-259; Terze pagine sparse, ibid. 1955, I 36-40; Nuovi saggi di estetica, Milano-Napoli 1948, 329-338 (sulla questione dell'allegoria: la questione rispetto a quella della struttura ci è apparsa secondaria nell'interpretazione crociana, e per questo non ne abbiamo trattato esplicitamente). Sull'interpretazione del C.: E.G. Parodi, Rassegna dantesca, in " Bull. " XXVII (1920) 1-17; L. Russo, Il problema della genesi e dell'unità della D.C., in " Studi d. " XII (1927) 5-30 (rist. in Problemi di metodo critico, Bari 1929, e rielaborato nello studio più ampio La critica letteraria del C., in La critica letteraria contemporanea, ibid. 1942, I); S. Breglia, Poesia e struttura nella D.C., Genova 1934; W. Vetterli, Die ästhetische Deutung und das Problem der Einheit der Gӧttlichen Komӧdie in der neueren Literaturgeschichte, Strasburgo 1935 (v. la rec. di M. Fubini, in " Studi d. " XX (1937) 64-72); M. Rossi, Gusto filologico e gusto poetico, Bari 1942, 64-72; M. Barbi, Problemi fondamentali per un nuovo commento della D.C., Firenze 1956 (postumo); M. Sansone, Natura e limiti del rapporto di struttura e poesia nella critica dantesca (rist. in Stridi di storia letteraria, Bari 1950); ID., D. e B.C., in D. e l'Italia meridionale, Firenze 1966, 29-59; ID., D. nella critica crociana e post-crociana, in Atti del Convegno di studi su aspetti e problemi della critica dantesca, Roma 1967, 49-62. Sull'estetica e sul metodo crociani, cfr.: F. Maggini, La critica dantesca dal Trecento ai nostri giorni, in A. Momigliano, Problemi e orientamenti critici, III, Milano 1949; D. Mattalia, D.A., in W. Binni, I classici italiani nella storia della critica, I, Firenze 1954; A. Vallone, La critica dantesca contemporanea, Pisa 1953; G.N.G. Orsini, B.C. Philosopher of Art and Literary Critic, Southern Illinois University Press 1961, 227-236 e passim. Importante quanto sull'argomento scrive G. Contini, Un'interpretazione di D., in " Paragone " 188 (1965). Per altre indicazioni si rinvia a M. Fubini, Rileggendo ‛ La poesia di D. ' di B.C., in " Cultura e Scuola " 13-14 (1965), 17-19 (rist. in Il peccato di Ulisse e altri scritti danteschi, Milano 1966).