VITTORI, Benedetto
– Nacque nel 1481, probabilmente a Faenza, città d’origine della sua famiglia. Il padre Antonio era medico, figlio d’arte di Andrea – professore e rector dell’Universitas Artistarum et Medicorum di Bologna – e fratello del più noto Leonello, lector di logica, filosofia e medicina presso lo Studium felsineo. Non è noto il nome della madre.
A Bologna Benedetto si laureò in filosofia e medicina nel 1503, anno in cui vi ottenne la cattedra di logica, occupata fino al 1505, quando iniziò a insegnarvi filosofia, prima di passare, nel 1511, all’insegnamento di medicina teorica. Lo mantenne fino al 1531, quando si trasferì all’Università di Padova, dove lesse medicina pratica e teorica.
Per riattirare Vittori nel proprio ateneo, nell’ottobre del 1535 il Senato di Bologna gli concesse la cittadinanza, adducendo anche l’«optima familia» della moglie, già cittadina bolognese (Fantuzzi, 1790, p. 188). Vittori di nobili felsinee ne sposò due, Ippolita Bolognini e Virginia Roffeni, ma non si conoscono le date dei matrimoni e non si sa chi fosse la madre dei suoi figli, Andrea e Girolamo, noti per aver fatto parte, negli anni Sessanta, di una conventicola ereticale bolognese (Dall’Olio, 1999). È invece certo che l’ottenimento della cittadinanza non convinse subito Vittori a lasciare l’ateneo patavino, dove rimase fino al novembre del 1539, quando tornò all’Università di Bologna come professore di medicina pratica e – dal 1541-42 – teorica, cattedra mantenuta fino al 1561 e presso la quale gli sarebbe succeduto Girolamo Cardano.
La sua lunga carriera accademica si riflette in una produzione editoriale ampia e variegata, inizialmente incentrata sulla discussione critica di alcuni temi logici e fisici affrontati tra Tre e Quattrocento dalla tradizione filosofica calculatoria. Nella sua prima opera (Opusculum [...] in Tisberum de sensu composito ac diuiso cum eiusdem collectaneis in suppositiones Pauli Veneti, Bononie, ex arte & officina Joannis Antonij de Benedictis, 1504) discusse il Tractatus suppositionum di Paolo Veneto e la logica dei predicati espressa da William Heytesbury nel De sensu composito ac diviso, di cui curò, nella seconda edizione – dedicata al poeta veneziano Lorenzo Venier –, una raccolta antologica di commenti (Venetijs, impensa heredum quondam Bononi Octauiani Scoti Modoetiensis ac sociorum, 1517). Discusse poi il De primo et ultimo instanti di Walter Burley (Examinatio questionis de instanti Gualterii Burlei, Bononie, per Benedictum Hectoris, 1505), incentrato sul nodo dei limiti temporali di esistenza delle realtà permanenti, affrontato da Aristotele nell’VIII libro della Fisica. Di quest’opera Vittori commentò anche l’ultimo capitolo del VII libro, difendendone, nel 1518, il teorema della soglia minima della forza: il breve commento, rimasto manoscritto (Defensio Aristotelis in ultimo capitulo libri VII Phyisicorum, Parigi, Bibliothèque nationale de France, Latin, 6533, cc. 359r-361v), è ospitato nei Commentarii in Aristotelis octo physicorum libros (1518) di Pietro Pomponazzi. Con l’umanista mantovano, suo collega allo Studium bolognese dal 1511, condivise la propensione critica verso la logica e la cinematica dei calculatores (Pomponazzi, 2013), oltre che la vicinanza al signore di Carpi, Alberto Pio, cui Vittori dedicò i Commentaria in Tractatum proportionum Alberti de Saxonia. Thome Brauardini Anglici. Tractatus proportionum perutilis (Bononie, per Benedictum Hectoris, 1506), incentrati sul problema del rapporto tra velocità, forza motiva e resistenza. Vittori discusse criticamente anche un altro tema classico della filosofia mertoniana, ovvero la misurazione del processo di variazione qualitativa, affidando le sue considerazioni a un libello dedicato al medico carrarese Ludovico Tosetto (In calculatorem de intensione et remissione formarum, Bononie, per Benedictum Hectoris, 1512).
Nella prima opera di argomento medico (Opus theorice latitudinum medicine ad libros Tegni Galleni, Bononiae, in Aedibus Benedicti Hectoris, 1516), a partire dalla definizione galenica della medicina come «scientiam sanorum, languentorum & neutrorum» (c. 1), Vittori fornì una descrizione di questi tre stati di salute, alla cui impostazione dovette contribuire anche la sua esperienza di professore di logica. Ne elaborò infatti un’illustrazione ‘geometrica’, riassunta con appositi diagrammi (cc. 26-27), che individua diciannove gradi della latitudo medicinae: le dispositiones naturali – dal grado zero della sanitas punctualis all’estremo dell’aegritudo simpliciter, passando per gli stadi intermedi della neutralitas – e quelle accidentali, di origine e forma differenti a seconda della complessione tendente al caldo o al freddo.
Nel 1551 questo libello fu ripubblicato – con dedica al duca di Firenze Cosimo I de’ Medici – insieme ai commentari al Prognostico di Ippocrate (In Hippocratis Prognostica commentarii, Florentiae, apud Laurentium Torrentinum, 1551), di cui Vittori discusse anche gli Aforismi (Commentaria in Hippocratis Aphorismos, Venetiis, Ex Officina Erasmiana, Vincentii Valgrisii, 1556), dandone una lettura fortemente influenzata dal commento di Galeno.
Del medico di Pergamo Vittori discusse il controverso passaggio del proemio dell’Ars medica sulle tre dottrine ordinate, una questione metodologica incentrata sul modo di sviluppare e insegnare ordinatamente una scienza. La Quaestio de tribus doctrinis ordinariis, ad Galeni scopum fu pubblicata in coda al Liber de pleuritide ad Galeni et Hippocratis scopum (Venetiis, in aedibus Andreae Arrivabeni, 1536), con il quale Vittori prese parte a un acceso dibattito di scala europea sul modo di salassare in caso di pleurite, sostenendo che la flebotomia si dovesse praticare non presso il polmone infiammato, ma lontano da esso, secondo quel ‘metodo arabo’ già difeso da Andrea Turini e Ludovico Panizza.
Sviluppando un tema già brevemente affrontato in un’opera collettanea (Morbi gallici curandi ratio exquisitissima, à variis, iisdemque peritissimis medicis..., Basileae, apud Joan. Beb., 1536, pp. 227-235), nel 1551 diede alle stampe un trattato sulla sifilide (De morbo gallico liber, Florentiae, escudebat Laurentius Torrentinus; ripubblicato in L. Luisini, Aphrodisiacus, siue de lue venerea, I, Venetiis, ex officina Iordani Ziletti, 1566), morbus «vulgaris» – «in omnia evi parte in vulgum viget, ac grassatur» (p. 4) – ed «epidemialis», che poteva trasmettersi per via sessuale o areale ma anche per influsso astrale. La descrizione delle cause e dei sintomi (capp. I-III) – strettamente dipendente dal commento galenico al De morbis vulgaribus di Ippocrate – prelude all’illustrazione dei rimedi, preventivi, medicinali e chirurgici: soprattutto, propose un regimen sanitatis volto a ribilanciare la complessione fredda e umida dei sifilitici (cap. IV), ai quali prescrisse anche la frequenza delle terme (cap. IX) e l’assunzione di unguenti a base di mercurio e argento e decotti di legno di guaiaco (capp. V-VIII).
Vittori pubblicò poi i Medicinalia consilia ad varia morborum genera (Venetiis, Ex Officina Erasmiana, Vincentii Valgrisii, 1551, poi 1556, 1557), contribuendo a un genere letterario di origine duecentesca che intrecciava l’interesse teorico alle esigenze pratiche. Ogni consilium è indirizzato a un determinato paziente (spiccano, tra gli altri, Bona Sforza, Maria Salviati e il vescovo di Trento Bernardo Clesio), cui vengono descritte le cause, i sintomi e le possibili cure di una determinata loro malattia, riservando uno spazio privilegiato ai rimedi preventivi (soprattutto dietetici), ma comprendendo anche quelli farmacologici e chirurgici.
Il libro di maggior successo di Vittori fu la Medicatio empirica singolorum morborum. Doctrinalis empirica de febribus (Venetiis, ex officina Erasmiana, Vincentii Valgrisii, 1550, poi Parisiis 1551, Venetiis 1554, 1555, 1565, Lugduni 1572), in seguito volgarizzata da Tommaso Terranova (Prattica d’esperienza, Venezia, appresso Bolognino Zaltieri, 1570, poi Vicenza 1624). Il volume, dedicato al legato apostolico di Bologna Giovanni Maria Ciocchi del Monte, è preceduto da un’Exhortatio ad medicum recte, sancteque medicari cupientem, con cui Vittori incitò i suoi colleghi al timor di Dio, che «dalla terra» aveva creato la medicina e infuso la scientia negli uomini. Ogni capitolo dell’Empirica – piuttosto parsimonioso nei rimandi alle auctoritates mediche – è dedicato a un morbo: la descrizione dell’eziologia e della sintomatologia è quasi del tutto sacrificata alla volontà di fornire un prontuario dei rimedi farmacologici, medici e chirurgici per un ampio ventaglio di infermità – dalla cefalea alla sifilide, dall’epistassi all’idropisia – , con uno specifico approfondimento sulle febbri.
L’ultimo libro di Vittori (Practicae magnae [...] de morbis curandis ad Tyrones tomi duo, Venetiis, apud Vincentium Valgrisium, 1562), pubblicato incompiuto e postumo, unisce l’interesse per la terapeutica concreta a un robusto approfondimento teorico. L’ambizioso piano dell’opera prevedeva quattro tomi, corrispondenti agli altrettanti «instrumentorum genera, quibus humanum corpus in re vitae omnes functiones perficit» (Praefatio): testa (I), membra spirationum (II), organi della nutrizione (III) e della riproduzione (IV). Vittori riuscì ad arrivare all’inizio del secondo tomo: ognuno dei capitoli (cervello, occhi, orecchie, naso, bocca e lingua, denti, gola) era introdotto dalla descrizione anatomica dell’organo corrispondente, delle cui possibili affectiones venivano poi indicati cause, sintomi e cure.
Morì a Bologna il 12 febbraio 1562 e fu sepolto nella chiesa di S. Domenico (Bologna, Biblioteca universitaria, 771, p. 300).
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